Università di Padova
di PAOLO L.
BERNARDINI
In un recente intervento video
pubblicato in questo giornale, Carlo Lottieri ha parlato del declino
dell’Europa. Condivido appieno il suo discorso, nelle linee generali e direi in
quasi tutte quelle particolari. Occorre però riflettere su una piccola svista
di Lottieri, ovvero quella secondo cui il declino delle università europee
sarebbe parte di questo declino generale. Ora, questo non è del tutto vero. Se prendiamo ad esempio una delle classifiche
maggiormente seguite, e serie, quella del “Times Higher Education Supplement”, http://www.timeshighereducation.co.uk/world-university-rankings/2011-2012/top-400.html
per il 2011-2012, le università europee non sfigurano.
Prendiamo le prime 100. Al primo posto abbiamo quella chicca
del CalTech, al secondo quel blasonato gigante che si chiama Harvard (a metà
Seicento uno studente del Massachussets fece domanda di ammissione a Padova,
allora una stella assoluta, dicendo che non voleva studiare in quel postaccio
con due libri e tre professori che si chiamava…Harvard!). Se prendiamo le
prime cento, abbiamo 30 università (il 30%! Anche per un impedito in matematica
come me come è facile calcolare le percentuali sulla cifra di 100!) europee.
Prendiamo le “top ten”.
Ebbene, se prendiamo le prime dieci, Oxford, Cambridge, e
l’Imperial College di Londra occupano rispettivamente la quarta, la sesta, e
l’ottava posizione. Ora, sempre su questo giornale, Federico Compagnoni ha
parlato della “devastazione
delle università padane”. Ebbene, almeno due, Padova e Bologna, sono quasi
coeve di Oxford e Cambridge. Bologna si piazza tra il 226esimo e il 250° posto,
e anche Padova. Vuol dire che istituzioni come Oxford e Cambridge mantengono un
primato internazionale da circa 800 anni, qualcosa di assolutamente
stupefacente (come se la Ferrari tra 700 e rotti anni continuasse a produrre le
migliori macchine del mondo!).
Ma analizziamo le prime cento dal punto di vista europeo.
Ebbene, 12 sono inglesi (di un paese fuori dell’area Euro, benché dentro per
ora alla UE). La 36esima e la 85esima sono rispettivamente Edinburgo e Saint
Andrews, in Scozia. Occorre ricordare che ancora nel Settecento la Scozia, presto
indipendente, aveva ben 4 università, e l’Inghilterra solo due, per quanto
prestigiose (ma in declino, certo, nel secolo dei Lumi). D’accordo, il THES è un giornale inglese, ma i
parametri sono abbastanza fissi e non alterabili. La Svizzera ne piazza tre in
classifica, l’ETH di Zurigo, il Politecnico di Losanna, e l’Università di
Zurigo. La Svezia anch’essa tre.
Vediamo ai paesi dell’area Euro. La Germania ne piazza 4.
Ricordiamoci che il modello accademico tedesco nell’Ottocento era egemone nel
mondo, interi atenei americani vennero creati su quel modello, come la Johns
Hopkins di Baltimora (in classifica al numero 14). In ogni caso, la gemma
tedesca, la meravigliosa università di Monaco, prima tra le tedesche, è “solo”
al 45esimo posto. Seguono Gottinga, Heidelberg, e il Politecnico della Baviera,
grandi scuole con immensa tradizione, ma che si trovano tutte sotto al
cinquantesimo posto.
Sempre in area Euro (per ora, perché in Olanda il vento sta
cambiando), abbiamo 4 atenei olandesi. Tra cui la grande Leida, che, occorre
ricordare, venne costituita sul modello padano di Padova (orto botanico
compreso). La Francia ne piazza tre. Pochine. Oltretutto, a parte la Marie
Curie, una è la Normale (non è chiaro quale, immagino quella di Parigi),
l’altra l’Ėcole Polytechnique. Ora, la piccola Svizzera tiene testa in
classifica a tutti questi giganti. Lo stesso si dica per l’Olanda. D’altra
parte, il valore degli individui, e delle università non sempre dipende dalla
grandezza dello Stato, anche se ovviamente le università americane (soprattutto
quelle private) fanno la parte del leone tra le prime 100, e tutte le 400
classificate. Federer è svizzero. Andy Hug, splendido campione di arti
marziali, era svizzero.
Abbiamo poi due atenei giapponesi, uno cinese. E gli altri
paesi area Euro? Uno finlandese, Helsinki. Uno belga, Lovanio. Sono sorpreso di vedere un grandissimo centro
di sapere, come l’Università ebraica di Gerusalemme, fortemente voluta da
Einstein tra gli altri, “solo” al 124esimo posto. L’Australia piazza 4 atenei.
Tanti come la Germania e l’Olanda. Il Canada cinque. E 49 sulle prime
cento sono americane! In conclusione. Tra le prime 225 non compare alcuna
università italiana. Sono sorpreso dal fatto che la Scuola Normale di Pisa non
sia presente, ma questo non credo dipenda da altro che dalla sua peculiare
struttura, che la assimila probabilmente, per gli estensori della classifica,
ad un “collegio” dell’università di Pisa. Da grande sostenitore della Normale
mi dispiace. Peraltro Pisa è presente nella classifica nell’area 301-350.
Ora, alcune riflessioni. L’Europa non se la passa malissimo
con le sue 30. Ma le università dell’area Euro sono 13. Nonostante i grandi
investimenti fatti negli ultimi anni ed una politica aggressiva di assunzioni a
livello internazionale, Vienna, università antichissima, risale al 1365, si
piazza solo al 139 posto. L’Universita di Aarhus in Danimarca, anch’essa
oggetto di grandi finanziamenti recenti, si colloca al 125esimo posto,
Copenhagen, notevolissimo centro di sapere, al 135esimo. L’Italia non ha alcun
ateneo nei primi 225. La Spagna se la passa meglio solo, guarda casa, per
un’università bilingue (catalano-inglese, con un po’ di castigliano…), la
Pompeu Fabra di Barcellona (pubblica, e catalana, fondata nel 1990), che si
piazza al numero 186. Dunque, i treni (canti funebri…) che ha innalzato a
ragione Compagnoni si estendono anche alla Spagna, paese statalista e
centralista come l’Italia. Felici i tempi in cui la Scuola di Salamanca
illuminava con la Seconda Scolastica l’Europa intiera! Era il Cinquecento di
Carlo V.
La classifica ovviamente, come insieme ricchissimo di dati,
si presta ad altre disanime. Ad esempio, quanti sono gli atenei pubblici,
quanti quelli privati? La mia esperienza in queste università insegna che tante
volte la divisione radicale tra pubblico e privata va sfumata, ed esistono
situazioni assai complesse, come a Pittsburgh (59esima), dove ho insegnato nel
2004-2005. Tra le prime 10, 4 sono
pubbliche, 6 private. Ma anche il concetto di “pubblico” è difficile da
applicare ad università come Cambridge, che ricevono milioni di euro da entità
private (ad esempio la fondazione di Bill e Melinda Gates). La numero 10,
Berkeley, è pubblica, con un costo per l’erario californiano immenso e
variamente stigmatizzato e ridotto, in qualche caso, dai vari governatori,
Arnold Schwarzenegger ad esempio.
Per il futuro della Lombardia e del Veneto liberi? La
tradizione non si butta via. Sarà valorizzata. E’ capitale immenso, splendido.
Le poche volte che sono stato a lavorare al Centro per la Storia
dell’Università di Padova piangevo dalla gioia a vedere quel tesoro di
documenti. Un’istituzione che vive dal 1222! Adesso è un feudo distaccato del
potere centrale, una metastasi romana. Rinascerà!
Il capitale umano spesso esiste, anche in piccoli atenei
come quello dove insegno, dove cerchiamo ogni giorno di portare avanti la
baracca in situazione di grave carenza di fondi con dignità, passione per
l’insegnamento, e per la ricerca, dovendo anche subire gli attacchi continuati
della stampa che considera, opportunisticamente, l’università un luogo di
corruzione assoluta. Dal momento che i giornalisti di quasi tutti i giornali
sono dipendenti pubblici come noi accademici, in quanto senza il finanziamento
pubblico le loro testate piene di menzogne chiuderebbero, dovrebbero stare
attenti a quel che dicono. Ma il principio del “divide et impera” che mantiene
viva la funesta creatura dal nome Italia include la lotta tra poveri rami della
medesima amministrazione, ma per fortuna la libertà di pensiero rimane assai
più nelle nostre aule che non tra le pagine dei giornali sussidiati, che se non
fossero piene di inchiostro velenoso farebbero la fine ben nota (ma perché non
li stampano già in forma di rotolo?).
Anzi, nel futuro libero i piccoli atenei recenti
giuocheranno un grande ruolo, perché i pachidermi stile Padova e Milano sono
divenuti sussidiari del potere centrale, e sarà un lungo processo quello della
loro (necessaria) rigenerazione. Buona fortuna ai futuri ministri dell’università
del Veneto e della Lombardia indipendenti, che si impegneranno in tale erculea
fatica!
Naturalmente, una Lombardia indipendente darà una spinta
straordinaria ai propri atenei. Il problema che si porrà sarà eventualmente
quello di una loro privatizzazione, ma io, pur liberale classico fino in fondo,
la vedo una tappa successiva e forse neanche necessaria. Gli atenei svizzeri
sono tutti pubblici. Ma su questo i futuri Stati si interrogheranno.
Fonte: srs di PAOLO L. BERNARDINI, da L’indipendenza del 26
aprile 2012
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