Negli anni passati Destra e Lega hanno detto di
Napolitano cose terribili e ne hanno pensate anche di peggiori. Adesso lo
hanno votato raccontando che è il meno peggio e forse hanno ragione. Da parecchi
punti di vista infatti è il migliore dei Presidenti possibili per essere a capo
di questa disastrata Repubblica: ha un passato di fascista e di
comunista che in pochi (non fosse altro che per ragioni anagrafiche)
possono vantare, ha posato le chiappe su tutti i possibili scranni
elettivi d’Italia e d’Europa, ha attraversato tutta la storia repubblicana, è
un fervido patriota tricolore, è meridionale, ha accumulato stipendi, pensioni
e rimborsi, ha quasi novant’anni: una assicurazione di ineludibile futuro
ricambio. La sua rielezione consente anche qualche lodevole taglio di
spesa in tempo di crisi: si procrastina una buonuscita e non si
devono sostituire molte migliaia di fotografie negli uffici pubblici: sarà
particolarmente sollevato il Tosi che ne conserva una con l’affetto che
si deve a una icona riverita.
Destra e Lega non l’avevano votato l’altra volta,
anzi ne avevano duramente osteggiato l’elezione: dimostrazione che il tempo
cambia le cose e che anche la conclamata graniticità delle loro convinzioni
subisce la stessa ineluttabile corruzione.
La Destra ha evidenti convenienze in questa conversione
ma sfuggono del tutto quelle del Carroccio a meno di interpretarla come un
atto di fedele sudditanza nei confronti dell’alleato. Che ne sia felice il
sindaco di Verona si è già detto, che Maroni provi rispetto per
il Presidente nelle cui mani ha deposto il suo giuramento di fedeltà alla
Costituzione italiana in qualità di ministro è (forse) umanamente
comprensibile alla luce di un acrobatico gioco di sovrapposizione psicanalitica
fra il pratone di Pontida e i giardini del Quirinale. Quello che proprio sfugge
è cosa stia dietro al comportamento del partito Lega nel suo complesso, a meno
di ricorrere alle più inquietanti e disonorevoli supposizioni.
Perché un partito indipendentista deve interessarsi e
partecipare all’elezione del capo dello Stato da cui vuole separarsi?
Perché un partito padanista deve sostenere un uomo che è l’incarnazione stessa
del patriottismo meridionalista, della più melensa retorica unitarista? Si
tratta del frutto di imperscrutabili e diabolici giochi di destrezza politica o
di molto più rudimentale dabbenaggine? In ogni caso ha tutta l’aria di essere
il punto terminale di un percorso di degradazione che dalle gioiose giornate
del settembre del 1996 ha portato a questo sciagurato aprile di sottomissione
al potere italiano. Se è così, Maroni ha in questi giorni ucciso la Lega, ha
sepolto un sogno che si era ormai degradato e corrotto ma che riusciva
ancora a riscaldare i cuori e a infiammare le fantasie di tanta gente per
bene. In tanti infatti hanno mandato giù la cacciata di Castellazzi, di Castellaneta,
di Miglio e di centinaia di persone intelligenti e oneste, hanno subito
per anni e anni i Calderoli e i Cota, hanno fatto finta di non
vedere le genialità finanziarie dei Galimberti (CrediEuroNord), Balocchi
e Belsito, hanno trangugiato il Trota e tutto un devastante
repertorio di tavanate e terronate che hanno trasformato un grande sogno di
libertà in un incubo di delusioni.
Salvo straordinarie e miracolistiche evoluzioni (al
momento imperscrutabili e molto poco probabili), in questi giorni di triste
primavera Maroni ha sepolto la Lega. Ne sopravvive il simulacro ma oggi è stata
ufficializzata la sua totale estraneità rispetto a quella delle origini, da
quel radioso e sconsiderato movimento del “Basta Roma, basta Tasse” che
aveva per la prima volta fatto davvero barcollare l’orribile creatura di
Frankenstein che dal 1861 opprime e impoverisce i popoli della penisola. Oggi
resta una cosa che si chiama Lega, che ha il simbolo della Lega, che la ricorda
nell’aspetto esteriore, ma che è – se sopravvive – un’altra cosa. Ci
dicono che sarà l’edizione padana della Csu, il partito cristiano
sociale della Baviera. Questo però sarà cristiano come la Democrazia cristiana
e sociale come il Movimento Sociale. E ha tutta l’aria di essere la corrente
molto blandamente nordista del nuovo partito di destra di cui Maroni aspira
forse ad essere uno dei viceBerlusca e chissà che altro. L’immagine dei
leghisti che applaudono compunti un Napolitano che li ricopre di sterco è
emblematica, è la Götterdämmerung del lella, un “cupio dissolvi”
che sembra di più a un semicupio, la pantomima di una banda di
sopravvissuti che prendono uno stipendio e che vogliono continuare a prenderlo.
Il 23 aprile, ieri, è stato San Giorgio, protettore
della Catalogna ma anche – chi se lo ricorda ancora? – della Padania, è
il primo dei tre giorni di festa delle nostre comunità e del loro rinnovato
legame con la terra: il 23 (San Giorgio), il 24 (San Giorgetto) e il 25 (San
Marco) la nostra gente percorreva il territorio con croci e draghi nelle
Rogazioni, e con esse rimarcava l’unità fra popolo, cielo, terra e simboli.
Anche quella in cui si trascina la Lega in questi giorni somiglia a una
processione, ma è un funerale.
Fonte: srs di Gilberto Oneto, da L’Indipendenza del 24
aprile 2013
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