mercoledì 9 gennaio 2013

QUANDO LA GIUSTIZIA ERRA MARCHIANDO IN MODO INDELEBILE UN ESSERE UMANO: BEPPE NON PUÒ PIÙ VIVERE IN UNA CASA


Beppe e la minestra  di Piazza San Babila



Beppe non può più vivere in una casa. Beppe è morto a 89 anni il 31-12-2012. Leggetela è un pezzo di storia Italiana.

Beppe è morto in silenzio su una panchina di Via Marina in pieno centro di Milano, nel quadrilatero della Moda. Io avevo scritto questa nota circa 3 anni fa, oggi la ripropongo, mi sembra giusto rendergli questo ultimo omaggio ad un'uomo onestò che ha pagato ingiustamente un debito non suo.

QUANDO LA GIUSTIZIA ERRA MARCHIANDO IN MODO INDELEBILE UN ESSERE UMANO. 
QUESTA È LA STORIA DI BEPPE, DI ANNI 86.


Questa è la storia di Beppe, di anni 86.  Iniziare a narrarla non è facile, non è facile perché è una storia che ho vissuto da vicino. Siamo stati compagni di viaggio per circa tre mesi. Quando dico compagni di viaggio, non intendo dire che ci recavamo in giro per le Città viaggiando realmente. Ma essere compagni di viaggio, per chi non ha nulla, vuol dire condividere tutte le ore della propria vita con un’ altra persona, e dura finché dura:  ha un inizio e può interrompersi in qualunque momento.

Beppe l’ho incontrato una sera mentre cucinavo in piazza San Babila, con un fornelletto da campeggio: “In quel periodo sopravvivevo ancora vivendo in strada”, e mi disse se poteva avere un piattino di quel cibo e che me lo avrebbe pagato. Gli sorrisi come mio solito rispondendogli che non doveva darmi nulla e che ero felice di condividere con lui quel cibo. Mi chiese una sigaretta che gli offrii volentieri, quando l’ebbe finita mi disse che si sarebbe allontanato per qualche minuto, gli risposi che era libero di fare quello che voleva, la strada era tutto meno che una prigione con le sbarre:  vidi il suo volto rabbuiarsi e si allontanò.

Tornò dopo una decina di minuti e mi diede due  pacchetti di sigarette: “Queste sono per te, sai sono 35 anni che non sento il profumo del cibo sano spargersi nell’aria come fosse uno splendido mazzo di fiori che sconfigge l’aria pestilente”.   D’istinto volevo chiedergli il perché di quella frase, ma invece dissi: ” Tra cinque  minuti è pronto, speriamo che oltre al profumo ci sia anche il gusto”.

Mangiammo in silenzio, uno strano silenzio che aveva parole disordinate com’era disordinato quel mangiare su di un muretto, quel sentirsi fuori posto, fuori luogo in tutto e per tutto, come se fossimo avulsi in una realtà che non ci apparteneva, non era nostra. La sensazione del subire inani ciò che comunque non ci apparteneva.
Nemmeno gli sguardi inorriditi dei pochi passanti che ci vedevano nutrirci, qualcuno ci disse anche: “Per fortuna sono barboni, sono diventati i padroni della Città ma andate a lavorare!”.  
Niente di quello che ci circondava ci toccava, eravamo avulsi da tutto e da tutti.
Finimmo di mangiare e Beppe disse: “Io vado a lavare la pentola, torno subito”. Ritornò dopo una ventina di minuti con la pentola lavata. In silenzio ci fumammo una sigaretta sorseggiando un bicchiere di vino.

Poi, come se si rompesse un incantesimo, Beppe iniziò a parlarmi.
“Vedi, io ho voglia che tu sappia chi sono io, non perché tu me lo hai chiesto, ma perché sono io che voglio farlo. Io sono uscito dalla galera due mesi fa, ho scontato 35 anni di pena, ho 85 anni”, e mi porse la sua carta d’identità; non mi interessava vederla, non mi interessava che lui fosse stato in galera, il cibo lo si divide con chi ha fame, questo a me bastava, la  guardai  perché insistette: era vero che aveva 85 anni. Lui si aspettava delle domande che io non facevo.

Riprese a parlare: “Sai amico ho fatto 35 anni  perché prima non sono stato simpatico al Commissario e poi non sono stato simpatico ai Giudici che mi hanno condannato ( FINE PENA MAI). Sai quale reato ho commesso per meritarmi questo? Ero semplicemente innocente, solo che loro avevano voglia di chiudere il caso alla svelta, cosi io sono stato il mostro in prima pagina e loro hanno continuato a dormire tranquilli”.

Prese da una piccola valigietta dei fogli che mi porse. Il primo foglio era il decreto di scarcerazione per non avere commesso il reato, il secondo era la notifica della confessione del vero colpevole ecc. ecc. rimasi allibito, senza parole e un sommovimento dell’anima indicibile ed inenarrabile.
Gli porsi un altro bicchiere di vino restando silenziosi per parecchio tempo. Ognuno di noi immerso nei propri pensieri e nei propri dolori. Poi gli chiesi: “Ma tu dove dormi?”.  Lui mi rispose: “Per strada. Sai ci sono le assistenti sociali della mia Città che mi danno la caccia perché mi è stata assegnata una casa, ma io non ce la faccio, appena mi sento dei muri intorno e sulla testa mi sembra di essere di nuovo in galera, quella sensazione non la voglio più vivere, meglio sulla strada con l’aria, la pioggia ed ogni quant’altro piuttosto che sentire la sensazione della prigione, ma loro non lo capiscono, pensano che con 35.000 euro di risarcimento e una casa, tutto sia a posto, ma non è cosi, perché se sei innocente subisci ma non accetti per nemmeno un istante quello che stai vivendo. Io ho vissuto un incubo lungo 35 anni e adesso con quattro soldi e quattro mura pensano che la mia anima e la mia vita possa guarire, non è così”.

Prese i suoi documenti li rimise via, si assicurò che nessuno glieli potesse rubare e si sdraiò sul muretto cominciando a dormire. Non era più abituato nemmeno alla buona notte, indipendentemente da dove posasse la propria carcassa umana.
Io presi il mio carrellino con la mia cucina mobile ed andai al mio solito posto, soliti cartoni per materasso, soliti gesti abitudinari, qualche parola con un altro senza tetto che dormiva vicino a me, poi buonanotte: domani è un altro giorno.
Non v’è risarcimento che possa coprire la distruzione di un vivente.



Da il Crogiolo del  13 agosto 2011

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