martedì 30 aprile 2013

QUELLE CONSORTERIE RISERVATE DI ENRICO LETTA




di Valerio Valentini (@valentinivaler)

Tra i tanti cambiamenti che questa fase di rinnovamento avrebbe dovuto portare “per riavvicinare il Palazzo ai cittadini”, ci si sarebbe potuti attendere soprattutto una cosa: che mai più un alto rappresentante dello Stato appartenesse a consorterie riservate. E invece, ancora una volta, tocca constatare che in Italia tutto cambia affinché tutto rimanga esattamente com’è. Terminata la sciagurata esperienza del governo tecnico, presieduto da quel Mario Monti membro del Bilderberg, dell’Aspen e della Commissione Trilaterale, si è passati al governo di Enrico Letta. Che sarà anche giovane, ma ha la stessa abitudine del suo anziano predecessore a frequentare le combriccole di illuminati, nelle quali si discute di tematiche politiche ed economiche rigorosamente “a porte chiuse”.

Enrico Letta, infatti, è membro di Aspen Italia, la succursale nostrana dell’Aspen Institute, un’organizzazione no-profit fondata nel 1950 da un gruppo di imprenditori e affaristi di Chicago sotto la guida di Walter Paepcke. L’obiettivo dichiarato dell’Aspen è, fin dalla sua fondazione, quello di “promuovere una leadership illuminata, un’ampia diffusione di idee e valori validi in ogni tempo e un dialogo di ampio respiro sulle tematiche contemporanee”. Aspen Italia invece è nata nel 1984 e a fondarla ha contribuito principalmente Gianni Letta, l’eterno sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei governi Berlusconi. Ne è presidente Giulio Tremonti, mentre il vicepresidente è proprio il futuro primo ministro italiano, quell’Enrico Letta che sembra tenace e determinato nel non voler sfigurare di fronte a suo zio.
Tra l’altro non è a tutti noto che la carica di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio è quella che gestisce sottobanco tutte i panni sporchi, mentre l’uomo front-end gira per convegni e conferenze stampa. In altre parole, è a questa carica ombra che relazionano i servizi segreti. E chi si è preso, costantemente, tutti i sottosegretariati alla Presidenza del Consiglio, dai primi governi Berlusconi ad oggi? In dipendenza dal colore politico, due nomi: Gianni Letta e Enrico Letta, che si sono avvicendati l’uno all’altro in un’eterna ruota della (s)fortuna. Se volete sapere qualcosa, qualsiasi cosa sui segreti che sono custoditi nei fascicoli ufficialmente inesistenti, dovete chiedere alla famiglia Letta. Magari sanno anche se la vostra fidanzata vi tradisce.

Ma andiamo avanti. Scorrendo l’elenco del Comitato Esecutivo Aspen, si trovano tuttavia altri nomi davvero interessanti, appartenenti al mondo della politica, del giornalismo, dell’imprenditoria e dell’economia: si va da Giuliano Amato a Lucia Annunziata, da Fedele Confalonieri a Umberto Eco, da John Elkann a Jean-Paul Fitoussi, da Franco Frattini a Emma Marcegaglia, da Paolo Mieli a Lorenzo Ornaghi, da Mario Monti a Romano Prodi. Anche tra i “Soci sostenitori” di Aspen figura gran parte del gotha economico-finanziario italiano (sia pubblico che privato) e internazionale: Acea, Brembo, Aeroporti di Roma, Mondadori, Allianz, Assicurazioni Generali, decine di banche (tra cui MPS, BNL, UniCredit, Popolare di Milano, Credit Suisse, Deutsche Bank), Confindustria, la Cassa Depositi e Prestiti, Ferrovie dello Stato, Fiat, Fincantieri, Finmeccanica, Impregilo, Lottomatica, Mediaset, la Rai, RCS, Google, Microsoft Italia ecc.

Quali sono  gli obiettivi che Aspen Italia persegue?
“L’internazionalizzazione della leadership imprenditoriale, politica e culturale del Paese attraverso un libero confronto tra idee e provenienze diverse per identificare e promuovere valori, conoscenze e interessi comuni”. Il tutto, ovviamente, attraverso “il confronto e il dibattito a porte chiuse”, come la stessa organizzazione ci tiene a specificare: “attorno al tavolo Aspen discutono leader del mondo industriale, economico, finanziario, politico, sociale e culturale in condizioni di assoluta riservatezza e di libertà espressiva”.

Ora, è evidente che finché non vengono dichiarate illegali, tutte le associazioni hanno diritto di esistere, e di essere frequentate da chi vi è ammesso. Ed è altrettanto indiscutibile che “riservatezza” non è sinonimo di massoneria deviata o terrorismo occulto. Tuttavia, il problema qui non è di tipo legale: il problema è politico.
Può un ministro della Repubblica, o addirittura un Presidente del Consiglio, partecipare a riunioni riservate, in cui si affrontano temi di importanza strategica per il Paese, senza renderne conto al popolo? E chi ci garantisce che la sua attività di servitore dello Stato non venga condizionata dalle decisioni prese all’interno di quelle consorterie di cui non si sa praticamente nulla, se non che esistono?
Tra l’altro, ad ogni persona dotata di un minimo di spirito critico il sospetto sorge spontaneo: praticamente, se si esclude D’Alema, tutti i premier dal 1996 a oggi (Amato, Prodi, Monti, Enrico Letta) sono membri del Comitato Esecutivo di Aspen, a cui vanno aggiunti ben 4 ministri o strettissimi collaboratori (Gianni Letta, Confalonieri, Frattini, Tremonti) dell’altro principale protagonista dell’ultimo ventennio italiano, Silvio Berlusconi. Delle due l’una: o Aspen Italia è infallibile nel reclutare le persone giuste nel momento giusto, oppure, forse, la capacità di influenzare le scelte politiche del nostro Paese gli va riconosciuta.

Non siete ancora convinti? Allora date un’occhiata alla lista dei membri di VeDrò, il think thank di Letta che ogni anno si riunisce a Dro, nel trentino. Toh, ci sono sia il neo Ministro per l’Agricoltura Nunzia De Girolamo, fedelissima di Berlusconi ma anche del marito piddino Francesco Boccia (fedelissimo a sua volta di Enrico Letta, per la serie “tutto in famiglia“), sia il neo Ministro per l’Ambiente Andrea Orlando, ma anche il vice designato di Letta, quell’Angelino Alfano che sembra stare a Berlusconi come Ambra Angiolini stava a Boncompagni, e pure il nuovo sottosegretario alla presidenza del consiglio Filippo Patroni Griffi, così come il nuovo Ministro per lo sport Josefa Idem, e pure il neo Ministro per le infrastrutture e per i Trasporti Maurizio Lupi. Mamma mia quante singolari coincidenze! E quella è solo la lista palese (forse anche da aggiornare)…

Fonte:  srs di di Valerio Valentini,  visto su Bioblu del  28 aprile 2013


NEGLI USA L'ACQUA NON È PIÙ DI TUTTI MA... DI QUALCUN ALTRO… ORA È REATO RACCOGLIERE ACQUA PIOVANA




Ricordiamoci che la Mafia nacque storicamente col controllo dei pozzi in Sicilia e quando è un governo a farlo non è meno riprovevole o criminale.
Attenzione perché sta succedendo progressivamente anche da noi ad opera delle privatizzazioni.

La trasformazione della nazione da terra di libertà a terra di schiavitù

Molte delle libertà di cui godiamo qui negli Stati Uniti si stanno velocemente sgretolando, ma quello che voglio condividere con voi sferra un assalto alle nostre libertà a un livello completamente diverso. Molti stati occidentali, inclusi Utah, Washington e Colorado hanno vietato alle persone di raccogliere l’acqua piovana nelle loro stesse proprietà, perché ufficialmente “appartiene a qualcun altro”. Anche se questo sembra bizzarro le leggi che limitano i privati nel raccogliere l’acqua nelle loro case e terre sono state oggetto di discussione per molto tempo negli stati occidentali. Ma solo recentemente, a causa degli aumenti di siccità e interessi nei metodi di conservazione dell’acqua, le persone hanno incominciato a sbattere le proprie teste contro l’inasprimento delle leggi che riguardano la pratica della raccolta dell’acqua piovana per utilizzo personale. In Utah è illegale raccogliere l’acqua piovana senza una concessione valida e Mark Miller della Mark Miller Toyota lo ha imparato a sue spese: dopo aver costruito nella sua concessione un grande sistema per il collezionamento dell’acqua da utilizzare per lavare le macchine, Miller scoprì che il suo progetto era “un’illegale raccolta di acqua piovana”. Anche se collezionare acqua piovana ha un logico senso di conservazione, visto che nello Utah la pioggia è scarsa, questa viene considerata una violazione dei diritti sull’acqua che apparentemente sono esclusivi di enti governativi dello Utah.

Articolo tradotto da Ivan Ingrillì
fonte : http://www.laleva.org/
Redatto da Pjmanc, http:/ ilfattaccio

Fonte: visto su  Info  Archivio di venerdì 29 giugno 2012
Fonte: visto su TERRA REAL TIME, del  30 aprile 2013


A COSA SERVE LA CACCIA ALL’EVASORE? A MANTENERE I “BARBIERI STATALI”




di GIAN LUIGI LOMBARDI CERRI

Per distrarre l’attenzione dei cittadini dai reali problemi del paese (e non solo, come vedremo più avanti) si scatena la caccia all’evasore. Ad ogni piè sospinto la colpa dei nostri guai è degli evasori. Quanto è fondata questa teoria? Vediamolo attraverso un piccolo, ma significativo, esempio. Vado dal barbiere e mi faccio fare shampoo, barba e capelli. Alla fine pago il conto. Il barbiere mi chiede X. Se avessi pagato in nero avrei, come minimo, risparmiato il 21 %, il che significa che il rientro dall’evasione lo pago io, modesto cittadino di serie B.

Completiamo l’esempio. Immaginiamo che il servizio di cui sopra venga reso dallo Stato, invece che dal privato. Questo porta subito a vedere che nel negozio del barbiere, invece di esserci una sola persona gli addetti diventano due  (come succede in tutti gli uffici pubblici). I due sostituti del singolo privato, immediatamente, prevedono che il sottoscritto debba compilare una serie di moduli di domanda; uno per lo shampoo, uno per il taglio barba, uno per il taglio capelli corredando questi moduli con un certificato di nascita, un certificato antimafia (tra parentesi mi piacerebbe vedere un certificato antimafia compilato da un mafioso in cui il “correttissimo cittadino” dichiara di appartenere all’onorata società) e, come minimo, anche un certificato di residenza, il tutto a sportelli diversi, con impiegati diversi e in tempi diversi.

Tutto questo con abbondanti perdite di tempo e di denaro. (ecco uno dei punti fondamentali dove tagliare i costi). Questo farebbe sì che il conto passerebbe dai 20-30 € a 250-300 €, come regolarmente avviene per tutti i servizi pubblici. A che cosa serve, quindi, il recupero dall’evasione? Semplice: a pagare e mantenere un numero crescente di “barbieri statali”. Perché? Perché i casi sono solamente due. O l’obbiettivo è quello di fare gli interessi dei cittadini “pagatori di tasse” , oppure quello di mantenere un’ampia casta di fancazzisti, oltretutto incapaci. Riteniamo che l’obbiettivo vigente sia il secondo. Il tutto funziona oggi secondo il seguente meccanismo:

1.- La casta ha in mano le armi (non solo  metaforiche) e provvede, nel frattempo, a cercar di privare i pagatori di tasse anche del più piccolo temperino (non si sa mai).

2.- La casta ha la stessa convinzione di Luigi XVI quando chiese al suo ministro Neckar: “Aumentando le tasse i cittadini fanno la rivoluzione?”. E dopo una risposta incerta del Ministro rispose: “Allora aumenti”.

3.- La casta sa che, una volta aumentate le tasse, non tornerà più indietro per ridurle, ma solo a cambiarne la denominazione (vedasi la tassa sulla guerra di Etiopia).

4.- La casta sa che tra riorganizzare sé stessa riducendo i costi ed aumentare le tasse per mantenere le proprie crescenti spese, la seconda opzione le risulta infinitamente la più comoda.

5.- La casta, come diceva Longanesi, è “buona a nulla, ma capace di tutto” e, quindi mette in moto continuamente la sua fervida fantasia per inventare promesse (che non manterrà mai in base al dettame che si è preoccupata di inserire subito nella “più bella costituzione del mondo”) e giustificazioni fasulle.

6.- La casta, salvo poche eccezioni, è incapace di installare e gestire un accettabile livello di organizzazione (se non per beccare soldi), anche ( e soprattutto) perché non è mai stata istruita adeguatamente al proposito (posto che abbia la capacità di imparare).

Abbiamo più sopra detto che una delle giustificazioni ricorrenti, in questo periodo, è quella degli evasori, onde risolvere i problemi italici. Ed è una bella invenzione, poiché le possibilità di impiego del recupero dell’evasione sono solo:

a.- Se il maggior recupero viene utilizzato per ridurre le tasse vigenti, il bilancio generale dello Stato rimane immutato, quindi decolla l’economia, ma il debito rimane alto.

b.- Se il maggior recupero va a coprire le maggiori spese allora aumenta ulteriormente la già elevatissima pressione fiscale, evitando però alla casta il taglio delle spese superflue, cosa che la danneggerebbe non poco.

E’ stato quindi doveroso (ahimè data la situazione semi fallimentare in cui si trova da decenni l’Italia) aumentare il carico fiscale, ma ancora più doveroso (nonché utile) sarebbe il taglio delle spese inutili e insieme, di grandissimo rilievo, la totale riorganizzazione dello Stato, fatta tuttavia non dai burocrati, a causa della loro già più volte provata incapacità culturale. Vogliamo un esempio (scelto tra migliaia) della costosissima disorganizzazione dello Stato? Eccola!

Quando il ministro Fornero ha chiesto all’INPS quanti pensionati (futuri esodati) sarebbero stati interessati dal suo provvedimento, gli è stata fornita una cifra. Il ministro sostiene che la cifra ammontava a 50.000 mentre il presidente INPS sostiene di aver comunicato 150.000. In entrambi i casi uno dei due personaggi (non essendo stato in gradi di fornire o di interpretare i dati) dovrebbe essere inviato all’agricoltura a spalare letame (e perché non tutti e due?). Guardate leggi e regolamenti. Sono il frutto di una mentalità a cavatappi dove le cose semplici vengono rese complicatissime, per cui non solo non riescono ad evitare le frodi, (anzi in molti casi le favoriscono), ma rendono impossibile e costosa la vita di chi le leggi vorrebbe rispettare. Questo perché?

Semplicemente perché non vi è travaso di persone (e di esperienze) tra impiego pubblico ed impiego privato, e quindi i burocrati sono privi di un bagaglio di esperienza fondamentale: quello di dover quotidianamente (pena il licenziamento) rispondere delle conseguenze del proprio operare.

Fonte: srs di GIAN LUIGI LOMBARDI CERRI, da L’Indipendenza del  30 aprile 2013


ECCO LO YACHT DI RICCARDO BOSSI: È IN TUNISIA, TROVATO NELL'ESCLUSIVA MARINA DI PORT EL KANTAOUI


La barca da 2,5 milioni che per il gip fu comprata con soldi della Lega. Il proprietario? Basta far vedere la foto di Riccardo Bossi

PORT EL KANTAOUI (TUNISIA) - Lo «yacht del valore di 2,5 milioni di euro» che Riccardo Bossi, primogenito del fondatore della Lega Nord Umberto, per il gip di Milano «avrebbe acquistato avvalendosi di un prestanome e grazie a un'ulteriore appropriazione indebita di Belsito», esiste davvero. Il Corriere della Sera lo ha trovato in Tunisia, a Port El Kantaoui, a una settantina di chilometri a sud di Hammamet, la città dove è sepolto Bettino Craxi.

Lunghezza 21,01 metri, due motori da 1.550 cavalli, 45,58 tonnellate di stazza, tre cabine lussuose e tre bagni per 6 persone più due membri dell'equipaggio, scafo blu-notte e bianco, ponti in teak, due potenti moto d'acqua nella stiva: è la «Stella», la barca più ammirata a Port El Kantaoui dove per tutti è lo yacht di Riccardo Bossi, quello che sarebbe stato pagato con i soldi sottratti ai finanziamenti elettorali della Lega Nord e che il giudice Gianfranco Criscione mette al centro degli ultimi affari dell'ex tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito, e del procacciatore d'affari Romolo Giradeli.  Sono stati entrambi arrestati il 24 aprile con altri due per associazione per delinquere in una costola dell'inchiesta dei pm milanesi Paolo Filippini e Roberto Pellicano, coordinata dall'aggiunto Alfredo Robledo, sull'uso di 18 milioni di fondi elettorali della Lega che vede indagati Belsito e Umberto Bossi per truffa ai danni dello Stato.

Un'informativa della Guardia di finanza ipotizzava si potesse trattare di una barca battente bandiera inglese costruita nei cantieri inglesi Sunseeker e che fosse stata ormeggiata per un po' in un porto della Costa azzurra, ma c'era chi addirittura dubitava della sua esistenza. Invece c'è ed è ormeggiata nella banchina sud di Port El Kantaoui, proprio di fronte al ristorante «Mediterranee».

Dicono i pescatori locali che nel porto di El Kantaoui, considerata una delle mete più esclusive della costa orientale della Tunisia, più di una della magnifiche imbarcazioni da milioni di euro ormeggiate tutto l'anno appartenga a quella che loro genericamente chiamano la «Mafia» italiana, per dire gente misteriosa e poco raccomandabile. Costi di rimessaggio bassi (anche la metà di quelli italiani), discrezione e riservatezza fanno di questa «marina» il posto ideale per coloro che non vogliono farsi notare, tra i quali non mancano molti armatori onesti. Anche da qui nei giorni caldi e pericolosi della primavera araba fuggirono quegli stessi natanti che esponenti della Lega Nord volevano «mitragliare» per impedire che raggiungessero le coste italiane.

I documenti trovati dal Corriere della Sera in Tunisia confermano che si tratta di uno yacht Sunseeker, modello «Predator 72», immatricolato il 21 luglio 2008 con il numero 914674 e il nome di «Stella delta».  Ha attraccato qui il 16 marzo 2012, mentre in Italia infuriava lo scandalo sui fondi della Lega finiti nella sede di Cipro della banca della Tanzania e, si accerterà poco dopo, usati anche per pagare spese della famiglia Bossi. Doveva stare tre mesi, invece è ancora lì.

Dalle carte emerge che lo yacht appartiene alla società «Stella luxury charter ltd» fondata nel 2007 in Inghilterra, dove ha sede con un patrimonio in beni di oltre un milione e 172mila sterline. Le sue azioni sono possedute da un imprenditore italiano che corre in auto, come Riccardo Bossi, nelle serie minori. La documentazione dice anche che prima di ormeggiare in Tunisia la barca era stata in Sardegna proveniente dal porto di Mentone (Francia). A terra quel 16 marzo scesero due donne e quattro uomini, tra i quali «Bossi Riccardo, nato il 6 maggio 1979, italiano», e il socio unico della «Stella Luxury», definito «utilizzatore» dell'imbarcazioni, colui che paga anche circa novemila euro l'anno per lo stazionamento in banchina.

Almeno tre persone confermano altre presenze di Riccardo Bossi a bordo. Testimoni diversi che, solo sotto garanzia dell'anonimato, raccontano che sul molo tutti sanno che è il figlio di un uomo «molto potente in Italia». Basta far vedere la foto di Riccardo Bossi e arriva la conferma: «È lui, al mille per cento. Ha un'aquila sulla schiena», afferma con decisione il primo testimone, uno che lavora qui intorno da anni e conosce tutto e tutti. Ed infatti Bossi jr. si è fatto tatuare una vistosa aquila sulla schiena. «Viene sempre con ragazze diverse, belle e giovani, sui vent'anni. Va in giro mettendo in mostra il fisico e tratta tutti in modo brusco. Lui comanda come fosse il padrone, l'altro (l'utilizzatore, ndr ) sembra ubbidire. Qualche volta prende la moto d'acqua e se ne va in giro a tutta velocità». L'uomo sulle prime non parla volentieri, poi si scioglie: «Bisogna stare attenti, io sono un uomo timorato di Dio e onesto. Non nascondo mai la verità». Bossi non ha lasciato un buon ricordo neppure a Mentone, dove «Stella» è stata ormeggiata un paio di anni fino al 2012.

Un altro testimone, sempre dietro l'anonimato, racconta di battibecchi tutte le volte che con la moto d'acqua faceva lo slalom la tra le barche ormeggiate a Cap Martin, uno degli scorci più belli della zona: «Abbiamo protestato, minacciato di chiamare la guardia costiera. La risposta è stata un dito medio alzato». E rude Riccardo Bossi lo è anche al telefono con il cronista che gli chiede se vuol parlare dello yacht: «Non ho niente da dire, non mi può interessare quello che ha da dirmi». Nell'ultima settimana non ha mai sentito la necessità di smentire la storia della barca, a differenza di Belsito che ai pm avrebbe detto di non saperne nulla. A Port El Kantaoui dicono che da un paio di mesi «Stella» è in vendita, pare per una cifra tra 1,1 e 1,6 milioni. Per tutto il giorno sulla barca non è salito nessuno, nemmeno l'uomo addetto alla pulizia. Dallo scafo è anche sparito il numero di matricola.
(Giuseppe Guastella)

Fonte. srs di Giuseppe Guastella, da Il Corriere della Sera del  30 aprile 2013