Se è presuntuoso pensare che “senza sinistra non c’è
futuro”, è però vero il contrario: senza un’idea di futuro, la sinistra muore.
Radiografia impietosa, firmata da Michele Serra: la sinistra
dà l’impressione di aver «trascurato apposta i suoi doveri e i suoi compiti,
pur sapendo bene quali fossero, per viltà o per opportunismo». O peggio, la sua
funzione storica si è esaurita «non per calcolo ma per inettitudine, per totale
smarrimento». E dire che, dalla Rivoluzione Francese in poi, la sinistra è
sempre stata «quella vasta area della politica e del pensiero che pretende di
organizzare il cambiamento della società, prima interpretandolo e poi
orientandolo: progettare il cambiamento è la sua stessa funzione, la sua
ragione d’essere». L’impegno: migliorare quello che Marx chiamava “lo stato
delle cose presente”, verso una società più giusta. «Si deve lavorare per
cambiarlo. Si deve studiare come cambiarlo (in meglio, si intende) e attraverso
quali leve, quali mezzi. Il mondo deve migliorare e la storia deve andare
avanti».
Una separazione netta, benché schematica, tra conservatori e
progressisti: «La destra era per la conservazione, la sinistra per il
progresso». Quindi, dire “qualcosa di sinistra” significa anticipare un
cambiamento, favorirlo e provocarlo. Ma oggi, scrive Serra in un intervento su
“Repubblica” ripreso da “Megachip”,
la sinistra sembra aver perduto «la sola traccia profondamente identitaria» che
ha sempre avuto, ovvero «la vocazione a cambiare “lo stato delle cose
presente”». Proprio la modernità, la società dei consumi di massa denunciata
dal conservatore Giuseppe Prezzolini e poi, «con ben maggiore potenza e
disperazione dal comunista Pasolini», ha letteralmente spaventato la sinistra,
tanto da suscitare al suo interno forti pulsioni conservatrici: «Più che
l’impulso a progettare “un altro cambiamento”, ha pesato l’impulso a
proteggersi da quello in corso. Ne è nata una sinistra-ossimoro, conservatrice
e terrorizzata dai mutamenti in atto. Ed è soprattutto per questo, secondo me,
che è così difficile dire “qualcosa di sinistra”: perché la sinistra ha perduto
le parole del cambiamento, a partire dalla parola “cambiamento”. E dunque ha
perduto le sue parole».
Per una breve stagione, è stato il pallido Bersani a provare
a resuscitarle, quando ha detto – ai suoi – che «non c’è responsabilità senza
cambiamento», pensando ovviamente a Grillo. Ma era solo tattica, peraltro
perdente. Eppure, «in quanto capo della sinistra – aggiunge Serra – Bersani
“sapeva”, direi istintivamente, che la domanda (tumultuosa, quasi smaniosa) di
cambiamento uscita dalle urne non poteva che investire in pieno la sinistra,
fisiologicamente: la richiamava bruscamente alla sua funzione tradita o
comunque sbiadita». Rovesciandosi a valanga verso i Cinque Stelle, «la speranza
di “cambiare le cose” per la prima volta abbandonava in misura così massiccia e
così allarmante la sinistra italiana», incapace persino di «azzardare i
connotati del futuro, ivi compreso il futuro prossimo», per il quale il
movimento di Grillo e Casaleggio «affida al web una specie di palingenesi
politica, e di reincarnazione della democrazia, che fa impallidire, per
ingenuità, il mito della “futura umanità” forgiata “nei campi e nelle
officine”».
Per capire se qualcuno sta dicendo davvero “qualcosa di
sinistra”, è bene «valutare, sempre, se e quanto questa cosa contiene il
proposito, e magari la capacità, di incidere nel futuro, anche un piccolo pezzo
di futuro, e di immaginarlo più equo, e migliore». La sinistra, conclude
Michele Serra, deve uscire dal recinto del timore che la paralizza da decenni:
«La paura del cambiamento – qualunque sorpresa, qualunque incognita possa
riservarci il futuro – è per la sinistra un indugio mortale. Ogni pigrizia
conservatrice, dentro la sinistra e dentro le sue parole, parla prima di tutto
di quella paura. Compresa la paura di sbilanciarsi, di dire cose azzardate, di
sembrare stravaganti o ingenui o imprecisi. La paura dell’errore intellettuale.
Ma per dire “qualcosa di sinistra” sarà obbligatorio, di qui
in poi, ricominciare a rischiare. Chi si ferma è perduto. E chi tace
acconsente».
Fonte: visto su LIBRE del
4 agosto 2014
PROGRESSISTI, SMETTETE DI
RIMPIANGERE IL PASSATO
di Michele Serra
Se dire "qualcosa di sinistra" fosse così
facile, in molti l'avrebbero già detta, questa cosa. O per ruolo politico o per
dovere intellettuale o anche solo per fare bella figura. Ma così non è stato,
specie negli ultimi anni; tanto da far sospettare (i più sospettosi) che
la sinistra abbia trascurato apposta i suoi doveri e i suoi compiti, pur
sapendo bene quali fossero, per viltà o per opportunismo; o da far temere
(i più timorosi) che la sinistra abbia esaurito strada facendo la sua funzione
storica, e taccia, dunque, non per calcolo ma per inettitudine. Per totale
smarrimento. Sono abbastanza vecchio di questi luoghi - la sinistra, le sue
persone, le sue parole, i suoi giornali, i suoi interminabili dibattiti - da
poter azzardare un'ipotesi un poco (solo un poco) più precisa.
La sinistra, dalla Rivoluzione francese in poi, è
quella vasta area della politica e del pensiero che pretende di organizzare il
cambiamento della società. Prima interpretandolo e poi orientandolo. Progettare
il cambiamento è la sua stessa funzione, la sua ragione d'essere; e il verbo "cambiare"
è stato, per molte generazioni di intellettuali e di militanti, di uso
quotidiano. Quasi stucchevole per quanto spesso lo si impiegava: l'Italia
che cambia, cambiamo l'Italia, l'Italia da cambiare. Nella celebre definizione
del giovane Marx, "il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato
delle cose presente". È un assetto di pensiero del tutto radicale, si
capisce; ma contiene lo stesso germe che anima i riformismi anche più blandi:
lo "stato delle cose presente" è insoddisfacente e dunque va
cambiato. Si deve lavorare per cambiarlo. Si deve studiare come cambiarlo (in
meglio, si intende) e attraverso quali leve, quali mezzi. Il mondo deve
migliorare e la storia deve andare avanti. Per quanto approssimativa e
schematica, la vecchia distinzione storica tra conservatori e progressisti, per
generazioni, non ha conosciuto sostanziali smentite: la destra era per la
conservazione, la sinistra per il progresso.
Dire "qualcosa di sinistra", dunque, è dire
qualcosa in grado di descrivere o anticipare o favorire o provocare un
cambiamento. Le parole della sinistra dovrebbero essere (o provare a essere)
in qualche modo preveggenti: aiutare a immaginare il futuro, ad architettarlo.
Le famose "parole d'ordine" del passato, tutte, quelle giuste e
quelle sbagliate, quelle intelligenti e quelle stupide, quelle nobili e quelle
ignobili, erano comunque l'indicazione di un obiettivo da raggiungere, di un
percorso da fare. Erano "dinamiche", forza in movimento.
Nel suo Manifesto dei conservatori (1972) Giuseppe
Prezzolini attribuisce alla Destra "i libri e la cultura"; alla
Sinistra le canzonette, la televisione, i consumi futili, le mode,
l'irresistibile marea montante della massificazione. Per dire quanto fosse
radicata - appena dieci anni prima che Berlusconi apparisse sulla scena -
l'idea che il "cambiamento", virtuoso o vizioso non importa, fosse
comunque qualcosa "di sinistra". Che riguardava la sinistra.
Oggi (qui volevo arrivare) la sola traccia profondamente
identitaria che la sinistra ha sempre avuto - la vocazione a cambiare "lo
stato delle cose presente" - sembra perduta. Peggio, sembra che il
cambiamento - proprio quello, massificante e mutageno, detestato dal
conservatore Prezzolini e descritto con ben maggiore potenza e disperazione dal
comunista Pasolini - abbia così spaventato la sinistra da al suo interno forti
pulsioni conservatrici. Più che l'impulso a progettare "un altro
cambiamento", ha pesato l'impulso a proteggersi da quello in corso. Ne è
nata una sinistra-ossimoro, conservatrice e terrorizzata dai mutamenti in atto.
Ed è soprattutto per questo, secondo me, che è così difficile dire
"qualcosa di sinistra": perché la sinistra ha perduto le parole del
cambiamento, a partire dalla parola "cambiamento". E dunque ha
perduto le sue parole.
La si è nuovamente udita, quella parola, echeggiare come un
esorcismo nelle tremende settimane successive al voto di febbraio. A
pronunciarla fu Bersani, non si sa quanto memore dello spirito ottimista e
"progressista" del riformismo emiliano nel quale si è fatto le ossa.
Disse, per la precisione, che "non c'è responsabilità senza
cambiamento" (parlava ai suoi, si è poi capito quanto inutilmente) e che
"non c'è cambiamento senza responsabilità " (parlava a Grillo, si è
poi capito quanto inutilmente). L'ambito era - come dire - strettamente
politologico, tattico e non strategico, e non scomodava certo sconquassi negli
assetti economici e sociali, tanto meno modelli di sviluppo alternativi.
Ma in quanto capo della sinistra Bersani
"sapeva", direi istintivamente, che la domanda (tumultuosa, quasi
smaniosa) di cambiamento uscita dalle urne non poteva che investire in pieno la
sinistra, fisiologicamente: la richiamava bruscamente alla sua funzione
tradita o comunque sbiadita. Rovesciandosi a valanga verso le Cinque Stelle, la
speranza di "cambiare le cose" per la prima volta abbandonava in
misura così massiccia e così allarmante la sinistra italiana.
La verità - forse - è che nessuno, in questa fase, riesce
non dico a determinare, ma ad azzardare i connotati del futuro, ivi compreso il
futuro prossimo. E non per caso l'aspetto più debole - e più ridicolo,
francamente - del movimento di Grillo e Casaleggio è quello che affida al web
una specie di palingenesi politica, e di reincarnazione della democrazia, che
fa impallidire, per ingenuità, il mito della "futura umanità"
forgiata "nei campi e nelle officine". Che il vecchio materialismo
scientifico possa lasciare il campo alla fede fantascientifica in un Avvento
internautico non sembrerebbe proprio - quanto a cambiamento - un passo avanti.
Riassumendo. Direi che un buon criterio, di qui in avanti,
per provare a dire "qualcosa di sinistra", e per capire se
qualcuno sta dicendo davvero "qualcosa di sinistra", sia
valutare, sempre, se e quanto questa cosa contiene il proposito, e magari la
capacità, di incidere nel futuro, anche un piccolo pezzo di futuro, e di
immaginarlo più equo, e migliore. Non è più vero, neanche per la più
settaria delle persone di sinistra, che senza sinistra non c'è futuro: il
futuro ha già dimostrato di poterne fare allegramente a meno, della sinistra.
Ma è certamente vero che senza futuro non c'è una sinistra, che senza futuro la
sinistra muore. Dunque la paura del cambiamento - qualunque
sorpresa, qualunque incognita possa riservarci il futuro - è per la sinistra un
indugio mortale. Ogni pigrizia conservatrice, dentro la sinistra e dentro le
sue parole, parla prima di tutto di quella paura. Compresa la paura di
sbilanciarsi, di dire cose azzardate, di sembrare stravaganti o ingenui o
imprecisi. La paura dell'errore intellettuale. Ma per dire qualcosa di
sinistra sarà obbligatorio, di qui in poi, ricominciare a rischiare. Chi si
ferma è perduto. E chi tace acconsente.
Fonte: visto su MEGACHIP del 23 luglio 2014
Nessun commento:
Posta un commento