Carinzia: L’accoglienza
agli imprenditori veneti
Hanno cominciato ad arrivare verso le 17.00.
Col Mercedes, con l’utilitaria, accompagnati dalla
moglie o dal papà, come il primo giorno di scuola. Veneti, ma anche friulani e
lombardi. Incravattati o con le mani gonfie, provate da anni di lavoro
artigiano. Prima che imprenditori, testimoni di un disagio, perseguitati da un
morbo che si chiama Italia. Ebbene, dovevano essere un centinaio, si sono
presentati in quattrocento. Troppi, persino per gli organizzatori. Tant’è che
qualcuno è rimasto fuori.
Ad accoglierli, ieri pomeriggio, nel trevigiano, il vice
governatore carinziano Uwe Scheuch
e uno stuolo di consulenti del Ministero dell’Economia, avvocati e
commercialisti venuti da oltreconfine per spiegare che, a pochi passa da casa,
c’è un piccolo paradiso dove si può ancora fare impresa: la Carinzia. Un
paradiso accessibile a tutti gli uomini di buona volontà che abbiano risolto il
rapporto con uno stato ostile, per intraprendenza e coraggio sono vizi e non
virtù.
Ampliare il proprio business, investire, intercettare
nuovi mercati a condizioni vantaggiose (zero burocrazia, fisco equo,
sindacati amici, manodopera specializzata – ne
abbiamo parlato qui): durante la conferenza di presentazione di ABA-invest,
il punto di riferimento per la aziende straniere in Carinzia, la parola
“delocalizzazione” è tabù. Lo stato italiano non vuole e non può perdere quegli
imprenditori che, come dice uno di loro, sono “le uniche vacche da mungere
rimaste in circolazione”. E quindi
bisogna dosare i termini, agire quasi di nascosto, per non rompere equilibri in
parte già compromessi.
Non è un caso se l’Euroregione tratteggiata con l’accordo
del 2009 da Renzo Tondo, Giancarlo Galan e Gerhard Dofler, è rimasta sulla
carta. “Il Governo centrale austriaco ha già dato il via libera da mesi, ma a
Roma Monti sta facendo delle resistenze – fa notare Scheuch – Il fatto è che
l’Austria è uno stato federale, che riconosce l’autonomia delle sue regioni,
l’Italia no. Speriamo che la situazione si risolva, per non perdere
quest’occasione, che è importante per la Carinzia, ma anche per il Veneto e il
Friuli Venezia Giulia”. Monti non è amato, in platea qualcuno scalpita, finché
uno dei 400 chiede la parola: “Gentile vicegovernatore, lasciamo perdere
l’Euroregione. Non facciamo prima a chiedere l’annessione all’Austria?” E giù
applausi, poco prima del rompete le righe, dell’inizio della pesca, quella
vera.
Vino veneto e birra austriaca: il buffet offerto dagli
sponsor è un buon mix delle migliori specialità regionali. Un’orchestrina
suona, consulenti e avvocati avvicinano gli imprenditori, uno ad uno. Tre
ragazzi parlottano: hanno fra i 30 e i 35 anni. Tutti laureati, uno è anche
professore universitario. Il sogno è lanciare un nuovo social network: “Non
abbiamo soldi”. Lo faranno in Carinzia: “Il primo anno, se non fai utile, non
paghi le tasse. Se fai utile, c’è un’aliquota unica del 25%. Niente Irap. E lo
stato – non le banche – finanzia nuovi progetti innovativi fino al 65%
dell’investimento iniziale” concludono.
Un falegname, a colloquio con una signora bionda venuta
da Klagenfurt, si lamenta: “Mi sono rotto i coglioni. Se non avessi 70 anni
prenderei armi e bagagli e me ne verrei di là. Cosa vuole, non posso farlo ora,
sono troppo vecchio per imparare il tedesco”. “El probelma no xe la lingua” si
intromette un trevigiano. 40 anni, da quando ne aveva 18 lavora in Carinzia:
“Mi prima faxeo l’operaio, desso so imprenditore. El tedesco gnacora lo parlo
tanto ben”. L’organizzazione se lo porta dietro per far vedere che il successo,
in Carinzia, è qua a portata di tutti. “Ghe xe persone che te pol iutar par quelo”
spiega “L’unica roba, mi me so smentegà de parlar italiano. Ma
chissenefrega!”
Fonte: srs di Carlo Melina, da L’Indipendenza
del 10 maggio 2012-05-10
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