Quando sono a rischio i rapporti monetari, finanziari e
commerciali internazionali, la priorità nazionale è fare scorte e rendersi
quanto possibile autonomi per soddisfare i bisogni primari materiali della
popolazione – cibo, energia, trasporti, cure mediche – e salvaguardare
l’apparato produttivo, nongià spendere tutto per traguardi contabili.
La crisi globale è in corso da 4 anni ed è sistemica, non
congiunturale. Sta spostando redditi, capitali e opportunità lontano da noi.
Non sappiamo a che assetti porterà, né quando.
Il paese, in declino comparativo da 20 anni e in recessione
persistente, è caduto nell’avvitamento fiscale, con una pressione sull’emerso
oltre il 70% (quindi insostenibile), senza prospettive di ripresa endogena, ma
solo, nel DEF, previsioni fondate su un ipotetico traino estero.
L’orizzonte estero però vede un cedimento dello slancio
cinese e preannunci di una “perfetta tempesta” monetaria con cinque anni di
recessione a seguito dell’attesa crisi da insostenibilità dell’indebitamento.
In ambito europeo, l’UE e la BCE a guida tedesca non cedono
sulle ricette recessive di austerità, conformi agli interessi del solo
capitalismo tedesco, mentre la Grecia probabilmente uscirà dall’Euro, ed è pure
probabile che nel tempo la seguano altri PIIGS, per ragioni di insostenibilità
strutturale della loro posizione, ossia per effetto sia dell’avvitamento
fiscale nel fiscal compact, che dei disavanzi commerciali accumulati verso
Berlino, che della crescente competitività, rispetto alle economie periferiche,
dell’economia tedesca, la quale attrae da esse capitali, imprenditori e
professionisti qualificati dalla periferia europea (questo fatto era noto e
prevedibile, perché già aveva creato la crisi monetaria del 1964 e quella del
1992, quindi i padri dell’Euro sapevano di questo effetto).
La perdita comparativa di produttività e vitalità
dell’imprenditoria italiana deriva anche dal fatto che i regolamenti europei in
materia amministrativa, infortunistica, igienica, ecologica e creditizia sono
pensati per la grande e media impresa, tipica dell’Europa centrale e
settentrionale, e soffocano le piccole e piccolissime imprese, costituenti il
95% dell’industria italiana.
Questo squilibrio ha un feedback positivo, ossia alimenta e
amplifica se stesso (sposta risorse dai paesi periferici alla Germania, e
con quelle risorse le Germania aumenta continuamente la propria superiorità
rispetto ai partners periferici, accrescendo così il trasferimento di risorse a
proprio vantaggio e le strettezze finanziarie, l’impoverimento e la
destabilizzazione sociale di questi. L’effetto distorcente dell’Euro sulle
bilance dei pagamenti è irriducibile dalla politica e dalle chiacchiere e dagli
idealismi.
Quindi non vi è via di uscita entro il sistema, che non
ammette svalutazioni o altri correttivi. Il sistema dovrà rompersi, prima o poi
– ad es., allorché i paesi periferici saranno tanto impoveriti da non poter più
assorbire l’export tedesco. Più tardi si
rompe, più forte sarà la Germania al tavolo delle trattative per un nuovo sistema,
e più deboli saranno gli altri.
Possiamo plaudere alla vittoria del più forte e
all’eliminazione dei più deboli, nella logica darwiniana della selezione del
migliore. Ma, se invece vogliamo sopravvivere, in tale quadro, la assoluta
priorità, per ogni governo PIIGS, non è rincorrere lo spread o il pareggio del
bilancio, ma attrezzarsi per soddisfare i bisogni primari, materiali (cibo,
riscaldamento, trasporti), della popolazione, nel medio termine – ossia
prendere misure idonee ad assicurare la sopravvivenza del proprio paese nel
verosimile scenario di un dissesto monetario, finanziario e commerciale
internazionale. E cercare di mettere in crisi il competitore.
Già nel 2008 gli scambi internazionali, dai quali dipendiamo
per materie prime e altro, crollarono del 40% in pochi mesi. Ciò insegna che
bisogna attrezzarsi per resistere a una situazione di questo tipo, ma molto più
grave. Si tratta di perseguire l’autosufficienza o autonomia nel possibile e
nell’essenziale, almeno per la prevedibile durata della crisi. Questa non è,
ovviamente, una scelta ideologica di autarchia, ma un’esigenza pratica.
Peraltro, si è già abbastanza palesata l’inefficienza e pericolosità di
un’organizzazione mondiale dei commerci e della finanza come l’attuale, e la
preferibilità di un sistema basato sullo scambio delle eccedenze, con
produzioni e consumi, per quanto razionalmente possibile, locali, se non
proprio a chilometri zero. In un tale sistema si potrebbe controllare la
qualità presso il produttore, si risparmierebbero inquinamento e carburanti per
i trasporti, si scoraggerebbe la concorrenza basata sullo sfruttamento di
lavoro e ambiente.
Le misure da prendersi (alcune anche a livello regionale o
subregionale, specie in caso di inerzia del governo centrale) sono ovvie; è
augurabile che siano adottate preventivamente, ossia prima di ulteriori
dissanguamenti, prima di un collasso del paese, prima di una uscita passiva
dall’Euro; ma è ben possibile che si arrivi a prendere misure di questo tipo
per effetto proprio di tali eventi. Ecco le misure che raccomando:
- costituire
scorte di oro quale mezzo di pagamento internazionale, nazionalizzando quelle
della Banca d’Italia;
- costituire scorte strategiche di ciò che il paese non
produce da sé (cibo, materie prime, combustibili e carburanti, pezzi di
ricambio, farmaci, etc.);
- efficientare e ampliare la produzione di generi
alimentari, rimettendo a coltura terreni dismessi e convertendo a produzioni
per alimentazione umana e biocarburanti i terreni coltivati a foraggio (in
termini di rendimento nutritivo, il cibo vegetale assorbe 1/9 di quello
carnaceo);
- dotarsi della capacità strategica di produrre e ibridare
sementi, diserbanti e fertilizzanti senza dipendere da fornitori stranieri;
- dotarsi di capacità strategica di produrre, se necessario
in violazione dei brevetti internazionali, le sostanze chimiche e gli apparati
tecnologici utili al paese, incluse le apparecchiature elettroniche,
informatiche, telematiche e il relativo software;
- ridotarsi di autosufficienza monetaria interna, con una
banca centrale a direzione pubblica e interamente nazionale, che assicuri
l’acquisto del debito pubblico, e vincoli di portafoglio per le banche di
credito; nella situazione attuale, solo un folle o un sabotatore si affiderebbe
ai “mercati” o ad istituzioni esterne, etero-guidate e non solidali, per le
proprie esigenze monetarie interne e per l’assorbimento del proprio debito
pubblico;
- tenersi adattabili alle diverse possibili soluzioni per i
rapporti monetari internazionali: unità di conto non monetaria, o valuta
internazionale diversa da quella interna, oppure sistema di cambi fissi o
variabili – a seconda di come gireranno le cose in ambito globale;
- allestire un sistema di credito e risparmio separato dalle
attività speculative e idoneo ad assicurare finanziamento alle attività
produttive;
- istituire controlli dei flussi di capitali e di merci
(dazi, contingenti), nonché degli acquisti stranieri in ambito domestico
(restrizioni agli acquisti di aziende e di immobili);
- abrogare o correggere i regolamenti europei inadatti al
tessuto imprenditoriale italiano; assicurare un credito a condizioni confacenti
ad esso, in deroga agli accordi di Basilea;
-uscire dall’Euro e dall’UE;
-stabilire un pieno controllo dei confini e dei movimenti in
ingresso e in uscita.
La precedenza va data agli investimenti per
l’autosufficienza, per la realizzazione di impianti industriali e agricoli e
per le tecnologie necessarie, nonché alle infrastrutture più utili. Un
tale piano di investimenti andrebbe studiato come piano di rilancio economico
dei paesi interessati, ossia non solo come piano di difesa nazionale, ma pure
come un’opportunità di uscita dalla recessione con adozione di un modello di
sviluppo più sicuro e sostenibile.
Incauto è non provvedere in tal senso, dato lo scenario
interno e internazionale. Pazzerello è destinare le poche risorse disponibili
non a questi investimenti, ma a rincorrere obiettivi contabili imposti da
potentati finanziari assolutamente non solidali ma opportunisti, o a interventi
a pioggia di tipo demagogico, vetero-democristiano, come quello varato dal
governo Monti l’11.05.12.
Pazzerello, perché significa lasciare la gente esposta, pur
potendosi evitarlo, al rischio di crollo delle condizioni di vita, se non di
inedia e assideramento, e lasciare il paese al rischio di un take over per
fame.
Ma ormai è chiaro che, per qualcuno, lo scopo è proprio
questo: con la crisi economica creare la rivolta sociale, con la rivolta
sociale giustificare la repressione; poi arriverà il capitale finanziario
tedesco vestito da UE a salvarci in cambio di un total surrender del paese
periferico a un MES guidato da Berlino.
Intanto, irrazionalmente, si continua a puntare tutte le
risorse su modelli che presuppongono solidarietà, coordinamento e tenuta nei
rapporti monetari e politici internazionali, e ciò proprio mentre questi
presupposti falliscono, uno dopo l’altro, o appare che non erano mai esistiti
nella realtà, ma solo nella propaganda europearda e mondialista.
In generale, si seguita a non tener conto dell’esperienza,
della storia: tutte le promesse di integrazione o armonizzazione monetaria ed
economica sono rimaste inavverate, dalla PAC e dallo SME in poi, anzi hanno
aumentato gli squilibri. Pensare che dalle istituzioni europee, espressione di
conflitti di esigenze tra diversi modelli socioeconomici, venga aiuto,
solidarietà e risoluzione dei problemi, è irrazionale e contrario ai dati
storici e all’evidenza del presente.
Anche le promesse di riduzione e riqualificazione delle
spese pubbliche sono rimaste irrealizzate, come le promesse di maggiore
democrazia e partecipazione alle scelte di fondo, di benefici e stabilità che
dovevano automaticamente scaturire dall’apertura dei mercati. Le assicurazioni
di uscita dalla crisi, di uscita dalla recessione, di istituzioni capaci di
prevenire nuove crisi (Financial Stability Board), sono risultate vane. Il
sistema risulta inabile a utilizzare i dati empirici e la logica per
riformarsi, correggersi, razionalizzarsi. E’ altamente entropico, salvo intendere
che l’andamento in questione sia voluto, nel senso che la scena politica ed
economica è dominata non da un regolatore né da leggi equilibranti, ma da
attori-profittatori che mettono a profitto le ricorrenti sbandate del sistema e
i suoi crescenti scompensi.
Aprirsi agli scambi internazionali anziché chiudersi
protezionisticamente è indispensabile per evitare fossilizzazioni e
per stimolare l’innovazione e l’efficienza; ma non è detto che ciò sia
vero in tutte le circostanze, in tutti i modi e in tutti i tempi. Questo è un
tempo in cui entra più caos e nocumento che stimoli e innovazioni costruttive.
E non potrebbe essere diversamente, in un tempo in cui i mercati sono dominati
da una speculazione finanziaria di brevissimo termine.
Fonte: srs di Marco Della Luna del 16 maggio 2012
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