mercoledì 9 dicembre 2009

Monteforte di Verona: I dinosauri nelle pietre - Solo Antonio Bogoni li sa vedere

Antonio Bogoni con una pietra:    è un femore di dinosauro

Paleontologo, libero ricercatore, autodidatta, sfida l’ironia dei benpensanti: «Sotto questa casa c’è uno Stegosauro lungo 9 metri»

Antonio Bogoni ha 3.000 reperti per dimostrare la sua teoria «Dentro queste colline sono stesi colossali animali del passato»

L'Indiana Jones dei dinosauri è un montefortiano, si chiama Antonio Bogoni e fa il muratore. Sa benissimo che qualcuno gli darà del matto, ma sull’argomento non teme confronti: «Macchè trasformati in uccelli: i dinosauri si sono estinti in seguito a una sconvolgente pioggia meteoritica. E le rocce delle nostre colline sono il loro cimitero».

Alcune pietre raccolte da Bogoni: secondo lui, sono tutte parti di scheletro appartenute ai dinosauri

A spasso tra quelli che Bogoni ritiene preziosi giacimenti paleontologici, Bogoni non lesina spiegazioni. «Secondo la mia teoria le cose sono andate proprio così. Non pretendo di rivoluzionare la scienza ufficiale, ma che qualcuno mi dimostri, in modo oggettivo e incontestabile, che le cose sono andate diversamente», si infervora. «Il fatto che nessuno, fino a ora, lo abbia fatto, mi autorizza a sostenere anche un'altra possibile verità».

Sono anni che scrive a Soprintendenze, musei, esperti di paleontologia, per chiedere pareri ma anche per comunicare di aver trovato e di custodire reperti, e in cambio, assicura, quand’è andata bene ha ottenuto ironici sorrisi. Il più delle volte, invece, un fragoroso silenzio.

Antonio Bogoni a Monteforte tra i suoi reperti: ne ha collezionati oltre 3.000

Ma lui non si scompone. Pensa alla posterità. Così ha pensato di tutelarsi mettendo nero su bianco le sue idee, e registrando ufficialmente una manciata di libricini. «L'ho fatto solo per un motivo, lo stesso che nel 1808 consigliò Gian Battista Brocchi, geologo e professore, a redigere il suo Trattato mineralogico e chimico sulle miniere di ferro. Nel secondo volume del Trattato», spiega Bogoni, «Brocchi per primo sostenne quello che oggi io ribadisco».

SELCI
L'uovo di Colombo, a sentire Bogoni. Tutto ruota attorno a un concetto: Brocchi e Bogoni sostengono che le selci sarebbero resti di microrganismi, ovvero il risultato della trasformazione del glutine animale. «Il malinteso», spiega Bogoni, «si deve al fatto che sino ad ora, con le selci, non è stato studiato l'animale, ma una parte del suo apparato digerente».

In pratica, dunque, qui i dinosauri ci sarebbero tutti interi, pietrificati nelle colline: e per dimostrare la sua tesi, a partire dal 2002 Bogoni ha messo insieme qualcosa come 3.000 reperti, fossili ma anche meteoriti ferrose e quel che lui suppone essere, in versione pietrificata, femori, vertebre, denti, uova, le palle che molte specie di dinosauri avevano in fondo alla coda, unghie e code di dinosauri.

«Qui ci sono le meteoriti ferrose che avrebbero steso a terra i dinosauri, e c'è il dinosauro che ho trovato e le tracce degli altri, tutti stesi a pancia sotto. Mi rendo conto che questa idea possa sembrare folle», si ferma per un attimo il genio di provincia, «ma proprio per accertare questa ipotesi ho scoperto quella che potrebbe essere la verità», rilancia.

Altre pietre di Bogoni: a destra, due «code di dinosauro»; a sinistra «uova di dinosauro

È a Campofonfana che, quattro anni fa, Bogoni ha trovato la sue conferme: approfittando di uno sbancamento per la costruzione di una villetta, ha passato alcuni giorni in ricerca. Poi le prime tracce, denti, unghie e quindi le misurazioni della distanza tra  le zampe anteriori, e poi quelle dalla coda alla testa.
«Ho scoperto così Lorise, il dinosauro che oggi è seppellito sotto quella casa. È un parente dello Stegosauro ed è lungo 9 metri, 5,80 metri senza coda, testa piccolissima».
Lorise prende il nome dalla sintesi dei nomi dei proprietari di quel fondo in cui nel 2005 Bogoni scoprì «il cimitero dei dinosauri».

L'Indiana Jones di Brognoligo ha fatto repertare alcune presunte ossa, i medici che ha sentito, a suo dire, confermerebbero «che di ossa di tratta».

CONFERME
Lui va per la sua strada e con gli anni è diventato esperto, almeno nel modo di parlare: «Sono sempre stato e solo un operaio di malta e cazzuola, ma ho imparato a mettere insieme la conoscenza dei terreni, la chimica, la reazione dei materiali e ho trovato sostegno alle mie intuizioni. Io faccio solo una domanda: se queste non sono code o teste, che cosa sono?»

Secondo Bogoni basta guardarsi intorno per avere continue conferme: le immagini nella roccia che per alcuni studiosi sono scherzi della natura, per lui sono i grandi rettili pietrificati.

Uno strato roccioso affiorante, in cui Antonio Bogoni vede «la testa fossile di un dinosauro»

«La Foresta pietrificata dell'Arizona non è una barzelletta. Anche lì sono stati ritrovati resti fossilizzati trasformati in dure rocce per opera di acque ricche di silice. La terra doveva essere ricca di enormi equiseti, piante ricchissime di silicio che erano anche il cibo dei sauri: ecco perché le ossa pietrificate si presentano come selce».

L'anno scorso, esasperato, aveva quasi deciso di buttare tutto all'aria: ha pensato però, prima, di proporre la sua intera collezione ai Comuni veronesi che fossero disponibili a dedicare ai suoi reperti qualche vetrina in qualche sala. Qualcuno è parso interessato, ma oggi che riesce a realizzare il suo sogno, cioè poter raccontare a una platea vasta come quella dei nostri lettori la sua intuizione e l'invito rivolto alla scienza ufficiale a smentirlo, ha rallentato.

Non teme di essere deriso o, peggio, compatito? «La scienza, da sempre, si aggrappa a idee che sembrano follie, ma che poi la fa muovere». Galileo Galilei si sarebbe detto d’accordo.


GRANDE PRECEDENTE

Un  dilettante paleontologo di San Giovanni Ilarione di Verona,   identificò  in un fossile  da lui scavato  un raro cucciolo di dinosauro


Giovanni Todesco davanti a foto di Ciro, come battezzò il fossile di dinosauro Scipyonix (un cucciolo) che trovò a Pietraroja (Benevento).  Dopo 16 anni, non ha avuto neanche il calco del pezzo, ora al museo

Anche Giovanni Todesco sembrava un visionario quando riconobbe nel film Jurassic Park il suo Ciro

Gli davano del matto e invece...

Piano, a chiamarli matti. Dicevano così anche di Giovanni Todesco, 16 anni fa, quando, al cinema davanti alle immagini di Jurassic Park ebbe l’intuizione: quel minidinosauro, lo Scipyonix, che Steven Spielberg faceva scorrazzare in una scena del film assomigliava a Ciro.

Così Todesco aveva battezzato il fossile di uno strano animaletto, trovato nel 1981 a Pietraroja, nel Beneventano, dov’era stato per lavoro. Con la moglie Giovanna, i figli e il cognato Luciano Vanzo, scoprì di trovarsi nel bel mezzo di un deposito paleontologico, una cava  trasformata in discarica.
Lì l'occhio allenato del paleontologo dilettante era stato attirato da una piccola lastra che Todesco si caricò in macchina. Fu rimettendo in ordine i ricordi di Pietraroja, spaccando  e aprendo quella lastra, che Todesco si trovò davanti quel fossile.

La ricostruzione  dello Scipyonix, il  minidinosauro che Giovanni Todesco riconobbe al cinema vedendo Jurassic Park: lui  12 anni prima  ne aveva trovato un esemplare  fossile

Tutto tranquillo, dunque, per dodici anni, fino a quella famosa serata al cinema.
Sotto choc conta le ore che lo separano dalla mattina dopo, e quando l'orologio glielo consente allerta Giorgio Teruzzi, responsabile della sezione di paleontologia degli invertebrati al Museo di storia naturale di Milano, ma anche Franco Capone, giornalista scientifico della rivista Oggi.



Giunti a San Giovanni Ilarione i due non hanno alcun dubbio: Ciro è un baby dinosauro. Giovanni Todesco, a quel punto, si sobbarca altri 1500 chilometri e, con la commozione di ogni addio, consegna il suo piccolo Ciro prima alla Soprintendenza archeologica di Napoli e poi a quella di Salerno. Poi silenzio.

Passano cinque anni, Todesco arriva pure negli studi tv di «Fatti vostri» per lanciare l’appello: « Che ne è stato di Ciro? »
La risposta è un annuncio planetario che nel 1998 passa per le pagine della rivista scientifica Nature: Ciro, o meglio Scipionyx samniticus, è un cucciolo di dinosauro, morto 115 milioni di anni fa, a circa due settimane di vita, dopo aver mangiato.
Ciro, il cui nome scientifico omaggia il primo studioso del sito di Pietraroja, cioè Scipione Breislak, viene definito «la scoperta paleontologica del secolo».

Patria ingrata con chi ha genio: la sola ricompensa
per la scoperta
è stata “LA DENUNCIA”

Todesco immagina che qualcuno ricorderà la storia del suo ritrovamento: niente di tutto ciò ma, in compenso, la visita dei carabinieri a casa un anno dopo. Prima gli perquisiscono la villetta sotto l'occhio di un'ispettrice della Soprintendenza di Salerno e di un commissario del ministero dei Beni culturali, sequestrano l'intera collezione.

La sentenza di assoluzione dall’accusa di aver trafugato fossili arrivò nel 2004, quando a Giovanni Todesco viene riconosciuto di essere «un benemerito della ricerca e salvaguardia dei Beni culturali».
Nessuno, però, parla di “riconoscimento formale della scoperta”, tanto meno di inserire anche il nome di Todesco nella definizione scientifica di Ciro e, a maggior ragione, nessuno si sogna di parlare di ricompense: il valore di Ciro, infatti, viene stimato con una parola, «incalcolabile».  Giovanni Todesco è in causa.  Nulla si sa, come dell’altra richiesta che Todesco rinnova dal 1998: avere un calco del suo piccolo Ciro dal Museo archeologico di Salerno, dove ora si trova.


Fonte: srs di Paola Dalli Cani;  da L’Arena di Verona di Martedì 08 Dicembre 2009; PROVINCIA, pagina 32;  Fotoservizio  Amato

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