martedì 3 febbraio 2015

ANCHE LE BARCHE AVEVANO GLI OCCHI…



Hanno un che di misterioso e di arcano, queste imbarcazioni tradizionali dell’arcipelago di Malta, i luzzu, barche di pescatori dagli scafi coloratissimi: rossi, blu o gialli, che sulla prua portano dipinti un paio d’occhi verdi o azzurri. Sono gli occhi di Osiride, decorazioni beneaugurali che si trovavano già sulle barche di greci e fenici. Venivano pitturati per allontanare le tempeste e scongiurare una pesca infruttuosa.




Perché … cosa sono questi grandi e misteriosi occhi che ci guardano dalla prua delle nostre vecchie lancette o dei vecchi gozzi? …Ebbene, essi sono e si chiamano “occhi apotropaici” (dal greco apotròpaios, derivato di apotròpein che significa allontanare), che, cioè, allontanano gli influssi malefici.

Anche oggidì, frequentando appartate località, ove il lavoro marinaro sia rimasto presente in dimensione “non industriale” ma quale attività più o meno individuale (pesca e trasporto locali p.e.), si può notare la sopravvivenza d’una caratteristica un tempo universale in quei mari ove fiorirono le più antiche civiltà, quali sono infatti i mari cinesi e tutto il Mediterraneo: si tratta appunto degli occhi apotropaici, dipinti, uno a dritta ed uno a sinistra, sulla prua dei navigli.




L’uso di questa particolare “decorazione” si perde nella notte dei tempi, sia nei mari orientali che in quelli occidentali; è ben noto, infatti, che in Mediterraneo, per esempio, sia Fenici che Greci non mancavano mai di fregiare le loro prore con tali occhi. A quei tempi essi servivano a tener lontani dal bastimento gli spiriti maligni, né più né meno come facevano gli occhi che troviamo dipinti su coppe da vino greche già del VI sec. a.C. allo scopo d’impedire a tali spiriti l’entrata nel corpo del bevitore insieme col vino.

Col passare dei secoli gli spiriti rimasero spiriti nei mari orientali, mentre in occidente subirono un’evoluzione, lasciando il posto al cosiddetto malocchio, contro il quale gli occhi furono considerati valido ed indispensabile antidoto da una cultura comunque superstiziosa.

Quando poi anche il malocchio non fu più motivo “presentabile” per la sopravvivenza di tali occhi, il buon marinaro, che nel proprio legno ha sempre visto qualcosa di vivente, giustificò l’esistenza degli occhi affermando che senza di essi la barca non vedeva e non avrebbe più potuto evitare gli ostacoli (che a mare, comunque, spesso si evitano solo per buona sorte).




L’occhio c’era sempre stato e, comunque, doveva continuarci a stare, tant’é vero che nelle marinerie più profondamente “religiose” pur di trovare una motivo per mantenercelo si sostituì la pupilla con una “stella maris” o addirittura con l’immagine di un santo protettore.

E quando a fine ottocento s’imposero i bastimenti di ferro (per la maggior parte, allora,
 costruiti in Nordeuropa) e gli occhi non vi furono dipinti, il marittimo mediterraneo non rinunciò affatto all’atavico concetto: gli occhi di cubia del bastimento in ferro per decenni costituirono per lui l’evoluzione rappresentativa degli occhi apotropaici.



Fonte: visto su OTTANTE BLOG DEL MARE del  25 luglio 2009


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