di Ida Magli
(Tratto dal libro “Dopo
l’Occidente”, Ed. BUR. Maggio 2012)
….Quali caratteristiche presenterà quella parte geografica
del mondo che corrisponde all’Europa, in particolare all’Europa d’Occidente ,
verso la metà del 2.000? SI può affermare con quasi assoluta certezza che la
cultura che oggi siamo soliti indicare con il nome di “occidentale” e che la
caratterizza, sarà quasi del tutto scomparsa.
Si può anche presumere che il processo di estinzione avverrà
molto rapidamente. Il motivo è evidente: le
culture vivono attraverso gli uomini che ne sono portatori.
Verso il 2050 l’Europa sarà abitata da un gran numero di
Africani insieme a gruppi di media consistenza di Cinesi e di Mediorientali a
causa della continua e massiccia immigrazione dall’africa e dall’Oriente e dall’altissima
prolificità di queste popolazioni, superiore in genere di almeno 5 volte a
quella degli Europei.
Il 1° Gennaio del 2012 tutti i giornalisti hanno gridato di
esultanza perché i primi nati in Italia durante la notte di Capodanno erano
stranieri: un dato di fatto sufficiente a far capire quale sia il destino
dell’Italia e dell’Europa: la scomparsa dell’italianità e la fine degli Europei
è già in atto. Tanto più poi la fine è assicurata perché i governanti ed
i loro sacerdoti -giornalisti ne godono. Come ho già rilevato più volte, è
questo il segno più sicuro. Ci troviamo nella paradossale situazione in cui il
medico è felice che i suoi pazienti muoiano e vi contribuisce attivamente
esortandoli a fare presto.
La morte dell’Italia
è già in atto soprattutto per questo: perché nessuno combatte per farla
vivere; persino perché nessuno la piange. E’ contro natura, contro la realtà
dei sentimenti umani, ma è così: stiamo morendo nel tripudio generale, con una
specie di suicidio “felicemente assistito” dai nostri stessi leader, governanti
e giornalisti. Non per nulla l’idea del suicidio assistito è nata in
Occidente.
Le cifre sull’incremento demografico europeo sono abbastanza
diverse passando da una Nazione all’altra (di solito più alte in Francia, in
Svezia e negli altri Paesi del Nord), ma le previsioni sulla fine della società
europea rimangono più o meno le stesse. I gruppi che popolano l’estremo Nord
europeo, anche se più prolifici degli italiani, sono però poco numerosi e di
conseguenza non incidono in modo significativo sull’incremento totale; ma soprattutto
quello che conta è la particolare dinamica dei singoli fattori culturali
che sostengono la civiltà europea e che influiscono in modo diverso nelle varie
Nazioni.
La conclusione in ogni caso è chiara: i “portatori”, i
soggetti agenti della cultura europea, saranno sempre più in minoranza.
Per “minoranza” non si deve intendere infatti
esclusivamente quella numerica in quanto gli europei continueranno anche oltre
il 2.050 ad essere, almeno in alcune zone, più numerosi degli Africani- ma
quella psicologica: essere invasi e
sopraffatti senza aver combattuto induce all’estinzione. Si tratta della
situazione opposta a quella dei popoli conquistati con le guerre. Questi covano
anche per secoli la propria resurrezione, resistendo alle imposizioni del nemico
proprio perché è “nemico” ed impegnano tutte le proprie energie nel conservare
la propria lingua, i propri costumi, la propria religione. In Europa una degli
esempi più famosi da questo punto di vista sono i Polacchi e gli Ungheresi che
hanno resistito sotto il dominio straniero, russo e tedesco, con la
consapevolezza orgogliosa della propria storia, del proprio coraggio, delle
proprie virtù. Malgrado fossero costretti all’uso della lingua straniera, i
Polacchi si sono rifugiati nella propria come la più forte arma di difesa,
convinti che lì si trovasse il principale strumento di salvaguardia della
propria identità. L’hanno adoperato perciò con gioia in privato, nell’ambito
della famiglia, ma soprattutto gridandone la bellezza nel canto dei loro poeti,
innamorati della “polonità” come Adam Mickiewicz, pronti a combattere per la sua libertà- Si
tratta di una condizione istintiva, anche se sono moltissimi gli scrittori che
l’hanno affermato con assoluta sicurezza. Fra quelli italiani, volendoli
citare, ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta, visto che non c’è stato
nessuno, a partire da Dante, via via attraverso i secoli fino all’unità
d’Italia, da Petrarca a Galileo a Leonardo a Machiavelli a Vico a Cesarotti a
Leopardi a Carducci a Pascoli a D’Annunzio a Croce, che non abbia difeso con
tutte le sue forze la lingua italiana affermandone, oltre alla supremazia
espressiva ed alla ricchezza melodica in confronto a tutte le altre lingue,
proprio la funzione di linfa vitale per l’identità del popolo che la parla: la
lingua “sostituto della patria” come dice Luigi Settembrini.
Compariamo questo comportamento con l’invasione ricercata e
voluta degli orridi anglo- americanismi nella lingua italiana in uso oggi, e
sapremo perché stiamo andando verso l’estinzione. Esiste sicuramente una
volontà potente ed autoritaria che guida, di nascosto ed in silenzio, tutti gli
strumenti di comunicazione verso la perdita dell’Italiano con l’inserimento,
ogni giorno più pressante, nella pubblicità, negli spettacoli televisivi, nei titoli
dei film e delle canzoni, di un americano dialettale da periferia che ai
giovani piace assimilare e ripetere. Nulla è più significativo di questa
collaborazione dei giovani al disprezzo della propria terra, dell’Italia,
persino nelle cose in cui è storicamente la più ricca, la più ammirata
nel mondo.
Non è del tutto colpa loro, questo è certo. Il messaggio che
arriva da ogni parte è uno solo: l’Italia deve sottomettersi ai voleri
stranieri, che rappresentano quelli di una identità inesistente che porta il
nome di “Europa”; sono voleri però che coincidono con quelli dei banchieri di
una banca privata, detta abusivamente Banca Centrale Europea, dei quali
nessuno conosce neanche i nomi. Bisogna obbedire inoltre ai voleri, anch’essi
abusivi, dei governanti di Francia e Germania in quanto hanno assunto, com’era
logico aspettarsi e a preludio dei prossimi inevitabili conflitti, la
leadership d’Europa.
Tutti i giornali ed i mezzi di comunicazione di massa
ripetono lo stesso messaggio, appoggiato dall’indottrinamento della scuola di
Stato, che naturalmente non può fare a meno di testimoniare la sua fedeltà agli
ideali governativi esaltando l’unificazione europea come massimo bene.
L’Italia, insomma, deve ringraziare gli stranieri se le
concedono di occupare un umile posticino nel mondo buono e giusto dei banchieri
e deve imparare a governarsi in funzione non dell’arte, non della musica, non
della poesia, non della cultura, ne’ tanto meno della scienza o della Storia-
cose nelle quali si è inutilmente dilettata fino ad oggi -ma dei mercati, dei
commerci, della moneta, della Borsa.
Giorgio Napolitano si è felicitato del fatto che, guidata da
un esperto delle funzioni bancarie, l’Italia recuperasse il proprio onore in
Europa. Una convinzione che fa venire i brividi. L’onore dell’Italia,
Presidente? Ma cosa dice? Quale uomo può avere nelle sue mani l’onore
dell’Italia ? L’onore di Galileo,
l’onore di Leonardo, l’onore di Michelangelo, l’onore di Dante, l’onore di
Mazzini, l’onore di Garibaldi, l’onore di Leopardi, l’onore di Verdi? No,
no, tranquillizziamoci: l’uomo di cui parla il Presidente è un banchiere, il
signor Mario Monti, che non potrebbe avere in mano, con o senza l’aiuto del
Presidente della Repubblica, l’onore di nessuno, salvo il proprio naturalmente.
Ed anche il suo, chissà?
Come membro della Commissione europea presieduta da Jacques
Santer, è stato costretto dal Parlamento a dimettersi, insieme a tutta la
Commissione (di cui faceva parte anche un altro italiano, Emma Bonino), per
cause veramente infime: compaiono infatti nella perizia sui bilanci della
Commissione, effettuata dal comitato di esperti indipendenti nominato dal
Parlamento, insieme ad un macroscopico “buco di bilancio”, operazioni di
corruzione quali frode, cattiva gestione, nepotismo, favoritismi, contratti
“fittizi”: termini imbarazzanti e quasi inverosimili in rapporto a quello che
avrebbe dovuto essere il governo di un grande e nobile Impero.
E’ stato poi consulente della banca Goldman Sachs, una delle
maggiori protagoniste della diffusione dei titoli “derivati “ che hanno
provocato il crack mondiale del 2008 e, con tale noncuranza dei conflitti
d’interesse, è stato anche consulente dell’importante agenzia Moody’s
(l’agenzia di rating che ha declassato i titolo di credito italiani).
Finalmente, dopo le operazioni di distruzione dei titoli
sovrani degli Stati, appositamente messe in atto da quei potenti dietro le
quinte che perseguono l’unificazione mondiale, è giunto al posto cui aspirava
da molto tempo, quello di capo del governo italiano.
Malgrado tutto, però, il salto non è stato facile: gli Stati
sono lenti a morie e i banchieri sempre più impazienti. C’è voluta una
bella spinta: con un atto di forza del Presidente della Repubblica ha preso
corpo, fra tutte le falsificazioni del bene a cui assistiamo impotenti in
questo periodo, anche la “falsificazione della democrazia”.
Povera Italia! Una persona autoritaria che al momento giusto
coglie la palla al balzo per instaurare la dittatura, non le è mai
mancata. Questa volta però perfino come dittatura è talmente grottesca che non
si sa in quale modo definirla: “il governo dei tecnici”.
….C’è da aggiungere un particolare ai “meriti” di un
banchiere capo del governo, un particolare interessante dal punto di vista del
problema della lingua di cui ci siamo occupati: nel mondo dell’economia e della
finanza ci si vanta di parlare soltanto in Inglese. Non parlare la propria
lingua madre è stato sempre per qualsiasi uomo, come abbiamo già visto, un
enorme sacrificio, una privazione dipendente dalla necessità, come per chi è
emigrato e si trova in terra straniera.
Nulla quanto la rinuncia alla lingua madre rappresenta e
allo stesso tempo da’ sostanza alla condizione dell’esilio, dell’estraneità.
Evidentemente non è così per banchieri ed economisti ma forse un motivo c’è. La propria lingua è tutt’uno con il pensiero:
avviene molto raramente che uno scrittore non si serva nelle sue opere della
propria lingua madre, anche quando viva da moltissimi anni in una Paese
straniero e ne parli abitualmente la lingua. Il fatto è che economisti e
banchieri non sono persone di pensiero. Anzi ne rifuggono, così come rifuggono
da qualsiasi sapere che non rientri nell’economia.
Il rifiuto di uscire dal proprio ristrettissimo campo
d’azione, cosa che nell’universo scientifico moderno caratterizza soltanto gli
economisti, dipende da alcuni precisi dati psicologici. Il primo ed essenziale
è il primato di se stessi: se l’economia interessa me significa che è l’unico
sapere realmente “sapere”, un sapere assoluto che non ha bisogno di nulla che
lo completi così come Io sono assoluto e nulla è maggiore di me. Si tratta
dunque di una convinzione che fa parte della personalità dell’economista e che
naturalmente contraddice il concetto stesso di “scienza”, portando a pericolosi
errori. L’economia sarebbe in questo senso la scienza delle scienze, così come
è stata per molto tempo la teologia.
Di fatto per molti economisti e finanzieri l’economia è
davvero una teologia, con il medesimo assunto di partenza dei teologi: chi non
conosce l’economia è analfabeta, è escluso dal mondo del sapere, così come il
non iniziato, il non circonciso è escluso dal mondo “vero” quello del “ mito”
fondante della tribù e della capacità d’azione che ne discende. Per questo i
cultori dell’economia formano una società chiusa, forte e solidale soltanto
all’interno del proprio cerchio, stranamente simile a quella società segreta
potentissima e piena di conoscenze magiche che nelle culture primitive è
costituita dai “lavoratori del ferro”, quelli col fuoco sempre acceso. La Borsa
è questo fuoco.
Tratto dal libro “Dopo L’Occidente” Maggio 2012,
Ed. BUR
Ida Magli è antropologa e saggista. Ha collaborato per anni
con “La Repubblica” e ha insegnato Antropologia all’Università di Roma. Fra i
suoi testi principali: Contro l’Europa (Bompiani 1997), Gesù di Nazareth BUR
2004, Omaggio agli Italiani (BUR 2005), Il Mulino di Ofelia (BUR 2007), La
Dittatura europea, BUR 2010). I suoi testi sono tradotti in numerosi paesi.
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