Ebbene si, lo confesso: sono un nostalgico.
Rimpiango quel periodo della nostra storia recente quando i
nostri nonni potevano lasciare la porta aperta e dormire con le finestre
spalancate. Ora, invece, siamo costretti a barricarci in casa con allarmi e
porte blindate.
Allora si poteva passeggiare fino a notte fonda senza temere
nulla e non c’erano, come adesso, telecamere ad ogni angolo di strada, carabinieri,
polizia, vigili e vigilantes.
Per ritirare la pensione la nonna non aveva bisogno della
scorta armata, bastava il nipotino.
Le piazze e le strade erano dei cittadini e non delle
prostitute, degli spacciatori o dei balordi d’ogni specie ed etnia.
Il pugno duro del regime e la piena occupazione, che tolse
manovalanza alla criminalità, costrinse la Mafia a traslocare in America dove,
non a caso, trovò terreno fertile per prosperare e prepararsi a tornare in
Patria con i liberatori americani.
Per punire i delinquenti allora bastavano poche carceri
perché la giustizia ordinaria funzionava davvero(1). Ora invece le prigioni scoppiano, anche a causa della
delinquenza immigrata, della lentezza della giustizia che trattiene in carcere
imputati ancora in attesa di giudizio(2),
e alla politicizzazione e smania di protagonismo di parte della Magistratura a
cui è concessa assoluta libertà e totale impunità, anche quando commette gravi
errori.
I dipendenti statali, è vero, erano privilegiati, ma
sentivano la responsabilità del ruolo svolto e rispondevano col massimo impegno
e se meritevoli facevano carriera. Provate ora ad andare in un qualsiasi
ufficio pubblico e vi accorgerete come lo Stato non faccia differenza tra un
dipendente coscienzioso ed uno lavativo.
I giovani venivano educati al senso civico(3), all’amor di Patria, al rispetto per
il prossimo e al cameratismo. Sapevano cos’era il sacrificio e lo sport era il
loro principale svago. Ora invece…lasciamo perdere.
Le famiglie – e per famiglie intendo quelle vere e non i
surrogati gay - facevano figli perché lo Stato le sosteneva
con Istituiti, molti dei quali poi abrogati, come l’Opera Nazionale
Maternità e Infanzia, gli assegni familiari e l’esonero dal pagamento delle
tasse per le famiglie numerose e indigenti, le case popolari, le colonie per i
figli degli operai, ecc.(4).
Le famiglie povere facevano sacrifici per istruire i loro
figli, ma avevano la certezza che una volta conquistato (si, conquistato perché
allora si studiava sul serio) il tanto agognato “pezzo di carta” i loro
figlioli avevano un futuro certo e ben retribuito e se non avevano voglia di
studiare un posto da muratore, operaio o contadino per loro si trovava. Per
questi lavori ora ci sono gli immigrati.
I treni popolari hanno permesso ai meno abbienti di
conoscere l’Italia e i dopolavoro di dare svago e istruzione agli operai.
In ogni città sorgevano le colonie elioterapiche per la cura
di malattie croniche, come la tubercolosi e la TBC, allora molto diffuse.
Il sostegno del Governo per il rilancio dell’economia,
l’enorme piano di opere pubbliche, i nuovi servizi e le bonifiche integrali del
Regime hanno permesso di estendere a tutta l’Italia la piena occupazione e, di
conseguenza, a ridurre il fenomeno emigratorio (prima dell’avvento del Fascismo
la fame e la mancanza di lavoro costringeva le nostre braccia ad emigrare in
paesi dove gli italiani venivano spesso sfruttati e mal tollerati).
Un operaio con il suo lavoro e con l’aiuto della moglie che
praticava una sana economia domestica riusciva a mantenere una famiglia, spesso
numerosa, e a mettere da parte qualche soldo per poi, una volta andato in
pensione, grazie alla liquidazione (istituita in quegli anni), riscattare la
casa in affitto e vivere serenamente la sua vecchiaia. Adesso, a parte i ricchi
e chi eredita la casa dei nonni, quale famiglia è in grado di comprarsi un pur
modesto appartamento in periferia? E la pensione? Per i giovani di oggi una
chimera.
Le Fabbriche per produrre bene e a costi contenuti non
avevano bisogno del lavoro precario e della mano d’opera extracomunitaria di
oggi. Anzi, sia imprenditori che operai avevano uno stimolo in più per dare il
meglio di sé: fare grande l’Azienda per fare grande l’Italia.
Le più grandi Aziende italiane sono nate, o si sono
consolidate, proprio in quegli anni grazie alla diffusa libertà d’Impresa
assicurata dal Governo (si soppresse la libertà politica per esaltare le
libertà civili, afferma lo storico Gioacchino Volpe) ed al controllo statale
sul sistema bancario sottratto al potere dell’alta finanza e posto al servizio
dell’economia, ma soprattutto grazie alla fiducia nelle Istituzioni e all’amor
di Patria, quello vero non quello estemporaneo e patetico della nazionale di calcio
o del 150° anniversario.
Si producevano di tutto, in Italia e con lavoratori italiani
e l’agricoltura ci assicurava l’autosufficienza alimentare.
Ricordate la tanto sbeffeggiata campagna per il grano? E’
servita a ridurre la nostra dipendenza dall’estero(5), a dare lavoro ai nostri contadini e a risanare terre incolte.
Adesso, in nome del libero mercato, importiamo di tutto, perfino i pomodori
dalla Cina, gli agrumi da Israele e le verdure dalla Spagna e, nel contempo,
distruggiamo le nostre arance pur essendo le migliori del mondo e multiamo gli
allevatori che producono latte per poi importalo dalla Francia.
Si costruivano autostrade, ferrovie, acquedotti – come
quello pugliese, il più grande d’Europa – e intere città rispettando tempi e
costi, si bonificavano paludi e s’istituivano parchi nazionali.
L’Italia era un immenso cantiere, dalla Sicilia alle Alpi, e
i servizi pubblici funzionava (i treni arrivavano veramente in orario). Ora per
togliere la spazzatura dalle strade di Napoli è dovuto intervenire l’esercito.
In compenso costruiamo ospedali e strutture pubbliche a costi esorbitanti per
poi abbandonarli, come ci documenta quotidianamente “striscia la notizia”.
Per un semplice raccordo autostradale ci voglio decenni e i
nostri pendolari sono ammassati in vagoni fatiscenti o costretti ad
alzarsi all’alba per prevenire il traffico.
Con lo slogan “nulla si distrugge” fu avviata, nel 1939, una
capillare raccolta differenziata porta a porta per il riciclaggio dei rifiuti.
Il terremoto dell’Aquila ha distrutto tutti gli edifici,
tranne quelli costruiti in epoca fascista, un caso?
Le Università sfornavano fior di laureati che sarebbero
diventati capitani d’industria, economisti affermati, scienziati di alto
livello o uomini di Stato. I grandi statisti del dopoguerra, i Moro, i De
Gasperi, i Berlinguer e lo stesso Presidente Napolitano si sono formati come
politici integerrimi proprio durante gli anni del Fascismo. Oggi non esistono
più statisti, ma solo politicanti che badano ai loro interessi personali e di
parte e solo di riflesso a quelli nazionali.
I conti pubblici erano in ordine. Il 1° Aprile del 1924,
dopo soli 18 mesi di governo, senza imporre nuove tasse o incrementare quelle
esistenti e senza deprimere l’economia il Ministro delle Finanze De Stefani
poté annunciare il raggiungimento del pareggio di bilancio.
La crisi finanziaria di Wall Street del ’29, che – come oggi
– mise in ginocchio tutte le economie occidentali, fu assorbita senza grossi
traumi grazie al vasto piano di opere pubbliche varato dal Governo e allo Stato
Sociale istituito dal Fascismo.
Dal 1992 è in atto la vendita (o meglio la svendita) dei
beni dello Stato. Beni immobili, demaniali, Aziende e partecipazioni azionari.
Ma questi beni quando sono stati creati se non in buona parte durante il
fatidico ventennio?
L’attenzione del fascismo alla cultura non fu da meno.
Istituti come l’Accademia d’Italia, l’Enciclopedia Italiana, i littoriali della
Cultura, l’Istituto Nazionale di Cultura, la Biennale di Venezia, la Mostra Internazionale
del Cinema (la prima al mondo, istituita nel ‘32), divennero subito palestre
per le migliori menti e permisero a intellettuali, artisti e uomini di cultura
dell’epoca di affermarsi e di proseguire la loro attività anche dopo il
Fascismo.
In quegli anni si aprono biblioteche pubbliche, teatri e
cinematografi in ogni città e si assiste ad un fiorire di riviste e giornali.
La radio fa la sua prima apparizione come pure le prime
trasmissioni televisive. Cinecittà apre i battenti.
Nell’arte, nel costume e nella comunicazione il futurismo,
uno dei pilastri della cultura fascista, svecchiò l’Italietta borghese e
bigotta.
La minigonna, quella di Mary Quant degli anni sessanta, la
vediamo proprio in quegli anni, nei saggi ginnici delle studentesse fasciste.
In campo architettonico un nuovo stile, il razionalismo
italiano di Piacentini e Terragni, ha saputo conciliare la tradizione romana
con il modernismo più avanzato.
L’Italia primeggiava in tutti i campi, nella scienza con
Enrico Fermi e suoi avanzatissimi studi sull’energia nucleare, nella tecnica
con Guglielmo Marconi inventore del telegrafo, nell’aeronautica con Italo
Balbo. Umberto Nobile, con i suoi dirigibili, fu il primo al mondo a
raggiungere il Polo Nord.
Perfino nello sport la nuova Italia si impose vincendo in
continuazione olimpiadi e mondiali di calcio(6).
In soli 15 anni il nostro Paese, arretrato sotto ogni punto
di vista, si trasforma in uno Stato moderno ed all’avanguardia mondiale nel
campo sociale, tecnico ed economico.
Ora invece siamo un paese super indebitato e succube dei
mercati, con una disoccupazione crescente e una immigrazione senza freno, una
economia depressa e una pressione fiscale asfissiante, giovani senza futuro e
politici affamati, delinquenza dilagante e mafie radicate, Stato sociale
distrutto e diritti dei lavoratori cancellati: questa è l’Italia nata dalla
resistenza.
Non tenere conto di quanto di positivo fu realizzato durante
il Fascismo in un momento drammatico e senza futuro come quello attuale non è
solo da stolti presuntuosi, è da criminali.
Qui non si tratta di riscrivere la storia, ma di studiarla
per trarne benefici, tenendo ben presente che l’alternativa non è tra libertà e
dittatura, come vorrebbero farci credere i nostri politici e i tanti che in
questo sistema ci sguazzano, ma tra una democrazia fallimentare ed una che
funziona, tra un sistema basato sul potere assoluto e soffocante dei partiti e
un rinnovato Stato Sociale a Democrazia Diretta.
Il Fascismo che voglio ricordare non è quello della guerra
persa o della lotta fratricida che hanno portato in sé morte e distruzione,
questo lo sappiamo già, ci viene rammentato con ossessione da oltre
sessant’anni, quello che voglio ricordare è il Fascismo sociale che ha
modernizzato un Paese arretrato.
Un Paese, l’italietta giolittiana, privo di servizi
pubblici. L’istruzione era un privilegio di pochi e la sanità esclusivamente
privata.
Un Paese dove vigeva il lavoro minorile e costringeva le sue
braccia ad emigrare, dove – come nel resto del mondo – gli operai non avevano
né pensione, né liquidazione e se si ammalavano si dovevano arrangiare. Questa
era l’Italia prefascista e che ora sta velocemente ritornando.
E’ vero il fascismo si affermò anche con i manganelli e
l’olio di ricino (i social-comunisti che negli anni precedenti hanno
terrorizzato l’Italia non erano certo da meno e a differenza dei fascisti
usavano roncole e pistole(7)), ma
quale rivoluzione avvenne senza un minimo di violenza? Pensiamo alla madre di
tutte le rivoluzioni, quella francese, da cui nacquero le attuali democrazie
capitaliste, cosa fu se non un’immensa carneficina? Pensiamo alla rivoluzione
bolscevica con il suo corollario d’orrori, per non parlare delle stragi
partigiane che hanno accompagnato la lotta di “liberazione” e le nefandezze dei
Savoia nel sud d’Italia in epoca risorgimentale.
Il Fascismo fu una dittatura? Anche questo è vero, ma che
razza di dittatore fu mai questo Mussolini se per rimanere al potere non ebbe
bisogno di campi di concentramento, fosse comuni e deportazioni di massa?
Che invece di fucilare i suoi oppositori, come facevano i
suoi colleghi Hitler e Stalin, li mandava al confino trovandogli casa e
passandogli un vitalizio? E permetteva a Gramsci, uno dei pochissimi avversari
incarcerati, di scrivere i suoi libri contro il regime e di assisterlo, quando
si ammalò, in una clinica privata a spese dello Stato?
Gli si rinfaccia di essere entrato in guerra (poteva forse
restarne fuori?(8)), ma adesso, dopo
quasi settant’anni, siamo forse in pace? Non vi è angolo del mondo senza
guerre, ingiustizie, fame e miseria. Grazie anche alle ingerenze “umanitarie”
dell’occidente e alle multinazionali degli armamenti che non lavorano certo per
la pace.
Mussolini fece molti errori, come l’anacronistica guerra
coloniale, le vergognose leggi razziale e la guerra persa a fianco di un
alleato che non volle scaricare quando le vicende belliche volsero al peggio,
ma pagò. Pagò con la vita e con lo scempio del suo corpo.
Quanti dei responsabili dello sfacelo in cui si trova oggi
l’Italia stanno pagando per la loro incapacità e bramosia di potere.
E ora che le vestali dell’antifascismo si scatenino pure!
Gianfredo Ruggiero
Note.
(1) Per non inquinare la
giustizia civile furono istituiti i tribunali speciali che giudicavano i
reati connessi alla politica e contro lo Stato. Vigeva la pena di Morte è vero,
ma come deterrente. Infatti fu applicata in pochissimi casi e per reati
particolarmente efferati (a differenza della democratica America e della
comunista Cina che ancora oggi mandano sulla sedia elettrica o impiccano decine
di condannati a morte).
(2) Circa il 40% della popolazione
carceraria è in attesa di giudizio, metà della quale poi risulta innocente.
(3) L’educazione civica era materia di
studio.
(4) Michele Giovanni Bontempo “Lo Stato
Sociale nel Ventennio”, ed. I libri del Borghese, Roma 2010.
(5) L’importazione del grano,
principalmente dall’Argentina, fu ridotta del 75%. Nel 1922 i braccianti
erano oltre 2 milioni: nei primi anni del ‘40 il loro numero si ridusse a soli
700 mila, gli altri erano divenuti proprietari, mezzadri o compartecipi di
piccole o grandi aziende. Nella sola Sicilia i proprietari terrieri passarono
dai 54 mila a 223 mila.
(6) Secondo posto alle olimpiadi
americane di Los Angeles del ‘32, duplice vittoria ai mondiali di calcio del
’32 e del ’34. Primo Carnera è campione mondiale dei pesi massini nel ‘33, Gino
Bartali in quegli anni vince due giri d’Italia nel 1936 e nel 1937 e un
Tour De France nel 1938.
(7) Durante il famigerato “biennio
rosso” 1919-22 la sinistra massimalista mise a ferro e fuoco l’Italia con
occupazioni di fabbriche e scioperi selvaggi, di aggressioni e violenze a
carico dei soldati che tornavano dal fronte a cui la polizia e l’esercito
rispondevano con altrettanto durezza e i padroni con le serrate. Il Fascismo si
affermò anche come risposta dei ceti medi e popolari stanchi delle violenze dei
social-comunisti e delle imposizioni dalle leghe rosse e bianche nelle
campagne.
(8) L’Italia non poteva rimanere fuori
da un conflitto di dimensioni mondiali e che si sarebbe sviluppato nel
Mediterraneo. Mussolini entrò in guerra un anno dopo in quanto perfettamente
conscio dell’impreparazione militare dell’Italia e dell’assoluta inaffidabilità
dei vertici militari ed in particolare di quelli della Regia Marina legati ai
circoli massonici inglesi. Quando si decise a compiere il passo la Germania era
vittoriosa su tutti i fronti, aveva occupato gran parte dell’Europa e si
apprestava ad invadere l’Inghilterra. Con chi avrebbe dovuto allearsi l’Italia
in quelle circostanze, con la parte soccombente per essere a sua volta occupata
dai tedeschi?
Fonte: srs di Gianfredo Ruggiero, da Excalibur del 21
aprile 2012
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