di DENIS DE ROUGEMONT
Io credo all’assurdità di fatto dell’istruzione pubblica.
Credo anche che non si possa riformare l’assurdo. Chiedo soltanto che mi si
spieghi perché trionfa e perpetua; con quale diritto ci schiaccia.
La risposta è semplice, terribilmente semplice: con il
diritto della Democrazia.
L’istruzione pubblica e la Democrazia sono sorelle
siamesi. Sono nate contemporaneamente. Sono cresciute e si sono abbellite
all’interno di uno stesso movimento. Redarguire l’una significa far piangere
l’altra. Ascoltare ciò che dice l’una significa sapere che cosa pensa l’altra.
Esse non moriranno che insieme. Non vi sarà che un’orazione. Laica.
Voglio che non mi si contesti questa tesi. Essa è
glorificata in tutti i banchetti ufficiali da oratori commossi e ci vorrebbe
una solenne ipocrisia a fingere di non riconoscerla, una volta dissipato il
fumo dei civet, dei sigari e delle ideologie inebriate. D’altronde, questa idea
che ho l’onore di dividere con i miei avversari corrisponde a fatti semplici e
evidenti; sarebbe veramente un peccato privare questi Signori di un colpo
fortunato così raro.
Un semplice dato di fatto, ad esempio, è che senza
l’istruzione pubblica la Democrazia è praticamente irrealizzabile. Qui, domanderei
sommessamente al lettore di non voler fare troppo lo stupido, altrimenti mi
vedrò costretto a spiegargli un certo numero di verità talmente evidenti che
questo non succederebbe senza qualche indecenza. Innanzitutto, bisogna saper
leggere, scrivere e far di conto per seguire la campagna elettorale, votare e
truccare legalmente i voti. Poi occorrono un po’ di storia ed educazione civica
per sapere con che cosa tutto questo s’accorda. Ci vuole inoltre una severa
disciplina dell’infanzia per modellare contribuenti inoffensivi. È infine
necessario un numero considerevole di lezioni, e per il maggior tempo
possibile, affinché non si abbia il tempo di rendersi conto che tutto questo è
assurdo.
Affinché non si abbia il tempo di ascoltare la natura che
ripete con tutte le sue voci, in un miliardo di modi, che è assurdo.
Affinché non si abbia il tempo di scoprire la Libertà,
perché colui che ha abbracciato una fede, una sola volta, sa bene che tutto il
resto è assurdo.
Questo per quanto riguarda le sorelle siamesi. Continuiamo.
La democrazia deve alla Scuola il fatto di essere ancora in vita. Ma da parte
della nostra Istitutrice non è che una resa. Perché nel mondo là fuori “tutto
si paga”, come dicono con una soddisfazione sordida e mal dissimulata. Certo,
non pretendo di sostenere che i creatori dell’istruzione pubblica abbiano avuto
piena coscienza di ciò che facevano – e dunque li scuso. Dico semplicemente
questo: la loro opera non è stata possibile se non perché era legata agli
interessi della democrazia. Perché bisogna tenere ben presente che essa non era
ancora, nel XVIII secolo, che un’utopia di partigiani. Non sarebbe molto più
folle, al giorno d’oggi, proporre di diffondere universalmente l’arte del
saxofono o della balalaika. State certi che non manca a questa bizzarria, per
prendere corpo, che l’appoggio interessato di un raggruppamento
politico-finanziario. E vi sarebbero ben presto deputati pronti a celebrare
i benefici sociali, ma che dico, il valore altamente moralizzatore di
questi striduli strumenti.
D’altronde questa complicità, così evidente alle origini
dell’istituzione, si manifesta ancora ai nostri giorni, e in un modo non meno
flagrante, nelle sue normali conseguenze. Non mi serve altra prova sulle
condizioni grottescamente arretrate del nostro strumento di progresso per
eccellenza. Sì, perché non vi è che una spiegazione verosimile di questa
incuria: la scuola, nella sua forma attuale, adempie sufficientemente al suo
ruolo politico e sociale, che è quello di fabbricare elettori (se possibile
estremisti, in ogni caso democratici). Mi ricordo di un disegno umoristico
pubblicato nel 1914, che rappresentava la macchina di Kitchener: un apparecchio
che assorbiva gentleman e restituiva soldati inglesi. La macchina scolastica
divora bambini vivi e restituisce cittadini dallo sguardo torvo. Durante
l’operazione, tutti i cranî sono stati privati del cervello e dotati di un
piccolo meccanismo da quattro soldi, ormai sufficiente a regolare l’automatismo
della vita civica. Il cervello standard di tipo federale non fa temere alcun
imprevisto nel suo funzionamento. Questo inestimabile vantaggio rispetto al
cervello naturale spiega come le autorità competenti non abbiano avuto alcuna
esitazione ad adottarlo, malgrado i suoi fallimenti assai frequenti. Ora vi
domando: quale interesse ci sarebbe nel perfezionare lo strumento,
nell’adattarlo alle peculiarità psicologiche, ovvero ai bisogni puramente
sentimentali che possono manifestarsi nei bambini? Sarebbe l’art pour l’art.
Non si può chiedere tanto al governo. La riforma scolastica, politicamente, non
è redditizia.
È evidente che se il fine principale dell’istruzione
pubblica fosse quello di educare il popolo in modo disinteressato, i governi
sarebbero un poco più folli di quanto si osi immaginare per intraprendere
immediatamente un’autentica rivoluzione scolastica: perché c’è proprio bisogno
di una rivoluzione affinché la scuola si riadegui ai tempi… Ma i governi
sanno quel che fanno.
Tutto si tiene, come dite voialtri, sicuramente per
togliermi la voglia di urtare alcunché. Cascate male, dato che amo i terremoti.
Appartengo a quella categoria di persone che confidano nella
propria sensibilità piuttosto che nelle idee altrui. Ora, è una rivolta della
mia sensibilità che mi aizza contro la scuola. I miei argomenti non si mettono
in moto che a cose fatte. E quando li aveste demoliti tutti, la mia rabbia non
sarebbe meno legittima. Le do ragione per definizione.
Dopo tutto, m’importa poco delle ideologie politiche,
e poco mi importerebbe che la Scuola sia una macchina per fabbricare la
democrazia – se in questa avventura non sentissi minacciati valori dell’anima a
cui tengo più di ogni altra cosa. Il mio odio per la democrazia è il risultato
dell’evoluzione di cui ho descritto il percorso necessario. Non si mancherà di
insinuare che all’origine di tutto questo c’è soprattutto animosità, piccoli
dolori di giovane borghese. Cercate di venirmi a dire questo, vero, miei
agnelli. È proprio nella misura in cui partecipavo dello scoraggiante ottimismo
borghese che mi adattavo ad un regime nocivo per tutto ciò che vi è di
autenticamente nobile in ciascun uomo. Se i figli del popolo soffrono meno di
un tale regime, è perché non ne hanno di per sé una conoscenza così sensibile.
Ma aspettate, se qualcuno si risvegliasse… Basta un poco di calore di spirito
per iniziare il disgelo di questi principi, e potrebbe essere il segnale del
grande disgelo di primavera. Non vi è autentica rivoluzione che non sia della
sensibilità. (Il giorno in cui si faranno cadere questi Signori dalle loro
sedie, comprenderanno il senso dell’immagine).
Fonte: visto su MIGLIOVERDE del 23 gennaio 2014
Link: http://nblo.gs/12TeUX
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