Ben 74 selci preistoriche. Ma sono tutte finte. A forma di croce o di pettine se le inventarono per fame.
«Gli artigiani della Lessinia: sfida alla preistoria. La provocazione delle selci strane». Questo è il tema della mostra che sarà inaugurata nella sala di preistoria del museo quest’oggi alle 18.
È un ritorno a casa, essendo Sant’Anna d’Alfaedo, con Breonio, le località dove sono stati prodotti e poi fatti ritrovare in siti preistorici dei materiali silicei, dalle forme particolari, inusitate, enigmatiche, che hanno messo in subbuglio gli uomini di scienza. Il caso delle selci strane scoppia alla fine dell’Ottocento e si trascina, con alterne vicende, per decenni, prima di essere smascherato.
Sono Angelo Viviani di Sant’Anna, detto Pippo e Giobatta Marconi, detto Titon, da Cona, i principali artefici dei falsi, a far trovare a Stefano De Stefani, pioniere della ricerca preistorica nel Veronese, questi strani oggetti in selce fabbricati durante l’inverno. Avevano anche trovato la maniera di «invecchiarli», prima di sotterrarli, facendoli bollire nel brodo di cottura delle castagne. Va precisato che non era nelle loro intenzioni gabbare gli scienziati, ma agivano esclusivamente per un bisogno di sopravvivenza, per non essere costretti ad emigrare, come hanno dovuto fare altri concittadini in quel periodo. «Non sono quindi dei falsi preistorici quello che loro realizzano», spiega Alberto Castagna, archeologo sperimentale, che collabora col Museo civico di storia naturale di Verona e con l’università di Ferrara, «ma semplicemente strane copie dalle forme abbastanza anormali di oggetti di uso quotidiano: croci, forche, pettini, curapipe...».
Dei ritrovamenti silicei dalle forme strane, oltre al De Stefani, il più convinto della loro autenticità, si sono interessati altri studiosi, ma a smorzare gli entusiasmi ci pensarono i francesi Gabriel De Mortillet, direttore del Museo preistorico di Saint Germain en Laye, e il figlio Adrien, che scoprì il Titon ad introdurre alcune selci strane in un sito archeologico.
Verso gli anni Trenta del secolo scorso Raffaello Battaglia, professore di antropologia all’università di Padova, accompagnato da Giobatta Pedrini, detto Canonier e da Serafino Fiorini, detto Speri, già operai del De Stefani, si recò nei siti dove erano state rinvenute le selci strane, senza trovarne più. Evidentemente con la morte dei «falsari», erano scomparse anche le selci strane.
La conferma definitiva che erano che dei falsi venne da Marcello Viviani, figlio del Pippo, che, nell’agosto del 1933, sottoscrisse una dichiarazione ammettendo, fra l’altro, di aver raccolto e venduto ad un dottore, dopo la morte di suo padre, selci lavorate (folende) autentiche: scalpelli, punte di freccia e di lancia, coltellini. «Altre specie di folende come quelle in forma di pettine, di croce e di àncora non sono autentiche, ma venivano fabbricate in apposito locale, immerse per lungo tempo nell’acqua bollente, sporcate di terra e poi consegnate al De Stefani quando questi veniva a Sant’Anna oppure portate a lui a Verona. Talvolta le selci venivano sotterrate in anticipo nel luogo dove poi si doveva fare lo scavo. In tal modo continuarono i lavori per anni».
Questa in breve la storia delle selci strane, 74 delle quali, ordinate in due teche di vetro, sono oggi esposte al museo grazie alla mostra curata da Alberto Castagna, coadiuvato da Barbara Bussola, Elisa Marchesini e Marco Marogna.
«L’idea di aver qui nel luogo di produzione delle selci strane», confessa Nida Peretti, presidente della cooperativa «La Fonte», che si è assunta l’impegno di tener aperto il museo, «per poter raccontare l’utilizzo della pietra, mi era venuta sin da quando, nel 2000, era stata inaugurata la sala di preistoria, al cui centro era rimasto uno spazio vuoto».
Le 74 selci strane arrivano dalla raccolta del Museo civico di storia naturale di Verona, mentre il materiale iconografico è stato concesso a titolo gratuito dal Centro di documentazione per la storia della Valpolicella, diretto dallo storico Pierpaolo Brugnoli, che, sull’argomento, ha riservato molto spazio sugli Annuari storici.
Il museo geopaleontologico e preistorico, che ha anche una ricca raccolta di fossili, è visitabile dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 18 ed è chiuso il lunedì.
Per informazioni telefonare al numero 045.7532656 o scrivere a museo.santanna@gmail.com.
Fonte: srs di Lino Benedetti da L’Arena di Verona diVenerdì 25 Luglio 2008; PROVINCIA, pag. 24
(VR 28 dicembre 2009)
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