mercoledì 30 dicembre 2009

LAVAGNO DI VERONA: Corte LEPIA, il saccheggio continua




La strada costruita vicino all’antico complesso monastico di Lepia

LAVAGNO. Era un angolo incantato. Ora una strada sfreccia accanto al monumento, proprio lì è stato fatto l’ennesimo centro commerciale e i muri medievali crollano

Disprezzo della storia e vergogna della propria memoria. Non ci sono altre spiegazioni per quello che sta succedendo nel complesso monastico medioevale di San Giuliano di LEPIA, poligono di addestramento per vandali.

Il complesso formato dall’antico convento e dalla fattoria che nei secoli si è costruita attorno al nucleo originario è da anni in abbandono.
Mentre si discute del suo recupero e si fanno scavi per sondaggi archeologici in vista degli interventi futuri, dentro il cuore della LEPIA, nel monastero e nella chiesetta con affreschi anteriori al 1200, distruzione e degrado.


Proprio in occasione dell’ultimo intervento della Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici, mirato a dei sondaggi archeologici, era stato aperto un pertugio per un sopralluogo all’interno della chiesetta.  Da quella parte sono venute le ultime e più gravi devastazioni, con vandalismi che non hanno altra spiegazione se non il disprezzo.


Così è ridotto l’altare della chiesa, spogliato di tutti i marmi

L’altare maggiore è stato preso di mira con la rottura di diversi inserti marmorei e la frantumazione della pietra che chiudeva il lato a vista. La pesante pietra è stata scalzata dalla sua sede e frantumata sui gradini dell’altare. Stessa sorte è toccata alla pietra della mensa.

Il vandalismo ha messo in luce l’unica cosa di valore che l’altare nascondeva: un grosso parallelepipedo in marmo bianco, che è probabilmente il basamento di una colonna romana.
Infatti allungando la mano nella fessura fra la mensa rotta dell’altare e la base superiore della misteriosa pietra bianca si percepiscono ancora le cavità dentro le quali erano probabilmente sistemati gli ancoraggi per il blocco di marmo sovrastante della colonna o del pilastro.



Primo piano dell’altare spogliato: al centro si nota una pietra bianca, probabilmente di origine romana

Quello di sistemare sotto gli altare delle chiese cristiane pietre con o senza iscrizioni latine era un particolarità delle costruzioni altomedioevali, documentata sotto l’altare della chiesa di Santa Giustina a Illasi, a pochi chilometri dalla LEPIA.  Anche questa era chiesetta di un complesso monastico dove pare sia stata priora Francesca, figlia di Cangrande della Scala.
In un intervento di restauro del secolo scorso fu rinvenuto sotto l’altare una pietra con iscrizioni dedicate agli imperatori Massimino e Costantino.
Il martirio di santa Giustina avvenne infatti mentre regnava Massimino e collocare la pietra con il suo nome sotto l’altare dedicato alla vergine martirizzata era un segno tangibile del trionfo del bene sul male.


Sul lato visibile la pietra di LEPIA non porta iscrizioni, ma nulla impedisce che ci siano sui lato rivolto verso l’abside o sulle pareti non visibili.
Il peso del reperto ha impedito che fosse trafugato e la sua scoperta casuale, grazie a una visita agli scavi della Soprintendenza da parte di Aldo Masconale, appassionato di arte e archeologia, ha impedito che ci fossero ulteriori devastazioni e furti.


Il chiostro dell’ex complesso monastico, oggi in stato di abbandono e soggetto a vandalismi

«Ho avvisato il Comune di Lavagno e l’assessore Walter Facchini ha fatto murare l’accesso alla chiesa», racconta Masconale.  Nel frattempo erano già state sfondate le due grandi pietre sepolcrali che si trovavano al centro della navata, mentre in precedenza c’erano stati il furto del pozzo al centro del chiostro e delle due campane dalla torre.

Per ora si sono salvate tracce di affreschi altomedioevali nell’abside e sulla facciata: a quelli penseranno probabilmente le intemperie e le infiltrazioni di umidità a dare il colpo di spugna definitivo.



Il colonnato 

La caccia al reperto non ha risparmiato neanche tre gradini di pietra levati da una scala che sale al piano superiore della casa colonica.  Nella vicina grande stalla, tutte le colonne in pietra, eccetto una, che sorreggevano le grandi travi del soffitto sono state rubate. Una, caduta ai ladri e spezzatasi, è rimasta sul pavimento, mentre ne mancano al conteggio almeno una decina. Il soffitto è puntellato con tubi in ferro e pali di fortuna.


La Soprintendenza ha fatto i suoi sondaggi archeologici, ma non ha dato il buon esempio: ci sono scavi aperti da mesi e lasciati in totale abbandono e incuria.
Affiorano ossa umane — tibie, femori e calotte di crani — cocci di vasellame, chiodi arrugginiti di vecchie casse in legno sfasciate, testimonianze di un cimitero attorno al complesso monastico che meriterebbe quanto meno il rispetto umano, visto che quello archeologico non sembra interessare.
In attesa del grande intervento di recupero per fare della memoria che resta case e uffici, perfino un ristorante, si accendono le vicine luci della zona artigianale e commerciale: nuovi mercanti a due passi dal tempio della storia.

Fonte: srs di Vittorio Zambaldo da  L’Arena di Verona di mercoledì 03 settembre 2008;  provincia pag. 23


Corte Lepia: Alle ortiche secoli d’arte


Campanile e abside della chiesa, con parte degli edifici dell’ex monastero, da anni abbandonato al degrado

Gli edifici storici ora in rovina derivano da un insediamento dell’anno 996: fino alla soppressione da parte della Serenissima, fu un monastero molto importante

LEPIA di recente è stata anche teatro di un’operazione di polizia contro lo spaccio di stupefacenti.  Complice l’apertura dell’accesso a nord, senza portone, nelle cantine, negli essiccatoi e nei depositi agricoli si trovavano giacigli di fortuna, auto, televisori e materiale di ogni genere. Anche i writers hanno trovato il modo di esprimersi pitturando le pareti degli edifici.


Il primo insediamento in località LEPIA risale a prima dell’anno Mille: il primo documento scritto, datato 996, si riferisce a una sentenza imperiale su questo appezzamento di proprietà della nobile famiglia Avogadro.
Nel 1176 un Avogadro concesse chiesa e terreno a due sorelle di nome Gemma e Realda.
Queste si votarono alla regola di San Benedetto, costituendo un monastero di clausura, mettendosi sotto la diretta protezione del papa. Il 2 novembre 1186 papa Urbano III venne a consacrare la chiesa di San Giuliano.
Nel 1411 papa Eugenio IV soppresse il convento.

La regola dettata da Gemma e Realda prescriveva oltre ai tre voti perpetui (castità, obbedienza e povertà) anche quello di obbedienza al papa.  Una scelta che verrà ripresa successivamente dalla Compagnia di Gesù, fondata da Sant’Ignazio di Loyola.  Quest’ultimo voto venne osservato con fedeltà, ma furono gli altri a venir meno, come quello della povertà e soprattutto della castità.

Nel 1391 si aprì una vertenza tra le suore papiste e il vescovo di Verona, monsignor Giacomo Rossi, che sfociò in un processo ecclesiastico sulla loro condotta morale.
 Furono raccolte varie testimonianze su situazioni di promiscuità tra le monache e i contadini che conducevano i loro fondi, una situazione che creò non poco scompiglio tra i fedeli del posto.
Raccolte le prove, il vescovo si rivolse a papa Eugenio IV, che decretò la chiusura del convento e la soppressione dell’ordine femminile.  Le undici suore superstiti lasciarono il convento e vennero invitate a ritirarsi in quello di Santa Giustina a Padova.


Tuttavia alcune di loro nel 1447 fecero ritorno a LEPIA in barba alle disposizioni del pontefice e riaprirono il convento sotto l’egida di quello di Santa Giustina prima e di quello di San Nazzaro e Celso poi.
Le suore tornate numerose e osservanti vennero premiate da papa Innocenzo X che il 23 aprile 1646 concedette l’indulgenza plenaria alla chiesa di San Giuliano.  La chiusura definitiva giunse con il decreto di soppressione della Repubblica di Venezia nel 1771.  (Z.N)


Fonte: srs di Zeno Martini da  L’Arena di Verona di mercoledì 03 settembre 2008 provincia pag. 23


(VR 30 dicembre 2009)

2 commenti:

Unknown ha detto...

mi piacerebbe sapere se esiste un'associazione a sostegno di Corte Lepia o se esiste un proprietario. sconvolgenti le notizie che si leggono su questo blog.

Anonimo ha detto...

....nel lontano 1964, ero militare a Montorio Veronese. Io sono della provincia di Veterbo
Acquapendente, e sono rimasto stupito da quello che il blog racconta. Li facevo più civili i veronesi. mi dispiace, ne avevo un buon ricordo. gianni molinari.