di Luciano Pignataro
ROMA - «Due sono i peccati che può compiere un banchiere:
uno, veniale, è fuggire con la cassa, l'altro, mortale, è parlare».
C'è questo detto di Enrico Cuccia, uno dei pochissimi di cui
si ha notizia, in testa al libro di Vincenzo
Imperatore, bancario pentito che confessa pubblicamente le sue colpe ai
clienti e ai lettori. Lui dunque ha
fatto peggio che parlare, ha scritto, un po' come in «Storia di un impiegato»
di De Andrè si rivolta al sistema e lancia la sua bomba al «ballo mascherato
della celebrità».
La bomba è un libro, «Io
so e ho le prove, confessioni di un ex bancario» (edizioni Chiarelettere).
Imperatore, un po' facile pentirsi adesso. Non è un po'
tardi?
«Per nulla, non vede che la politica economica europea è
dettata solo ed esclusivamente dai banchieri. E poi io sono pentito da cinque
anni».
Cinque?
«Sì, dal 2009».
L'inizio della crisi.
«Esatto. All'epoca ero il capoarea di un importante istituto
bancario, aziendalista convinto, per oltre vent'anni avevo sostenuto tutte le
politiche decise a tavolino e trasferite allo sportello in tutti i ruoli che ho
ricoperto».
Poi?
«Fummo convocati in una riunione dai top manager, gli stessi
che ci avevano portato sulla soglia del baratro e assistetti ad un gioco di
scaricabarile, quasi a dire che il risultato del disastro non era frutto delle
loro scelte. E ovviamente a pagarne le conseguenze erano i quadri dirigenti e
quelli intermedi».
Beh, succede un po' in tutti i settori.
«Esatto: quelli cambiavano casacca assicurandosi prebende e
stipendi altissimi senza neanche essere sfiorati dalla crisi. Ed è in quel
momento che io mi chiesi: ma come faccio a motivare i miei collaboratori se
questi non hanno convinto neanche me? Siamo sempre alle solite: negli altri
paesi i primi a pagare sono i generali, da noi solo dai colonnelli in giù».
Ora in un libro lei svela tutte le malefatte, i trucchi,
spesso abbastanza ingenui, con cui il cliente secondo lei viene regolarmente
raggirato. Come è nata l'idea?
«Conobbi Mario Bortoletto, l'autore del libro «La rivolta
del correntista durante una presentazione. Fu lui a suggerirmi l'idea: visto
che sei stato dall'altra parte, perché non ci racconti come funzionavano i
meccanismi?»
Già, come funzionavano?
«Ci sono due macrocategorie di clienti. Quello che ha
bisogno di prestiti e quello che risparmia».
Ecco, ci racconti un po' nei dettagli.
«In sintesi, nel primo caso il trucco consiste nell'indebitare
il cliente oltre quelli che sono i suoi reali bisogni caricando sui tassi e
vendendo poi il suo debito a terzi. Nel secondo, basta spostare un po' il
limite del rischio sostenibile. La maggior parte si scoccia di leggere tutte le
clausole e si trova senza tutela legale in caso di perdite. Gli esempi non
mancano».
La sua introduzione è un bel j'accuse...
«Si, perché, come scrivo, ho le prove di come si muovono le
banche di fronte a quei correntisti e a quelle aziende in crisi che rischiano
di non saldare i debiti: propongono una ristrutturazione del debito, una
rinegoziazione che nasconde la manleva da ogni responsabilità per irregolarità
in contratti precedenti, e la presentano al correntista come un'opportunità
dilatoria. Ho le prove di come le banche mettono a posto i conti a ridosso
delle chiusure trimestrali di bilancio attraverso manovre massive sugli
interessi, quando i manager devono relazionare ai soci sullo stato di salute
dell'istituto. E, ancora, ho le prove di come le banche fanno cassa «piazzando»
televisori, tapis roulant e biciclette ai clienti che richiedono finanziamenti.
Secondo lei quando è iniziata questa deriva?
«Sicuramente con le privatizzazione che hanno messo in testa
solo la logica del profitto».
Ma in quasi tutto il mondo le banche sono privatizzate
«Vero, ma all'estero funzionano i controlli e le azioni di
responsabilità che da noi sono quasi totalmente assenti. Da noi i manager non
pagano mai»
C'è una differenza tra Nord e Sud?
«Sicuro, a parte il differenziale sui tassi degli interessi
che non è giustificato, c'è da dire che è molto più facile gestire la clientela
meridionale che non legge con attenzione le carte e si fida del rapporto
personalizzato. Da noi manca cultura finanziaria».
Fonte: da il gazzettino di sabato 1 Novembre 2014
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