"Molti manifestanti lavorano per la A32, penalizzata dai treni ad alta velocità. Spesa faraonica? Ridicolo"
Paolo Basaglia
Stefano Lorenzetto
C'è un solo modo per spiegare l'impresa nella quale Paolo Basaglia s'è lanciato: il
cognome. «Mia nonna sosteneva che eravamo parenti alla lontana dello psichiatra
passato alla storia per aver fatto chiudere i manicomi». Se gli va bene, ma v'è
da dubitarne, lui resterà nella cronaca per essere riuscito a far aprire quello
che in gergo tecnico viene chiamato tunnel di base del Moncenisio, primo step
dell'opera pubblica più contestata di tutti i tempi: l'Alta velocità
Torino-Lione.
Impresa indubbiamente da pazzi, la sua, perché significa
fronteggiare un'agguerritissima tribù, come non se ne vedevano in azione dai
moti di Reggio Calabria del 1970: i No Tav della Val di Susa, le cui proteste
contro la nuova linea ferroviaria ad alta velocità di 235 chilometri fra Italia
e Francia sono state accompagnate da un crescendo di attentati, intimidazioni,
scontri con le forze dell'ordine, aggressioni, blocchi stradali, occupazioni e
boicottaggi, bollati come segnali eversivi da Gian Carlo Caselli, fino a tre
settimane fa capo della Procura di Torino.
Si chiama - ecco la coraggiosa follia - Comitato Sì Tav. Per
ora è soltanto una pagina su Facebook, anche se in breve tempo ha già raccolto
oltre 3.300 adesioni. Ad aprirla, insieme con Basaglia, è stato Ivan Possekel, tecnico informatico.
Abitano a Torino. Iscritto al Partito democratico il primo, irriducibile di
destra il secondo, «credo che simpatizzi per Francesco Storace», informa
Basaglia, e anche questa è un'alchimia da matti, perché significa marciare
divisi su tutto - «litighiamo in continuazione sul governo, sull'immigrazione,
sui diritti civili degli omosessuali» - per colpire uniti sull'unico bersaglio
che sta a cuore a entrambi: il treno ad alta velocità.
È questa la competenza che Basaglia, nato a Sanremo nel
1965, laureato in ingegneria elettronica al Politecnico di Torino, ha portato
in dote al Comitato Sì Tav: una preparazione fuori dal comune in materia
ferroviaria, tanto più sorprendente se si considera che ha studiato
all'Istituto nautico di Imperia. «Ma ho avuto un nonno, Bruno Basaglia, originario
di Bologna, che per più di 40 anni ha fatto il macchinista delle Fs sulle
tratte di tutta la penisola», spiega, «e un padre geometra, Ivo, che mi ha
attaccato la passione per i treni. Quand'ero bambino, abbiamo costruito insieme
un plastico enorme con i modellini in scala zero della Rivarossi, fra i più
grandi, che nella mia camera lasciava lo spazio solo per il letto». Della
formazione giovanile sul Mar Ligure rimane una traccia nell'attuale
professione: commerciante di acquari e pesci tropicali a Torino. In passato ha
lavorato come ingegnere in un'azienda telematica.
A rafforzare in Basaglia la vocazione infantile per le
ferrovie ha contribuito un evento topico: la sua partecipazione, il 27
settembre 1981, al primo viaggio del Tgv
francese, acronimo di «train à grande vitesse», progenitore dei nostri
Frecciarossa e Italo, che inaugurò l'era dell'alta velocità in Europa, «120
minuti per coprire la tratta Lione-Parigi, 450 chilometri, lanciati ai 260
orari: mi pareva di sognare».
Ha qualche interesse
in Val di Susa?
«Nessuno. Né parenti, né case di vacanza. In tutta la mia
vita sono stato soltanto due volte in gita a Bardonecchia».
Allora perché se ne
occupa?
«Per reazione. Sono un tipo sanguigno, abituato ad agire
d'impulso. Digitavo su Internet la stringa “Tav Torino-Lione” e mi uscivano
migliaia di pagine con pareri contrari. Mai nessuno a favore. Idem sulla grande
stampa: spazio solo alle tesi dei No Tav. Che poi, più che di tesi, si tratta
di fuffa. Le loro 150 ragioni contro la Torino-Lione per un esperto di ferrovie
si possono condensare in 10. Le altre 140 sono ripetizioni, fumo negli occhi.
Così mi sono accollato il dovere civile di fare chiarezza. Pensavo che
l'informazione spettasse a voi giornalisti».
Infatti sono qua.
«È il primo che si fa vivo, dal 2011 a oggi».
Chiariamo qual è la
materia del contendere.
«Un nuovo tunnel a doppia canna, lungo 54 chilometri, da
Susa a Saint Jean de Maurienne, da costruire entro il 2025. Al momento sono
cominciati soltanto i lavori per le gallerie di servizio che serviranno per
ventilare il tunnel ferroviario e per consentire il passaggio di operai e
soccorritori. Dopodiché bisognerà costruire la nuova linea ad alta velocità da
Susa a Torino e da Saint Jean de Maurienne a Lione. Tempi previsti: altri 15
anni. Quindi la Tav non sarà pronta prima del 2040».
Costi?
«L'intera opera, tunnel incluso, 22 miliardi di euro. La
spesa di 8,2 miliardi per la parte internazionale, cioè per il tunnel, sarà
sopportata al 58% dall'Italia e al 42% dalla Francia».
Perché i francesi
spendono meno?
«Una compensazione necessaria. Il resto della tratta a loro
carico, dalla fine del tunnel a Lione, è di 100 chilometri, mentre la nostra ne
misura la metà».
Comunque 8,2 miliardi
sono tanti.
«I No Tav parlano di spesa faraonica. Facciamo due conti.
L'Unione europea ci metterà il 40%. Ergo, la spesa scende a 4,92 miliardi, di
cui 2,85 a carico dell'Italia. Suddivisa in un decennio, fanno 285 milioni
l'anno. Una cifra risibile per il bilancio dello Stato, che nel 2013 contemplava
spese per 527 miliardi».
Perché il tunnel s'ha
da fare?
«Per un'infinità di motivi. La linea storica è contorta. I
raggi di curvatura sono strettissimi, con attrito volvente elevatissimo e
pendenze del 35 per mille che si traducono in scarsa efficienza energetica,
tant'è che i treni merci richiedono due motrici in trazione e una in spinta.
Con il nuovo tunnel i convogli consumeranno il 90 per cento in meno».
È così dispendioso
anche il trasporto dei cristiani?
«Certo. Il Tgv per Parigi che parte da Milano viaggia come
un treno normale fino a Torino, perché la linea ad alta velocità non è stata
ancora omologata. Idem da Torino a Lione, dove i binari per la Tav ancora non
ci sono. Con un'aggravante: nel tratto Bussoleno-Saint Jean de Maurienne non
può superare i 70 chilometri orari. Il che porta i tempi di percorrenza sulla
tratta Torino-Lione a 3,5 ore, contro 1,5 ore della Tav. Preistoria».
Quanti sono i No Tav?
«Una ristretta minoranza, sia pure chiassosa. La maggioranza
silenziosa è formata da Sì Tav che si guardano bene dal dichiararlo per paura.
A Susa è stata fatta di recente una petizione per esprimere solidarietà alle
forze dell'ordine: si sono raccolte oltre 1.000 firme. Ma non s'è potuto dire
che erano pro Tav, altrimenti i sottoscrittori sarebbero stati linciati».
L'alternativa per i
No Tav qual è?
«Non sono ancora riuscito a capirlo. Sostengono che la Tav
sarebbe sottoutilizzata perché il traffico ferroviario sulla Torino-Lione è in
continua diminuzione. Ma non specificano che i treni merci snobbano la linea
storica perché è obsoleta a tal punto da rendere più conveniente i trasporti
verso la Francia attraverso la galleria ferroviaria del San Gottardo che passa
dalla Svizzera».
È dal 1995 che
combattono. Non si rendono conto che i due Stati non cederanno mai alle loro
pretese?
«Secondo me se ne rendono conto eccome. Ma hanno tutto
l'interesse a ritardare i lavori il più possibile».
A che scopo?
«La maggior parte del traffico Italia-Francia attualmente
avviene su gomma, lungo la A32 Torino-Bardonecchia e il traforo stradale del
Frejus, con gravi ripercussioni, fra l'altro, sulla salute ambientale, visto
che Tir e auto, a differenza dei treni, inquinano. La Tav provocherà un danno
irreparabile alla Sitaf (Società
italiana per il traforo autostradale del Frejus, ndr), il cui giro d'affari in
prospettiva è destinato a sgonfiarsi. Ora si deve sapere che molti No Tav
lavorano alla A32 o sono titolari di cooperative che prestano servizi
all'autostrada, dallo sgombero della neve ai mezzi spargisale contro il gelo
fino alla cura delle aiuole spartitraffico e delle aree di sosta».
Interessante.
«Lo stesso Sandro Plano, presidente della Comunità montana
della Val di Susa, leader dei sindaci contrari alla Tav, lavorava alla Sitaf.
Niente di male, per carità, non dubito della sua onestà personale. Però ci
hanno fatto due marroni così sul conflitto d'interessi di Silvio Berlusconi e
nessuno si accorge di questo, che è grande come una casa?».
Lavorava alla Sitaf.
Oggi non più.
«D'accordo, ma direttore di esercizio della A32 lo è stato
fino al 2011, mica nel secolo scorso, e persino La Repubblica ha dovuto
ricordargli che nemmeno negli anni di Vittorio Valletta s'era visto un
dirigente della Fiat diventare sindaco di Torino. Non credo che alla Sitaf
dispiacesse avere un proprio dipendente alla guida della Comunità montana,
alleato con chi si oppone alla ferrovia a tutto vantaggio dell'autostrada su
cui marciano i Tir. Plano milita come me nel Pd, è un amico, queste cose gliele
ho dette in faccia. Ripeto: sono certo della sua probità. Ma ragioni di
opportunità dovrebbero indurlo ad astenersi dal cavalcare la causa dei No Tav».
I quali temono che i
lavori per l'alta velocità diventino per le cosche mafiose ciò che il formaggio
è per i topi.
«Gli svizzeri hanno investito 24 miliardi di euro per i
trafori del Gottardo e del Lötschberg. C'è la mafia anche nel Canton Ticino?
Allora dovremmo evitare l'ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria per
scongiurare infiltrazioni della camorra e della 'ndrangheta. Perché non spiegano
invece che la Tav rappresenta un'occasione d'impiego per 2.000 valsusini? Non a
caso non vengono incendiati i mezzi della Cmc di Ravenna, la coop che sta
realizzando il cunicolo esplorativo della Maddalena. No, si bruciano quelli
delle piccole imprese locali, come la Italcoge di Susa dei fratelli Lazzaro,
per impedire alla gente di accorgersi che quest'opera pubblica dà lavoro alla
vallata».
Come spiega la
virulenza dei No Tav?
«La Val di Susa è terra di eretici e ribelli fin dai tempi
della caccia alle streghe, zona di reclutamento per il movimento anarchico, per
la guerra partigiana e poi per Lotta continua, Prima linea, Brigate rosse
vecchie e nuove. L'estrema sinistra indottrina la gente con le leggende».
Quali, per esempio?
«I pericoli derivanti dalla presenza di amianto e uranio
nelle rocce dove sarà aperto il tunnel. A parte che per le gallerie moderne si
usa il Tbm, tunnel boring machine, una fresa meccanica che lava la roccia
sminuzzata impedendo la dispersione delle polveri, non capisco una cosa: in Val
di Susa per convogliare le acque della Dora Riparia verso la centrale elettrica
di Pont Ventoux, una delle più grandi d'Italia, è stato costruito un
lunghissimo tunnel. Nessuno s'è lamentato per l'amianto e l'uranio. Ed è la
stessa montagna. Idem per il raddoppio della canna del Frejus, in corso di
esecuzione: 13 chilometri di scavo. Non vola una mosca. Ed è la stessa
montagna».
Chi guida i No Tav?
«Alberto Perino, ex bancario sindacalista della Cisl,
indagato per istigazione a delinquere. Ma l'area più pericolosa è quella
anarchica vicina al centro sociale Askatasuna di Torino e a Spinta dal bass di
Avigliana. Plano la condanna, Perino si chiama fuori dicendo che in Val di Susa
“ognuno
è leader di se stesso”.
Almeno il Pci aveva il coraggio di definire i brigatisti rossi “compagni che
sbagliano”».
Dove lo trovano il
tempo per manifestare in continuazione, bloccare autostrade e cantieri, fare a
botte?
«Gli anarchici non hanno grandi occupazioni. Molti sono
figli di papà che giocano alla guerriglia urbana. Io, con una moglie e una
figlia di 4 anni da mantenere, non potrei permettermelo».
Dicono che non
cederanno mai, neanche a costo della morte.
«Mi sembra una boutade. Però il rischio che prima o poi ci
scappi il morto è piuttosto concreto».
Non ha paura che
vengano non dico a ucciderla, ma almeno a picchiarla?
«A volte sì. L'ho messo in conto. Intanto mi sono assicurato
contro gli atti vandalici».
Minacce ne ha avute?
«Via Internet e per posta elettronica».
Di che tipo?
«“Smettila,
sappiamo chi sei, veniamo a trovarti, ti spacchiamo la faccia”. Un No Tav mi ha
scritto: “Guarda
che conosco quelli della Guardia di finanza, avrai di sicuro qualcosa da
nascondere”».
Ecco, diranno che lei
e il Comitato Sì Tav siete prezzolati da qualcuno.
«Lo dimostrino. Vivo del mio lavoro, che scarseggia, perché
con la crisi la gente pensa alla propria pancia, più che a nutrire i pesci
negli acquari. Mi facciano pure un accertamento. Sul conto corrente intestato a
me e a mia madre scopriranno solo che il fido di 36.000 euro, garantito da
titoli di Stato, è vicino al rosso».
Fonte: srs di Stefano Lorenzetto, da il Giornale del 19
gennaio 2014
Link: http://www.ilgiornale.it/news/interni/lingegnere-che-smonta-tutte-bugie-dei-no-tav-983923.html
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