"Il problema", osserva Marco Bassani, professore di storia delle dottrine politiche
all'Università di Milano, "è che la vita reale non entra mai nei giudizi
politici". Un'analisi a tutto campo sul ruolo della Chiesa e del Politico
nel mondo moderno e postmoderno.
Domenica scorsa, 11 gennaio, abbiamo visto centinaia di
migliaia di persone sfilare a Parigi. Il senso di questa cerimonia laica, in
qualche modo ancora ci sfugge. Iniziamo oggi il primo di cinque dialoghi sulla
genealogia del moderno, incontrando Luigi Marco
Bassani.
UN MOSTRO MODERNO: LO
STATO
Lei ha ricordato che dopo «la scristianizzazione
dell’Occidente, deificato lo Stato, monumento e greppia delle elite, le classi
colte dell’Occidente si trovano ora costrette ad inchinarsi di fronte ad un
altro dio. Nemesi: divinizzando lo Stato siamo diventati incapaci di combattere
chi vuole statalizzare il divino». Una lettura su cui Le chiedo di tornare.
Marco Bassani: La mia lettura parte dal 1790: il 13
febbraio 1790 l’Assemblea votò la proibizione per i voti religiosi e la
soppressione di tutti gli ordini e le congregazioni (esclusi quelli che
esercitavano attività ospedaliera e scolastica). Nel luglio del 1790 con la
Costituzione civile del clero....
Per capirci, la Costituzione approvata dall’Assemblea
nazionale francese, volta a regolamentare la vita della Chiesa sul territorio
nazionale, con la soppressione dei privilegi degli ordini religiosi e una
stretta irregimentazione dei parroci, che finirono per essere eletti – e quindi
alle dipendenze – dal potere politico ...
Marco Bassani: Esattamente. Improvvisamente, nel
cuore del Paese allora più importante e potente dell’intera cristianità, la
Francia, la Chiesa si trova difronte a ciò che non si aspettava: un potere
irresistibile e assoluto. Questo potere irresistibile e assoluto lo aveva visto
nascere, tenuto anche a battesimo, ma non lo aveva ben compreso: si chiama
“Stato (moderno)”.
Lo Stato improvvisamente decide che i preti devono stare in
sacrestia e che la politica ne deve regolamentare la funzione.
Da sempre la Chiesa aveva avuto problemi col potere
politico, ma, fin dalla sua nascita, nel periodo di osmosi con le decadenti
strutture politiche dell’Impero romano morente e fino al 1790 abbiamo
assistito in Europa alla lotta fra due entità che si fronteggiavano e
trovavano infine un momento – chiamiamolo così – di sintesi dialettica o di
compromesso.
La nascita dello Stato, che certo precede di almeno due
secoli la Rivoluzione, pone la Chiesa di fronte a qualcosa che, invece, attesta
una cesura. Quando il 2 dicembre 1804 Napoleone si autoincorona, strappando di
mano la corona al Papa la Chiesa viene davvero cacciata dalla modernità
europea. Una modernità sulla quale, letteralmente, non può più dir nulla.
Questo nonostante la Restaurazione e il tentativo di
far rientrare il mondo nei ranghi attraverso il legittimismo e il
tradizionalismo?
Marco Bassani: Dalla costituzione civile del clero
del 1790 alla prima enciclica, la Rerum novarum, promulgata il 15 maggio
1891 da Leone XIII passa un secolo. La Chiesa tenta, prova, ma questo lasso di
tempo sta li a dimostrare che non riesce a uscire dalla cesura provocata con la
Rivoluzione.
Perché non ci riesce secondo questa sua lettura?
Marco Bassani: Non ci riesce perché si trova a
confrontarsi con un potere irresistibile e assoluto, lo Stato moderno, col
quale non è possibile alcuna dialettica. Un potere che si auto fonda, che non
riconosce nulla né sopra di sé, né al di sotto, né al fianco. Una monade che
non sa che farsene di Dio. Il Sillabo di Pio IX, del 1864 è un tentativo
da parte della Chiesa di dire che tutto ciò che accade, nel Moderno, è da
condannare. La Chiesa si accorge di non avere più alcuna possibilità di
influenzare gli intellettuali. Tant’è che se osservassimo attentamente ciò che
accade in quegli anni, fino al 1891, vedremmo che alle classi colte la Chiesa
chiede una sola cosa: chiede di poter partecipare all’istruzione soprattutto
nei primi anni. Fa un discorso di questo tipo: «mandateci almeno la povera
gente, cercheremo di salvare il cristianesimo nel cuore dei poveretti che
adesso voi borghesi massoni e senza Dio obbligate a studiare».
Lei ha posto una data limite, 1891. Che cosa accade
dopo?
Marco Bassani: Accade l’opposto. Accade che la Chiesa
inizia a rincorrere tutte le mode del mondo moderno senza accorgersi che vi è
un problema enorme nel seguire il Politico. Il problema di questo inseguimento
del Politico è dato dal fatto che, per sua stessa natura, la Chiesa deve
relativizzare il Politico. Lo deve relativizzare perché non sta nel Politico la
salvezza.
La Chiesa, dunque, secondo Lei non dovrebbe far altro
che guardare con enorme scetticismo il Politico?
Marco Bassani: Esattamente. E le dico di più, Quando
Gutierrez, Boff, Hélder Pessoa Câmara e tutti i Teologi della liberazione
venivano censurati non era solo per la loro vicinanza al marxismo, ma era per
l’idea stessa della riduzione del cristianesimo a un’ideologia di emancipazione
umana, tutta umana e tutta terrena. Solo sotto Giovanni Paolo II la Chiesa si è
riappropriata di questo distacco dal Politico. E infatti il Papa allora
esortava ad aprire le porte a Cristo, non agli ispettori del fisco ...
Lei non cita Benedetto XVI, però...
Marco Bassani: Sia nell’enciclica Caritas in
veritate, sia nelle ultime non trovo una singola critica agli Stati e alla
malattia della nostra epoca, lo statalismo. Tutte le critiche vengono lanciate
all’anonima globalizzazione, al mercato, al neoliberismo, concetti fumosi e
totalmente privi di portata esistenziale, ma ad alto carico ideologico ed
emotivo. Mentre nella Centesimus Annus le cose erano molto complesse, la
vita reale sgorgava da ogni riga, qui tutto sembra un inseguire l’errore
prospettico che porta a confondere tassazione e carità, cosa che appartiene
alla retorica delle classi politiche moderne. Paradossalmente, questo proprio
mentre i dati ci mostrano come la carità sia più alta là dove le tasse sono più
basse. Ad esempio, gli Stati Uniti sono il luogo dove la carità è più alta. Non
solo, ovviamente, perché c’è più ricchezza, ma anche perché le tasse sono più
basse.
L’80% americani dichiara di credere in Dio. Il
60% partecipa a una funzione religiosa...
Marco Bassani: Alla domanda «Dio ha un ruolo nella
vostra vita?», l’80% degli americani risponde: «Sì, ha un ruolo molto
importante». In Europa saremo forse alla metà.
Leggo da un suo articolo, “La fine inevitabile
di una vecchia idea morente: lo Stato” : «Marx considerava il
governo il comitato di affari della borghesia, nell’era post-marxista il
comitato si sta dando da fare, segnatamente in Europa, per distruggere
l’apparato produttivo della borghesia. Viviamo una sorta di hobbesiano bellum
omnia contra omnes che non è il risultato di un ritorno allo stato di
natura, ma della statizzazione e politicizzazione della società». Questa
distruzione dell’apparato produttivo coincide con una crisi del modello della
carità ...
Marco Bassani: Se vivi all’interno di società
come quelle europea, società statizzate non solo di fatto, ma anche dal punto
di vista concettuale, è inevitabile che lo spazio per la carità sia
ideologicamente fuori gioco. E laddove ci sarebbe spazio ideale per farla, con
uno Stato che ha un total tax rate del 65-70% la carità viene messa
completamente ai margini, non esistono più i soldi per farla. Tutti i soldi
finiscono in tasse e se un imprenditore decide di dare qualcosa assai spesso lo
fa per ottenere appoggi politici, a loro volta indispensabili per non chiudere
i battenti.
Tasse o carità
Un nodo altro nodo critico è quello della solidarietà
come cavallo di Troia per la costituzione di un parastato che funga da
“esercito di riserva” per il politico, come abbiamo visto nel caso di Mafia
Capitale ...
Marco Bassani: È un fenomeno di corruzione
anche questo. D’altronde, se pensiamo all’8X1000... L’8x1000 ha corrotto
profondamente la Chiesa. Se rispetto alla costituzione civile del clero del
1790 ci sono stati preti refrattari, io dinanzi a questa elemosina di Stato non
ne vedo nemmeno uno.
Perché nessuno rimanda al mittente i soldi
dell’8x1000?
Marco Bassani: Perché manca la capacità di
comprendere a fondo che accettando i contributi i preti diventano dei
funzionari pubblici. Statizzazione significa anche sottostare a una serie di
principi che non sono i tuoi e la Chiesa, in questa lunga deriva, ha finito col
sottostare a principi che non erano i suoi, in una cornice di statalizzazione
integrale.
All’interno di questo orizzonte di senso, c’è la
questione della legalità. L’ultimo baluardi di certi preti sembra la “religione
del legalismo”. Sembrano diventati tanti
piccoli, involontari esecutori testamentari del formalismo giuridico... Viene
da chiedersi se abbiamo mai letto una sola riga di don Sturzo...
Marco Bassani: Osteggiato dalla Chiesa, osteggiato
dal partito, osteggiato da tutti, tornato dopo la guerra in Italia, don Sturzo
iniziò a denunciare i guasti dello statalismo italiano. Di lui Giorgio La
Pira disse: “Sturzo che pure era stato un agitatore sociale e un difensore
della povera gente a contatto con il capitalismo americano si era rincretinito
durante gli ultimi anni”. Il punto fondamentale è che, in realtà, stava
iniziando tutto il processo di instupidimento che ci ha portati fino alle
soglie del baratro legalista. E questo abisso conduce alla confusione totale
fra tasse e carità. Certi preti, anche ai livelli gerarchici più alti,
ritengono che i governi siano gli strumenti di Dio in terra per ristabilire una
certa giustizia sociale. Pur essendo
preti si muovono all’interno di una prospettiva tutta laica e tutta terrena.
Persino un grande mistico come Giuseppe Dossetti era pronto a fare qualunque
cosa affinché vi fosse una continua redistribuzione dei redditi.
Redistribuzione dei redditi significa passaggio di ricchezza dal settore
privato, a quello pubblico, da chi la produce a chi la consuma. Diciamo che la
Chiesa ha oggi una illimitata fiducia nelle “burocrazie illuminate” che nessun
economista o semplice osservatore della realtà potrebbe più avere. Ma questa
fiducia è una reazione di lungo periodo al trauma prodotto nel 1790 con la
costituzione civile del clero.
In questi anni, però, anche grazie a una retorica
della legalità abbiamo assistito a un’accelerazione in questo senso, proprio a
opera di alcuni “preti di strada”...
Marco Bassani: Un piccolo episodio: negli anni
Trenta, Adolf Hitler voleva costituire un’unica chiesa germanica, superando le
divisioni fra cattolici e protestanti. Per farlo aveva fatto una sorta di
sondaggio fra la popolazione con 4 risposte: “credente in Dio”, ateo, cattolico
e protestante. La sua speranza era che la prima voce trionfasse, per
mostrare alle gerarchie che le chiese tradizionali dovevano fondersi. Gli
atei erano meno del 3 %, ma anche i credenti in Dio erano pochissimi,
insomma il popolo era legatissimo alle chiese cristiane tradizionali. Poi,
quando hanno visto che le loro chiese non hanno fatto nulla o quasi per fermare
il massacro della Seconda guerra mondiale ed erano totalmente irrilevanti
rispetto ai mali del Novecento, ecco lì è iniziato il movimento di
scristianizzazione delle masse (di quattro secoli in ritardo rispetto a quello
delle élite).
La legge è la legge (e lo Spirito muore)
C’è poi un altro aspetto, che è propriamente filosofico. Che
cosa accade negli anni tra il Sillabo e la Rerum Novarum, quando inizia
quella che è ormai la ultra-ideologica, anche se ondivaga, dottrina sociale
della Chiesa? In quegli anni si struttura San Tommaso come filosofo ufficiale
della Chiesa Cattolica.
Questo però comporta un richiamo al diritto di natura,
che prevede anche disobbedienza civile nei confronti del diritto positivo che
lo contrasta....
Marco Bassani: Attenzione! Il richiamo al diritto di
natura è solo apparente, perché in Tommaso prevalgono ben altri aspetti: a
cominciare da una definizione ultraformale della legge. Ossia non è possibile
stabilire quale sia la retta ragione, quale il vero Bene comune, qual’è il
giusto legislatore. Non vi è in Tommaso alcun principio che ci indica quale sia
una legge giusta. Pur essendo vissuto ben prima della nascita dello Stato e
della formalizzazione in Stato di diritto, si presta enormemente a una visione
da chierico legalista, che non poggia più in alcun modo sul Vangelo, ma su
questioni tutte interne e tutte inerenti alla statualità contemporanea. Alla
legge devi sempre obbedire e devi obbedire perché e stata emanata da un
parlamento regolarmente eletto. Individuato lo Stato come il garante del bene
comune, il governo è il suo strumento perfetto e indiscutibile. Anche il
nazionalsocialismo, sotto questo aspetto, non rappresenta nessuna rottura della
legalità di Weimar: il cancellierato a Hitler è arrivato da Hindenburg e sulla
base della proclamazione dello stato di emergenza il caporale austriaco ha
proseguito a governare fino alla catastrofe. Esiste, insomma, in San Tommaso
una versione ultra-formale della legge che è stata assai utile, dal punto di
vista filosofico profondo, per accettare la versione ultralegalista dello stato
di diritto.
L'ultralegalità o la morte dei contenuti
Quando parla di versione ultralegalista dello stato di
diritto si riferisce a qualcosa di ben diverso da quello di matrice
anglosassone, ossia a quella di uno Stato che le leggi le pone e in qualche
modo a quelle leggi cerca anche di sottoporsi... Diciamo che si è declinato con
uno stato di diritto in salza mediterraneo-bizantina...
Marco Bassani: Direi che questa versione legalista
dello stato di diritto è una visione di Staatsrecht, ossia visione dello
Stato fondato sul principio di legalità totalmente a-contenutistico. Gli
organismi hanno solo i poteri loro conferiti dalla legge e devono agire in
conformità a che cosa? Alla legge stessa. Si tratta di una sorta di incontro
fra le pericolose utopie rousseauiane e poi giacobine della legge inflessibile
conciliazione fra autorità e libertà (obbligati a essere liberi) e la dogmatica
giuridica tedesca dell’Ottocento. Concezione tutta procedurale:
l’individuo deve andare in galera perché esiste una legge che autorizza un
giudice a decretare il punto di diritto sul caso singolo. Non vengono puniti i
furti, ma il ladro Schultze dal giudice Hans per mezzo della macchina
impersonale dello Stato. Questa fine dei contenuti porta alla normofilia
prima e alla statolatria. Sturzo parlava di “panteismo di Stato”.
Don Luigi Sturzo
Questo vale anche per la riflessione sul Bene comune?
Marco Bassani: In quest’ottica, depositario del Bene
comune è il governo liberamente eletto attraverso una procedura di elezioni a
liste concorrenti. Il Bene comune coincide con la legge. Ma alla fine, questa è
una lettura debitrice assai più a Rousseau, che al grandissimo Tommaso il cui
pensiero si muoveva su realtà istituzionali “innocenti”, almeno rispetto allo
Stato moderno.
Il sogno di Rousseau, edificare una religione civile,
sembra diventato realtà attraverso la trasformazione di molti preti in
funzionari parastatali dello Stato...
Marco Bassani: Noi ci troviamo esattamente in questa
situazione. Negli ultimi passi del Contratto sociale, Rousseau auspica
l’avvento di una religione civile in grado di rendere l’uomo cittadino. Ma
questa religione civile nella sua base sta ancora nella cattedrale tomista del
medioevo cristiano. Queste due matrici – religione civile alla Rousseau e
formalismo tomista – si sono fuse quasi perfettamente nel cattolicesimo
“democratico” che è la piena combinazione di statalismo e legalismo. Osservanza
delle leggi – anche quando sarebbe tecnicamente impossibile, come in questo
periodo – ma oggi l’obbligo di cittadinanza è uno solo: pagare le tasse. È
l’obbligo fiscale sembra essere al centro delle preoccupazioni della Chiesa –
non a caso da quando è diventata consumatrice di tasse e non più di danari
liberamente donati dai fedeli. Per fortuna un po’ di buon senso in qualche
prete rimane. I preti assolvono gli evasori nel confessionale e un sacerdote
studioso che conosco ha affermato in una pubblica conferenza in Navarra che
“pagare le tasse non di rado significa cooperare con il male”.
Con il denaro elettronico e la piena tracciabilità, a
più riprese innalzata come un vessillo contro mafie, corruzione e quant’altro,
evadere non sarà più possibile...
Marco Bassani: Torniamo alla storia: nel
1864, lo stesso anno del Sillabo, in Italia inizia il corso forzoso. Il corso
forzoso stabilisce che non può più esserci il baratto e, fra le altre cose,
ordina che si deve utilizzare solo il contante emesso dallo Stato per qualunque
transazione. Il contante emesso dallo Stato diventa la via per creare una
comunità nazionale là dove non poteva esistere. L’idea era utilizzare
l’economia per la costruzione della nazione.
Oggi, la vera utopia dello Stato moderno non è più la
mobilitazione totale dei giovani maschi, ossia creare grossi eserciti. La vera
utopia è controllare ogni singola transazione tra i privati per poterla
tassare. Diventare il dominus incontrastato delle attività economiche
senza necessariamente statizzare tutto, ecco come agisce lo Stato. Come diceva
Reagan: “se qualcosa si muove tassala, se continua a muoversi regolala, se si
ferma sussidiala”. Il denaro elettronico – “tracciabile” – è l’ultima frontiera
di questo controllo totale.
L’esempio del baratto e del corso forzoso mi riporta
alla mente alcuni fatti recenti, in Romania, Paese in cui l’Unione Europea sta
cercando di “debellare” quella fetta di agricoltura – e non è poca cosa – che
si basa sull’autosussistenza, in particolare delle patate. La critica che viene
posta, in questo caso, è che per costruire una presunta comunità europea si
debba procedere secondo il ben noto “divide et impera” mascherato da economia
di mercato. Un mercato che, però, è solo un’interdipendenza forzata delle
comunità locali dagli Stati. In questo modo, i romeni mangeranno patate
italiane, gli italiani patate francesi e nessuno, tranne qualche burocrate
forse, trarrà beneficio da questo legame perverso...
Marco Bassani: Il mostro europeo non reggerà. È
impossibile, totalmente impossibile che tenga. È un mostro che distrugge
costantemente e sistematicamente ricchezza. Non è una questione meramente
ideologica, ma un dato di fatto evidente e lampante. Stiamo assistendo a una
distruzione sistematica del benessere da parte degli eurocrati. In Italia lo
vediamo di più, perché l’Italia sta perdendo percentuali disarmanti di PIL, ma
è un fenomeno che coinvolge l’intera Europa. Sull’agricoltura questo è
evidentissimo, se pensiamo al solo fatto che una parte spropositata del budget
dell’Unione Europea è in quella voce. Politiche agricole che vengono decise a
livello sempre più alto. È un antico sogno, che parte da Kant e arriva a
Albertini o Spinelli, che pretende di frenare i guasti della
sovranità spostandola a un livello sempre più elevato. Solo che questo
potrebbe funzionare solo se crei una davvero l’incubo ultimo, una repubblica
mondiale, cosa assolutamente impossibile, per fortuna. A livello continentale,
però, questo sta accadendo e tocca la vita di quasi cinquecento milioni di
persone. Tutti i Paesi che entrano nell’area europea stanno perdendo direttamente
ricchezza o smettono di crescere.
Non funziona, quindi?
Marco Bassani: L’Unione europea è un modo per gestire
il declino. Si immagina che il destino dell’Europa sia inevitabile e le classi
al potere, sia potere politico che economico, hanno deciso di gestire
lentamente questo declino sulla scena mondiale. E quindi di accettare una
decrescita – felice o infelice che sia – ma molto manageriale, dove esiste un
tentativo di regolamentare il tutto.
Che vie d’uscita ci sono, rispetto a questo declino?
Marco Bassani: Vedo due vie d’uscita. La prima è la
strada delle élites politiche che vogliono unificare e accentrare, ossia
rendere sempre di più l’Europa una grande Italia, mentre il fallimento
dell’Italia deriva proprio dal fatto di essere una piccola Europa. Con questo
processo si sposta sempre più lontano dai cittadini il livello delle decisioni
politiche. Il sogno delle classi politiche potere è questo. A loro
interessa che gli scambi siano sempre più locali e ridotti e le decisioni sempre
più globali e lontane. Dall’altro lato, vi è invece l’interesse e la via
d’uscita delle comunità locali che hanno l’esigenza esattamente opposta, ossia
che gli scambi siano sempre più globali e i governi sempre più locali. Il punto
è che Veneto, Lombardia, Catalogna non hanno alcun bisogno né dell’Italia, né
della Spagna (e tantomeno dell’Europa, se non come quadro di riferimento di
libertà e liberi scambi).
Purtroppo credo che l’attacco del fondamentalismo
islamico spingerà nella direzione illiberale degli Stati nazionali e del loro
cartello di nome UE, poiché induce a presentare i problemi come globali e
comuni e quindi verso la “necessità”, tutta presunta, di un governo sempre più
lontano dalle comunità locali e reali, visibili dai cittadini. Ma è proprio
questo processo che accelererà la distruzione di ricchezze. Credo comunque
che salteranno prima gli Stati nazionali dell’Europa. L’Europa rimane il
baluardo ultimo dello statalismo delle classi dirigenti per gestire un declino
ineluttabile. L’Europa giungerà al redde rationem alla fine, quando si
saranno sfaldati gli Stati nazionali. In ogni caso, credo che la Catalogna sarà
il muro di Berlino dell’Europa occidentale, immobile da 70 anni.
Qui riemerge in tutta la sua evidenza il problema
della politica...
Marco Bassani: Il problema della politica – di tutta
la politica – è che la vita reale non entra mai nei giudizi. È come se si
assistesse a una sospensione di realtà, un mondo artefatto e costruito
all’interno del quale ognuno recita una parte e fa qualunque cosa, ma nulla ha
a che vedere con la vita reale propria e degli altri. Nessuno – e questo è il
dramma in cui ci troviamo – fa entrare le proprie esperienze di vita in giudizi
di carattere politico. Anzi, fondare i propri convincimenti su premesse di carattere
generale, ossia ideologico, è considerato tipico delle persone istruite. Non
far entrare la vita nelle nostre idee ci riesce benissimo solo in politica, per
il resto siamo persone per lo più assennate. Il fatto è che le nostre
conclusioni di carattere politico sono al contrario premesse. Premesse che già
abbiamo e dentro le quali tentiamo di far entrare a forza la vita reale. La
politica è l’inversione della vita.
Bassani insegna storia delle dottrine politiche
all'Università di Milano, esperto di dottrine federaliste ha pubblicato: I
concetti del federalismo (Giuffré, Milano 1995), Il pensiero
politico di Thomas Jefferson. Libertà, proprietà e autogoverno (Giuffrè,
Milano 2002), Dalla Rivoluzione alla guerra civile. Federalismo e Stato
moderno in America 1776 - 1865 (Rubbettino, Soveria Mannelli 2009).
Fonte: srs di Marco
Dotti, da VITA.it SOCIETA’. Le notizie che gli altri non vedono del 15 gennaio
2015
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