Grillo, Casaleggio e Fo
(Sainte-Beuve: «Non
tutti delinquenti sono moralisti, ma non ho mai conosciuto un moralista che non
fosse un delinquente..»).
Speravo che il grillismo superasse il 50% dei voti perché
sarebbe stata una 'terapia' radicale per la guarigione della società da questo
stadio della cultura di massa: la cultura dell'illusione…
Tuttavia, anche l'inevitabile sciogliersi come neve al sole
nonostante l'avere costoro un potere politico più che sufficiente, basterà ad
indurre la società a iniziare a piegarsi all'indispensabilità della genialità.
Quanto a Casaleggio e Grillo, ma anche Fo, benché la sua
posizione sia più defilata, fermo restando l'essere anche loro espressioni
della 'cultura' dell'illusione, sono però degli illusi molto mistificatori i quali, aiutandosi in qualunque modo (venendo
a patti con l'asserito nemico: il potere economico), sono bravi nell'annusare,
di qualunque fetore sia carico, il vento del consenso, alzargli le vele, e
farsi portare ovunque conduca e finché dura.
Illusione, velleitarismo, incultura, deliranti ambizioni,
disponibilità a ogni tipo di patti, interpretati fin qui come 'doti' e
garantiti e sostenuti in quanto funzionali al regime, perché la società stava
bene come stava sicché, coerentemente, tributava il successo – dalla
letteratura alla politica, dalla scienza alla comicità, dalla pittura alla
'normalità' – a coloro che appunto fossero funzionali a garantire l'immobilità
in ogni campo, a partire dall'economia.
Una 'cultura' che si è ad esempio inventa il 'movimentismo'
e lo fa celebrare da un'infinita massa di insensati pronti a ballare qualunque
quadriglia pur di essere presi in una qualche considerazione, e che non
capiscono che esso è funzionale solo a eliminare il controllo della politica
sulla società.
Un controllo che può essere esercitato solo da partiti, non
semplicemente organizzati, ma molto più organizzati e potenti di quanto lo
siano oggi, perché la società o la controlla uno o la controlla l'altro, e il
movimentismo serve solo a lasciare che la controlli il potere economico e le
banche, che sono il vero referente di queste masse di sciagurati.
Una sostanziale forma di pochezza che investe tutti gli
stadi della cultura dell'illusione, compreso il Nobel Fo, e anzi il Nobel
stesso, perché è ovvio sia che quando
una cultura è errata i 'migliori' non possono che essere migliori solo
nell'essere peggiori, e sia che qui non viene consentito a nulla e nessuno
né di svilupparsi né di apparire se non sotto il controllo dei poteri.
Poteri verso i quali dunque i deboli, come i vari Grillo o
Fo o Casaleggio, propendono automaticamente scegliendo di istinto tutto quanto
fare o non fare pur di compiacerlo.
E più le cose sono importanti più sono controllate, come
internet che, ben lungi dall'essere oggi lo strumento della liberazione, è
invece tutta di proprietà Bilderberg e sempre più sta diventando strumento di
repressione e controllo della collettività.
Fo, anch'egli un guitto nel senso di uomo pronto a recitare
qualunque parte pur di avere un posto in commedia, e ciò attraverso l'esercizio
di un tipo di 'dissidenza' in realtà apparente e pertanto utile al regime in
quanto diversiva.
Un uomo di cui, tra l'altro, mi disgusta – più ancora che la
militanza fascista in ruoli così 'attivi' pur a fronte di tanta e tanto vantata
democraticità – lo squallore e la volgarità del modo in cui tenta da tutta la
vita di negarlo.
Un vorticare di cose grilliste e non, un accalcarsi di
'onesti' (è del 1998, quindi di epoca non sospetta, il mio La civiltà degli 'onesti') che sempre più riconduce i miei pensieri
a Sainte-Beuve laddove scrive «non tutti
delinquenti sono moralisti, ma non ho mai conosciuto un moralista che non fosse
un delinquente».
Una situazione – si badi – che però non è affatto senza
speranza perché i poteri stessi sono in sempre più grave difficoltà, sicché
alla fine – proprio come nel Dialogo tra l'uomo generico e il potere, di cui a
La storia di Giovanni e Margherita – saranno proprio loro, i poteri, i primi ad
accettare il patto con la cultura e la genialità, sia perché in un modo o
nell'altro sono tuttavia più sensibili, e sia perché hanno più di chiunque
altro da perdere, e la vita non è né buonismo né santità, ma rapporto di forza
che solo dopo diviene regola che si affermerà e verrà introitata dagli
individui come morale solo se sussisterà il controllo giudiziario.
Un padrone, il potere economico, che del resto «non paga
più..», perché in realtà il consenso è comprato da sempre, sicché la massa, che
prima taceva perché in un modo o nell'altro non se la passava troppo male, ora
capisce «di avere bisogno del medico».
Senza contare che, dal signoraggio al grillismo eccetera,
son tutte strullate che si consumeranno in breve, laddove il vero problema
dell'umanità è che occorre un'immediata riconversione industriale planetaria o
in pochi anni finirà il mondo.
Un 'medico' che può solo essere la genialità, perché il
grillismo – fenomeno importantissimo ma per tutt'altri versi da quelli asseriti
– simbolizza la fine dell'equivoco secondo il quale il principio che l'unione
faccia la forza possa essere applicato anche all'intelligenza, perché 10
miliardi di persone confuse dagli strategismi di regime non ne faranno mai una
lucida o intelligente, e meno che mai una geniale, e per di più, data la parità
di forze, non concluderanno mai nulla perché si intralceranno eternamente gli
uni con gli altri.
Un quadro nel quale la
forma di disonestà più grave è occupare i ruoli politici senza averne la
capacità.
Detto quindi che ho definito altrove l'intelligenza come la
capacità di svilupparsi passando attraverso lo sviluppo degli altri, e quindi
come null'altro che una qualità morale (la massima), la genialità è la sua più
acuta espressione, e si configura come la capacità di cogliere le essenze della
positività e realizzarne sintesi organizzate funzionali allo sviluppo di contesti
tanto più vasti quanto più è acuta.
Genialità ai fini della quale oggi, specie in ambito
politico, tenuto conto della grande complessità della società, non basta più
nemmeno una straordinaria capacità di intuire, ma occorre anche la sapienza, e
in particolare la sapienza giuridica, oltre al doversi attenere, nell'esercizio
sia del pensiero che dell'essere, alle seguenti due regole:
-1) il diritto a esserci e a essere riconosciuti si
conquista con le opere di contributo alla vita degli altri;
e sulla successiva,
complessa così come lo è ora la società, e cioè che:
-2) il diritto a vivere che tutti hanno comporta la
necessità, che è amorosa, di negare – previa disamina analitica della
fondatezza delle ragioni di ciascuno, e nei limiti, nelle forme e con gli
obiettivi della morale, del diritto e più in generale dell’intelligenza – chi
ci nega, per poter così salvare se stessi e contribuire, a mezzo della propria
vita così salvata, sia alla vita del contesto che alla vita di chi ci ha
negati, indicando inoltre a quest’ultimo la necessità di cambiare allo scopo di
poterlo ritrovare.
Ecco – non chi pensa che la morale sia fingere di non
curarsi del denaro o del successo, o chi si accanisce sulle ruberie della
politica solo per distoglie dalle ruberie migliaia di volte multiple delle
banche – ma chi si riconosce in questi canoni, lui sì, scagli pure la prima
pietra..
Fonte: srs di Alfonso Luigi Marra, dal Signoraggio.it del 5 marzo
2013
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