lunedì 21 dicembre 2009

Chiesa di San Zeno di Verona: ecco i graffiti che riscrivono la storia




Il fabbriciere della basilica di San Zeno, l'architetto Flavio Pachera, illumina l'affresco con i graffiti

Graffiti: Sono centinaia e fra essi ce n'è uno che parla della morte di Berengario, l'imperatore che fu assassinato nella nostra città nella notte del 7 aprile 924. Nascosti in una  absidiola, anticipano al nono secolo la realizzazione di alcuni affreschi, sui quali sono incisi




Quella gran fabbrica che è la basilica di San Zeno continua a riservare sorprese. L’ultima è che le tracce medievali al suo interno sono più antiche di quanto si pensasse sinora. E non di poco. Di un secolo e più. La scoperta, perché di questo si può parlare, anche se i segni erano già stati visti in passato, ma senza coglierne l'importanza, è merito dell'Università di Verona, la cui docente di Storia dell'arte medievale Tiziana Franco, con il docente di Storia medievale Gian Maria Varanini e Gian Pietro Brogiolo, che insegna Archeologia dell'altomedioevo a Padova, ha avviato un censimento dell’edilizia romanica veronese. Grazie alla disponibilità dell'abate don Gianni Ballarini e del fabbriciere della basilica, l'architetto Flavio Pachera, l’attenzione della Franco si è concentrata sull’absidiola, in parte sotto il livello del pavimento, davanti alla quale è collocata la colossale statua di San Zeno seduto, benedicente e con il pesce che pende dal pastorale.


«A fine agosto», spiega la Franco, «siamo scesi in questa piccola abside, sul lato sinistro guardando l’altar maggiore, i cui affreschi erano stati datati undicesimo secolo dagli studiosi che se ne erano occupati. Qui siamo rimasti colpiti dalla grandissima quantità di graffiti, centinaia, quasi tutti di carattere funerario o devozionale, con nomi, riferimenti, date. E allora abbiamo chiesto un approfondimento allo storico medievale Varanini e al docente di Paleografia Massimiliano Bassetti».


ANTE QUEM.
Due sono le date che hanno suscitato l'immediato interesse dei due studiosi. La prima è un 915 ed è riferita a un decesso. Ma la più stupefacente è la seconda,  con un riferimento esplicito alla morte di Berengario, re e imperatore che aveva scelto Verona come capitale e qui era stato assassinato nella notte del 7 aprile 924.


Il graffito in cui si legge il nome di Berengario

«Sono date importantissime», riprende la Franco, «perché segnano quello che noi storici chiamiamo “ante quem”. Infatti, essendo stati i graffiti incisi su degli affreschi, significa che essi sono stati realizzati prima di quelle date. Il che ci riporta al nono secolo, forse in piena epoca carolingia. E suggerisce di ripensare e rileggere le vicende architettoniche della basilica pre-romanica».


MOLTE RICOSTRUZIONI.
Il primo edificio sacro dedicato a San Zeno, morto nel 380, fu una chiesetta sorta sulla sua tomba, edificata, si dice dal re degli Ostrogoti Teodorico. Essa sarebbe stata distrutta nel IX secolo e subito ricostruita dal vescovo Rotaldo e da Pipino, re d'Italia, su progetto dell'arcidiacono Pacifico. Anche questa nuova chiesa finì distrutta, all'epoca di Berengario, durante una incursione degli Ungari, che all'inizio del decimo secolo avevano messo a ferro fuoco tutta la parte settentrionale dell'Italia. E qui, nella cripta dove ancora oggi è conservato, fu traslato il corpo di San Zeno, dopo che per qualche anno era stato custodito per maggiore sicurezza nella cattedrale di Santa Maria Matricolare, il duomo. Era il 21 maggio 921. Due anni prima dell'assassinio di Berengario. 


La basilica iniziò a prendere la forma e la struttura che tutti vediamo sotto il vescovo Raterio, che nel 967 riuscì a farsi dare i fondi per costruirla dall'imperatore Ottone I. Danneggiata dal terremoto del 3 gennaio 1117, nel 1138, fu allungata e ingrandita. Ma i lavori per il soffitto e l'abside furono definitivamente chiusi nel 1398.


MURATA PER SECOLI. 
«L’absidiola con i graffiti», spiega il fabbriciere Pachera, «fu probabilmente riaperta solo dopo il 1870 da Giacomo Franco, nei grandi lavori di sistemazione dell'interno. Nelle mappe e negli studi precedenti, che ho potuto consultare, essa appare infatti sempre murata. Solo dopo il 1865 vi si individua un ripostiglio, con una porta. Franco sgombera tutto, ma non sappiamo ancora quando essa fu definitivamente liberata e scelta per accogliere, sul fronte, la grande statua di San Zeno».


Dopo la scoperta, la Franco sta già lavorando a un articolo che uscirà a breve, mentre un libro interdisciplinare, che cercherà di approfondire ogni aspetto delle nuove rivelazioni apportate dai graffiti, è già stato messo in cantiere. E per questo è stata interpellata anche la Soprintendenza ai Beni architettonici e ai Beni artistici, affinché consenta indagini più accurate sulle murature dell’abside e sulle sue pitture. 




«Non bisogna
 snobbare 
mai niente»


«È stata una scoperta molto emozionante», dice l’abate di San Zeno don Gianni Ballarini, entrato in carica appena il maggio scorso. «Essa rende ancora più affascinante la storia di questo complesso abbaziale e quindi non posso che essere curioso degli sviluppi futuri. Pensiamo sempre», continua l’abate, «di sapere ormai tutto della storia che ci ha preceduto, invece questo ritrovamento ci insegna che non bisogna sottovalutare nulla e, soprattutto, non gettare mai via nulla di quanto ci hanno lasciato i nostri antenati. Anche l’angolo più nascosto, infatti, può celare dei tesori di conoscenza per la storia della Chiesa veronese, ma anche per la storia della città stessa. Io dal canto mio», prosegue don Ballarini, «mi rendo conto della responsabilità di custodire un monumento così antico, un vero e proprio scrigno, in cui continuare ad attingere per il bene di tutti, perché sono convinto che gli studi che seguiranno a questa scoperta porteranno lustro a tutta Verona. Per fortuna», rimarca l’abate, «posso avvalermi di collaboratori competenti e appassionati, come il fabbriciere, l’architetto Flavio Pachera, che mi aiutano nella conservazione di quanto mi è stato affidato».


Non ci sono dunque solamente i grandi capolavori come la Pala di Mantegna o la splendida architettura, che ne fa una delle chiese più maestose della Cristianità, ma davvero anche il più piccolo frammento di questa basilica può riservare sorprese. (G.B.)


Berengario: Il re che fece
di Verona
una capitale


Ma chi fu Berengario? Marchese del Friuli, nato nell’850, fu uno dei protagonisti delle lotte per il Regno d’Italia e per il Sacro Romano Impero nei decenni a cavallo tra la fine del IX secolo e l’inizio del X, l’epoca che fu chiamata dell’anarchia feudale.


Nell’ambito di queste guerre, molto feroci, egli scelse Verona come propria sede, facendone di fatto la capitale del Regno e dell’Impero (almeno per la parte di Berengario, visto che re imperatori in quel tempo si sprecavano). E a Verona sono legati due momenti molto tragici della sua vita. Il primo è del 905, quando fu costretto a lasciare la città nelle mani di Lodovico III di Provenza, che era sceso in Italia chiamato dal papa, che l’aveva incoronato imperatore, dopo che una dieta l’aveva già nominato re d’Italia, titoli entrambi che Berengario rivendicava per sè. La ritirata verso il Nord, però, era una finta e Berengario riuscì a rientrare con le proprie milizie in città nella notte del 25 luglio. Lodovico fu catturato nella chiesa di San Pietro in castello, accecato e rispedito nella sua Provenza.


Il secondo episodio è il suo omicidio. Berengario, che ormai aveva 73 anni, la sera del 7 aprile 924 uscì di casa per recarsi in una delle due chiese lì vicino, San Bartolomeo e San Siro, ma lo attendeva un agguato e cadde trafitto dai pugnali dei congiurati.


Ed è proprio la sua morte, segnata con un graffito su uno degli affreschi dell’absidiola di San Zeno, a ripartire ora l’interesse degli studiosi per la sua epoca. (G.B.)





Fonte: srs di Giancarlo Beltrame; da L’Arena di Verona di Domenica  20 dicembre 2009. CRONACA, pagina 17. (Foto Marchiori)

(VR 21 dicembre 2009)

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