giovedì 24 dicembre 2009

Verona – Monte Castelon di Marano di Valpolicella: Trovato il tempio di Minerva di cui si era persa ogni traccia




Il tempio di Minerva, qui sopra nell’esempio di lordine dorico immaginato da Benoit Cantallan nel 1808, piu' dare un’idea del culto romano a cui era dedicato anche l’edificio sacro di Marano. Minerva (Atena per i greci) era una divinità ambigua: figlia del sommo Giove e madre di Marte, dio della Guerra, era guerresca anch’essa (E' sempre raffigurata con l’elmo), ma per amore di giustizia e non volonta' di strage; vanta infatti tra i suoi simboli anche il ramo d’ulivo della pace ed e' indicata come protettrice delle opere d’ingegno e della politica. Guerra, seppure  giusta, pace, arti e scienze... Tanti interessi hanno un prezzo: Minerva restò zitella

Trovato il tempio di Minerva
di cui si era persa ogni traccia. Non era solo una leggenda: sul Monte Castelon riaffiorano mura romane terrazzamenti e due ambienti del vasto complesso sacro. Ma le scoperte continueranno

Sul monte Castelon la realtà supera abbondantemente la fantasia e dalla terra spuntano spettacolari testimonianze del lontano passato maranese, che sembravano ormai destinate a rimanere nella leggenda.

A togliere il velo di mistero su quello che già dai primi sondaggi gli stessi ricercatori hanno definito eccezionale, ci hanno pensato la Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto e il Comune di Marano, entrambi alla caccia del tempio perduto dedicato al culto della dea Minerva e di quanto aveva scoperto nel 1835 il conte Giovanni Gerolamo Orti Manara.


Quasi due secoli fa il nobile studioso effettuò una serie di scavi archeologici sul «fianco a levante» del monte Castelon di Marano, poco sopra l’abitato di San Rocco, incuriosito sia dal toponimo (Minerbe) sia dai ritrovamenti fatti da alcuni contadini del luogo.

Gli scavi di allora portarono alla luce diverso materiale, peraltro di notevole interesse; anche se, lo scopriamo oggi, una minima parte di quanto giace sotto i ciliegi del Castelon si è conservato fino ad oggi.



L’archeologa Brunella Bruno sul sito delle prime scoperte

«In particolare», sottolinea Brunella Bruno, funzionario archeologo responsabile del territorio veronese per l’età romana e medievale, «Orti Manara riportò alla luce parte di un ambiente con pavimento segmentato solidissimo bianco e rosso, circondato da un portico a segmento bianco e un piccolo avanzo di intercolunnio murato di ordine dorico.


Il  pavimento di un vasto ambiente del tempio romano affiorato sul Monte Castelon


Il muro che racchiudeva le colonne era in opera reticolata, di grande prestigio, raramente attestata fuori dall’Italia centrale, se non in complessi architettonici di elevata committenza. In Italia settentrionale l’opera reticolata risulta presente solo a Verona, nel teatro romano».
La dottoressa Bruno prosegue: «È probabile che i resti siano rimasti a vista, spogliati via via nel tempo di tutto l’apparato strutturale e decorativo».


Alla fine del 2006 la dottoressa Bruno e il sindaco di Marano, Simone Venturini, si sono accordati per dare il via all’indagine archeologica finalizzata a verificare l’esistenza del tempio.  Ottenuti i permessi e unite le risorse di Comune e Soprintendenza, il 5 marzo scorso sono cominciate le indagini preventive per individuare concretamente la posizione dell’edificio.


«Gli archeologi della Sap, società archeologica incaricata, hanno eseguito alcuni saggi con l’ausilio di un escavatore», prosegue la Bruno.
«Contestualmente, con la collaborazione dei proprietari stessi, le indagini sono state estese sulla sommità del Castelon, al fine di raccogliere informazioni stratigrafiche su eventuali depositi protostorici e medievali del monte. I sondaggi, benché limitati, hanno avuto un esito sorprendente. Sono stati parzialmente portati alla luce due ambienti: uno, lungo 8 metri, con un solido pavimento in cocciopesto, l’altro in graniglia bianca. È probabile che proprio questi siano i vani già visti dall’Orti Manara».




Un altro muro di quello che doveva essere un complesso sacro molto vasto

Nella terrazza sottostante è venuto alla luce un solido muro di terrazzamento, che doveva con ogni probabilità sostenere un colonnato.

«Il tempio di Marano», conclude Brunella Bruno «era dunque un tempio a terrazze, ispirato probabilmente ai modelli santuariali tardo-ellenistici, con almeno due fasi costruttive».

I lavori di sondaggio sono stati interrotti per la fioritura dei ciliegi e per dare quindi modo ai contadini di prepararsi alla stagione. Poi partirà la ricerca del tempio perduto.


Grande l’entusiasmo del sindaco Simone Venturini: «La scoperta del tempio di Minerva è un evento molto importante sia per l’antichità del manufatto, a cavallo dell’anno zero, quindi nel periodo di Cristo, sia per la bellezza della fattura. Il pavimento rosso e bianco indica una lavorazione ricca, degna di un tempio importante. E anche la sua stessa forma, addossata alla parete nord-est del colle, disposta su più piani, rappresenta un effetto scenografico assai importante».


Notevole la disponibilità dimostrata dai proprietari dei terreni, che per primi hanno indicato ai ricercatori i luoghi in cui scavare.

«Voglio ringraziare pubblicamente Enzo Lonardi, detto “Bugna”; e la famiglia di Serafino Tommasi» conclude il sindaco Venturini, «per aver concesso l’esecuzione degli scavi nei propri terreni.
 Il loro entusiasmo e la loro disponibilità hanno sorpreso anche gli stessi tecnici della Soprintendenza».



Fonte: srs di Gianfranco Riolfi  da L’Arena di Verona di sabato 31 marzo 2007 provincia pag. 27




VERONA, MARANO DI VALPOLICELLA: Tempio della Dea Minerva




Tavole di Giuseppe Razzetti

Tracce dell'esistenza di un tempio dedicato alla dea Minerva, si riscontrano già nei toponimi del luogo dove potrebbe trovarsi. Il Santuario posto sul versante sud del monte "Castelon" un tempo non lontano era chiamato Santa Maria di Minerbe. Lo stesso si può dire di San Rocco, pochi decenni fa chiamato Minerbe.

Fu per tale ragione che, incuriosito dal toponimo e da alcuni rinvenimenti effettuati da contadini della zona, Giovanni Gerolamo Orti Manara, appassionato studioso veronese di antichità vissuto nella prima metà del secolo scorso, promosse degli scavi archeologici che confermarono ben presto le ipotesi avanzate.

Il rinvenimento fu di straordinaria importanza in quanto al momento della scoperta l’area si presentò pressoché integra di elementi e arredi, per quanto ormai completamente in rovina. Purtroppo la metodologia d’indagine adottata - si trattò di uno sterro affidato a manovalanza locale - determinò, irrimediabilmente, la perdita di dati preziosi ai fini dell’interpretazione del sito e delle sue vicende storiche.

Non fu comunque una mancanza da imputare allo studioso veronese in quanto quelli erano i sistemi di indagine adottati nel secolo scorso, quando ci si limitava a mettere in luce gli elementi strutturali e i reperti mobili di particolare ‘valore, senza fare alcuna attenzione alla loro collocazione topografica e stratigrafica.

Le ricerche vennero condotte nel 1835 e l’Orti Manara concentrò la propria attenzione nella località di Santa Maria di Minerbe, sita lungo le pendici occidentali del dosso del Castelon sulla cima del quale si trovano ora i ruderi di un castello.

 La breve relazione degli scavi, apparsa nel «Bollettino di corrispondenza archeologica» del 1836 (ORTI MANARA 1836) riassume in poche righe la descrizione delle strutture e degli oggetti rinvenuti; nelle tavole di Giuseppe Razzetti (noto pittore mantovano che lavorò per Orti: MARCHINI 1972, 109-117), ora custodite presso la Biblioteca Civica di Verona, sono riprodotti la pianta dell’edificio individuato e alcuni degli oggetti recuperati.


Fonte: tratto dal libro edito dal comune; Marano Valpolicella, 1999

 
Nonostante l'accurata descrizione dei ritrovamenti, non è stato indicato il luogo esatto dov'era il tempio. La vegetazione e il progressivo interramento al momento non permettono l'individuazione dei ruderi.




(VR 24 dicembre 2009)

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