In politica si avvicendano cose grosse che non dovrebbero
passare così velocemente nel dimenticatoio, è il caso del Piano del
Lavoro che la Cgil ha presentato il 25 gennaio scorso, molte pagine, vaste
programme, la parola lavoro ripetuta mille volte, lavoro qui lavoro là,
però la parola impresa compare una sola volta per perorare la riduzione delle
contribuzioni pubbliche in suo favore (e su questo devo dire che siamo
d’accordo: le imprese il denaro devono produrlo, non succhiare quello prodotto
da altri).
Sta il fatto che non compare mai il concetto di impresa,
la centralità dell’impresa, la naturale compresenza dell’impresa ove si voglia
lavoro, il che è una enormità che sconfina nel comico: come infatti sarà mai
possibile creare lavoro senza impresa? Senza numerose, crescenti, adeguate,
diffuse, competitive imprese? Come non vedere che lavoro e impresa sono la
stessa cosa, due facce della stessa medaglia, più precisamente due facce della
stessa moneta, visto che di soldi si sta parlando? Queste elementari
domande/constatazioni neanche sfiorano la Cgil (né sfiorano Landini, Fassina,
Vendola, Ingoia e tutti i sociali di destra e sinistra che calcano la scena),
tutta protesa -questo si legge nel documento cigiellino-a rastrellare alla mano
pubblica altre montagne di denaro tramite ulteriore peso fiscale e “fondi
europei” (come se questi ultimi non fossero a loro volta tasse pagate a suo tempo),
da impiegare in buona sostanza in una nuova grandinata di appalti pubblici e
impiego pubblico ovviamente alla maniera consolidata, ovvero senza porsi
neanche una domandina circa efficacia e beneficio di tali utilizzi…
Beati loro! Evidentemente per la Cgil il lavoro che
interessa è solo quello pubblico, tuttalpiù delle imprese che dal pubblico
dipendono. Ma è una comica: come non avere ancora capito che il denaro dello
stato non si stampa di notte a piacimento bensì può provenire solo dalla
ricchezza che imprese vere e lavoro vero sanno produrre? S’accorgeranno mai che
nel 1861 quando l’impresa italiana era debolissima, i dipendenti pubblici erano
appena 30.000 e adesso, grazie alla produttività di una miriade di imprese
vere, lo stato può mantenere 3 milioni e mezzo di impiegati oltre a foraggiare
un esercito di finte imprese dedite non a produrre ricchezza bensì a succhiare
quella prodotta da altri? Se muoiono le imprese vere che producono ricchezza
vera, dove mai prendere gli oceani di quattrini che costano il pubblico impiego
e gli appalti pubblici? Misteri gaudiosi!
Il così detto Piano del Lavoro certifica che la
guerra di classe non disarma mai, si dovrebbe solo riconoscere che è guerra
tra produttori e parassiti, tra non garantiti e garantiti, tra chi paga le
tasse e chi le consuma, ove la Cgil sta coi secondi senza se e senza ma, bontà
sua, ma tramite un uso fraudolento della parola lavoro. Essa perora in verità
“posti”, ma non lavoro. Non per nulla ha quattro milioni di iscritti però in
gran maggioranza pensionati e sempre meno operai, quadri, tecnici, insomma
sempre meno la gente che lavora sul serio, e ci credo, mica scemi! Come dice il
saggio: puoi ingannare qualcuno per sempre o molti per un po’, ma ingannare
tutti e per sempre è davvero arduo.
Come si può ancora oggi confondere la ricchezza reale
(di chi produce denaro riuscendo a soddisfare i gusti e il portafoglio dei
consumatori, cioè del mercato), con la ricchezza dilapidata in attività non
produttive o non indispensabili? E infatti la comica più grossa del Piano è
quando afferma che i 50 miliardi di spesa straordinaria perorata per i prossimi
tre anni, porterebbero l’incremento di un buon 3,1 il pil nazionale, del 2,9%
l’occupazione, del 3,4 il reddito disponibile, del 2,2% i consumi delle
famiglie, dell’1,8% le esportazioni e ciliegina sulla torta la riduzione della
disoccupazione di ben 7 punti! Oh per bacco, ma se così fosse perché non
adottare di corsa il Piano cigiellino? Perché Bersani non ne fa la sua
bandiera? Lasciamo perdere quelli di destra (che notoriamente godono solo a
vedere la gente soffrire per strada), ma perché tutti gli altri compresi i
pentiti Casini e Fini e lo stesso Mario Monti, non adottano a braccia aperte la
ricetta camussina?
Roba da autentica psichiatria! Se infatti la reputano una
sòla, è follia non dirlo urbi et orbi (cominciando a liberare l’Italia da
cotanto inganno), se la considerano giusta non si capisce perché non farne il
perno della campagna elettorale, dei programmi, della vita politica nazionale.
Invece il Piano del Lavoro, apparso come un fantasma sui media il 25
gennaio, è già scomparso e nessuno ne parla più, la Cgil ha fatto il suo dovere
di devozione ai miti antichi, tutti gli altri fingono di non vedere e non
sentire. A noi la Cgil fa ridere, ma ci fa piangere il rispettoso silenzio,
l’aura sacrale, l’omertà culturale di cui può godere da parte dell’intero arco
costituzionale: nessuno osa smascherare cotanto populismo e populisti, falsari,
demagoghi, imbonitori; della cgil, del keinesismo, dello statalismo e del
sociale. Nessuno li inchioda alla logica conseguenza che spendere soldi senza
aver prodotto ricchezza si può solo alla loro maniera antica: stampare denaro!
Come se non sapessimo tutti cosa vuol dire e dove si va a finire. Neanche
Berlusca gli ha mia fatto una risata in faccia, s’è limitato a dire che fanno
demagogia. Sì è vero, ma bisognerà pure spiegarla ‘sta demagogia, sennò rimane
verità di fede per tantissima gente, e pure laureati (sic!).
La causa, il motore di cotanta ignavia da parte di un
esercito di sedicenti liberali, è la prudenza protomafiosa di non turbare
troppo gli equilibri consolidati (come se non fossero questi stessi l’origine
dei mali maggiori), un’intima ritrosia alla risaputa sfacciataggine della
verità, il timore di danneggiarsi in una qualche maniera (nel farsi nemici
dichiarati). Così, silenzio dopo silenzio, omertà dopo omertà, compiacimento
dopo compiacimento, la Cgil può continuare imperterrita a camuffare la propria
strutturata ignoranza (non sanno tecnicamente cos’è il denaro, come si forma,
quanto dove e perchè), con l’aura della purezza e del martirio (come i tre
sabotatori di Melfi), sì che i suoi militanti amano mostrarsi con minacciose
casacche a caratteri cubitali, e atteggiarsi per le vie o davanti ai cancelli
similmente a certe formazioni paramilitari di stampo sudamericano.
Post Scriptum: Quei numeri allegri della Cgil
richiamano una verità negletta a proposito del pil. Assai meglio del pil
(prodotto interno lordo=ricchezza nazionale annua) bisognerebbe parlare di pir, prodotto interno reale. Infatti nei pil viene considerata la spesa
pubblica tutta intera, ma siccome per buona parte è improduttiva e parassitaria
(forniture gonfiate, enti e impiegati inutili, appalti truccati, politici
troppo numerosi e costosi, sostegno a imprese ammanicate), ecco che il pil non
è veritiero. Infatti piace molto alla Cgil e a tutti gli statalisti, aiuta a
confondere produttori e parassiti, in modo che questi ultimi possano continuare
tranquilli nel loro privilegio di classe.
Fonte: srs di LUIGI FRESSOIA, da L’Indipendenza del 25
febbraio 2013
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