venerdì 31 ottobre 2014

ABBIAMO FATTO I CONTI IN TASCA A ''BRUXELLES'': E' LA PIU' GRANDE MANGIATOIA E ACCOZZAGLIA DI LADRI DEL MONDO.




Mentre il premier non eletto sta varando l’ennesima finanziaria lacrime e sangue (all’interno del testo è contenuto l’aumento dell’IVA fino al 25,5% spalmato nel corso dei prossimi anni, oltre quello delle accise sui carburanti, ottimo metodo per rilanciare l’economia…) e dalla commissione europea, in particolare da Katainen, arrivano fermi e chiari moniti all’italico stivale a rispettare gli impegni presi in termini di austerità, c’è qualcuno che continua a vivere di sprechi e mangiatoie varie, senza rendere conto a nessuno.

Di chi stiamo parlando? Proprio dell’oligarchia che governa la ue, sempre più simile in tutto e per tutto alla nomenclatura dell’ex Unione Sovietica, dove il popolo faceva la fila per il pane ed il compagno Brezhnev girava in Rolls Royce.

Non ci credete? Bene, vediamo di illustrare in modo sintetico come vengano spesi i 150 miliardi di euro del bilancio della ue.

Per cominciare parliamo del parlamento europeo, l’unico al mondo ad avere due sedi (in realtà tre, perché ne esiste una anche in Lussemburgo per gli uffici amministrativi).
Poiché gli europarlamentari non hanno il dono dell’ubiquità, le due sedi aprono alternativamente, costringendo ogni mese a far ricorso a carovane di tir per trasportare gli incartamenti da Bruxelles a Strasburgo e viceversa, oltre a 5.000 persone.
Facciamo notare che la sede di Strasburgo rimane aperto per “ben” 5 giorni al mese, ma il circo barnum degli eururocrati non può rinunciare a questa trasferta che costa la “modica” cifra di 200.000.000 di euro l’anno, cui vanno sommati i costi di manutenzione della sede e le varie diarie e indennità di parlamentari e portaborse.

Ovviamente, un simile apparato, non può non avere un leader: l’ex presidente della commissione, Barroso, oltre a 24.000 euro di stipendio mensile, ha messo in conto alla ue ben 730.000 euro per missioni e spese di rappresentanza (anno 2009, ultimo dato certo che siamo riusciti a recuperare).

E che dire dei figli dei funzionari e dipendenti della commissione e dell’europarlamento? Mica possono andare nelle scuole normali, magari fianco a fianco con qualche bimbo figlio di genitori immigrati clandestinamente. Eh no, loro hanno diritto a scuole speciali che costano, tra strutture e professori, altri 200.000.000 di euro l’anno, mentre i nostri ragazzi sono costretti a portarsi la carta igienica da casa a causa dei tagli all’istruzione attuati dagli ultimi governi italiani.

Visto che abbiamo parlato delle trasferte Bruxelles - Strasburgo, perché non parlare delle cosiddette “missioni d’inchiesta”?
Secondo il quotidiano britannico Telegraph, negli ultimi due anni sono state ben 120 con un costo di 10 milioni di euro. Le mete scelte per questi viaggi d’inchiesta? Cipro (che sarebbe comprensibile visto la crisi che ha attraversato), poi Africa e… Caraibi, oltre che la zona dell’oceano Pacifico. Duro, il lavoro dell’europarlamentare: a febbraio di quest’anno, 15 eurodeputati sono partiti per le Mauritius con 11 interpreti e sei membri dello staff al seguito.

Il 21% del budget del parlamento europeo, pari a 357 milioni di euro l’anno (il budget di un top team di F1, giusto per rendere l’idea, che impiega oggi non meno di 600 persone), viene impiegato per la voce “comunicazione e tecnologia”, ovvero propaganda, come gli spot pro ue trasmessi dalla Rai e per la realizzazione di traduzioni dei vari documenti.

Tuttavia, se già questi sprechi vi sembrano enormi, sappiate che il parlamento europeo costa “solo” 1,7 miliardi, mentre l’italico stivale contribuisce con ben 5,5 miliardi l’anno. E gli altri 148 miliardi di euro del bilancio come vengono usati?

Ecco qualche altra perla.

Per la “casa della storia europea” sono stati stanziati 31 milioni di euro per la ristrutturazione dell’edificio, 15,4 per l’allestimento scenico, 6 per le esigenze del multilinguismo, 2 per uno scaffale di quattro (!) piani, per un conto totale di 58,4 milioni, cui si aggiungeranno 11,5 milioni l’anno per il suo mantenimento (fonte: l’Express).

La BCE, ovviamente, non può essere da meno: la nuova sede, ancora da terminare, è già costata la bellezza di 1.150.000.000 di euro (1,15 miliardi). Tuttavia, nel più autentico stile italico, ci si è resi conto che… è troppo piccola per contenere la nuova ondata di assunzioni di 1.000 impiegati per la supervisione del sistema bancario. Quindi, il conto è destinato a lievitare ulteriormente, sempre a carico delle tasche dei cittadini europei cui vengono tagliate pensioni e sanità in nome del “bene supremo”, quello degli oligarchi europei.

Naturalmente di sprechi ce n’è per tutti i gusti: come definire altrimenti i 3.400.000 di sterline spesi per un centro heritage nel Galles e totalmente abbandonato dopo solo 6 anni dalla sua costruzione (fonte Telegraph)?

Per non parlare di Europe Aid, l’organizzazione che si occupa di gestire i programmi di aiuto e sviluppo verso gli altri paesi: dei 32.000.000 di sterline versati per “aiutare” la Biellorussia, 423.000 sono finite per un’esibizione fotografica (si suppone per sostenere il morale della popolazione bisognosa) e 500.000 per la promozione di “favole etniche”!

E per concludere col botto, sappiate che il grosso dei fondi della politica agraria comunitaria finiscono nelle tasche delle multinazionali e non degli agricoltori. Eh sì: dei 58.000.000.000 di euro destinati all’agricoltura, 1.600.000.000 sono finiti alla Friesland Campina, un’azienda olandese di latticini, mentre la Nestlè se ne è portati a casa “solo” 197.000.000. Capite? i soldi destinati agli agricoltori sono finiti ad una multinazionale che macina utili miliardari. Anche perché, proprio grazie alla PAC, il 50% dei terreni agricoli è in mano al 3% di agricoltori, che poi sono le multinazionali dell’agro-alimentare.

Non ci resta che chiudere questa aberrante panoramica della nuova “Unione Sovietica Europea” con le parole di Ambrose Evans Pritchard: “il problema fondamentale è la mancanza di controllo delle imposte e della spesa da parte di un parlamento eletto democraticamente. Non è un caso che la guerra civile inglese sia iniziata nel 1640 quando il re ha cercato di togliere quei poteri al parlamento o che la rivoluzione americana sia scoppiata quando questo potere è stato tolto da Londra a stati come Virginia o Massachusetts, che lo esercitavano da tempo… Quello che sta accadendo all’ue è, al contrario, il tentativo di darne la gestione a strumenti e strutture sovranazionali, che non hanno alcun fondamento con nessun parlamento. E’ estremamente pericoloso e chiaramente antidemocratico”.

Parole come macigni, che dovrebbero far riflettere tutti, in particolare coloro che fanno fatica ad arrivare a fine mese e le nuove generazioni che vedono seriamente ipotecato il loro futuro. 

Temi pesanti, da non far dormire la notte e che dovrebbero impensierire non poco gli eurocrati blindati nei loro palazzi.

Tuttavia questi ultimi possono dormire sonni tranquilli: sabato c’è l’anticipo di campionato e, per lo meno nell’italico stivale, la questione vitale sarà se il gol era o meno in fuorigioco.

Luca Campolongo


Fonte: visto su IL NORD del 30 ottobre 2014




SCUOLA AUSTRIACA, CERTO CHE PARLARE È DAVVERO FACILE




DI ROBERTO GORINI

Parlare (e scrivere) non costa nulla. È quello che ho pensato quando ho letto l’articolo del professore di economia Michele Boldrin sulla cosiddetta “Teoria Austriaca”. Questo. Indicatomi dall’amico Leonardo Facco. Eroico e indomito ricercatore di verità.

Raramente mi cimento in dibattiti sulle varie teorie economiche li considero sterili, inconcludenti e spesso talmente teorici dall’essere completamente avulsi dalla realtà. Perditempo. Da appassionato studioso di economia, preferisco applicare le teorie al business.
Tra le varie, non è un mistero che io simpatizzi per quella “austriaca”. La stessa per cui Boldrin non ha particolare stima. Peccato che la sua critica sia così piena di contraddizioni ed errori da essere (appunto) sterile e inconcludente. Mi limiterò ad elencare solo alcuni dei motivi.

-  Sostiene la sciocchezza che esista una sola teoria economica, “unica” come la chiama lui. Leggere per credere. Una teoria che ha inglobato ciò che di buono in passato è stato detto, e che ha escluso il resto. E sarebbe questo il motivo per cui la Scuola Austriaca non esiste, come se le diverse correnti di pensiero fossero un problema temporale e non ideologico. Se così fosse, la teoria unica del Boldrin sarebbe ben poca cosa: il pensiero unico per definizione è pensiero debole. Ogni forza ha bisogno sempre di una resistenza per essere misurata, ma in definitiva per esistere.

-  Non ha studiato (o non ha capito) la Teoria Austriaca. E non perché “Hermando” De Soto, come lo chiama lui, non esiste ! Ma perché, per esempio, trova risibile, l’affermazione per cui ogni spiegazione dei fenomeni sociali debba basarsi sull’azione umana. La trova ovvia. Giusto. Peccato però che finisca per sostenere una “teoria unica” basata su assurde formule matematiche. Quella teoria che ritroviamo nelle scelte dei governi e delle banche centrali.

-  Non sa spiegare perché siamo in crisi. Nell’occasione mi sono guardato un po’ dei suoi interventi e Boldrin non spiega il perché i paesi ogni tanto vadano in crisi. Facile sparare a zero su chi ha una teoria, senza sostenere la propria. E se dovessimo dare per scontato che la sua posizione sia quella della Teoria Dominante (quella unica a dir suo), dovremmo parlare di “trappola della liquidità” e di “improvvisi attacchi di panico dei consumatori”. Boiate pazzesche.

-  Commenta il nulla. Non riflette sulla Scuola Austriaca in generale, ma su singole parole come “razionalismo”, “prasseologia” o “storia”. Ma che senso ha ? Ed in effetti se ne accorge, tanto che a un certo punto scrive “se solo uno riflette un attimo sulla sequenza di parole che sto commentando si rende conto che non vogliono dire assolutamente nulla”, ed in effetti un approccio di questo tipo, da “atomista logico”, è solo una perdita di tempo.

-  Scrive male, ed è tutto tranne che un divulgatore. Le prime righe dell’articolo dimostrano che avrebbe la capacità di scrivere, ma poi si perde in una compiaciuta dimostrazione della sua “conoscenza”. Tutta intrisa di criptiche citazioni, discorsi sospesi e riferimenti personali. È evidente come il fine non sia “insegnare agli altri”, ma dimostrare “quanta ne sa”. E per un professore questo è un peccato imperdonabile.

Ora però veniamo al succo della questione. Io non ho la pretesa di essere un economista e neppure un professore di economia. Sono un imprenditore con la passione per lo studio dell’economia e della divulgazione. Ma il mio lavoro è “fare business”.
Sono vent’anni che faccio impresa, in vari settori, e con profitto. Non sono un sostenitore aprioristicamente schierato della Teoria Austriaca (a cui cambierei  nome perché fuorviante). E non penso neanche che sia perfetta. Ma il punto è questo: molti dei principi di questa scuola funzionano e servono per far soldi. Capire per esempio i cicli economici di “boom e bust” serve per calibrare gli investimenti. Per sapere quando entrare in un settore o in un paese e quando uscirne. Intuire come la massa monetaria in circolo condiziona la formazione dei prezzi, aiuta a sviluppare dei business plan più affidabili. Sapere che l’immissione di nuovo denaro fiat da parte delle banche (attività socialmente utile come sostiene Boldrin) dia un grande privilegio a qualcuno e grande maleficio ad altri è fondamentale per mettersi “dalla parte giusta”. E questo lo spiega la scuola austriaca (o il mio libro Matrix Economy), non certo Boldrin. Se avessi operato nel business in base ai contenuti della cosiddetta Teoria Dominante, sarei sul lastrico.

Talk is cheap, ovvero parlare è facile, “fare” lo è un po’ meno. Nessuno chiede a un professore di economia la prova della sua capacità di far soldi. Se così fosse la maggior parte di loro non verrebbero neanche assunti. Ed in effetti dalle università di economia, non escono bravi imprenditori o persone in grado di produrre ricchezza. Sembra strano, ma la Teoria Austriaca spiega anche il perché di questa apparente contraddizione. 
Dispiace che Boldrin contribuisca, con la sua divulgazione, a confondere le idee, già poco chiare, di tanti ignari cittadini e studenti. Ignari lavoratori (attuali e futuri) intenti a correre come criceti in gabbia. Colpa dei cattivi maestri, di cui il nostro fa senz’altro parte.


Fonte: visto su MOVIMENTO LIBERTARIO del 19 ottobre 2014



IL MITO DELLA DOMANDA: LA SPESA A DEFICIT NON CREA ALCUNO SVILUPPO!




di Gerardo Coco

I media ripetono ossessivamente che per far ripartire la crescita bisogna far aumentare i consumi. Mirabile dictu, quanto l’affermazione che per non morire di fame bisogna mangiare.

La preoccupazione per il calo dei consumi e la necessità di «rilanciare la domanda» viene auspicata anche dal presidente della BCE che recentemente ha detto: «le azioni della banca saranno più efficaci se i governi metteranno in atto altre politiche per indirizzare la domanda».

La grande macchina della produzione, senza la quale il consumo non sarebbe possibile, cioè l’offerta, evidentemente è un fatto scontato. La teoria che sia la domanda il motore dello sviluppo è una delle più grandi e pericolose fallacie economiche e risale ad un errore di Malthus, che Keynes risuscitò per farne il pilastro del suo pensiero, diventato purtroppo la pietra angolare dell’ortodossia contemporanea.

Ma il brillante economista francese Jean Baptiste Say (che Keynes, nella sua opera principale cercò di smentire) contemporaneo di Malthus, aveva già smontato la dottrina della domanda con il famoso aforisma che i «prodotti si comprano con i prodotti», il denaro naturalmente, facendo da tramite. Questa proposizione, lampante nel baratto, dove per ottenere un prodotto bisogna scambiarlo con un altro non è meno vera nell’economia monetaria dove il denaro interviene per separare la domanda dall’offerta cioè l’acquisto dalla vendita, perché anche il denaro lo si ottiene cedendo prodotti e questi cedendo denaro.

In primo luogo nell’economia, ladri e governi a parte, non esiste un soggetto a se stante chiamato «consumatore» perché ogni individuo che si presenta sul mercato è sempre e nello stesso tempo consumatore e produttore: chi compra deve avere i mezzi necessari per acquistare, ossia deve avere prima qualcosa da offrire in cambio; come chi vende vuole essere pagato da chi domanda. E perciò la domanda e l’offerta sono due lati dello stesso fenomeno: la ricchezza totale, da un lato è domanda, dall’altro è offerta.

Quest’ultima rappresenta il reddito. Chi vende patate e vuole acquistare pomodori deve per forza vendere le patate con il cui ricavato comprare pomodori. Sono le patate a costituire il reddito. Per dirla con il Say, è l’offerta a costituire la domanda. Dovrebbe esser ovvio che la produzione precede il consumo perché nell’ordine naturale delle cose il consumo è l’effetto della produzione, non la produzione l’effetto del consumo e non è possibile consumare ciò che non sì è prodotto.

Non c’è mai bisogno di incoraggiare il consumo, di per sé illimitato, é solo l’offerta cioè il reddito che lo limita. Dunque il problema non è mai la domanda ma l’offerta ossia la produzione. L’economia prospera non quando il consumo aumenta come sostengono gli economisti ma il consumo aumenta quando l’economia prospera cioè produce. I maggiori paesi consumatori sono appunto i paesi produttori. Sottosviluppo significa infatti incapacità a produrre non a consumare.

A rovesciare tutta questa logica è la macroeconomia o economia degli aggregati basata su sofismi. Il primo abbaglio logico è credere che quando i consumatori acquistano prodotti paghino i redditi di tutti coloro che hanno contribuito al processo produttivo nelle sue varie fasi. Ad es. pagando il prezzo per il pane il consumatore remunererebbe, il fornaio per il pane, il mugnaio per la farina e l’agricoltore per il grano più tutti gli altri fattori produttivi usati nella catena produttiva.

E così sembra che sia il consumatore a «finanziare» tutto il processo economico. In realtà pagando il prezzo del pane il consumatore reintegra e ricostituisce al fornaio quello che questi ha speso in anticipo nella produzione del pane più il profitto necessario a ripetere l’operazione, mentre è il fornaio a reintegrare costi e profitti del mugnaio e quest’ultimo quelli dall’agricoltore. Se fosse il consumo a finanziare la produzione non si capisce a cosa serva il capitale.

Aumentando la domanda, infatti, le imprese dovranno attingere al loro capitale o al capitale altrui nella forma del credito per ampliare la capacità produttiva e soddisfare l’incremento dei consumi. In generale, senza aumento di produzione non c’è aumento di domanda che tenga: per soddisfarla occorre proprio avere capitale per acquisire i mezzi di produzione e anticipare salari e stipendi senza i quali i consumatori non potrebbero mai spendere in consumo.

L’economia è una branca della logica. E’ il consumatore a dipendere dal sistema industriale che mettendogli a disposizione il potere d’acquisto lo mette in grado di esercitare la domanda. La teoria della domanda aggregata vorrebbe invece farci credere che sono i consumatori a fornire il potere d’acquisto al sistema industriale!! E’ il capitale disponibile e speso produttivamente in investimenti a creare occupazione e domanda solvibile.

Il potere del consumatore si manifesta solo nel determinare la direzione del capitale e del lavoro verso quelle produzioni che soddisfano le sue preferenze, ma mai determina il maggior o minore volume di lavoro che dipende dal capitale o potere d’acquisto dell’industria che lo remunera e mantiene. Non è un caso che la macroeconomia ignori completamente la teoria del capitale: essa infatti riguarda l’economia dello stato che è consumo.

Ed è per questo motivo che gli economisti non riescono mai a prevedere una crisi in tempo. La depressione non nasce dall’insufficienza della domanda che è una conseguenza, ma dalla scarsità di capitale e questo è il motivo per cui non esiste né è mai esistita una sola crisi dovuta a sottoconsumo generale. Se fosse vero sarebbero le industrie del consumo a entrare per prime in crisi.

Quando vengono coinvolte, la crisi è già in fase avanzata e irreversibile: gli economisti, ossessionati dalle statistiche sul consumo non si accorgono che si è già manifestata a monte, nell’economia primaria e secondaria (a livello del «grano» e della «farina» per intenderci, non del loro prodotto finale). E’ come se il biologo studiasse la vita del mare stando in superficie.

Ne consegue un’altra fallacia: credere che spesa e deficit dei governi promuovano lo sviluppo economico. Ma stimolando il consumo in assenza di offerta cioè di nuova produzione che, come abbiamo visto è la fonte della domanda, cioè del potere d’acquisto, si pesta l’acqua nel mortaio. Maggior consumo a spese dell’investimento riduce la produttività del lavoro, il salario reale e l’occupazione e porta a nuovi squilibri tra produzione e consumo cioè tra offerta e domanda nella forma di sovra consumo in alcuni rami di produzione e sottoconsumo in altri e quindi un uso antieconomico del capitale disponibile che si tradurrà in perdita (vedi le enormi immobilizzazioni di capitale che hanno originato la crisi dei mutui americani).

Gli economisti ortodossi assomigliano ai teologi del Cinquecento che credevano che la terra girasse attorno al sole e che avevano almeno l’attenuante di non avere strumenti scientifici adeguati di cui invece dispongono i teologi contemporanei. Ma senza la logica, i gulasch di numeri, di statistiche e grafici di cui sono lardellate le loro analisi economiche basate sulla teoria del consumo, sono solo spazzatura.

Deve ancora arrivare l’epoca del disincanto per la terra promessa dalla macroeconomia che ci ha invece portato nell’abisso della crisi perenne. Da quest’ultima si uscirà solo quando tutto il pericoloso ricettario di politiche fiscali e monetarie accreditate dalla dottrina della domanda sarà destinato al posto che gli spetta: il cestino della storia.


Fonte: da SCENARI ECONOMICI del 9 ottobre 2014


giovedì 30 ottobre 2014

L’EVASORE E’ UN PATRIOTA! BARNARD LO DICE SENZA CAPIRE PERCHE’





di MATTEO CORSINI


Ogni tanto mi viene segnalata qualche prodezza di letteratura economica di Paolo Barnard, alfiere italiano della Modern Money Theory (MMT).
In un suo recente pezzo, dal titolo “Il tiranno e l’evasore”, Barnard conclude che “lo Stato monopolista della moneta che ci tassa obbligatoriamente in quella moneta ma che fa il pareggio di bilancio è un TIRANNO. L’EVASORE, in queste condizioni, è un PATRIOTA, che lotta per far sopravvivere l’economia contro il TIRANNO”.
Ho solo messo le parole di Barnard in corsivo, mentre suo è l’uso del maiuscolo, delle sottolineature e del grassetto. Anche nel prosieguo riporterò in questo modo le affermazioni di questo profeta della MMT.

Giova ricordare, in estrema sintesi, che secondo i sostenitori della MMT la spesa in deficit finanziata con denaro creato dal nulla non solo non è un problema, bensì rappresenta la panacea per tutti i mali dell’economia. La spesa pubblica in deficit è considerata ricchezza finanziaria privata. Ovviamente non viene fatta distinzione con la ricchezza reale, e questo è un problema non da poco, visto che il denaro creato dal nulla non è di per sé ricchezza reale, come lo stesso Barnard riconosce. E in effetti nella logica della MMT la tassazione serve per lo più per imporre l’uso della moneta a corso legale, oltre che a contenere l’inflazione, diminuendo la moneta in circolazione.

Secondo la logica (a dire il vero per nulla logica) della MMT, quello del perseguimento del pareggio di bilancio da parte di uno Stato è un proposito deleterio, perché “il settore privato deve ottenere il denaro dello Stato con cui assumere la gente. Ma come fa? Aspetta che lo Stato faccia la spesa pubblica”.

Pare, quindi, che senza uno Stato che faccia spesa pubblica non possa esserci alcuna produzione nel settore privato. Senza la spesa pubblica, saremmo tutti quanti destinati a morire di stenti. 
Ora, indubbiamente in un sistema statalista sono diverse le imprese del settore privato che forniscono beni e servizi (quasi) esclusivamente alle amministrazioni pubbliche; per queste imprese una riduzione della spesa pubblica significa dover cercare altri clienti o chiudere i battenti. E’ altrettanto vero, però, che la maggior parte del settore privato non ha nulla a che fare con lo Stato, se non quando ne deve subirne gli intralci burocratici e il pesante carico fiscale.

Per costoro uno Stato meno spendaccione e intrusivo sarebbe un toccasana. D’altra parte, applicando con coerenza il ragionamento di Barnard, si dovrebbe concludere che la soluzione ideale sarebbe la totale statalizzazione del sistema economico. Roba da socialismo reale, insomma. Un sistema che, volendo sorvolare sulla soppressione della libertà degli individui, ha portato sempre e comunque a risultati miserrimi dal punto di vista economico.

Ma evidentemente Barnard non pensa a un approdo vero e proprio al socialismo (anche se ciò a lungo andare sarebbe a mio parere inevitabile per un sistema in cui si seguissero i dettami della MMT), per cui si pone il problema di come possa fare il settore privato a ottenere la moneta che serve per pagare le tasse.

Nel suo modo di vedere l’economia, se lo Stato non è in deficit il settore privato non può sopravvivere perché non riesce a ottenere moneta.  Infatti: “Lo Stato che fa il pareggio di bilancio è un TIRANNO, visto che è lui il monopolista della moneta e ci obbliga tutti a guadagnare quella, ma ce ne dà 100 e ce ne toglie 100 in tasse, per cui al settore privato non rimane nulla con cui assumere”.

La conseguenza è che se lo Stato persegue il pareggio di bilancio, il settore privato può solo “Licenziare, fallire, diventare povero. Oppure EVADERE. Oppure creare il SOMMERSO. Cioè tenersi autonomamente i soldi dello Stato per assumere e lavorare. Non c’è altra scelta”. 

In realtà le cose non stanno proprio così.
E’ indubbiamente vero che la spesa pubblica in deficit, finanziata mediante l’emissione di titoli di Stato, comporta una espansione della base monetaria ogni volta che quei titoli non sono pagati con risparmio reale.
Per intenderci: se il signor Rossi ha risparmiato 100 euro e con quei soldi sottoscrive titoli di Stato, l’emissione di titoli non comporta direttamente un aumento di base monetaria. Viceversa, se quei titoli sono sottoscritti da banche e utilizzati come collaterale per ottenere liquidità dalla banca centrale, oppure sono acquistati dalla stessa banca centrale, la base monetaria aumenta.

Ma l’emissione di moneta non avviene solo a fronte di debiti pubblici, bensì anche a fronte di debiti privati.
In primo luogo, perché le banche possono usare come collaterale anche obbligazioni o prestiti a emittenti privati per ottenere denaro dalla banca centrale; in secondo luogo perché la stessa banca centrale, può, volendo, comprare obbligazioni emesse da privati. Last, but not least, perché nei sistemi bancari a riserva frazionaria anche le banche commerciali creano denaro dal nulla, erogando prestiti a fronte di depositi a vista e mantenendo solo una frazione di essi come riserva liquida presso la banca centrale.

Resta il fatto che non è la quantità di moneta a determinare la maggiore o minore ricchezza prodotta da un sistema economico.
La moneta è solo un mezzo di scambio, e creare moneta dal nulla non fa che aumentare il potere di acquisto dei primi percettori a scapito degli altri. In altri termini, le variazioni della quantità di moneta hanno effetti redistributivi, ma non producono di per sé aumenti o riduzioni di ricchezza reale.

Piuttosto che considerare un patriota l’evasore fiscale perché contrasta l’azione di uno Stato che non fa abbastanza deficit (invece di riflettere sulla difesa della proprietà privata che dovrebbe essere l’unico motivo per giustificare l’evasione), Barnard potrebbe iniziare a mettere in discussione le fondamenta della MMT, a partire dal fatto che lo Stato non è indispensabile per il funzionamento del settore privato, bensì questo funziona nonostante lo Stato.
Potrebbe poi proseguire ragionando sulla natura e la funzione del denaro, che nello schema della MMT è destinato a far implodere il sistema economico dopo averlo condotto al socialismo, dato che lo Stato deve crescere sempre più e imporre ai privati di usare tutta la moneta che crea.
Non sarebbe meglio togliere allo Stato il monopolio sulla moneta lasciando che la stessa sia prodotta sul mercato senza imposizioni legali sul suo utilizzo?
Non è evidente che se la moneta è un bene la cui offerta può tendere a infinito senza costi di produzione il suo potere d’acquisto non può che tendere a zero, anche in presenza di imposizioni di legge su suo utilizzo?

Potrei proseguire, ma mi rendo conto che chiedere a un evasore totale dalla realtà di iniziare a rimettere i piedi per terra equivale a sprecare tempo.


Fonte: visto su MIGLIOVERDE