Micol Sarfatti
“Sono felice di poter parlare
dell’Islam con una coetanea interessata. È bello condividere quello che riempie
la mia vita”. Cinque anni fa, Maria
Giulia Sergio, alias Fatma Az Zahara
mi accolse così. Maria
Giulia è colei che è stata ribattezzata Lady Jihad.
Oggi risulta tra gli italiani
foreign fighters che sarebbero partiti per unirsi all’Isis L’ho riconosciuta
dopo la pubblicazione di una sua foto a volto scoperto. La incontrai l’11
aprile del 2010. Frequentavo il Master di Giornalismo dell’Università degli
Studi di Milano e per il giornale del corso stavo lavorando a un servizio sulle
donne cattoliche che si convertono all’Islam.
Presi un appuntamento con
l’imam della moschea di Segrate, alle porte di Milano. Mi ricevette in una
domenica di sole, mi diede qualche dato sulle conversioni femminili e poi mi
accompagnò in una sala dove alcune donne stavano leggendo il Corano. Spiegò
loro, in arabo, chi ero e perché ero lì e chiese se qualcuna fosse interessata
a raccontarmi la sua storia. Tutte scossero il capo, solo una si fece avanti.
Era una ragazza sorridente, il viso pieno, occhi castani vispi con poco trucco.
Indossava un velo azzurro, un trench nero, dei mocassini, come annotai sul mio
taccuino.
“Ciao sono Maria Giulia, anzi
Fatima”, disse tendendomi la mano. Lei aveva 22 anni, io 26. La vicinanza di
età creò subito empatia. Maria Giulia-Fatima viveva a Inzago, un comune di
10.000 abitanti nell’hinterland milanese. Si era trasferita lì da qualche anno,
prima viveva in provincia di Napoli. “Non voglio parlare di conversione-
precisò subito- piuttosto di reversione. È come stato come ritrovare una strada
persa. Per me l’Islam è un percorso intimo e personale".
"È come se avessi avuto
una chiamata, Dio mi ha dato qualche cosa da dentro”. Raccontò di essere
rimasta folgorata da un servizio al telegiornale su La Mecca. Da lì aveva
cominciato a studiare libri sull’Islam. “Leggendo il Corano mi batteva forte il
cuore, ho indossato il velo–raccontava-qualche amico della piazza di Inzago mi
prende in giro, dicono che metto il Burqa, non capiscono niente”. Mi disse di
aver fatto da sola la prima Shahāda, la testimonianza con cui i musulmani in
unico Dio e nella missione profetica di Maometto, poi aveva iniziato seriamente
a frequentare la moschea, non precisò quale, e il 29 settembre 2009 aveva fatto
la Shahāda ufficiale, davanti all’Imam.
L’idea della conversione per
folgorazione non mi convinceva. Le chiesi qualche cosa di più. Mi parlò di
“amore” generico, di essere poi stata guidata nel suo percorso, ma, nonostante
la mia insistenza, restò vaga. Aveva avuto una formazione “molto cattolica” e
inizialmente i genitori avevano osteggiato la sua scelta “Tutta colpa dei media
che distorcono la percezione dell’Islam. Il nostro è un messaggio d’amore. Non
è stato facile all’inizio, ho pensato di andarmene via dall’Italia. Poi mamma
ha capito la bellezza di questa religione e si è convertita, sta per farlo
anche mia sorella”. Oggi tutta la famiglia Sergio è musulmana. Maria Giulia
studiava medicina, voleva diventare neurochirurgo. Per mantenersi agli studi
aveva cercato un lavoretto, ma in tanti non l’avevano voluta assumere per via
del velo. Aveva trovato un posto da segretaria, ma raccontava che il capo aveva
tentato di strapparle lo Hijab. Alla fine era stata presa in un call center e
lì si trovava bene.
I colleghi e i compagni di
università continuavano a chiamarla Giulia, le facevano “tante domande” e
persino i professori “erano incuriositi”. Non negava che la sua vita fosse
cambiata. “Ora non ci sono più trasgressioni, feste, discoteche. Ma non mi
manca nulla, anzi, ho qualcosa che prima non avevo e sono più consapevole.
La religione musulmana rende
liberi dal dominio dell’uomo sull’uomo. È un antidoto al mondo di oggi, voi
ormai siete schiavizzati dalla società”. Le chiesi se aveva gli stessi amici
.“Qualcuno sì, qualcuno no-rispose-Non tutti capiscono”. Ai tempo a Milano
c’era grande dibattito sull’integrazione per via della contestata moschea di
Viale Jenner e della scuola islamica di via Quaranta. Gliene chiesi conto e si
affrettò a prenderne le distanze “Credo nel dialogo e nella comunicazione, se
vuoi che gli altri ti seguano devi mostrarti in maniera positiva”.
Ricordo che verso la fine
della chiacchierata si interruppe e mi guardò attentamente, quasi squadrandomi.
“Mi fa piacere, tu sei vestita in modo serio. Certe ragazze oggi si conciano
come prostitute. Forse perché hanno delle vite vuote. Io, grazie al Corano, mi
sento importante e ho capito cosa vuol dire sentirsi davvero una donna”.
Mi chiese se volevo fermarmi
per il corso. Declinai l’invito perché avevo altri appuntamenti per il mio
servizio. Le chiesi se potevo farle una foto, precisando anche che il giornale
veniva stampato ma era ad uso interno del Master. Mi rispose che comunque
preferiva di no. Mi lasciò però l’indirizzo mail. Il suo nickname era come
quello di tante ventenni con l’anno di nascita e le y al posto delle i, c’era
anche la parola muslima. Le chiesi se aveva anche un blog, così avrei potuto
seguirla. Si irrigidì “Non mi piacciono quelle cose. La comunicazione è faccia
a faccia”.
Ci salutammo con grandi
sorrisi sulla porta della Moschea. L’incontro era stato lungo e per me molto
interessante, la ringraziai del tempo dedicatomi. Notai che con sguardo
sognante guardava un quadretto de La Mecca. “Vorrei tanto vederla”. Le dissi
che non c’ero stata nemmeno io, ma avevo fatto diversi viaggi in Medio Oriente
ed erano effettivamente luoghi molti belli. “Che fortuna-rispose-voglio andarci
presto anche io. È il mio sogno”.
Fonte: visto su http://www.huffingtonpost.it
del 13 gennaio 2015
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