Inizia il tormentone dell’elezione del Presidente della
Repubblica italiana, con tutto il solito contorno di tifoserie e di
pronostici, come se fosse il Festival di San Remo. E un po’ lo è.
È una kermesse che dovrebbe riguardare solo gli italiani
e non i padani perché si tratta della scelta del capo degli italiani e non
dei padani, se non nel senso del capo degli oppressori dei padani. Dalla
vicenda i padani dovrebbero restarsene fuori: i galeotti non scelgono il
direttore del carcere in cui sono imprigionati, non dovrebbero tifare per l’uno
o per l’altro. Possono tutt’al più – se proprio non hanno altre speranze –
sperare che passi il meno peggio.
Per questo non si capisce come i delegati eletti dai
padani possano partecipare all’elezione. Ancora più incomprensibile – e
anche molto fastidioso e un po’ ignobile – risulta a questo proposito la
partecipazione dei parlamentari della Lega Nord, un partito che si fa
votare su un programma chiaramente indipendentista, almeno a giudicare dal
primo articolo del suo Statuto che propugna quale unico obiettivo
l’indipendenza della Padania. Ora cosa ci fanno quelli che se ne vogliono
andare dallo Stato italiano alle elezioni del capo dello Stato da cui vogliono
andarsene? I catalani o gli irlandesi non mettono il becco nelle
questioni dinastiche degli Stati da cui vogliono secedere. Certo, quella
italiana è almeno formalmente una repubblica il cui capo viene eletto dai rappresentanti
dei cittadini e il primo – più elementare ed evidente – atto di presa di
distanza di chi vuole andarsene sta proprio nell’evitare di partecipare alla
decisione. Oppure, se si vuole proprio essere presenti, si dovrebbe solo fare
casino, contestare o votare qualcuno che per i padani sia la rappresentazione
perfetta dell’italianità. C’è solo l’imbarazzo della scelta, da Er Batman a
Francesco Schettino.
Invece questa è la quarta elezione presidenziale cui i
leghisti partecipano, tramescando e trusonando sopra e sotto banco per
scegliere il capo dello Stato che opprime quelli che li hanno eletti. Ci vanno
tutti, pettinati e ben rasati, profumati di bagnoschiuma a scrivere il nome del
nuovo padrone come bravi soldatini. Alla faccia dei giuramenti, delle ampolle e
delle proclamazioni di indipendenza. Ci vanno addirittura i presidenti leghisti
di Regione, ci va anche Maroni che dovrebbe essere il capo di quelli che
se ne vogliono andare. Caso sempre più singolare e inquietante di sdoppiamento
di personalità: mister Hyde capo dei ribelli e dottor Jekyll ministro di
polizia che combatte i ribelli.
Questo svacco è il risultato di una vecchia scelta
sciagurata, quella di essere Lega di lotta e Lega di governo, che si è
trasformata nella tragica farsa di una Lega di lotta per le cadreghe e di
sottogoverno. Se si vuole fare una rivoluzione – e la lotta per l’indipendenza
è una rivoluzione, pacifica quanto si vuole, ma una rivoluzione – non si può
fare “pappa e ciccia” col nemico. Longanesi diceva che gli italiani pretendono
di fare le rivoluzioni con l’autorizzazione della questura. Questi sono anche
più furbini: vogliono scegliere il questore e magari metterci un parente.
Certo Maroni si trova in una posizione personale
piuttosto funambolica: fa il capo di una istituzione che si vuole separare
da un’altra di cui è stato uno dei più fedeli gendarmi. Ma può anche
rovesciare la stranezza a suo favore dimostrando di essere pacifico e
legalitario e trasferendo così tutti i crismi della legalità, oltre che della legittimità,
alla separazione cui si aspira. Non sarebbe neppure il primo caso: dal 1985 al
1990 Eduard Shevardnadze era stato ministro degli esteri dell’Urss, dal
1995 al 2003 è stato Presidente della Repubblica della Georgia dopo
l’indipendenza.
Questa Italia somiglia sempre più alla vecchia Unione
Sovietica in versione Piedigrotta ed è del tutto auspicabile (e sempre più
inevitabile) che faccia la stessa fine.
Maroni dice di voler voltare pagina, di riportare la
Lega al suo ruolo di difensore del territorio. Lo dimostri cominciando col
disertare l’elezione del Presidente della Repubblica italiana. Sarebbe un
gesto carico di grande simbolismo, ridarebbe forza a un cammino un po’
assopito. Che se lo facciano da soli il loro Presidente, e che somigli il
più possibile a Gorbaciov.
Fonte: srs di Gilbert
Oneto, visto su L’Indipendenza del 16
aprile 2013-04-15
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