“Nel giugno del 1992
il panfilo dei reali inglesi, il Britannia, con a bordo il fior fiore della
finanza occidentale, ospita una riunione al largo di Civitavecchia. L’allora
direttore generale del tesoro, Mario Draghi, illustra a quel consesso il nuovo
processo di privatizzazioni che da lì a poco partirà in Italia [...] bisognava
accelerare la vendita di un portafoglio gigantesco, allora racchiuso in IRI,
ENI, INA e IMI.
Mentre le privatizzazioni degli anni 80 sono avvenute in
casa, quelle degli anni 90 si svolgeranno in Europa. All’indomani della
svalutazione iniziano i nuovi saldi: Multinazionali angloamericane, ma anche
francesi, arrivano in Italia per “fare shopping”, ma anche i giganti italiani
guadagnano dallo smembramento del patrimonio nazionale: il gruppo Benetton si
aggiudica per 470 miliardi GS Autogrill che poi rivende ai francesi di
Carrefour per 10 volte tanto. Per capire quanto valgono questi beni che non ci
appartengono più possiamo comparare gli incassi delle privatizzazioni con gli
incassi attuali. La cessione del 58% del Credito Italiano produce ricavi lordi
per 930 milioni di euro, nel 2002 Unicredito Italiano capitalizza 26.593 milioni
di euro […] quel 60% dal Banco di Napoli che lo Stato vende alla BNL per 32
milioni di euro è rivenduto dalla stessa a distanza di pochi anni per 1000
milioni di euro. È anche vero che BNL lo
ha risanato completamente, ma la differenza tra i due valori è enorme. Perché
questo risanamento non poteva avvenire per mano dello Stato? Perché chi lo dirigeva non era all’altezza?
Non è così!
A che sono servite le privatizzazioni degli anni 90 se oggi
i cittadini italiani sono più poveri di allora e il rapporto debito
pubblico-PIL è ancora più alto?...”
Fonte: Democrazia
Vendesi - tratto da frontediliberazionedaibanchieri.it
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