Le Mogliazze
La dieta dei gruppi sanguigni del dottor Mozzi è molto
più di un semplice regime alimentare: è un invito a riappropriarsi della salute
imparando ad ascoltare i messaggi del corpo. Ma in questa intervista Mozzi non
ci parla solo di salute, ci racconta anche la sua esperienza di coltivatore
biologico che da oltre trent'anni porta avanti con la cooperativa Le Mogliazze
Tutto sembra, fuori che un medico: il dottor Mozzi ha
l'aspetto, la schiettezza e il modo di fare diretto degli uomini che lavorano
la terra - non sarà un caso che abbia dato vita oltre trent'anni fa alla cooperativa
agricola Mogliazze - e la voglia di condividere e divulgare il sapere in
maniera gratuita delle menti illuminate dall'intelligenza del cuore.
Il suo
libro " La Dieta del dottor Mozzi. Gruppi sanguigni e combinazioni
alimentari" ha scalato la classifica macrolibrarsi.it grazie all'efficacia
dei contenuti, che mettono il lettore nella condizione non di seguire
semplicemente una dieta, ma di imparare ad autogestire la propria salute
attraverso un ascolto preciso e paziente dei segnali inviati dal corpo in
seguito all'ingestione di determinati alimenti.
Mozzi ci insegna a curarci da
soli, a ritrovare il benessere e la vitalità perdute, ad aver fiducia nelle
risorse del corpo e nelle nostre capacità di ascolto e analisi: una bella
sferzata di empowerment che ci mette sulla buona strada per poter diventare i
primi medici di noi stessi.
Sono stato nella sua azienda agricola, a Mogliazze,
per incontrarlo: ecco un resoconto della nostra lunga chiacchierata!
In internet ho cercato una tua
biografia trovando solo pochissime informazioni. Mi racconteresti in breve la
vita del dottor Mozzi?
Sono nato a Bobbio, in provincia di Piacenza, nel 1950: qui
ho vissuto una bella infanzia molto libera, trascorsa all'aria aperta. Tutto
l'anno facevamo interminabili partite a pallone sulle piazze; d'inverno stavamo
sotto i portici di Bobbio a giocare a "figurini" e a palle di neve
per le strade; d'estate passavamo il tempo sul fiume Trebbia, le cui acque
erano così pulite da poter essere bevute e consentivano a parecchi pescatori
professionisti di vivere di ciò che ricavavano dalla vendita del pesce pescato.
A Bobbio c'era tutto il necessario e poco del superfluo. Ho ricevuto
un'educazione severa e spartana e sono grato a mio padre, da cui ho appreso
l'essenzialità nei bisogni e con cui ho in comune il tratto del carattere che
ci spinge ad anteporre l'aiuto del prossimo al soddisfacimento delle nostre
necessità.
Ho frequentato a Bobbio le scuole elementari e medie, a
Piacenza il liceo classico e a Parma la Facoltà di Medicina. Alla fine del 1974,
mentre frequentavo l'università, ho scoperto Mogliazze, un borgo in stato di
abbandono composto da alcune case in pietra e posto sulle pendici
dell'Appennino, otto chilometri sopra il comune di Bobbio. Nel gennaio 1978 è
stata fondata la cooperativa Mogliazze, dal nome del borgo. Dopo varie
peripezie, molta pazienza e volontà, la maggior parte delle case e dei terreni
circostanti sono stati acquistati dalla cooperativa Mogliazze. Il villaggio è stato pian piano restaurato e i
terreni intorno recuperati. Tuttora vivo in questo piccolo borgo con la mia
famiglia. A Mogliazze ho vissuto a strettissimo contatto con la natura e ciò ha
dato l'impronta risolutiva alla mia visione del mondo e della medicina e mi ha
insegnato molto di quello che so. La domanda che mi faccio spesso, come uomo
oltre che come medico, è che cosa lasceremo in eredità alle generazioni future.
Più che il denaro sarebbe importante consegnare loro il pianeta in buono stato,
cioè con il minor tasso d'inquinamento possibile.
La dieta del Dottor Mozzi è il
fenomeno editoriale dell’anno 2012 su Macrolibrarsi.it Cosa spinge così tante
persone ad acquistare il tuo libro? Ci diresti in poche parole di cosa parla?
Ci sono in circolazione diverse pubblicazioni sulla
relazione fra alimentazione, salute e gruppo sanguigno, però quasi tutte dicono
le stesse cose, e tutte mancano della semplicità e della praticabilità. La
gente deve capire che quando una persona mangia una cosa, il suo corpo gli
manda a dire tutto: è un fatto e l’ho constato in tanti anni di visite.
L’introduzione di materiale non è tollerato può scatenare
tutta una serie di reazioni da parte del nostro corpo: questo è ciò che la
gente percepisce, vede, si riconosce. le persone mi dicono: "Sì ho
mangiato questo e quest’altro e mi viene quello". Questi sono i segnali
che la natura ha messo a disposizione di in ogni essere umano, segnali che fino
ad ora non erano stati collegati in modo preciso con l’introduzione di
determinate sostanze.
Non lo dico per vantarmi, ma ho curato decine di migliaia
di persone e fra le altre cose ho sempre cercato di mettere in relazione il
sintomo con l'alimentazione. Ho impiegato tantissimi anni e con tanta cautela
ho scritto questo libro, perché non c’è nulla di più importante della salute.
Quali sono le correlazioni fra il
cibo e il gruppo sanguigno?
È tutto lì. Ogni essere vivente ha un suo DNA ben preciso.
Il DNA governa tutto. Dal comportamento, al modo di reagire, al carattere. Lo
stesso accade con i vari alimenti. Appena introduciamo una sostanza nel nostro
corpo, il sistema immunitario viene allertato. Se la sostanza è giusta, c’è
l’ok del sistema immunitario, la sostanza entra e viene trasformata. Se invece
la sostanza è dannosa, il corpo si ammala.
Poi dipende, ovviamente se il contatto è sporadico la
reazione è impercettibile, ma se è prolungato nel tempo allora arrivano i
problemi.
Per qualche giorno ho mangiato solo mele e mi sentivo
bene. C'entra il mio gruppo sanguigno che è A?
Ora hai 27 anni e non hai problemi. A 50 anni, ti potranno
dare problemi. Se le mangi cotte meno problemi. Se poi stai attento ti accorgi
che il tuo corpo cambia reazione anche a seconda della varietà di mela.
Una bambina di 5 anni si è accorta di questo. Piero ma lo
sai che se mangio la mela cotta non sto male e se la mangio cruda sto male. Lei
ha 5 anni, lo ha già capito.
Se ci ascoltassimo di più, se impiegassimo più
tempo a capire i segnali del corpo e ad agire di conseguenza, si potrebbero
evitare le pandemie di malattie croniche che stanno affliggendo il mondo
occidentale. Pensiamo al diabete: si stima che in Italia il 7% della
popolazione abbia il diabete. Si tratta di 4 milioni di individui.
Quali sono i cibi che andrebbero evitati da tutti e quali
invece i cibi “virtuosi” che fanno bene alla salute?
Non ci sono cibi da evitare tout court e cibi che vanno bene
per tutti. Dipende dal proprio DNA, ovvero dal proprio gruppo sanguigno.
Una
cosa però è da tener presente: all'alba delle nostre origini, i primi uomini
che hanno popolato la terra erano cacciatori-raccoglitori, onnivori con
un'alimentazione basata sulle proteine animali, le bacche, i semi, i frutti
spontanei della terra. Con questo voglio dire che l'uomo non è programmato per
consumare cerali. La natura non ha previsto campi di grano e di riso da nessuna
parte. La natura ha messo uccelli nell’aria, animali sulla terra, pesci
nell’acqua, bacche, radici, germogli, foglie. Un consumo eccessivo di cereali
non si adatta con la struttura antica del corpo umano. Conseguentemente mi
preme anche dire che il modo generico in cui viene demonizzata la carne –
soprattutto da una certa parte dell'oncologia – è a mio parere assurdo.
Certo se uno di gruppo A mangia la carne si ammala: tumore
allo stomaco, gambe che si gonfiano. Se uno invece è di gruppo 0 e mangia la
carne va bene, anzi se non gli si da la carne il suo stato di salute peggiora.
Il pesce, poi, dipende dai vari tipi di pesci.
Ma prima, come succede per
tutti i tipi di animali, l’uomo era dotato di istinto e dietro l’istinto c’è
proprio il sistema immunitario. Uno annusava una cosa o la masticava e capiva
se era adatta o non adatta al suo corpo, e invece adesso niente. Fino a pochi
decenni fa c’era questo istinto e tutti mettevano in relazione lo stato di
salute con quello che mangiavano.
Se vogliamo recuperare la nostra salute
dobbiamo riappropriarci del sapere ancestrale di auto-ascolto e auto-cura che
la natura ci ha fornito e che noi abbiamo eluso. Nel mio libro spiego come e
cosa fare: si tratta di indicazione pratiche, precise e semplici che poi ognuno
può mettere in pratica e verificare personalmente.
Cambiamo argomento: tre anni fa ho iniziato una nuova
sfida, quella di trasformare 70 ettari di terra abbandonata da 10 anni in una
fattoria biologica autosufficiente progettata in permacultura. Tu hai iniziato
questo percorso 34 anni fa con la fondazione della cooperativa Le Mogliazze.
Come sono stati questi 34 anni?
Per me l’obiettivo fondamentale è essere custode e tenere in
ordine il mio angolo di pianeta. Nel 1974 come privato cittadino volevo fare
qualcosa in questo senso, quindi mi sono mosso, sono partito verso la
realizzazione di qualcosa di concreto, che è sfociato nella costituzione della
cooperativa nel 1978. All’epoca non è stato facile, ci sono stati contrasti con
l’opinione pubblica e i carabinieri, nessuno capiva. A causa di questi contrasti,
è andata sprecata una generazione: alla fine degli anni Settanta, si poteva
sfruttare la voglia dei giovani di avere un approccio alla terra. A questo
proposito, in quel periodo, era stata approvata anche una legge sulle terre
incolte che, se fosse stata presa in considerazione, avrebbe permesso di dare
in concessione a chi ne facesse richiesta terre già allora abbandonate. Invece
è stata persa un’occasione storica e si è assistito a un salto generazionale
tra coloro che hanno abbandonato le terre e coloro che sono subentrati, mentre
prima era matematico il passaggio, di famiglia in famiglia, di padre in figlio.
E così siamo andati incontro a questo grosso problema.
Cosa mi consiglieresti di coltivare nella Fattoria
dell’Autosufficienza?
Intanto, ti consiglio
di seguire dei corsi e di sentire le opinioni delle persone che hanno
esperienze parziali, limitate, e anche di persone che hanno esperienze in
tutt’altro territorio. Prediamo ad esempio Fukuoka: i suoi insegnamenti sono
molto istruttivi, ma mentre in Giappone poteva fare anche due raccolti l’anno,
potendo contare su un tipo di terreno piatto, va tenuto presente che qui
nell’Appennino c’è un'altra realtà, ci sono il bosco, i pascoli, i terreni
incolti; e allora che cosa coltivare? Il bosco può essere una risorsa anche dal
punto di vista economico. Nel passato il bosco e i suoi componenti erano molto
sfruttati: nel modenese e nel parmense nei frantoi si usavano i semi del faggio
per ricavare l’olio, il castagno, da parte sua, sfamava gli abitanti e gli animali
dell’Appennino (spesso i maiali portati a pascolare mangiavano le castagne di
scarto), per non parlare dei funghi, delle fragoline di bosco e di un sacco di
altre bacche che oggi l’uomo non conosce nemmeno più.
Quindi opterei per dei castagni, che forniscono un ottimo
alimento povero di proteine; la pianta cresce a costo zero e senza concimi e ha
bisogno di una potatura ogni 5 anni. Se
hai delle zone fresche vicino ai canali piantaci dei noci, che impiegheranno
del tempo a crescere, ma danno un alimento ricchissimo di proteine, vitamine e
sali minerali. Se i terreni fino ai 500 metri sono esposti bene puoi mettere i
mandorli e i noccioli, e coltiva i legumi. I cereali richiedono un dispendio di
energia, i legumi invece arricchiscono il terreno, pensa che le fave crescono
in un modo strepitoso: si seminano a fine agosto o ai primi di settembre e
possono resistere a un metro di neve d’inverno. Inoltre i legumi sono ricchi di
proteine di cui ha bisogno il nostro organismo, essendo un ammasso di proteine.
Oltre ai legumi nell’orto metti tanti ortaggi e punta su alberi da frutto
oleosi e non zuccherini.
Un’altra cosa
importante è il pascolo: dovresti preferire le pecore che non rovinano il prato
come invece fanno gli asini, i cavalli e le mucche che, pesando di più,
spaccano le cotiche erbose. A Mogliazze abbiamo una cotica meravigliosa, ci
passano le pecore che ripuliscono per bene, così noi passiamo solo una volta
l’anno con il trattore e la trincia per tagliare quelle cose che non mangiano
le pecore: a differenza delle capre e degli asini, le pecore non mangiano i
cardi, però se lasci le capre libere ti distruggono tutte le piante, le
decorticano. Inoltre la pecora dà la lana, che noi purtroppo dobbiamo buttare
via: i primi anni la lavavamo, ma poi abbiamo smesso perché bisognerebbe
costruirci un’economia, avere delle persone che la lavorano per farci trapunte,
materassi… Oggi che invece è saltata fuori la storia che la lana dà energia, le
persone preferiscono dormire sul lattice, che non fa traspirare.
Le nostre pecore sono da pascolo: servono per gestire e
accudire il territorio; ma oggi che sono stati reintrodotti i lupi c’è bisogno
di una persona che le porti fuori e le protegga dagli attacchi dei lupi. Se
decidi di avere degli animali da pascolo è fondamentale avere anche una parte
di prato che ti servirà per il foraggio quando c’è la neve. Questo è
l’equilibrio.
Cosa pensi delle coltivazioni di cereali?
I cereali, come gli
zuccheri, forniscono il combustibile al nostro organismo, ma se si fa un lavoro
sedentario questo combustibile provoca danni sotto forma di sovrappeso,
glicemia alta, pressione alta, placche dentro le arterie. E non si pensi che il
cereale integrale sia meglio: una persona del gruppo 0 che assume cereali
integrali può soffrire di una colite tremenda. Adesso che si stanno diffondendo
molte malattie dell’apparato digerente i cereali integrali sono uno degli
alimenti peggiori che si possano mangiare.
L’umanità deve
ridurre drasticamente l’uso dei cereali, sono dannosi per l’ambiente perché per
coltivarli bisogna deforestare il territorio. Una volta non esisteva la Pianura
padana in quanto tale. Quel territorio era una foresta rigogliosa: nella parte
sinistra godeva di ricchi affluenti d’acqua, aveva le catene montuose alle
spalle e a sud ancora fiumi e corsi d’acqua più piccoli. L’acqua è una grande
risorsa, invece in pochi anni abbiamo prosciugato i fiumi – e messo fine al
ricco pescato – per innaffiare le coltivazioni di mais e pomodoro, due alimenti
che non contengono alcuna sostanza di cui l’uomo ha bisogno. In passato si è
sempre pescato, coltivato legumi, fave, fagioli e lenticchie.
Prima hai parlato di lupi; invece avete le volpi? Da me
nonostante io abbia recintato con rete elettrosaldata hanno fatto un sacco di
danni, scavando dal basso. Sull’Appennino non si riesce a coltivare nulla se
non si recinta: ci sono cervi, caprioli, lepri che hanno rosicchiato la
corteccia degli alberi da frutto. Hai qualche suggerimento da darmi?
Puoi recuperare un po’ di liquame dei maiali da un
allevamento e lo spennelli sulla parte bassa della corteccia degli alberi: la
lepre sentendo l’odore del maiale non mangia più la corteccia. Noi abbiamo
dovuto recintare i sedani che usiamo per fare il dado vegetale: questa estate
con il secco le lepri li hanno mangiati tutti. I fagiolini abbiamo cominciato a
mangiarli a settembre fino a novembre, finito il caldo la vegetazione ha
iniziato a crescere e le lepri erano attratte da altri alimenti. Bisogna
mangiare quello che riusciamo a coltivare, mentre gli animalisti fanno la spesa
al supermercato e si riempiono la bocca di belle parole. Nasciamo come nascono
tutti gli animali.
Un consiglio contro le arvicole nell’orto? I topi con la
neve hanno mangiate tutte le radici delle piante.
Bisogna usare le trappole, le persone non hanno ancora
capito che tutte le specie viventi vivono spesso non in sintonia ma in
contrasto, come succede in un bosco: se il carpino non è in contrasto con il
frassino e con la rovere, è una battaglia sotterranea di radici.
E noi invece con la mente degenerata non riusciamo a capire
la loro vita: c’è un equilibrio ma l’uomo deve mantenere le sue prerogative,
pur rispettandolo. L’ultima etnia che ha vissuto in uno stato libero – gli
Indiani d’America – ha sempre cacciato i bisonti, senza coltivare neanche un
orto, al massimo hanno fatto un po’ di pastorizia, altrimenti mangiavano gli
insetti, le larve, le bacche e le radici.
Cosa producete? Con quale metodo?
La cooperativa di Mogliazze attualmente alleva pecore, per
necessità non economiche ma di gestione del territorio, tenendo conto che
questo territorio è stato alterato nel 1700 con l’aumento della popolazione,
quando si è iniziato a togliere piante e sassi, avendo più bisogno di terre da
coltivare, hanno iniziato a coltivare
persino nelle estreme pendenze facendo delle terrazze, com’è successo anche in
Liguria, per cui bisogna fare attenzione perché il terreno è diventato fragile
anche in seguito ai drenaggi. Fino agli anni Cinquanta tutto andava bene perché
i contadini usavano aratri tirati dai buoi, e con i buoi la terra la potevi
girare anche in su; poi sono arrivati i trattori, una grande comodità, però la
terra la tirano giù, la scalzano e vanno più in profondità alterando i
drenaggi. Così l’acqua si infiltra ovunque, ragione per cui i terreni vanno
accuditi, gestiti e mantenuti; lasciarli andare a se stessi sarebbe un grosso
errore. Bisognerebbe fare una guida o una conversione mirata per cui uno pianta
o, meglio ancora, semina le foreste: se le pianti, le piante crescono deboli,
perché spesso la pianta non ha più le radici e diventa molto dispendioso
prendersene cura e farle crescere. Invece seminare la foresta è molto più
semplice: basta raccogliere le ghiande in autunno e piantarle in un buco fatto
con un bastoncino a punta.
Il vero equilibrio della natura, comunque, non parte dalla
pianta, ma dal cespuglio, di ginepro o rosa canina, per poi inserire piano
piano meli e peri che crescono dai semi che disseminano gli uccelli. L’uomo
deve però intervenire in questo lavoro della natura: se non lo fa la vitalba
devasta tutto, per cui fino a che la foresta o il bosco non sarà diventata
forte abbastanza da curarsi da sé, deve pensarci l’uomo. La vitalba va tagliata
almeno due volte l’anno, altrimenti danneggia le piante. Ci sono un sacco di
carcerati che potrebbero curare il bosco e i ruscelli, potrebbero essere di
grande utilità nel mantenimento del territorio, invece vengono lasciati dentro
le prigioni.
A parte il pascolo, qui a Mogliazze abbiamo orti e un
frutteto abbastanza grosso però anche quello con il cambiamento del clima ne ha
risentito: basta una brinata ad aprile per seccare tutta la fioritura. Due anni
fa, invece, ad esempio, non sapevamo dove mettere le mele.
Dal punto di vista economico, inoltre, abbiamo capito che è
meglio produrre poche cose e trasformarle: siamo tra i pochissimi a fare la
marmellata di bacche di rosa canina, una risorsa incredibile di vitamina C, le
persone vanno a comperare le arance pensando che ci sia vitamina C, invece c’è
ne pochissima (in proporzione in una verza ce n’è il doppio o il triplo). Le
bacche di rosa canina sono l’unico frutto che resiste al gelo e al ghiaccio: la
marmellata che facciamo noi credo che sia più unica che rara, non ne esiste in
commercio una così concentrata. E invece oggi la bacca di rosa canina è uno
degli alimenti dimenticati, che solo gli uccelli mangiano. Un altro alimento
dimenticato è la bacca di ginepro: nei decenni passati i contadini
raccoglievano grosse quantità di bacche di ginepro, invece adesso le mangiano
solo gli uccelli, così come le bacche di pruno di biancospino. Questa è la
frutta che la natura ha messo ha disposizione per gli uomini: le bacche, in
grado di crescere anche a parecchi gradi sotto zero come avviene in Nord
Europa.
Quante persone vivono a Mogliazze?
Le persone che vivono a Mogliazze sono sempre variabili,
adesso tra persone che lavorano e vivono qui e coloro che vengono a dare una
mano sono 7 o 8. Decisamente pochi. Qui
in passato ci stavano una cinquantina di persone tra bambini, adulti e vecchi.
Tutto l’Appennino era pieno di gente, veniva accudito: le persone vivevano in
delle catapecchie ma intorno il bosco dell’Appennino era un giardino, adesso
che invece hanno costruito delle regge, fuori è tutto lasciato andare.
Fonte: srs di
Francesco Rosso, da Vivi Consapevole del 20 febbraio 2013
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