L'Unità d'Italia fu inglese per il controllo del
Mediterraneo? Gli storici protendono per il sì e lasciano intendere che la
storia della disunità d'Italia sia il banco di prova per un'unione politica di
più ampio respiro.
Lo sbarco dei Mille a
Marsala da un disegno di un ufficiale osservatore a bordo di una nave da guerra della Royal Navy in rada nel
porto di Marsala
L’Unità d’Italia fu inglese per il controllo del
Mediterraneo? Gli storici protendono per il sì.
Per anni tra le aule scolastiche e i programmi ministeriali
ci hanno fatto ingurgitare riferimenti e immagini su un passato medievale
e retrogrado. Eppure, da qualche anno, sull’onda revisionista di storici
professionisti e non, la storia del Mezzogiorno e dei popoli meridionali
sembrerebbe ritornare nuovamente patrimonio sentito delle masse subalterne e
strumento per la riconquista di una propria identità, e sulla base di questa di
una propria progettualità per il futuro (non più solo italiano ma europeo).
Tra le tante storie che fuoriescono dal calderone
ideologico sabaudo e risorgimentale, una in particolare appare molto più
interessante delle altre, in base alla quale, la catena di eventi che portò
all’Unità d’improvviso raggiunge un po più di chiarezza e coerenza: l’interesse
della borghesia britannica per la destabilizzazione e il rovesciamento violento
del Regno delle Due Sicilie, la
terza potenza scientifica, industriale e militare del globo e la prima del
Mediterraneo.
Gli inglesi tramarono per l’affermazione del loro modello
politico di sviluppo e modernità.
Non solo per il monopolio dell’estrazione dello zolfo
e per la produzione della polvere da sparo, non solo per la definizione di una
Sicilia inglese di guardia ai traffici commerciali del Mare di Mezzo, ma
è per il totale dominio egemonico, politico, sull’Europa e il Mediterraneo
che la Gran Bretagna, soprattutto con il Visconte Palmerston e William
Ewart Gladstone, agì da dietro le quinte per il sostegno alla guerra
sabauda.
In base all’ultima crema della letteratura revisionista (tra
cui ricordiamo Il Regno delle Due Sicilie e le potenze europee 1830 – 1861
di Eugenio Di Rienzo, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno borbonico e
risorgimentale di Giuseppe Galasso) sulla scena d’Ottocento irrompe una
volontà britannica inusuale che attentò più volte alla monarchia sovrana
del regno borbonico per la sua cancellazione dalle carte geopolitiche.
Attraverso il caso dell’Isola ferdinandea, delle operazioni in nero a
sostegno dei dissidenti politici siciliani, del boicottaggio
internazionale delle scelte di autodeterminazione della corona borbonica,
del sostegno navale alle truppe garibaldine e sabaude durante
l’invasione, si rafforza la convinzione scientifica in base alla quale enormi
rimangono le responsabilità britanniche nella fine del sogno politico e nel
modello economico per una Europa mediterranea (duosiciliana).
Il Corriere della Sera insieme a Croce, Di Rienzo, Galasso,
mettono in discussione la versione storica ufficiale.
Scrive Di Rienzo che vi è una straordinaria
biblioteca di documenti a sostegno del fatto che “la
storiografia ufficiale ha sempre accantonato, spesso con immotivata
sufficienza, e che ha trovato credito soltanto in una letteratura non
accademica accusata ingiustamente, a volte, di dilettantismo e di preconcetta
faziosità filo borbonica“. Epistolari,
documenti militari, burocratici e privati, degli archivi inglesi, francesi,
spagnoli “mostrano almeno la plausibilità di questa interpretazione” e
cioè di una volontà internazionale di creare un’unita nazionale europea di
second’ordine, italiana e sabauda, per avere carta bianca nell’opera di
conquista coloniale del Mediterraneo, dell’Africa e del Medio-Oriente
a svantaggio della più imponente forza militare preunitaria e di un vero e
proprio modello di modernità alternativa.
Ferdinando II, come scriveva Benedetto Croce e come
ha ben sottolinea Paolo Mieli attraverso il Corriere della Sera, saldamente si prodigava affinché la specificità
duosiciliana fosse uno stato libero e indipendente “nelle cui faccende
nessun altro Stato avesse da immischiarsi, tale da non dar noia agli altri e da
non permetterne per sé”. Ispirato da questa intuizione, secondo Croce,
Francesco I “guardingo e abile si avvicinò alla Francia, si liberò della
tutela dell’Austria, che aveva sorretto e insieme sfruttato la monarchia
napoletana, e mantenne sempre contegno non servile verso
l’Inghilterra, che era stata la protettrice e dominatrice della sua
dinastia nel ventennio della Rivoluzione e dell’Impero”.
Questa insubordinazione dei Borbone di Napoli alla
superpotenza d’Ottocento, la Gran Bretagna non digerì e per decenni, dal
1833, anno dello scoppio della Guerra carlista, attraverso la non belligeranza
borbonica nella Guerra di Crimea, fino al 1861, tramò per ciò che l’assistente
di Disraeli, Henry Lennox, considerò uno “sporco affare“, che
preferì erroneamente a un ordine politico pari, a un “dispotismo borbonico“,
un mediocre e inaffidabile “pseudo-liberalismo di un Vittorio Emanuele“.
“Il Regno Unito aveva prostituito la sua politica estera
appoggiando un’impresa illegittima e scellerata che aveva portato all’instaurazione
di un vero e proprio regno del terrore”, al quale si dovettero i massacri di una
intera generazione e a un genocidio lungo almeno 10 anni.
Perché per l’emancipazione di un unico popolo europeo di
oppressi bisogna ripartire dalla disunità d’Italia e prospettare da qui
un’unificazione politica di più ampio respiro?
Con la maturità dei posteri possiamo dire che le operazioni
inglesi hanno determinato gran parte della prima storia unitaria,
contribuito a quella serie di precondizioni storiche che hanno portato a
considerare la disunità d’Italia lo specchio della mancata integrazione europea
nell’attualità. La sovranizzazione dall’alto di popolazioni così diverse
nell’Italia preunitaria ha portato a far credere agli ingenui e ai sognatori
nella possibilità di una Europa unita giuridicamente ed economicamente
bypassando l’identificazione politica.
Per quanto riguarda le brame inglesi la conquista sabauda
determinò un campo libero per le proprie mire espansioniste nel Mediterraneo e
in Africa fino alle soglie storiche del Fascismo, l’unico regime che ebbe la
forza politica per opporvisi, ma ha destabilizzato con ciò l’Europa fino ai
giorni nostri, in virtù di un modello d’integrazione insostenibile.
A quale costo tutto questo è stato permesso? Oggi ne
paghiamo ancora il prezzo e l’attualità italiana è divenuta nuovamente il
banco di prova per ripensare a un modello politico, economico e culturale
veramente alternativo rispetto a quello dominante e neoliberale.
Il recupero del passato sarà strumento per i popoli oppressi
di oggi per recuperare un modello politico da cui ripensare l’Europa dei popoli
mediterranei? Sarà questo il tempo della rivincita e dell’emancipazione
da volontà imperiali e straniere?
Fonte: visto su roadtvitalia del 6 novembre 2014
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