Grazie all’infaticabile lavoro divulgativo di Paolo Barnard,
in Italia abbiamo conosciuto la Modern
Money Theory, elaborata da un gruppo di economisti americani, fra cui il
più rinomato è Warren Mosler. La
nuova scuola dichiara di aver elaborato un metodo per assicurare il benessere
finanziario della popolazione, gestendo una moneta sovrana.
Il tutto parte dall’osservazione che:
G – T = S – I
Spesa pubblica meno tasse (Bilancio pubblico) è uguale al
risparmio meno gli investimenti
(Bilancio privato). Il che, secondo i fautori della MMT
significa che più è ricco lo Stato e più sono poveri i cittadini e, viceversa,
più lo Stato va in disavanzo e più i cittadini ne beneficiano.
A parte il fatto che l’equazione è ricavata algebricamente
dalla definizione del PIL generalmente contenuta nei manuali di economia e che
la realtà probabilmente è tutto un altro paio di maniche, comunque, accettando
che sia verosimile, Mosler e soci ne traggono una sorprendente conclusione: la
spesa a deficit, da parte dello Stato è cosa buona e positiva perché
arricchisce le famiglie, le quali risparmiano e investono, promuovendo la piena
occupazione.
Replicando all’infinito una politica keynesiana, si
manterrebbe sul mercato la massa monetaria occorrente (il cosiddetto “money
supply”) che, da quanto racconta Barnard, potrebbe essere emessa con gli
stessi identici esiti sia che lo facesse direttamente lo Stato, sia che lo
facesse una Banca Centrale (magari privata) contro titoli di debito.
Parlando delle tasse, i professori americani spiegano che
una delle funzioni da esse espletate è quella di ritirare il circolante in
eccesso, proponendo così una soluzione al problema dell’inflazione, che
potrebbe essere sollevato di fronte alla loro proposta di continue iniezioni di
liquidità sul mercato.
Senza addentrarci nella definizione di moneta sovrana della
MMT e della presunta indifferenza tra il signoraggio bancario e quello di Stato
(strani però questi studiosi
statunitensi: hanno sotto il naso 49 Stati indebitati fino al collo e uno in
attivo, il North Dakota, e pensano che sia un caso che questo Stato sia l’unico
a non aver aderito al Federal Reserve System) vorremmo fermarci al nucleo
principale della teoria, quello per cui se lo Stato fornisce soldi al mercato
va tutto bene e se sono troppi li ritira con le tasse.
Credo che si possa convenire che lo stesso concetto viene
riassunto nelle seguenti frasi: “Quando l’offerta (merci) supera la
domanda (denaro) e i prezzi vacillano, sarebbe opportuno stampare e
distribuire cartamoneta, viceversa, quando la domanda supera l’offerta e i
prezzi lievitano, bisognerebbe ritirarla dalla circolazione e bruciarla. In tal
modo, con una macchina da stampa e un forno, si coordinerebbero domanda e
offerta e si manterrebbero i prezzi stabili”.
In queste poche lapidarie righe, Silvio Gesell sintetizza la
teoria di Flurscheim (1844-1912) prodotta in occasione delle dispute tra i
metallisti e i cartamonetisti, e che, al di là della rozzezza della rotativa e
del forno, propone nella sostanza la stessa linea d’azione della MMT, che
consiste nell’immettere “fiat money” nel mercato per sostenere le attività
produttive, ritirandola alla bisogna (con le tasse secondo Mosler e compagni). Quindi, nella sua essenza, la MMT non è
affatto moderna e deve la sua paternità a un intellettuale tedesco di oltre un
secolo fa.
Il guaio è che Gesell, nel suo “Il sistema economico a misura d’uomo”, non si limita a esporre il
concetto della teoria di Flurscheim,
ma la analizza e la critica, individuandone il punto vulnerabile.
Lo Stato, nota Gesell, controllerebbe sì la totale massa
monetaria, ma non avrebbe nessuno strumento per regolare la velocità di
circolazione, perciò il sistema economico risentirebbe della contraddizione
insita nella natura del denaro (il denaro usato abitualmente): di essere al
tempo stesso mezzo di scambio e mezzo di risparmio. Il che significa che se
circola (come mezzo di scambio) non viene risparmiato, ma se viene accumulato
non circola, cosicché le sue due funzioni si fanno guerra, penalizzando
inevitabilmente la vitale funzione di scambio, che è quella che sostiene ogni
economia evoluta (che vive della divisione e specializzazione del lavoro).
Il geniale economista prussiano, non si limita ad enunciare
i principi, ma da uomo formato sul campo (nella sua vita fu imprenditore e
commerciante) descrive passo passo lo sviluppo di un sistema concepito come
quello di Flurscheim o della MMT, che è la stessa cosa.
E lo illustra come segue.
Esistono delle persone che producono più di quanto comprano,
che accumulano dei risparmi, e se questi risparmi sono allettati con un
interesse appetitoso li investono. Tali investimenti finanziano delle attività
produttive selezionandole secondo una discriminante: quelle che vendono
prodotti con un utile maggiore uguale al tasso di interesse si possono reggere,
le altre no, per ovvi motivi.
Nel momento in cui le attività più lucrose avessero saturato
il mercato, il risparmio si troverebbe a un bivio: o accetta di essere
remunerato con interessi più bassi oppure resta inutilizzato. D’altro canto, se tutti i risparmiatori
richiedessero titoli delle aziende “ricche” il rendimento di questi titoli
scenderebbe egualmente per eccesso di offerta.
Inevitabilmente, una fetta dei risparmi resterebbe
inutilizzata (non vale la pena di correre il rischio di investimento) e si
verificherebbe una penuria di denaro sul mercato, che Gesell descrive con
queste poche profetiche parole: “Il denaro pertanto sparisce dal mercato,
arroccandosi inoperoso nelle banche, facendo diminuire i prezzi, ristagnare le
merci e profilare la crisi…”
A questo punto, secondo Flurscheim e la MMT, interverrebbe
lo Stato fornendo nuova liquidità, così riprenderebbe il ciclo produttivo e
tutto andrebbe avanti un altro po’ come se nulla fosse. Tuttavia, l’accresciuta
disponibilità valutaria farebbe scendere ulteriormente i tassi di interesse,
scoraggiando ancor più risparmiatori ad investire, aumentando così la massa
monetaria bloccata nei depositi e generando di nuovo una rarefazione del
circolante.
Dopo qualche macrociclo di emissione
monetaria-risparmio-accumulo, si avrebbe una situazione per cui i depositi
raccolgono una quantità di denaro molto superiore al circolante: infatti chi
risparmiava fin dall’inizio, godeva di un attivo strutturale che non è mai
venuto meno e che lo ha portato ad accumulare sempre più. Molti si sono
liberati dalle ipoteche e dai mutui e, a causa degli interessi troppo bassi,
chi ha riscosso quelle cifre le ha lasciate inoperose.
Se in questa situazione, per qualunque motivo, un po’ di
gente cominciasse a spendere, si scatenerebbe una terribile reazione a catena.
Infatti, le merci disponibili non sarebbero sufficienti a
pareggiare la domanda e i prezzi prenderebbero a salire. Ma con i prezzi in
salita sia i commercianti (per assicurarsi le merci in anticipo sui futuri
rincari) sia gli speculatori tornerebbero a comprare e a investire, inondando
di colpo il mercato di denaro, che produrrebbe un terribile effetto inflattivo.
Vedendo il denaro perdere valore, tutti i risparmiatori cercherebbero di
disfarsene, mentre le merci scarseggerebbero e i prezzi salirebbero alle
stelle.
Come potrebbero il forno di Flurscheim o le tasse della MMT
fermare questa marea di “domanda dormiente” (denaro fermo sui conti) che
si risveglia?
Da un lato lo Stato non ha le merci (l’offerta) per
pareggiare la domanda espressa dal mercato.
Dall’altra un ritiro forzoso della valuta arriverebbe troppo
tardi, perché quando si manifestano i sintomi dei rincari generalizzati la
situazione è già degenerata, il valore del denaro è in caduta libera e le tasse
potrebbero solo aggravare la condizione dei cittadini ormai impoveriti.
La situazione esplosiva, spiega Gesell, si verifica quando
la massa monetaria totale diventa molto più alta di quella utilizzata per gli
scambi, (ad esempio sia 100 il totale, 10 il circolante e 90 il risparmio),
perché se anche solo una piccola parte dei 90 rientrasse sul mercato, subito
salirebbero i prezzi, provocando il rientro a precipizio anche del resto
(Dovrebbero meditare questa verità gli speculatori che hanno creato “attivi
finanziari” decine di volte superiori al PIL mondiale!).
In questo regime, negli anni buoni, il popolo potrebbe
davvero risparmiare molto, ammucchiando parecchi soldi, ma quando negli anni
cattivi cercasse di recuperarne il valore d’acquisto si accorgerebbe subito di
non poterlo fare perché non esistono le merci corrispondenti a tanta potenziale
domanda.
Nel “Sistema economico a misura d’uomo” si trova anche una
spiegazione logica del fatto che nei sistemi capitalisti si alternano cicli di
espansione e restrizione del credito. Infatti, finché esistono imprese in
crescita con prodotti ad alto valore aggiunto, è possibile sostenere
investimenti ben remunerati. Ma l’alto saggio di interesse attira molti
investitori per una gran quantità complessiva di capitali, e questa grande
offerta di denaro forza l’interesse ad abbassarsi. Non solo, molte attività
imprenditoriali non reggono finanziamenti onerosi, per cui un sistema economico
maturo richiederà, e insieme provocherà, un abbassamento dei tassi di
interesse. A questo punto molti
risparmiatori cominceranno a ritirare soldi dal mercato (dato che il gioco non
vale la candela) innescando la crisi da deflazione. I prezzi caleranno, perché
si verificheranno le svendite per disperazione e i fallimenti, e si arriverà
infine alla penuria di merci, che ne rialzerà i prezzi, permettendo ai
produttori di pagare i finanziatori con interessi più alti e tutto il gioco
riprenderà daccapo.
Questa alternanza di cicli, che alcuni analisti hanno
attribuito alla malevola volontà dei banchieri di far sgobbare il popolino
largheggiando nel credito per poi rilevare per un pezzo di pane ciò che la
gente ha prodotto, ricattandola con la penuria di denaro, si spiega invece in
modo naturale in base alle caratteristiche del sistema monetario (probabilmente
sono vere entrambe le cose).
Merito indiscutibile di Gesell è quello di aver previsto i
cicli, a partire da un difetto congenito della valuta in uso: cioè di essere,
allo stesso tempo, mezzo di scambio e mezzo di risparmio, in piena
contraddizione di funzioni perché ciò che si accumula non circola e ciò che
circola non si accumula.
Pertanto, si può benissimo leggere la conclusione di Gesell,
in riferimento a Warren Mosler anziché a Flurscheim ottenendo il periodo che
segue.
“Una riforma secondo la MMT potrebbe affermarsi e
sostenersi solo e soltanto finché il saggio di interesse permanga tale da
invogliare la gran massa dei risparmiatori a far circolare il suo denaro
spontaneamente. Ma poiché non appena gli interessi cominciassero a scendere per
la prima volta, e si evitasse la crisi con emissione di nuova valuta, essi
andrebbero in progressiva flessione, alla lunga tale riforma non può che fallire,
apportando drammatiche conseguenze, tra cui, per prima, lo screditamento della
cartamoneta”.
Con questo si può concludere che la MMT non è moderna ma ha
cent’anni, non è una theory ma una theorie (esposta da
Flurscheim ne “Il problema economico e sociale”) e soprattutto non funziona.
Ciò non significa che sia bene sostenere lo status quo, o
che la MMT sia peggiore del sistema attuale (peggio dell’euro è quasi
impossibile!), anzi segnerebbe sicuramente un progresso rispetto alla finanza
della BCE, così come la FIAT 1100 costituisce un progresso importante rispetto
alla locomotiva a vapore.
Ma vale la pena promuovere la FIAT 1100, quando disponiamo
della Ferrari?
Fonte: visto su STAMPA LIBERA del 14 marzo 2013
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