Dino Coltro nel suo studio in una foto di qualche anno fa
LA SCOMPARSA DEL POETA E SCRITTORE CONTADINO.
Cordoglio in città e a San Giovanni Lupatoto
Addio a Dino Coltro, l'ultimo cantore del mondo agricolo
Dino Coltro è morto a 79 anni nella sua casa di Cadidavid. Avrebbe compiuto 80 anni il prossimo 2 novembre. Da un po' non stava bene, e si era trasferito da qualche tempo dal figlio Stefano, negli ultimi giorni le sue condizioni erano peggiorate. Nato a Strà di Coriano d Albaredo d’Adige il 2 novembre del 1929 è stato scrittore e poeta. Figlio di contadini, è riuscito con molti sacrifici a diventare maestro elementare, e dal 1970 al 1990 è stato direttore didattico a San Giovanni Lupatoto, dove ha vissuto gran parte della sua vita.
Verona. «Abbiamo perso il Berto Barbarani dei nostri tempi».
La notizia della scomparsa di Dino Coltro ha scosso città e provincia. L'assessore alla Cultura Erminia Perbellini ricorda il poeta e scrittore contadino con grande affetto: «Una perdita grave per la città e per la nostra cultura. Dino Coltro è stato in grado di tener vive le nostre radici e le nostre tradizioni, incarnando la cultura che per secoli è stata alla base del modo di lavorare nel nostro territorio. Con i lunari lui riusciva a tramandare una cultura fondamentale per il lavoro dei contadini».
Il Comune prenderà in queste ore contatto con la famiglia di Dino Coltro: «Vogliamo ricordarlo nel modo migliore, come si conviene a uno dei grandissimi protagonisti della cultura cittadina, come Gino Beltramini, Angelino Sartori, Berto Barbarani, custode della cultura popolare, agricola e dialettale. E nonostante questo», aggiunge, «Dino Coltro era un personaggio molto conosciuto e riconosciuto ben oltre la provincia veronese, con la laurea honoris causa nel 2005 e la medaglia d'oro conferitagli dal Presidente della Repubblica al merito educativo e culturale».
Grande cordoglio anche a San Giovanni Lupatoto dove tutti in paese conoscevano lo scrittore del mondo contadino. Chi non lo conosceva per le sue opere lo aveva avuto, da scolaro, come direttore didattico della scuola elementare Cangrande che aveva diretto per quasi due decenni. I funerali saranno celebrati domani, martedì 7 luglio, alle 16 nella chiesa di San Giovanni Battista.
Coltro era il monumento vivente della storia della civiltà e della cultura contadina veneta. I suoi libri, raccolte di poesie, lunari, proverbi, testi teatrali sono una rappresentazione viva della vita dei campi fino agli anni Cinquanta, quella che ha segnato intere generazioni.
Il sindaco di San Giovanni Lupatoto Fabrizio Zerman esprime tutto il cordoglio e il dolore della comunità: «Se n'è andata una parte importante della storia del nostro paese» afferma. «Dino Coltro era un personaggio e uno studioso noto a livello regionale nazionale che dava lustro alla nostra comunità per il suo riconosciuto valore di storico della civiltà contadina, scrittore e poeta. Aveva il suo carattere e non era sempre facile andare d'accordo ma era comunque innamorato della sua gente e del suo paese». Continua Zerman: «L'ho incontrato l'ultima volta una paio di mesi fa. Lui non aveva preso bene la vicenda dell'abbattimento dei capannoni dell'ex Ricamificio, che considerava l'ultimo reperto di civiltà industriale locale da salvaguardare ad ogni costo come memoria storica e testimonianza dello sviluppo del paese. Aveva in mente la Fabbrica delle Idee e il centro di aggregazione culturale da ricavare nel vecchio manufatto. Voleva che intervenissimo, come amministrazione, in questa direzione. Lo avevo rassicurato in questo senso ed avevamo concordato di vedere insieme il progetto non appena disponibile». ( M.B. e R.G.)
Dino Coltro riceve la laurea "honirs causa" è l'ottobre del 2005
I RICORDI. IL narratore della storia «viva»
Di Francesco Butturini
L’ultimo incontro all’istituto Ciccarelli, la conferenza al Maffei con Rigoni Stern, la laurea honoris causa. E una Verona che lo apprezzato non abbastanza; Lo metto vicino a Le Goff e Duby. Senza grandi editori, non ha avuto la fama che meritava
L’ultima volta ci siamo incontrati all’istituto Ciccarelli di San Giovanni Lupatoto, in una sala strapiena. Dino mi aveva chiesto di presentare ai lupatotini il suo ultimo lavoro «Lupus in acua»: uno «strano lavoro» come mi ha scritto nell’invito a presentarlo. Un lavoro pensato e scritto come Dino ha sempre fatto: studiando le fonti, confrontandole e da lì partire con l’ala della fantasia scientifica, perché non c’è scienza se non c’è fantasia. Un lavoro che ha il respiro di tutti i suoi libri: insieme, occupano un palchetto intero di libreria.
Gli chiedevi quanti libri hai scritto, ti rispondeva: non lo so. Oppure: perché me lo chiedi, devo battere qualche record?
La sua finezza stava proprio in una dolce-bruciante ironia che lo ha accompagnato sempre nella sua vita di contadino, che dalla terra impara la pazienza e l’amore per i deboli: non per semplice affetto, ma per fraternità, che vuole il riscatto del più debole. Con lunghissima tenacia che non lo ha mai abbandonato. Una tenacia che fonda le sue radici nello studio, nella riflessione, nella scrittura. Per arrivare a raccontare una storia che la grande Storia ignora o adopera solo quando serve.
Metto Dino Coltro vicino a Le Goff e a Duby: ai due grandi storici che hanno fatto scoprire a tutti noi il significato della micro-storia che diviene la radice viva e fresca della macro-storia; senza sovrapposizioni, ma anche senza gerarchie. Mi auguro che ora l’università che ha laureato honoris causa Dino Coltro lo scopra veramente e lo faccia scoprire ai suoi studenti, sui tre versanti che costituiscono la sua ricchissima produzione: la poesia e la narrativa, il teatro, la saggistica. Una produzione che, salvo rari casi, non ha avuto la fortuna di grandi editori (un merito speciale va a Giorgio Bertani che per anni è stato, fra alterne vicende non sempre felici, il suo editore) e questo fatto non ha giovato a dare a Coltro la fama nazionale e internazionale che la sua ricerca storico-sociale merita.
Due ricordi, fra i tanti che affollano la mia memoria: il confronto con una editrice fiorentina, la Sansoni; l’editor era allora Alberto Busignani e il libro che gli presentavo era «Dalla magia alla medicina contadina e popolare» (1983). Dino era preoccupato solo di una cosa: un fiorentino avrebbe capito il suo modo di scrivere, quel misto fra dialetto (il «suo» veronese di Rivalunga) e l’italiano? Era in soggezione, lui, che aveva alle spalle «Paese Perduto» (1982), un’enciclopedia del mondo contadino come nessuno prima e nessuno dopo ha mai scritto!
E il secondo ricordo al Maffei nel 1986: lo avevo invitato a un dialogo con un altro grande amico: Mario Rigoni Stern. Dino era felice e orgoglioso, per la prima volta non avrebbe dovuto arrabbiarsi con i prof del Maffei, come quando in quell’aula magna aveva dovuto ribattere alle loro sciocche pretese pseudoculturali. Ora altri prof. ma sempre del Maffei, erano venuti in quell’aula magna con i loro studenti per ascoltare lui e con lui ascoltare un altro grande.
Di quell’incontro conservo la registrazione, che ho rivisto prima di scrivere queste poche righe, per incominciare lo studio dell’opera di Dino Coltro, che Verona crede di aver conosciuto, ma non ha saputo apprezzare per il suo vero valore culturale, storico, poetico.
OMAGGIO. Il coordinatore cittadino del Pd, Emanuele Amaini:«Un vero educatore per la nostra società»
«Dino Coltro è stato una figura di valore assoluto per la cultura e la società veronese, un educatore in vari campi della cultura e della società».
Inizia così il ricordo e l’omaggio del poeta e scrittore contadino di San Giovanni Lupatoto in una nota di Emanuele Amaini, coordinatore cittadino del Partito democratico.
«Impegnandosi nel mondo della scuola, nel sindacato, in quello delle associazioni (per vari decenni nelle Acli ma non solo) molto spesso da lui stesso fondate», scrive Amaini, «Dino Coltro ha dato dignità e fatto crescere persone e famiglie secondo i valori più autentici della nostra tradizione. Il profondo rispetto dei valori, cristiani e umani, ha costituito nei suoi molti fronti di lotta l’elemento discriminante, ottenendo per se stesso, soprattutto nell’ambito politico, forse meno di quello che avrebbe meritato, ma seminando un esempio da conservare e rinnovare».
«Ha preso sempre le difese dei più poveri», continua la nota di Amaini, «indicando anche la strada per un duraturo riscatto ed una effettiva liberazione. Ha cantato un mondo contadino che viveva nel secolo passato una profonda trasformazione, ma da quel mondo nello stesso tempo ha tratto gli elementi di cui sempre Verona e i veronesi dovrebbero fare tesoro».
Tradizioni: un’opera che non ha uguali in Italia
Dino Coltro abitava a San Giovanni Lupatoto da quasi cinquant’anni. Vi si era trasferito poco tempo dopo il matrimonio con Gilda Andreoli, la donna di Santa Maria di Zevio sposata nel 1959. A chi gli ricordava i risultati di una vita dedicata allo studio e alla documentazione di storie e tradizioni della civiltà contadina (quasi 50 libri tra i quali spiccano “Mondo Contadino” e “La Terra e l’uomo”, le sue bibbie) rispondeva di aver riportato per iscritto quello che la gente dei campi diceva e viveva, senza vantarsi di un’opera di trascrizione e documentazione che non ha eguali in Italia. Santo (questo il suo primo nome) Dino Coltro era nato il 2 novembre 1929 alla Strà di Coriano, ad Albaredo. Apparteneva a una famiglia di braccianti agricoli.
Segnalato dal parroco come “ragazzo sveglio” viene mandato in un collegio di Riva del Garda a studiare da prete. La guerra interrompe il suo corso di studi che continuerà da privatista fino a diventare maestro. Nel 1959 sposa Gilda Andreoli di S. Maria di Zevio: l’aveva conosciuta quando si recava in paese a prendere l’autobus. (R.G.)
Ci parlava in dialetto l’unica lingua che ne strùca el cor
Di Silvino Gonzato
«Quando prendo la penna in mano (un atto di presunzione, come dice il ragionier Dolimàn e mi ghe dò resón anche se potrebbe fare a meno di dirlo) e ogni tanto, anzi spesso, non venendomi la parola in italiano, pesco nel dialèto» scrive la Olga «penso che, dopo tutto, non ho niente di cui vergognarmi perché el dialèto era la lingua di Dino Coltro e che se ancó, nel domilanóve, in molte famiglie se parla ancora come se magna e come i parlava i nostri vèci, l’è merito grande anche del Dino, dei suoi libri, dei suoi proverbi, dei suoi articoli su "L’Arena" che tengo tutti in un càlto speciale.
Adesso che el Dino (credo di poter permettermi di chiamarlo per nome perché lo conoscevo e ci siamo visti tante volte anche se non abbastanza) non c’è più, a parte il bene che gli volevamo tutti, ci sentiamo orfani del suo insegnamento perché el dialèto l’è longo secoli e lui poteva insegnarci tante altre cose e chissà quanti càlti avremmo potuto riempire con i suoi nuovi libri». «Scriveva e parlava nel dialèto delle raìse e, fin che ha potuto, è andato in giro per i paesi e le campagne per recuperare parole e modi di dire che neanche lui conosceva.
Il mio Gino, che del Dino avrà letto mille volte “I léori del socialismo” tanto da saperlo a memoria, ha sempre detto che del dialèto esistono due tipi, quello stràsso che si parla d’istinto senza essere coinvolti dal significato delle parole e quello colto, quello che ogni parola, quando la pronunci, la te làssa in bòca un saór di Storia, di civiltà, di affetti, di ricordi, de pàre e de màre, de nòni e de nòne, de borotalco de butìni, di fatica del vivere, di gioie semplici e di disgràssie grosse. Era quest’ultimo el dialèto che ha tentato di insegnarci el Dino, quel dialèto di cui ogni parola l’è una funsiòn de le Quarantore».
«L’italiano, specie se parlato dalla gente che no l’è bòna de parlarlo e lo parla, diventando ridicola, solo perché pensa che il dialèto sia squalificante, è freddo come un tòco de piéra e per scaldarlo ci vogliono i grandi scrittori e i grandi poeti, ma el dialèto el vien fóra da la bóca zà caldo, tanto caldo da broàrte la léngua».
«El Dino l’è andà, come altre persone care proprio in questi giorni, compresa una che più cara non se pól tanto che mi verrebbe voglia di buttar via la penna, ma visto che bisogna continuare a vivere finché non arriverà la nostra ora, che speriamo più lontana possibile, penso che il nostro compito sia quello di farlo per conto anche dei nostri cari morti che dentro di noi e attraverso di noi continuano a vivere. E a parlàrci nell’unica lingua che in fondo ne strùca el cór, el dialèto».
Fonte: Da L’Arena di Verona di lunedì 06 luglio 2009
Per il suo lavoro ha ottenuto vari riconoscimenti, tra cui il Premio Sirmione-Catullo, la Medaglia d’Oro del Presidente della Repubblica al merito educativo e culturale e la laurea honoris causa in Scienze della Formazione, ricevuta nel 2005 dall'Università di Verona.
Tra i suoi libri:
I lèori del socialismo (1973)
Sloti de tera (1977)
Leggende e racconti popolari del Veneto (1982)
Paese perduto (1982)
Un proverbio al giorno (1985)
Fole lilole (1987)
Cante e cantàri (1988)
Stagioni contadine (1988)
L’Adige (1989)
Piero Bailon che con on giro de baile girava on campo (1989)
La nostra polenta quotidiana (1990)
Il temporario (1993)
Santi e contadini (1994)
Parole perdute (1995)
Il parlar adesante (1996)
Memoria del tempo contadino (1997)
L’altra cultura (1998)
L’altra lingua (2001)
La cucina tradizionale veneta (2002)
Dio non paga al sabato (2004)
Rivalunga (2004)
Quatro ciacole con Barbarani (2006)
Gnomi, anguane e basilischi (2006)
La terra e l’uomo (2006)
(Verona 14 dicembre 2009)
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