Walter Block
di Redazione
di Redazione
Proponiamo in ANTEPRIMA la traduzione integrale
in italiano della prima parte dell’articolo An
Interview with Walter Block, by Grégoire Canlorbe tratto
dall’Institut Coppet, trascrizione
dell’intervista realizzata da Grégoire
Canlorbe, studente francese di scienze economiche e filosofiche a Walter Block senior fellow del
Ludwig von Mises Institute, professore di economia alla Loyola University
di New Orleans, saggista libertario è autore di Difendere
l’indifendibile e di varie pubblicazioni per vari
giornali e riviste nel campo delle relazioni tra economia, etica, ecologia e
religione. (Traduzione di Luca Fusari)
Grégoire
Canlorbe: Si sostiene spesso (soprattutto negli ambienti cattolici e ancor
più in generale in quelli conservatori) che l’errore del pensiero libertario
sia di trascurare la dimensione “comunitaria” dell’essere umano e di ridurre
così l’uomo ad un attore economico, riducendo le relazioni interpersonali a
semplici relazioni di mercato. Il modello antropologico dei libertari non
terrebbe in considerazione la naturale appartenenza degli esseri umani a molti
ambienti, dalla famiglia alla città, i quali assegnano diritti e doveri
all’uomo. Il modello riduce l’essere umano ad un semplice animale d’affari e
dimenticherebbe che è anche un animale “politico”. Secondo lei è
un ragionamento, almeno in parte, corretto?.
Walter
Block: No, si fraintende il libertarianism. Tale filosofia è solo una
teoria del giusto uso della violenza. Dice che la violenza può essere
utilizzata esclusivamente in difesa o per rappresaglia, ma mai avviata nei
confronti di persone innocenti o verso loro proprietà legittimamente detenute.
Se non altro questa obiezione è attribuita più all’economia austriaca che non
al libertarianism. Ma anche lì è fallace in modo abissale. L’economia
austriaca è una teoria di causa ed effetto e sostiene che gli scopi umani sono
la fonte dell’attività economica. Dove questa critica ha più senso è quando non
è lanciata contro l’austrismo o il libertarianism ma verso l’economia
mainstream. I neoclassici credono in questa folle idea di un uomo
economico, o homo economicus, e alla concorrenza perfetta. Ma anche qui,
la maggior parte degli economisti mainstream non sono così
cattivi come sopra descritti; in particolare quelli coinvolti in economia
politica. Essi sanno, più o meno, che l’uomo è un animale politico. Sicuramente
gli studiosi della Scuola della Scelta Pubblica non possono essere ragionevolmente
accusati di questo particolare errore.
Grégoire
Canlorbe: Frédéric Bastiat scrisse:
«Se l’umanità sta migliorando, questa
crescita morale è dovuta non al produttore ma al consumatore. La religione lo
ha capito perfettamente quando severamente ammonisce l’uomo ricco, il grande
consumatore riguardo alla sua tremenda responsabilità. Da un differente punto
di vista e in differenti linguaggi d’economia politica si arriva alla stessa
conclusione. Essa afferma che non possiamo impedire la fornitura di quello che viene
richiesto; (…) che, pertanto, è necessario che colui che esprime il desiderio
e compie la richiesta accetti le conseguenze, siano esse benefiche o
disastrose, e ne risponda davanti alla giustizia di Dio, come prima opinione
del genere umano, per il buono o cattivo fine a cui ha diretto il lavoro
dei suoi colleghi uomini» (Armonie Economiche, capitolo XI).
In che
misura condivide questo punto di vista?.
Walter
Block: Non sono d’accordo con questo. William Hutt e Ludwig von Mises
furono colpevoli di aver sostenuto questa visione errata. Murray
Rothbard ha corretto entrambi nel suo Man, Economy and State. L’errore
sta nella “sovranità del consumatore”. E il produttore? Non è anche
lui sovrano? Il personaggio di Ayn Rand nella Fonte meravigliosa è
stato un buon esempio di questo. Era il suo modo di essere, aveva una visione
di buona architettura ed era pronto a fargliela imboccare ai suoi clienti. Se a
loro non piaceva la sua visione, non avrebbe lavorato per loro. Idem per
Mozart, Einstein, Mises e Hutt.
Grégoire
Canlorbe: Per quali ragioni e in quali circostanze ha sposato
l’economia austriaca e la filosofia anarco-libertaria? E’ diventato improvvisamente
un libertario austriaco o ha sperimentato una lunga, progressiva e surrettizia
transizione verso questa visione del mondo?.
Walter
Block: Quando incontrai Murray Rothbard all’incirca nel 1966, ero un
minarchico libertario per un governo limitato. Questo principalmente per la
lettura di Economia in una lezione di Hazlitt, La rivolta d’Atlante
della Rand, e sotto la guida di Nathaniel Branden e Ayn Rand. A Murray ci
vollero circa 10 minuti per convertirmi alle posizioni anarco-capitaliste. Mi convinse
che gli argomenti che avevo usato contro gli uffici postali pubblici e le
autostrade (la mancanza di concorrenza) si potevano applicare anche nei
settori degli eserciti e della polizia. Mi ci sono voluti diversi anni,
sotto la guida di Murray Rothbard e Walter Grinder, per vedere in modo chiaro
l’economia austriaca. Ero invischiato nel positivismo logico. Non riuscivo a
far entrare nella mia testa che ci fosse una cosa come una dichiarazione a
priori sintetica. Pensavo che se qualcosa fosse assolutamente vero, non potesse
essere la verità del mondo reale; doveva essere una tautologia, che
applicandola alla realtà si potesse conoscere una sua verità solo
provvisoriamente, empiricamente. Ah, beh, ero giovane e stupido.
Grégoire
Canlorbe: Due punti di vista sembrano opporsi all’interno degli
economisti austriaci. Il primo considera l’economia di mercato che deve essere
perennemente spinta verso il modello dell’equilibrio generale, quel modello
aiuta a capire il motivo dei profitti e delle perdite da parte degli
imprenditori lungo il processo equilibrante, da un lato, e il risultato a lungo
termine di questo processo, dall’altro. La seconda prospettiva, promossa da
Guido Hülsmann, sostiene che non vi è alcuna tendenza verso qualsiasi
equilibrio e che il campo di applicazione del modello di equilibrio generale è
semplicemente contro-fattuale: descrive una situazione che emergerebbe se
nessun imprenditore dovesse commettere alcun errore. Di questi due
punti di vista antagonisti, lei ha una preferenza?.
Walter
Block: Sono conosciuto, in lungo e in largo, come Walter Block il moderato.
Nella mia mente sono in ogni caso un moderato su tale questione. Perché non
posso abbracciare entrambe? Si dà il caso, che io davvero condivida ciascuna
delle due. Certo, io sono un forte hülsmanniano su questo tema. Credo che il
lavoro di Guido sui contro-fattuali sia a dir poco magnifico. E’ questo genere
di cose che ci permette di rispondere a coloro che, come Krugman, mettono
in dubbio che gli aumenti governativi delle quantità monetaria portino
all’inflazione; ci accontentiamo di sostenere che i prezzi sono superiori a
quelli che altrimenti sarebbero stati senza tutto questo quantitative easing.
Poiché si tratta di una corretta dichiarazione prasseologica, essa è necessariamente
vera, e non può essere confutata con alcuna prova, non più di quanto possa
esserlo il teorema di Pitagora. Allo stesso modo, siamo in grado di rispondere
alle dichiarazioni degli stiglitziani che affermano che i salari minimi
non portano alla disoccupazione per i lavoratori non qualificati. In modo
analogo, il tasso di disoccupazione delle persone con ricavi marginali
inferiori al livello previsto da questa legislazione è più alto di quelli che
altrimenti sarebbero stati. Ma credo anche che tendiamo sempre
all’equilibrio (per me il sinonimo sarebbe “piena cooperazione” non solo con
gli altri, ma con tutte le leggi dell’universo), ma non lo raggiungiamo mai.
Anche questa è una legge prasseologica. Semplicemente non si può negare
empiricamente che ci sono delle “tendenze” in questa direzione. Ovviamente in
un dato momento non siamo in equilibrio generale (qualunque cosa debba
significare), ma questa non è una confutazione a tale affermazione, non più di
quanto sia una sul fatto che i profitti sono positivi, e che ci sia una
disuguaglianza nei vari settori, rifiutando il parere che i profitti tendano ad
essere i medesimi in tutti i settori (quando si tenga conto del rischio), e che
saranno pari a zero per l’economia in rotazione uniforme. Tra l’altro, l’Environmental
and Resource Economics è contraria al fatto condizionale. Si tratta di un
dispositivo euristico che ci aiuta a pensare più chiaramente circa l’economia.
Nessun buon austriaco, certamente non Mises o Rothbard, ha mai usato questo
concetto come uno stato stazionario che possa realisticamente descrivere
una reale economia mondiale.
Grégoire
Canlorbe: Un dibattito cruciale si concentra sulla questione se Friedrich
A. von Hayek possa essere classificato come un prasseologista o almeno, come un
economista austriaco. Come si posiziona in relazione a questo problema?.
Walter
Block: No. Hayek in modo specifico ed inequivocabile disse qualcosa
d’effetto come «non posso (o non) seguo Mises» nella prasseologia,
nell’abbraccio del priori sintetico. Ecco le esatte parole di Hayek:
«Devo ammettere che io stesso spesso
inizialmente non pensavo che i suoi argomenti fossero del tutto
convincenti e solo lentamente ho imparato che aveva in gran parte ragione
e che, dopo qualche riflessione, una giustificazione che non fosse stata
resa esplicita potrebbe essere trovata. E oggi, considerando il tipo di
battaglia che doveva condurre, capisco anche che venne spinto a certe
esagerazioni, come quella del carattere a priori della teoria economica, in cui
non l’ho potuto seguire». (F.A. Hayek, [1977] 2009. Introduction in L.
Mises, 2009 Memoirs,
Auburn: Ludwig von Mises Institute).
Quindi, per sua stessa ammissione (le ultime
sei parole di questa citazione dicono tutto), Hayek non può essere
caratterizzato come un prasseologista. Questo è un grave problema per me. Uso
spesso le due parole ‘prasseologisti’ ed ‘austriaci’ (in questo contesto,
ovviamente) come sinonimi. Per lo meno, se non identici, la prasseologia è di
gran lunga la caratteristica più importante dell’economia austriaca, per quanto
mi riguarda. Sono troppo tentato di dire che chi non accetta la prasseologia,
per non parlare di chi la rifiuta, non possa essere un economista austriaco.
Ma, altrettanto sicuramente, Hayek ha sempre dato un grande e maggior
contributo all’economia austriaca più di qualsiasi altro uomo vissuto, con
la possibile eccezione di persone come Menger e Bohm-Bawerk, e certamente Mises
e Rothbard. Chi sono io, il cui mio contributo all’austrismo è una
frazione insignificante rispetto a quella di Hayek, per negare questa
denominazione a lui? Potrei dire che lui stesso ha negato questo. Potrei
dire che non importa il mio pensiero in questa scienza; anche qualora fosse
pari a zero o negativa, potrei ancora essere corretto in questa valutazione di
lui. Ma niente di tutto questo è del tutto soddisfacente per me. Avrei
preferito fare un’eccezione per Hayek: affermare che nessun altro che sconfessa
la prasseologia può essere un economista austriaco. Anche questo non è del
tutto soddisfacente. Nel tentativo di uscire da questa posizione mi sono
situato tra l’incudine e il martello, vorrei dire quanto segue: definire
l’economia austriaca è un po’ come la definizione di una sedia. Sappiamo tutti
cosa paradigmaticamente sia: una superficie piana, con quattro gambe e uno
schienale posteriore. Ma che dire di uno sgabello a tre gambe con uno
schienale? Che dire di uno senza schienale? Che dire di uno con una sola gamba,
come nel caso di quelli nei bar? Che dire di una panchina? Di uno sdraio? Di un
divano? Di un sofà? Il punto è che la definizione di sedia è scivolosa. E’ un
continuum. Alcune cose sono chiaramente sedie, alcune cose chiaramente non lo
sono (come i cani e le mele), e per quanto riguarda le altre non ne
siamo sicuri, si tratta di una zona grigia. Suggerisco che l’economia austriaca
operi in modo simile, e che Hayek è in una zona grigia. Ha realizzato magnifici
contributi (ad esempio i cicli economici, il soggettivismo), ma ha respinto
quello che considero l’elemento più importante di questa scienza.
II
Grégoire
Canlorbe: In generale e in particolare nel campo dell’economia monetaria,
come si fa a riassumere le principali differenze tra la Scuola Austriaca di
Economia dal principale movimento economico, così come dai principali errori
dell’economia neoclassica?.
Walter
Block: I monetaristi sull’inflazione sono corretti. Quando il governo
crea denaro, i prezzi aumentano più in alto di quanto altrimenti avverrebbe
(faccio notare l’influenza hülsmanniana del contro-fattuale qui). Ma, non
seguono gli austriaci nella realizzazione che questo crei anche un ciclo
economico. Inoltre, il capo dei monetaristi, Milton Friedman, ampiamente
conosciuto per la sua serie televisiva ‘Free to choose’, non riteneva che
questa libertà valesse per la moneta, ogni volta che le persone erano
relativamente libere di scegliere il loro supporto monetario invariabilmente
sceglievano l’oro (a volte argento). Friedman fu un avversario rabbioso dell’oro
come moneta. Ci sono numerose altre differenze tra gli austriaci e i
neoclassici, e in tutti questi casi credo che le opinioni di questi ultimi
siano fallace e quelle dei primi corrette. Tuttavia mi permetta di iniziare con
una nota positiva. Gli economisti mainstream non sono tutti cattivi. La
maggior parte di loro sono piuttosto buoni nell’analisi di temi come il salario
minimo, il controllo degli affitti, il libero scambio, le
licenze professionali, il luddismo, il controllo dei prezzi, eccetera. Non
sono dei marxisti, e rifuggono alla teoria del valore-lavoro. Praticamente
tutti sono liberi dalla fallacia della finestra rotta. Vorrei ora citare
alcuni casi di divergenza. I mainstream sono nella tradizione del positivismo
logico, e sostengono che la previsione è il test della teoria economica;
per loro non esiste una cosa come la legge economica, ci sono solo ipotesi,
molte delle quali possono essere empiricamente ed econometricamente testate e
accettate solo provvisoriamente, quando i risultati producono le indicazioni
giuste per i coefficienti e quando sono statisticamente significativi. Gli
austriaci sono prasseologisti, affermano che l’econometria può essere utile per
illustrare la legge economica, ma non può provarla. Gli austriaci sono
soggettivisti che ritengono le curve dei costi una trappola e una
delusione d’obiettivo; i costi sono opportunità perse e quindi non possono
essere rappresentate graficamente. Gli austriaci rifiutano l’economia
matematica in quanto il loro calcolo necessario è infinitesimamente basato su
piccole unità, e l’azione umana è discreta e senza problemi di curve. Il
mainstream si crogiola in queste tecniche. Gli austriaci aderiscono solo
all’utilità ordinale; i neoclassici abbracciano sia l’utilità ordinale che
quella cardinale e in quest’ultimo caso con dei confronti interpersonali.
Gli austriaci vedono il boom del ciclo
economico come il problema, lo scoppio come un processo di purificazione
riportante l’economia alla coerenza; i keynesiani mainstream prendono
l’opposto punto di vista. Gli austriaci vedono i tassi di interesse come la
base per le preferenze temporali; i loro colleghi di professione accettano
inoltre le teorie di produttività.
Grégoire
Canlorbe: La maggior parte delle critiche contro l’economia di libero mercato
sottolineano il fatto che, secondo la cosiddetta “legge della domanda e
dell’offerta”, il mercato fornisce un equilibrio con la domanda solvibile, ma
non bilancia mai la domanda con le esigenze insolventi dei poveri.
“Differenziati o muori” viene considerato il principio al cuore di un’economia
di libero mercato, e la legge della domanda e dell’offerta semplicemente un
altro appellativo per la legge del più forte. Qual è la sua opinione su
questo punto di vista diffuso?.
Walter
Block: L’economia di mercato necessariamente, apoditticamente,
prasseologicamente, è a vantaggio di tutti i partecipanti. Ma alcuni non
possono entrare nel mercato (bambini, malati, eccetera, e di conseguenza, essi
sono insolventi). Eppure il mercato avvantaggia anche loro, sia pure
indirettamente, dal momento che queste persone stanno molto meglio in una
società libera che in una socialista. Questi critici dovrebbero chiedersi, dove
sarebbero stati meglio, in un posto come Hong Kong, la Svizzera, Singapore, che
hanno economie relativamente libere e tutti sono ricchi, o in qualche altro
luogo meno libero dove le persone sono meno ricche. La carità privata varia con
la ricchezza e il reddito; più un Paese è libero più è ricco e più sono ricchi,
a parità di condizioni, i più caritatevoli. Ma per i poveri non sarebbe
ancor meglio vivere in un Paese relativamente non libero e semi-socialista come
ad esempio gli Stati Uniti, con un vasto sistema di welfare? No. Questi
programmi non arricchiscono i poveri, li impoveriscono. Come mai? Rompono la
famiglia, come Charles Murray ha dimostrato nel suo libro Losing Ground,
e tenere le famiglie intatte è tra le migliori cure alla povertà. Infatti,
il tasso di povertà per le famiglie intatte è a una sola cifra;
l’impoverimento è principalmente una funzione della rottura o della non
formazione delle famiglie, e questo a sua volta è causa dei programmi di
welfare statalisti.
Grégoire
Canlorbe: Secondo i seguaci della legge di Say, le crisi generali di
sovrapproduzione sono impossibili perché qualsiasi sovrapproduzione in uno
specifico settore coincide con una sottoproduzione di pari portata di valore in
un altro settore. Due casi poi emergono: se alcuni prodotti non trovano voce
nel mercato ciò può essere causato dalla mancanza di mezzi, al fine di
acquistare questi prodotti; e se il denaro scarseggia vi è la sottoproduzione
in un determinato settore. La produzione nel settore A è insufficiente al fine
di acquistare l’intera produzione nel settore B. Se alcuni prodotti rimangono
invenduti può significare che i clienti possono permettersi di acquistare
questi prodotti ma preferiscono acquistare i prodotti in un altro settore di
attività, quest’ultimo è ora sollecitato a spingere la produzione al fine di
soddisfare le esigenze e le volontà dei clienti provenienti dal primo settore.
C’è troppa produzione nel settore A e troppo poco nel settore B. In poche
parole, se alcuni prodotti rimangono invenduti, questo è dovuto al fatto che
non ci sono altri prodotti da offrire in cambio, i soldi giocano il ruolo di un
semplice intermediario tra i produttori, senza alcuna richiesta in sé. Il
denaro che non viene speso in beni di consumo viene investito in conti
e fondi dei produttori; non vi è alcuna preferenza per la liquidità e
quindi nessun accumulo di denaro al di fuori dell’economia. Keynes ha
spesso replicato alla legge di Say che se alcuni prodotti rimangono
invenduti ciò può non essere dovuto né alla povertà dei mezzi del pubblico
né dalla sua preferenza per altri prodotti, ma può semplicemente derivare dalla
preferenza del pubblico nell’accumulare denaro anziché spenderlo in beni di
consumo o nel metterlo in un conto corrente.
Il meccanismo secondo cui ogni sovrapproduzione
in un dato settore corrisponde ad una sottoproduzione di pari grandezza di
valore in un altro settore (come causa o conseguenza) viene così eliminata. Può
capitare che ogni settore è in sovrapproduzione contemporaneamente, e questo a
causa della liquidità accumulata a causa del principio di “preferenza per la
liquidità” in un contesto di incertezza. Qual è la sua opinione in difesa
della legge di Say e al fine di confutare queste ipotesi comuni?.
Walter
Block: La confutazione più semplice di questo è l’effetto reale di
equilibrio. Se le persone accumulano denaro, lo mettono sotto i loro materassi
o come Zio Paperone nei loro salvadanai, questo rende il denaro di tutti gli
altri più prezioso. Come premetto nel mio primo libro Difendere
l’indifendibile l’accaparratore è in realtà un eroe, dal momento
che è molto insultato dai keynesiani (praticamente da tutti gli economisti
diversi dagli austriaci), dai giornalisti, dagli esperti, dai commentatori, ed
è in realtà un benefattore per le persone in generale, aumentando il valore
delle loro partecipazioni monetarie. La critica keynesiana all’accaparratore si
riduce al fatto che ritengano che alcune persone abbiano una eccessiva
liquidità a disposizione. Ma non offrono alcun criterio di quale sarebbe il
livello ottimale.
Grégoire
Canlorbe: Si è spesso sentito dire che uno degli effetti collaterali della
globalizzazione degli scambi è l’esplosione della disoccupazione e delle
disuguaglianze di reddito nei Paesi “sviluppati”. E questo perché, nel contesto
della globalizzazione degli scambi tra Paesi con differenti livelli salariali,
più alto è il reddito minimo (determinato dalle forze di mercato o imposto
dalla legge) nei Paesi sviluppati, più sono favorite le importazioni
provenienti da Paesi a bassi salari. Queste importazioni infatti trovano la
loro controparte di valore attraverso le esportazioni. Tuttavia la concorrenza
tra i lavoratori nei Paesi sviluppati con i Paesi a bassi salari distrugge
necessariamente posti di lavoro se i datori di lavoro trovano un modo per
spingere verso il basso il costo del lavoro. Sicché la globalizzazione
degli scambi porta sia ad un aumento della disoccupazione in caso di
salari rigidi o ad una corsa al ribasso nella politica salariale (e quindi ad
una esplosione delle disuguaglianze di reddito) in caso di salari flessibili.
Detto questo, grazie alla delocalizzazione e alle importazioni da Paesi a bassi
salari, i consumatori possono acquistare prodotti a prezzi più bassi. In cambio
di una riduzione dei prezzi i consumatori devono comunque subire la perdita del
loro posto di lavoro o dei salari più bassi. Per questo primo effetto
collaterale un secondo può essere aggiunto: la perdita della produzione
alimentare autarchica che mette in pericolo la sicurezza dei Paesi sviluppati
nel lungo termine. E c’è un terzo effetto collaterale: la scomparsa di alcune
attività nei Paesi sviluppati a causa dei costi comparati presenti, anche se i
costi variano col passare del tempo e la scomparsa di queste attività
potrebbero risultare svantaggiose un domani. Qual è la sua opinione su
coloro i quali denunciano, in termini di anti-globalizzazione, questi tre
effetti collaterali?.
Walter
Block: Penso che queste persone sono economicamente analfabete. La
disoccupazione non avviene a causa del libero commercio. Piuttosto è emanazione
dalle interferenze del governo nei confronti del sistema della libera impresa,
soprattutto aumentando artificialmente i tassi salariali reali a livelli
superiori della produttività (leggi sul salario minimo, tabelle salariali
sindacali) e sovvenzionandola (indennità di disoccupazione generose che sono in
contrasto con il ricavo marginale della produttività dei
lavoratori).
Le disparità di reddito (e ricchezza) derivano
da due fonti, una è legittima, l’altra non lo è affatto. La prima è il
fatto che le persone hanno competenze diverse, etiche lavorative, in una parola
dei livelli di produttività, ma di nuovo non a causa del libero commercio
internazionale. La seconda è il capitalismo clientelare: alcune persone
ottengono favori dal governo e gli altri devono pagare per questi
favori. Il libertario che è in me grida per la fine della seconda e per
consentire alla prima di operare liberamente. Sì, se gli Stati Uniti fossero
impegnati in un pieno libero scambio con il Bangladesh è del tutto possibile
che alcuni lavori poco qualificati, in precedenza nel Paese, subirebbero dei
salari più bassi. Ma questo fa parte integrante della divisione internazionale
del lavoro, e non è poi così probabile. Quando l’automobile ha sostituito il
cavallo e le carrozze, e il computer la macchina da scrivere (pensate a queste
innovazioni come le importazioni provenienti da un Paese chiamato “il futuro”),
in genere non furono i lavoratori scarsamente qualificati nelle fabbriche di
automobili e macchine da scrivere a venirne colpiti e ad aver perso in
grande misura; piuttosto furono il fabbro altamente qualificato, gli
addestratori di cavalli che ci hanno rimesso. Le leggi di vantaggio
comparato indicano che ci sono guadagni dal libero scambio da parte di tutti i
Paesi che aprono i loro confini. Sì, i coltivatori di banane in Canada (pensate
alle serre), e l’industria dello sciroppo d’acero in Costa Rica (credo con
grandi frigoriferi) avranno un brutto colpo quando il commercio si apre tra i
due Paesi. Ma questo è solo modo in cui il mercato indica che, se ci deve
essere un minimo di efficienza economica, un Paese del nord dovrebbe
specializzarsi nelle colture fredde e uno del sud in ciò che può essere
efficacemente coltivato ai tropici.
Grégoire
Canlorbe: La nostra intervista è giunta al termine. Vuole aggiungere
qualche parola?.
Walter
Block: E’ stato un piacere cercare di lottare con queste importanti e ben
articolate e molto complesse domande. Sono onorato di aver partecipato al suo
programma.
Fonte: visto su MOVIMENTO LIBERTARIO del 3/4 gennaio 2014
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