C'è chi ignora tutto cio' e festeggia il 150° anniversario dell'unità d'italia.. I NOSTRI MORTI MERITANO RISPETTO!
Questa è la storia di Fenestrelle(primo lager europeo), questa è una storia che i nostri colonizzatori hanno voluto cancellare, dimenticare... ma NOI NON DIMENTICHIAMO:
5212 condanne
a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti.
Queste le cifre della repressione consumata all'indomani dell'Unità
d'Italia dai Savoia.
La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle
popolazioni meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo
Minghetti del 15 agosto 1863 "… per la repressione del brigantaggio nel
Meridione"[1].
Questa legge istituiva, sotto l'egida savoiarda, tribunali di guerra
per il Sud ed i soldati ebbero carta bianca, le fucilazioni, anche di vecchi,
donne e bambini, divennero cosa ordinaria e non straordinaria. Un genocidio la
cui portata è mitigata solo dalla fuga e dall'emigrazione forzata, nell'inesorabile
comandamento di destino: "O briganti, o emigranti".
Lemkin, che ha definito
il primo concetto di genocidio, sosteneva:
"… genocidio non
significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione…esso intende
designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i
fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali. Obiettivi di un piano
siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali,
della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e della
vita economica dei gruppi nazionali e la distruzione della sicurezza personale,
della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli
individui…non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del
gruppo nazionale".
Deportazioni, l'incubo della reclusione, persecuzione della Chiesa
cattolica, profanazioni dei templi, fucilazioni di massa, stupri, perfino
bambine (figlie di "briganti") costretti ai ferri carcerari.
Una pagina non ancora scritta è quella relativa alle carceri in cui
furono rinchiusi i soldati "vinti".
Il governo piemontese dovette affrontare il problema dei
prigionieri, 1700 ufficiali dell'esercito borbonico (su un giornale satirico
dell'epoca era rappresentata la caricatura dell'esercito borbonico: il soldato
con la testa di leone, l'ufficiale con la testa d'asino, il generale senza
testa) e 24.000 soldati, senza contare quelli che ancora resistevano nelle
fortezze di Gaeta, Messina e Civitella del Tronto.
Ma il problema fu risolto con la boria del vincitore, non con la
pietas che sarebbe stata più utile, forse necessaria.
Un primo tentativo di risolvere il problema ci fu con il decreto del
20 dicembre 1860, anche se le prime deportazioni dei soldati duosiciliani
incominciarono già verso ottobre del 1860, in quanto la resistenza duosiciliana
era iniziata con episodi isolati e non coordinati nell'agosto del 1860, dopo lo
sbarco dei garibaldini e dalla stampa fu presentata come espressione di
criminalità comune.
Il decreto chiamava alle armi gli uomini che sarebbero stati di leva
negli anni dal 1857 al 1860 nell'esercito delle Due Sicilie, ma si rivelò un
fallimento. Si presentarono solo 20.000 uomini sui previsti 72.000; gli altri
si diedero alla macchia e furono chiamati "briganti".
(nel '43, dopo l'8 settembre, accadde quasi la stessa cosa, ma dato
che vinsero (gli anglo-americani) la lotta la chiamarono di "resistenza" , e gli uomini "partigiani". Ndr.)
A migliaia questi uomini furono concentrati dei depositi di Napoli o
nelle carceri, poi trasferiti con il decreto del 20 gennaio 1861, che istituì
"Depositi d'uffiziali d'ogni arma
dello sciolto esercito delle Due Sicilie".
La Marmora ordinò ai
procuratori di "non porre in libertà
nessuno dei detenuti senza l'assenso dell'esercito".
Per la maggior parte furono stipati nelle navi peggio degli animali
(anche se molti percorsero a piedi l'intero tragitto) e fatti sbarcare a
Genova, da dove, attraversando laceri ed affamati la via Assarotti, venivano
smistati in vari campi di concentramento istituiti a Fenestrelle, S. Maurizio
Canavese, Alessandria, nel forte di S. Benigno in Genova, Milano, Bergamo,
Forte di Priamar presso Savona, Parma, Modena, Bologna, Ascoli Piceno ed altre
località del Nord.
Presso il Forte di Priamar fu relegato l'aiutante maggiore Giuseppe Santomartino, che difendeva la
fortezza di Civitella del Tronto. Alla caduta del baluardo abruzzese,
Santomartino fu processato dai (vincitori) Piemontesi e condannato a morte. In
seguito alle pressioni dei francesi la condanna fu commutata in 24 anni di
carcere da scontare nel forte presso Savona. Poco dopo il suo arrivo, una
notte, fu trovato morto, lasciando moglie e cinque figli. Si disse che aveva
tentato di fuggire. Un esempio di morte sospetta su cui non fu mai aperta un'inchiesta
per accertare le vere cause del decesso.
In quei luoghi, veri e propri lager, ma istituiti per un trattamento
di "correzione ed idoneità al servizio", i prigionieri, appena
coperti da cenci di tela, potevano mangiare una sozza brodaglia con un po' di
pane nero raffermo, subendo dei trattamenti veramente bestiali, ogni tipo di
nefandezze fisiche e morali.
Per oltre dieci anni, tutti quelli che venivano catturati, oltre
40.000, furono fatti deliberatamente morire a migliaia per fame, stenti, maltrattamenti
e malattie.
Quelli deportati a Fenestrelle [2], fortezza situata a quasi duemila
metri di altezza, sulle montagne piemontesi, sulla sinistra del Chisone,
ufficiali, sottufficiali e soldati (tutti quei militari borbonici che non
vollero finire il servizio militare obbligatorio nell'esercito sabaudo, tutti
quelli che si dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II, quelli che
giurarono aperta resistenza ai piemontesi) subirono il trattamento più feroce.
Fenestrelle (nella foto di apertura) più che un forte, era un
insieme di forti, protetti da altissimi bastioni ed uniti da una scala, scavata
nella roccia, di 4000 gradini. Era una ciclopica cortina bastionata cui la
naturale asperità dei luoghi ed il rigore del clima conferivano un aspetto sinistro.
Faceva tanto spavento come la relegazione in Siberia. I detenuti tentarono
anche di organizzare una rivolta il 22 agosto del 1861 per impadronirsi della
fortezza, ma fu scoperta in tempo ed il tentativo ebbe come risultato
l'inasprimento delle pene con i più costretti con palle al piede da 16 chili,
ceppi e catene.
Erano stretti insieme assassini, sacerdoti, giovanetti, vecchi,
miseri popolani e uomini di cultura. Senza pagliericci, senza coperte, senza
luce. Un carcerato venne ucciso da una sentinella solo perché aveva proferito
ingiurie contro i Savoia. Vennero smontati i vetri e gli infissi per rieducare
con il freddo i segregati. Laceri e poco nutriti era usuale vederli appoggiati
a ridosso dei muraglioni, nel tentativo disperato di catturare i timidi raggi
solari invernali, ricordando forse con nostalgia il caldo di altri climi
mediterranei.
Spesso le persone imprigionate non sapevano nemmeno di cosa fossero
accusati ed erano loro sequestrati tutti i beni. Spesso la ragione per cui
erano stati catturati era proprio solo per rubare loro il danaro che
possedevano. Molti non erano nemmeno registrati, sicché solo dopo molti anni
venivano processati e condannati senza alcuna spiegazione logica.
Pochissimi riuscirono a sopravvivere: la vita in quelle condizioni,
anche per le gelide temperature che dovevano sopportare senza alcun riparo, non
superava i tre mesi. E proprio a Fenestrelle furono vilmente imprigionati la
maggior parte di quei valorosi soldati che, in esecuzione degli accordi
intervenuti dopo la resa di Gaeta, dovevano invece essere lasciati liberi alla
fine delle ostilità.
Dopo sei mesi di eroica resistenza dovettero subire un trattamento
infame che incominciò subito dopo essere stati disarmati, venendo derubati di
tutto e vigliaccamente insultati dalle truppe piemontesi.
La liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi (non erano
ancora in uso i forni crematori) venivano disciolti nella calce viva collocata
in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all'ingresso del
Forte. Una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo,
affinché non restassero tracce dei misfatti compiuti. Ancora oggi, entrando a
Fenestrelle, su un muro è ancora visibile l'iscrizione:
"Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce".
(ricorda molto la scritta dei lager nazisti )
Non era più gradevole il campo impiantato nelle "lande di San Martino" presso
Torino per la "rieducazione" dei militari sbandati, rieducazione che
procedeva con metodi di inaudita crudeltà. Così, in questi luoghi terribili, i
fratelli "liberati", maceri, cenciosi, affamati, affaticati, venivano
rieducati e tormentati dai fratelli "liberatori".
Altre migliaia di "liberati" venivano confinati nelle
isole, a Gorgonia, Capraia, Giglio, all'Elba, Ponza, in Sardegna, nella Maremma
malarica. Tutte le atrocità che si susseguirono per anni sono documentate negli
Atti Parlamentari, nelle relazioni delle Commissioni d'Inchiesta sul
Brigantaggio, nei vari carteggi parlamentari dell'epoca e negli Archivi di
Stato dei capoluoghi dove si svolsero i fatti.
Francesco Proto Carafa,
duca di Maddaloni, sosteneva in Parlamento:
"Ma che dico di un
governo che strappa dal seno delle famiglie tanti vecchi generali, tanti
onorati ufficiali solo per il sospetto che nutrissero amore per il loro Re
sventurato, e rilegagli a vivere nelle fortezze di Alessandria ed in altre
inospitali terre del Piemonte…Sono essi trattati peggio che i galeotti. Perché
il governo piemontese abbia a spiegar loro tanto lusso di crudeltà? Perché
abbia a torturare con la fame e con l'inerzia e la prigione uomini nati in
Italia come noi?".
Ma della mozione presentata non fu autorizzata la pubblicazione
negli Atti Parlamentari, vietandosene la discussione in aula [3].
Il generale Enrico Della
Rocca, che condusse l'assedio di Gaeta, nella sua autobiografia riporta una
lettera alla moglie, in cui dice: "Partiranno,
soldati ed ufficiali, per Napoli e Torino...", precisando, a proposito
della resa di Capua, "...le truppe furono avviate a piedi a Napoli per
essere trasportate in uno dei porti di S.M. il Re di Sardegna. Erano 11.500
uomini" [4].
Alfredo Comandini, deputato
mazziniano dell'età giolittiana, che compilò "L'Italia nei Cento Anni (1801-1900) del secolo XIX giorno per giorno
illustrata", riporta un'incisione del 1861, ripresa da "Mondo
Illustrato" di quell'anno, raffigurante dei soldati borbonici detenuti nel
campo di concentramento di S. Maurizio, una località sita a 25 chilometri da
Torino. Egli annota che, nel settembre del 1861, quando il campo fu visitato
dai ministri Bastogi e Ricasoli, erano detenuti 3.000 soldati delle Due Sicilie
e nel mese successivo erano arrivati a 12.447 uomini.
Il 18 ottobre 1861 alcuni prigionieri militari e civili capitolati a
Gaeta e prigionieri a Ponza scrissero a Biagio
Cognetti, direttore di "Stampa Meridionale", per denunciare lo
stato di detenzione in cui versavano, in palese violazione della Capitolazione,
che prevedeva il ritorno alle famiglie dei prigionieri dopo 15 giorni dalla
caduta di Messina e Civitella del Tronto ed erano già trascorsi 8 mesi.
Il 19 novembre 1860 il generale Manfredo
Fanti inviava un dispaccio al Conte di Cavour chiedendo di noleggiare
all'estero dei vapori per trasportare a Genova 40.000 prigionieri di guerra.
Cavour così scriveva al luogotenente Farini due giorni dopo:
"Ho pregato La Marmora di
visitare lui stesso i prigionieri napoletani che sono a Milano” (Fonte:
lettera di Cavour a Farini, luogotenente a Napoli, datata 21 novembre 1860, n.
2551 vol. III:) ammettendo, in tal modo, l'esistenza di un altro campo di
prigionia situato nel capoluogo lombardo per ospitare soldati napoletani.
Questa la risposta del La Marmora:
"…non ti devo lasciar
ignorare che i prigionieri napoletani dimostrano un pessimo spirito. Su 1600
che si trovano a Milano non arriveranno a 100 quelli che acconsentono a
prendere servizio. Sono tutti coperti di rogna e di verminia…e quel che è più
dimostrano avversione a prendere da noi servizio. Jeri a taluni che con
arroganza pretendevano aver il diritto di andare a casa perché non volevano
prestare un nuovo giuramento, avendo giurato fedeltà a Francesco Secondo, gli
rinfacciai altamente che per il loro Re erano scappati, e ora per la Patria
comune, e per il Re eletto si rifiutavano a servire, che erano un branco di
car…che avessimo trovato modo di metterli alla ragione".
Le atrocità commesse dai Piemontesi si volsero anche contro i
magistrati, i dipendenti pubblici e le classi colte, che resistettero
passivamente con l'astensione ai suffragi elettorali e la diffusione ad ogni
livello della stampa legittimista clandestina contro l'occupazione savoiarda.
Particolarmente eloquente è anche un brano tratto da Civiltà
Cattolica:
"Per vincere la
resistenza dei prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia,
si ebbe ricorso ad un espediente crudele e disumano, che fa fremere. Quei
meschinelli, appena coperti da cenci di tela, rifiniti di fame perché tenuti a
mezza razione con cattivo pane ed acqua ed una sozza broda, furono fatti
scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e d'altri luoghi posti nei più
aspri luoghi delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce,
come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri
schiavi, a spasimare di fame e di stento per le ghiacciaie".
Ancora possiamo leggere dal diario del soldato borbonico Giuseppe Conforti, nato a Catanzaro il 14.3.1836
(abbreviato per amor di sintesi):
"Nella mia uscita fu
principio la guerra del 1860, dopo questa campagna che per aver tradimenti si
sono perduto tutto e noi altri povere soldati manggiando erba dovettimo
fuggire, aggiunti alla provincia della Basilicata sortí un prete nemico di Dio
e del mondo con una porzione di quei giudei e ci voleva condicendo che
meritavamo di essere uccisi per la federtà che avevamo portato allo notro
patrone. Ci hanno portato innanzi a un carnefice Piemontesa condicendo perché
aveva tardato tanto ad abbandonare quell'assassino di Borbone. Io li sono
risposto che non poteva giammai abbandonarlo perché aveva giurato fedeltà a lui
e lui mi à ditto che dovevo tornare indietro asservire sotto la Bandiera d'
Italia. Il terzo giorno sono scappato, giunto a Girifarchio dove teneva mio
fratello sacerdote vedendomi redutto a quello misero stato e dicendo mal del
mio Re io li risposi che il mio Re no aveva colpa del nostri patimenti che sono
stato le nostri soperiori traditori; siamo fatto questioni e lo sono lasciato".
"Allo mio paese sono
stato arrestato e dopo 7 mesi di scurre priggione mi anno fatto partire per il
Piemonte. Il 15 gennaio del 1862 ci anno portato affare il giuramento, in
quello stesso anno sono stato 3 volte all'ospidale e in pregiona a pane e
accua. Principio del 1863 fuggito da sotto le armi di vittorio, il 24 sono
giunto in Roma, il giorno 30 sono andato alludienza del mio desiderato e amato
dal Re', Francesco 2 e li ò raccontato tutti i miei ragioni"[5].
Vittorio Emanuele II, il re vittorioso...
...e Francesco II, il re vinto, nella fortezza di Gaeta
Un ulteriore passo avanti nella studio di questa fase poco
"chiara" del post unificazione è stato fatto recentemente, quando un
ricercatore trovò dei documenti presso l'Archivio Storico del Ministero degli
Esteri attestanti che, nel 1869, il governo italiano voleva acquistare un'isola
dall'Argentina per relegarvi i soldati napoletani prigionieri, quindi dovevano
essere ancora tanti [6].
Questi uomini del Sud finirono i loro giorni in terra straniera ed
ostile, certamente con il commosso ricordo e la struggente nostalgia della
Patria lontana. Molti di loro erano poco più che ragazzi [7].
Era la politica della criminalizzazione del dissenso, il rifiuto di
ammettere l'esistenza di valori diversi dai propri, il rifiuto di negare ai
"liberati" di credere ancora nei valori in cui avevano creduto. I
combattenti delle Due Sicilie, i soldati dell'ex esercito borbonico ed i tanti
civili detenuti nei "lager dei Savoia", uomini in gran parte anonimi
per la pallida memoria che ne è giunta fino a noi, vissero un eroismo fatto di
gesti concreti, ed in molti casi ordinari, a cui non è estraneo chiunque sia
capace di adempiere fedelmente il proprio compito fino in fondo, sapendo
opporsi ai tentativi sovvertitori, con la libertà interiore di chi non si
lascia asservire dallo "spirito del tempo".
[STEFANIA MAFFEO]
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I
LAGER DEI SAVOIA
La fortezza di Fenestrelle
Fulvio Izzo, insegnante e ricercatore, ha firmato “I lager dei Savoia” dove, dopo aver messo insieme una documentazione imponente, descrive «la storia "infame" del Risorgimento - i campi di concentramento per i soldati Borbonici» ( tutti quei militari che non vollero finire il servizio militare obbligatorio nell'esercito sabaudo e quelli che si dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II), nei forti del Nord.
Il fatto che nella storiografia ufficiale si parli poco o troppo,
del brigantaggio, per parte presa e non si sia mai accennato alle deportazioni
e alle sofferenze dei prigionieri meridionali, dei quali molti deceduti nei
campi di Finestrelle e San Maurizio in Piemonte, non è comprensibile e
soprattutto non è giustificabile.
Il forte di Fenestrelle, iniziato nel 1727 e terminato completamente
nel 1854 si sviluppa per oltre 3 km. di lunghezza su 650 mt. di dislivello.
1.300.000 metri quadri di superficie con 1.700 uomini di presidio. Una
scalinata coperta di oltre 4.000 gradini collega la piazza principale del forte
San Carlo con il forte delle Valli attraverso fortini ridotte e batterie. In
quasi tre secoli di vita, questa maestosa macchina da guerra non ha mai sparato
un solo colpo.
I detenuti meridionali tentarono anche di organizzare una rivolta,
il 22 agosto del 1861, per impadronirsi della fortezza, ma fu scoperta ed il
tentativo ebbe come risultato l'inasprimento delle pene.
Fulvio Izzo, I lager dei Savoia, 1999, 8°, Ed.
Controcorrente
"... Si arrestano da
Cialdini soldati napoletani in grande quantità, si stipano ne' bastimenti
peggio che non si farebbe degli animali, e poi si mandano in Genova. Trovandomi
testé in quella città ho dovuto assistere ad uno di que' spettacoli che
lacerano l'anima. Ho visto giungere bastimenti carichi di quegli infelici,
laceri, affamati, piangenti; e sbarcati vennero distesi sulla pubblica strada
come cosa da mercato. Alcune centinaia ne furono mandati e chiusi nelle carceri
di Fenestrelle: un ottomila di questi antichi soldati Napoletani vennero
concentrati nel campo di S. Maurizio".
. .. Recenti ricerche sottolineano le pessime condizioni in cui nel
1861 furono «ospitati» a Fenestrelle i soldati di Francesco II: laceri e poco
nutriti era usuale vederli appoggiati a ridosso dei muraglioni, nel tentativo
disperato di catturare i timidi raggi solari invernali, ricordando forse con
nostalgia il caldo di altri climi mediterranei.
La fortezza di Fenestrelle non ebbe altri reclusi se non militari:
ufficiali condannati agli arresti di fortezza e particolari reparti di
disciplina, il più noto dei quali è l'VIII, al quale furono aggregati i
commilitoni del caporale Pietro Barsanti, l'organizzatore della fallita rivolta
militare di Pavia, nel marzo del 1870. Uno di questi fu Augusto Franzoi che cadde dalle mura nel tentativo di evadere in
una notte del novembre 1870. Il ferito fu abbandonato dai compagni e tosto
nuovamente imprigionato.
Durante la grande guerra vennero concentrati a Fenestrelle anche
prigionieri austroungarici e italiani condannati dal tribunale di guerra. Tra
questi, nel 1916, anche il generale Giulio
Douhet ex bersagliere: reo di essersi contrapposto alle strategie ante
Caporetto di Cadorna. [F.IZZO]
Fonte: da BRIGANTI
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