La “innovativa” presa in conto da parte del diritto penale
contemporaneo dell'intenzione puramente soggettiva (movente ultimo, arrière-pensée,
foro interiore, o coscienza intima che sia), per la definizione strutturale
stessa dei crimini e dei reati, ha una fonte internazionale (1).
Questa fonte storica essenziale risiede nello statuto del Tribunale Militare Internazionale,
incluso nell'Accordo di Londra
dell'8 agosto 1945, così come nella giurisprudenza che ne è seguita. Ma ciò che
ben merita di essere chiamata la decadenza dei sistemi giuridici europei ha
altre fonti estere, che emanano da convenzioni e trattati dal contenuto
moraleggiante, che mirano a fondare anzi un nuovo ordine morale universale.
Sotto la copertura dell'ordine morale occidentale e mondialista è stato
edificato il sistema che ha fatto uscire dai confini religiosi la cattiva
coscienza secolarizzata. Questo fenomeno, come vedremo, è in gran parte il
frutto dell'unione che le circostanze hanno creato tra la plutocrazia puritana
e l'”antifascismo”.
Le convenzioni e i trattati internazionali, fondati su una «morale
di unanimità ed ortodossia» (vedi Robert Munchenbled) dalle pretese
universali, pullulano, e strumentalizzano un “dovere alla virtù”. Sono atti
multilaterali tramite cui i paesi europei partecipanti, in nome dell'”etica”
rivelata dalle Nazioni Unite, non
cessano di abdicare a grandi passi alla sovranità “democratica” nazionale.
Prima, questa sovranità veniva fondata, specie in Francia,
sull'imperativo della “salute pubblica” della Nazione, cara ai rivoluzionari
del 1793; ma poteva anche richiamarsi alla tradizione nazionale precedentemente
incarnata dal Re, che, da parte sua, si riteneva ricevesse la sua sovranità da Dio;
ed ancora nella prima parte del ventesimo secolo la sovranità sfuggiva alla
metafisica mondialista debilitante dei Diritti dell'Uomo, cui essa è ora invece
strettamente assoggettata. Così che ogni reticenza, ogni ribellione a questo
nuovo ordine morale è giudicata oscena, e non può costituire altro che
il fatto di “estremisti” indifendibili, dediti al vizio ed alla fornicazione
spirituale con idee impure e peccaminose.
L'intero Occidente è ormai assoggettato alla metafisica
neoprimitiva dei Diritti dell'Uomo, senza troppe finezze intellettuali o
teologiche, ma che si pretende nondimeno immanente ed universale. I Diritti
dell'Uomo si vogliono in particolare superiori alla stessa sovranità
“democratica”, per quanto gli zelanti fautori dei primi rivendichino una sorta
di proprietà immateriale sull'aggettivo della seconda... Copyright incongruo e
paradossale, fondato su un'illusione retorica che sovverte il senso delle
parole. I Diritti dell'Uomo sono così, nel mondo contemporaneo, circonfusi di
una divinità ineffabile, che dà loro un'imponderabile essenza detta
“democratica” per definizione, e li pone al di là delle contingenze
democratiche tradizionali quali il suffragio universale o il diritto dei popoli
di disporre di se stessi. Così, la pretesa “giustizia internazionale” e le
grandi istituzioni internazionali costrittive sono coperte dalla santificazione
“giusumanista”, senza che la loro tecnocrazia di ferro debba niente ad elezioni
o a volontà popolari o simili orpelli del passato.
La democrazia dell'Occidente, ormai soggiogata da una morale
superiore trascendente, non è ormai infatti che un mezzo contingente,
sospendibile in caso di necessità, e non più la sorgente fondamentale del
potere. La volontà dei popoli non può essere ancora detta “sovrana” se non
tramite il ricorso alla “neolingua” orwelliana che infetta tutti i nostri
discorsi (2).
Tutte queste abdicazioni di sovranità avvengono a profitto
della cosmopoli del nuovo ordine morale e finanziario in via di
consolidamento, al servizio di fatto della formidabile egemonia plutocratica
americana. Tale è lo sbocco dell'involuzione sovversiva, abbozzata a Londra
(1945) e a Norimberga (1945-1946), e che ha poi davvero cominciato ad
estendersi al mondo intero sotto l'egida dell'ONU, a partire dalla famosa Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948. Troviamo
qui un dispositivo iniziale di importanza primaria, propriamente metafisica, la
cui conoscenza è indispensabile alla comprensione del nuovo ordine mondialista,
semi-religioso benché strettamente materialista; un nuovo ordine morale che
intende ormai reggere direttamente lo status degli individui, divenuti così
soggetti di diritto internazionale pubblico, dopo essere stati per lungo tempo
soggetti di diritto privato in seno a potenze pubbliche molteplici e
particolari (clan, caste, tribù, città e Stati).
Si tratta forse della realizzazione finale del sogno
dell'americano Henry David Thoreau
(1817- 1862), pensatore anarchico e “puritano illuminato”, per il quale
l'individuo doveva primeggiare sullo Stato in modo assoluto; posizione che
conduce in realtà allo Stato mondiale, così come è vero che l'individualismo
assoluto conduce all'universalismo assoluto – e all'assolutismo universale.
Louis-Edmond Pettiti
(1916-1998), che fu presidente dell'ordine
degli avvocati di Parigi e giudice alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, si è fatto portavoce di questa
mutazione a favore del nuovo rule of
law con un entusiasmo incondizionato. Celebrando a Notre-Dame (!), il 10 dicembre 1978, il
trentesimo anniversario della Dichiarazione Universale, questa nuova metafisica
del diritto, dichiarava:
«L'opera delle Nazioni
Unite sulla scala dei cinque continenti è consistita nel sorpassare la barriera
dello Stato Leviatano e nel fare accettare la competenza delle Commissioni sui
Diritti dell'Uomo e della Commissione contro il Razzismo e la Discriminazione.
[...] La seconda tappa era quella dell'ammissione di procedure instaurate da
petizioni individuali e di enti privati. L'uomo diveniva un soggetto di diritto
internazionale, persona munita di pieno accesso alle istituzioni
sovrannazionali, al di là degli stessi diritti che deteneva nel suo paese di
appartenenza. Questa mutazione è stata una rivoluzione storica» (3).
Amen...
Divenuti soggetti di diritto internazionale pubblico, gli
individui possono agire per le loro rivendicazioni, senza tramiti né
intermediari sovrani, in nome dell'universalità e dell'immanenza dei Diritti
dell'Uomo. Divenuti soggetti di diritto internazionale pubblico, nello stesso
modo ed allo stesso titolo degli Stati, gli individui possono dunque essere
strumentalizzati a piacere a spese dell'interesse generale e delle sovranità
politiche, rese sussidiarie. Gli Stati europei accettano senza un lamento
questo stato di cose invertito. E' vero d'altronde che gli Stati nazionali sono
sempre più, al di là di ogni buon senso, Stati moralisti serviti da un
personale largamente corrotto (ma “antirazzista”), e non Stati amorali
serviti di preferenza da persone virtuose (cioè oneste e di carattere).
Oggi, per esempio, il diritto di ogni immigrato, foss'anche
giudicato indesiderabile, può interdire una politica restrittiva mirante alla
sua espulsione, e imporre la riunione tra di noi della sua famiglia, in nome
del suo diritto «al rispetto della sua vita [...] familiare» (art. 8 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo). Per la gioia
della canaglia ed a vantaggio dell'arroganza: un singolo trafficante di droga o
un immigrante clandestino può così imporsi pur contro la “volontà democratica”
di non importa quale grande popolo europeo. L'immigrazione massiccia diventa
anzi istituzionalmente e moralmente impossibile da contrastare.
Eppure, molto potrebbe essere eccepito sulla immigrazione
extra-europea attuale: non induce da parte degli immigrati un razzismo
masochista all'inverso, dato che ciò che vogliono è non vivere più in paesi
dove le maggioranze ed i governi non siano bianchi ed europei? I popoli
occidentali, non avendo più nei confronti degli individui prerogative sovrane
piene ed integre, sono votati ad essere sommersi demograficamente. In questo
campo, i popoli europei non si vedono più neppure riconoscere il diritto
elementare alla legittima difesa. E'
divenuto impossibile imporre una volontà politica la cui giustificazione
risieda nell'“interesse generale”. Ed è così che viene in essere la
tragedia del ventunesimo secolo.
Pereat mundus, fiat iustitia, dice l'adagio latino
degli estremisti del diritto della decadenza. Che tutto vada al diavolo purché
ciò avvenga per la “giustizia” individuale, per l'assunzione dell'Uomo astratto
e normalizzato nel regno dei cieli. Esattamente l'inverso della saggezza
sociale secondo Goethe, per cui persino un'ingiustizia è meglio che
l'instaurarsi del disordine.
I Diritti dell'Uomo devono dunque imporsi, quali
che siano le conseguenze sulle prerogative storiche, civili e demografiche
delle collettività naturali ed organiche (come le famiglie e le nazioni, senza
sosta vilipese) (4) E tuttavia,
persino dal punto di vista dell'individuo che ne viene reputato beneficiario, i
Diritti dell'Uomo non sono privi di conseguenze inquietanti, giacché comportano
anche l'affermazione del fatto che il ladro ha altrettanti diritti del
derubato, così come lo stupratore o l'assassino rispetto alla sua vittima,
l'immigrante clandestino rispetto a chi è invaso e spossessato del suo
santuario storico ed etnico. Tutti diritti sacri, e privi d'altronde di doveri
correlativi. Cosicché qualsiasi balordo impenitente ha un credito illimitato e
imprescrittibile nei confronti della “società”, cioè delle persone oneste...
Ogni tesi sull'adattamento della repressione alle necessità
imposte dalla minaccia criminale, fondata su un'idea di legittima difesa
sociale, d'interesse generale o di salute pubblica si trova così delegittimata
in partenza. Un'illustrazione di questo fatto ci viene data dall'inibizione dei
paesi europei nei confronti dell'immigrazione illegale di popolamento. Per
esempio, nessuno osa chiedere la denuncia della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati
politici (all'epoca creata per persone che si spostavano da un paese all'altro
in ambito europeo) o l'internamento degli invasori in campi d'espulsione.
Ogni nozione di legittima difesa sociale, d'interesse
generale, di salvezza pubblica e di volontà popolare, ricorso ultimo e
“democratico” dei popoli, si ritrova così sconfitta dagli effluvi deleteri
della nuova pietas. E ciò qualsiasi possano essere le conseguenze
generali e storiche per la collettività, la cui evocazione si urta contro il
riflesso di stopreato, di autointerdizione ed autocensura mentale
preventiva, come nel termine inventato dalla neolingua orwelliana in 1984.
In compenso, ogni pietà scompare in modo quasi magico, nel sottofondo foderato
di bombe della strategia della US Air
Force, nel momento in cui la pietà potrebbe essere d'intralcio ai disegni
del Denaro.
L'AVVENTO DEL MESSIANISMO MATERIALISTA SU SCALA MONDIALE
L'ispirazione unica di questo sistema (raccoltosi in seguito
intorno all'“antifascismo” che ne è divenuto uno dei motori fondamentali, come
vedremo) risiede nella coniugazione dell'agostinismo politico, proprio al
puritanesimo calvinista americano, e del messianismo ebraico.
L'agostinismo è
stato definito come «l'assenza di distinzione formale tra il campo della
filosofia e quello della teologia, cioè tra l'ordine delle verità razionali e
quello delle verità rivelate». Più precisamente per agostinismo politico si intende «la tendenza ad assorbire il
diritto naturale nella giustizia soprannaturale, il diritto dello Stato in
quello della Chiesa» (5). In altri
termini, il riassorbimento delle funzioni politiche e amministrative profane da
parte della religione istituzionale, della Chiesa
o delle Nazioni Unite,
riassorbimento ispirato al dispotismo orientale. La conseguenza indotta sulla
dottrina giuridica è il riferimento ricorrente all'autorità suprema della Bibbia [alias] più in particolare al Pentateuco (la Torah ebraica) e al Vangelo.
Uno spirito biblico comune al giudaismo ed al calvinismo
puritano presiede a questo incontro di dottrine, spirito trasmesso da
organizzazioni e sette quali la massoneria o i suoi succedanei oligarchici
moderni (la Trilaterale, il Bilderberg Group, il Congresso Ebraico Mondiale, il Siècle in Francia, il B'nai B'rith, etc.). L'idea direttrice
risiede nella credenza in un' “elezione” o “predestinazione” divina di certi
uomini e in una ricompensa terrestre correlativa, o mal distinta da queste. Gli
“Eletti” erano all'origine gli ebrei storici o pretesi tali, promessi alla
ricompensa su questa terra: «Yahvé il tuo
dio ti eleverà al di sopra di tutte le nazioni della terra [...] Yahvé ti
procurerà una sovrabbondanza di beni: frutto dei tuoi lombi, frutto del tuo
bestiame e frutto della tua terra, su questa terra che ha giurato ai tuoi padri
di donarti. Yahvé aprirà per te i cieli, il suo più grande tesoro, per darti a
suo tempo la pioggia, e per benedire le tue opere» (6).
In effetti, per le sue tendenze “padronali”, il giudaismo
presenta i caratteri di un'etica e di una metafisica del capitalismo, come ha
mostrato magistralmente Werber Sombart
(1863-1941), per il quale d'altronde «ciò che noi chiamiamo americanismo non è
che lo spirito ebraico che ha trovato la sua forma definitiva» (7). Si tratta più precisamente del
capitalismo finanziario volatile e speculatore poiché essenzialmente nomade,
marcato dal sua origine ebraica “errante”.
Edouard Valdman
ha recentemente definito la questione, senza ambagie e circonlocuzioni, in
affermazioni che sembrano sinora coperte da una sorta di “immunità etnica”
rispetto alla legge francese del 1972 (8):
«L'ebreo è colui che esce dalla terra del
signore e del contadino per creare con il mondo un altro rapporto, che si
apparenta ad un errare primordiale. Il denaro gli assomiglia. Il denaro e
l'ebreo sono di fatto la stessa cosa. Entrambi sono erranti. Di più, l'ebreo,
il denaro lo fa lavorare, il che è peggio di tutto. E la chiesa, questa potenza
morale, vieta l'usura, questa abominazione. [...] Il grande Shakespeare stesso l'ha sottolineato. L'ebreo pone un velo
sordido su tutta questa gratuità, su tutta questa fraternità. [...] Marx situa la nascita dei diritti dell'uomo
nel 1789... un punto di vista singolarmente riduttivo e miope per un uomo con
l'intenzione di cambiare il mondo. Non gli spiaccia, i diritti dell'uomo
cominciano nel momento in cui l'Uomo nasce, cioè nel momento in cui si fa
errante, e più tardi nel momento in cui riceve la Legge» (9).
Edouard Valdman,
presidente dell'Associazione degli scrittori ebrei di lingua francese, è stato
avvocato nel foro di Parigi dove si è fatto araldo dello spirito del
sessantotto. Oggi, segno dei tempi, presta la sua penna a Le Figaro, giornale molto borghese, chic e perbene, e
d'altra parte alla rivista ebraica L'Arche.
Della sua opera Le juif et l'argent,
il presidente dell'ordine degli avvocati di Parigi Henri Ader a detto: «Bisogna leggerla...» (10). Ecco fatto.
Per Karl Marx,
lui stesso di razza ebraica, «il fondo profano del giudaismo è il bisogno
pratico, l'utilità personale. Qual è il culto profano dell'ebreo? I
traffici. Qual è il suo dio profano? Il denaro. Ebbene, emancipandosi dai
traffici e dal denaro, di conseguenza dal giudaismo, l'epoca attuale
emanciperebbe se stessa. [...] L'ebreo si è emancipato in maniera ebraica, non
soltanto rendendosi padrone del mercato finanziario, ma perché, grazie a lui e
suo tramite, il denaro è divenuto una potenza mondiale, e lo spirito
pratico ebraico lo spirito pratico dei popoli cristiani» (11).
Tale d'altronde era l'idea dell'austriaco Otto Weininger (1880-1903), israelita
apostata, «filosofo tanto altamente
dotato» secondo Sigmund Freud: «L'ebreo non presta fede a nulla e cerca
rifugio nelle cose materiali: da qui la sua sete di denaro» (12).
Il discorso di Weininger può parere scandaloso, ma non lo è
di più di quello di un Eduoard Valdman o di un Karl Marx. Se le affermazioni di
Valdman e di Marx sono, diciamo così, un po' estreme, hanno nondimeno il merito
dell'acutezza analitica. Per di più, provengono da persone considerate come
autori moralmente rispettabili, e dunque non “estremisti” secondo la
terminologia puritana attuale.
Per ciò che riguarda invece lo spirito puritano e
calvinista, Michael Mourre ne dà
questa definizione concisa, che sottolinea la sua parentela intrinseca con
l'ebraismo: «Come ha mostrato il
sociologo Max Weber in studi rimasti celebri, la predestinazione dona al fedele
un sentimento di solitudine interiore; provoca un “disincantamento” del mondo
che può di conseguenza divenire preda della conquista economica. Il puritano
troverà la certezza della predestinazione nei risultati del suo lavoro
indefesso, nella riuscita della sua impresa. E dato che la sua morale gli
proibisce il godimento sfrenato dei beni di questo mondo, il puritano ne è
ricondotto ad accumulare il suo capitale, ad investire per ottenere ancora di
più, e assicurarsi così una prova ancora più eclatante della sua salvezza»
(13).
Effettivamente, per Max
Weber [alias, alias] (1864-1920), la sorgente puritana dello spirito del
capitalismo moderno risiede precisamente nel New England del diciassettesimo
secolo (14).
La forma oggi più corrente di questo stato d'animo
giudeopuritano si trova dunque in questi famosi “diritti dell'uomo”. Nati con
l'erranza nomade, se dobbiamo credere all'avvocato Valdman, sono oggi inclusi
in una visione del mondo moralista, dovuta più specificamente al puritanesimo
americano. Si tratta di una Carta universale riduzionista, totalitaria e
semi-teologica, che tende a fare credere agli uomini che i sognati tempi messianici
della giustizia universale sono finalmente venuti, così come sarebbero arrivati
i tempi della felicità materiale, del consumismo e dell'arrangiarsi sottobanco,
in nome dell'individuo creditore infinito della natura. Il saccheggio è
d'altronde giustificato dal dono biblico di Dio, forzosamente preso alla
lettera. giacché il puritanesimo è anche un integralismo: «Siate il terrore e la paura di tutti gli animali della terra e di tutti
gli uccelli del cielo, come di tutto ciò di cui la terra formicola e di tutti i
pesci del mare; sono consegnati nelle vostre mani. Tutto ciò che si muove e
possiede la vita vi servirà di cibo, vi dò tutto ciò così come la verdura delle
piante, [...] Per voi, siate fecondi,
moltiplicatevi, pullulate sulla terra e dominatela» (15).
E' dai germi di questa dismisura antropocentrica che sarà
affetto l'Occidente all'aurora dei tempi moderni. Per Cartesio, nel suo Discorso
sul metodo [versione cartacea con testo originale a fronte]
(1637), noi dobbiamo renderci «padroni e
possessori della natura», senza la misura che si imporrebbe a colui che non
si escludesse preventivamente dalla sua naturalità, dalla sua animalità
primordiale. Per Heidegger, «la scienza di Cartesio non cessa di
aggirarsi intorno alla magia di cui denuncia l'impostura, ma non l'ambizione»
(16). Troviamo qui lo sbocco delle
idee utopiche circa la pretesa “fine della storia”, laicizzata ai nostri giorni
tramite un recupero materialista evidente del messianismo biblico, accessibile
tanto a spiriti giudeopuritani che a marxisti del resto delusi nella loro
speranza comunista.
E' sintomatico che questi famosi “diritti dell'uomo”
esacerbati, indotti dalla Bibbia, ignorino nozioni morali o estetiche
essenziali nella civiltà europea, quali il dovere, la buonafede, la franchezza,
la dirittura, l'onestà, la lealtà, il civismo, l'onore, la fedeltà, il merito,
il carattere (la virtus romana) o l'eroismo. Queste virtù antiche sono
già superate, e derise da tutti i mezzi di comunicazione, venduti alle potenze
del denaro. I Diritti dell'Uomo, fumosi, ma dalla temibile efficacia
sovversiva, oppongono loro l'individualismo radicale dell'«utilità personale»,
principio socialmente deleterio per le sovranità nazionali, i diritti dei
popoli, delle famiglie e delle altre entità organiche, fondate per natura sulla
legge del sangue. Le virtù tradizionali, perché non quantificabili, sono
escluse da una possibile strumentalizzazione giuridica da poarte del moralismo
dei Diritti dell'Uomo.
Questo pensiero capitalista totalitario ha per centro d'irraggiamento
gli Stati Uniti, per quanto possa predicare e incoraggiare il nomadismo
universale della “erranza primordiale”
ebraica di cui parla Valdman. E' vero che questo “errare” può ben essere
virtuale grazie alle operazioni di Borsa; e, onnipresente nella società
americana, questo spirito nomade ciò malgrado trova talora dei limiti relativi
tra i Wasp (white-anglo-saxon-protestant), cronicamente colpiti dal
ripiegamento politico; ma questa
tendenza ricorrente, più o meno espressa dal cosiddetto isolazionismo, è
praticamente scomparsa sotto la presidenza di Bill Clinton e poi di George
W. Bush.
Il pensiero capitalista s'appoggia sulla forza, sempre
giustificata da una morale di usurai, di aggiottaggisti e profittatori, che
nasce dal puritanesimo ed invoca Dio.
Secondo Roger Garaudy
[alias], questo pensiero è quello «d'una religione che non osa dire il suo
nome: il monoteismo del mercato. [...] Il mercato non si trasforma in religione
che quando diventa il solo regolatore delle relazioni sociali, personali o
nazionali, sola sorgente del potere e delle gerarchie. [...] La droga è
divenuta l'incenso della nuova chiesa. [...] Corollario del monoteismo del
mercato: la corruzione» (17). La
posizione del professor Garaudy,
illuminata dalla cultura della critica marxista al capitalismo, coincide qui in
modo coerente con il nostro approccio, pure concepito agli antipodi del suo. Il
buon senso appoggiato dall'osservazione attenta consente di superare gli
spartiacque sociali e politici. Due più due fa quattro...
I valori del “monoteismo del mercato” hanno il
sopravvento sulle virtù dell'antica Grecia: la concezione etica e quantitativa
del mondo respinge brutalmente e senza condizioni la concezione uscita da
un'altra etica, ma soprattutto da un'altra estetica; la visione qualitativa della
vita è diventata sospetta (“fascista”).
MESSIANISMO CAPITALISTA E IDEOLOGIE SESSANTOTTINE
Con mezzi materiali considerevoli e un arsenale psicologico
sbalorditivo, la mondializzazione è stata imbellettata dall'ideologia
mercantilista. Paradosso vistoso, la riuscita mondiale di questa ideologia
bigotta ed eversiva si è compiuta attraverso lo spirito della sinistra radicale
(“goscista” in Francia, e in ogni
caso “antifascista”) sessantottina. La sedicente rivoluzione occidentale del
1968 non ha fatto paura a Wall Street,
ed è stata facilmente recuperata dalle democrazie moraliste di Borsa. Lo spirito
sessantottino, uscito da uno spirito professorale da grillo parlante, è finito
nel giro di una generazione dalle pretese rivoluzionarie alla sovversione del
Denaro, sovversione che è la vera legge dell'Occidente contemporaneo, basato su
un'etica svaccata e crepuscolare basata sulla cattiva coscienza.
Lo spirito del sessantotto, pretesamente libertario, ha
condotto all'irenismo neo-rousseauiano pseudo-permissivo, che pure nega ogni
legittimità alle opposizioni, considerate ostacoli immorali, “fascisti-razzisti”,
alla Verità ed al Progresso salvifichi. Basti guardare chi è al potere in
Francia, dall'ex militante trozkista Jospin all'opinion leader Serge July (già portavoce della Gauche prolétarienne nel
1971), così come in altri paesi occidentali. Per esempio, negli USA abbiamo
visto il trionfo sintomatico dell'ex militante contro la guerra del Vietnam Bill Clinton, di cui l'erede
conservatore George W. Bush non
rinnega nulla. O in Germania l'avvento
dei sessantottini patentati come Schroeder,
Schily o Fischer. A livello europeo, Xavier Solana, l'ex segretario generale
della NATO, questa sorta di polizia politica mondialista, è diventato capo
della diplomazia dell'Unione Europea.
Edouard Valdman
osserva d'altronde, in modo pertinente: «contro
tutte le idee, radicate da sempre, il denaro è veramente la potenza
rivoluzionaria [o per meglio dire, eversiva e nichilista] per eccellenza» (18). I sessantottini, attivisti
intriganti o attendisti intrigati, l'hanno perfettamente percepito anche quando
momentaneamente storditi dagli effluvi dell'«incenso della nuova Chiesa» (Garaudy). Hanno grassamente prosperato, senza alcun
disagio, nel conformismo sovversivo dell'ipercapitalismo borsistico e spesso
nel «corollario del “monoteismo del mercato”: la corruzione».
Un commentatore autorizzato ha così potuto scrivere: «Cosa
resta oggi del Sessantotto? E' nel modo più naturale del mondo che il
libertarismo rivoluzionario ha trovato il suo “sbocco” nella fusione con il
liberalismo dominante, quello dell'ordine economico. Questo recupero del
libertarismo sessantottino da parte del liberismo mercantilistico resta,
trent'anni dopo, il principale bilancio, il marchio principale del Sessantotto»
(19).
Ma attenzione, i sessantottini non hanno tradito
l'essenziale: continuano a ricevere l'eucarestia “antifascista” ed
“antirazzista”, basi ordinarie del nuovo imperativo categorico esclusivo
dell'Occidente. Le basi ideologiche moralizzatrici condivise ed obbligatorie,
che sono state insegnate loro dai professori installatisi nel dopoguerra,
sembrano aver per vocazione di abolire l'immemoriale ed universale diritto del
sangue (il famoso ius sanguinis
oggi sospettato di “razzismo”). Salvo naturalmente per la trasmissione
ereditaria dei beni materiali, o della qualità religiosa di ebreo...
Uno dei corollari principali è che il Denaro non è
certamente più neutro. Non è più un mero termine di scambio prosaico, un
semplice mezzo pratico. Funziona ormai
come il motore di un'ideologia messianica materialista e totalitaria. Il Denaro, nerbo delle mafie divenute il virus
mutante della plutocrazia, regna come un'entità quasi personalizzata,
corrompendo il mondo in un edonismo primitivo, volgare, egoista, sterile e consumista.
Il sistema biblico e cristiano, fondato su una morale ascetica, sbocca in
effetti nei peggiori eccessi non appena l'ascesi religiosa finisce per
smorzarsi... Questa deriva materialista
era e resta spesso estranea ai costumi dei suoi rigorosi ed austeri precursori
e promotori puritani, da parte loro alquanto ascetici, che si negavano e talora si negano tuttora «il
godimento sfrenato dei beni di questo mondo»; ma certo non la corruzione attiva
sistematica («Osama bin Laden. Vivo o morto. 250.000.000 di dollari di
taglia»). Si tratta in fin dei conti
della corruzione degli altri, di quelli cattivi, passivi, non “predestinati”, condannati ad
acquistare. Strana visione del mondo, che invoca il proto- umanismo indotto dal
Nuovo Testamento per sé e i propri,
ma applica la crudeltà dell'Antico
Testamento all'esterno, agli altri, tagliati fuori da Dio e dunque perduti
dalla maledizione.
Questa deriva materialista è forse più o meno accettabile in
America, e in ogni caso funziona là dove la separazione tra il sacro e il
profano resta sfumata, ma diviene assolutamente disastrosa quando esportata. I
regimi vassalli, come gli Stati europei, si trasformano in sistemi alla deriva
verso la corruzione generalizzata, a cominciare dalle più alte funzioni
governative. Régis Debray ha
osservato in modo molto pertinente che il mercato non era per nulla un “punto di coesione” della nostra epoca,
contrariamente all'opinione diffusa: «Ciò che salva la società americana
dall'atomizzazione individualista è il monoteismo. Negli Stati Uniti non vi una
religione ufficiale, ma l'ufficialità è intrisa di religione. Voler importare
il culto del biglietto verde, delle stock options o della Borsa senza la
spiritualità che si accompagna ad essi: è cosa per lo meno inconseguente,
ovvero pericolosa» (20).
L'Europa è così proiettata totalmente fuori dal mondo che
era in fondo il suo sin dall'antichità greca, e che prevaleva nell'economia
pre-capitalista, in cui «è l'uomo che forma il centro degli interessi
economici, [sotteso] ad una volontà [...] interamente e rigorosamente straniera
alla concezione mammonica della cose» (21).
In nome della morale dunque e del monoteismo del mercato,
sotto l'imperio della cattiva coscienza secolarizzata, l'occidente è proiettato
in un nuovo mondo di cupidità punica, fuori da quella sfera di civiltà
immemoriale di cui Louis-Ferdinand
Céline (1894-1961) diceva che aveva per ideale «il fervore per il gratuito,
ciò che manca di più oggi, spaventosamente. Quel gratuito che solo è
divino» (22).
Ma questa gratuità, come conferma l'etologia, non esiste in
natura se non in fase con la legge del sangue, come principio vitale e
biologicamente razzista («Razzismo è famiglia. [...] E' uno per tutti, tutti
per uno», Céline).
DAL LEVIATANO A MAMMONA, NUOVO MESSIA
Un secolo dopo che Calvino
aveva aperto il prestito a interesse ai cristiani (con la Lettera sull'usura,
1545), mettendo così termine a ciò che viene talora chiamata la “gratuità della
vita”, Hobbes designava lo Stato
sovrano moderno, allora nascente, sotto il nome di Leviatano (1651). Per lui, questo essere collettivo astratto ed
onnipotente non era «nient'altro che un uomo artificiale [...] e munito d'una
forza molto più grande» nel quale «la sovranità è come un'anima artificiale».
Il teorico inglese aveva dunque scelto di affibbiargli il nome di un mostro
biblico (23), divenuto il titolo
della sua opera (24).
Oggi si sta sviluppando un nuovo e terribile mostro
collettivo indifferenziato, proteiforme e molto più sfuggente del Leviatano di
Hobbes. Anzi, non ha neppure più bisogno
di un volto sintetico come quello del Grande Fratello, lo pseudo-dittatore del romanzo di Orwell. Questo mostro
collettivo, che assomiglia tanto ad uno Stato mondiale quanto alla teocrazia
rampante di Mammona, ovvero del
Denaro, domina oggi il mondo. E' un'entità intelligente, logica, inflessibile,
ma anonima ed avida, che impone la sua ideologia fondamentale, utilitaria e
manichea. Sotto il suo imperio, l'ordine mondiale, plutocratico e dispotico,
rivendica il ruolo di parametro della morale.
Mammona,
ricordiamolo, era il dio siro-aramaico
del denaro, simbolo dell'avidità per i beni materiali nei vangeli,
assimilato al diavolo: «Nessuno può
servire due padroni: o odierà l'uno ed amerà l'altro, o si attaccherà ad un uno
e disprezzerà l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona» (25).
L'ideologia monetarista, che l'ex dissidente sovietico Aleksandr Zinoviev chiama la “super-
ideologia”, è crepuscolare, fondata sulla cattiva coscienza degli occidentali
condotti a disprezzare se stessi. Al prezzo del collasso demografico europeo,
siamo invitati ad abolire la nostra natura, inaccettabile perché razziale, e dunque
il nostro avvenire collettivo, in cambio della felicità materiale del momento.
Il mondialismo messianico ha la sua gerarchia di valori, dei valori borsistici
in primo luogo sapendo che del resto gli “eletti” americani mantengono, da
parte loro, il rinnovamento delle generazioni al tasso necessario di 2,3
nascite per donna (26). Per il
professor Fukuyama, che se ne
felicita in modo sintomatico, «l'Organizzazione
Mondiale del Commercio è la sola istituzione internazionale che abbia una
chance di diventare un organo di governo a livello mondiale» (27).
Il mondo cede progressivamente e in modo insidioso, a
partire dagli anni cinquanta, a questa ideologia radicalmente capitalista,
individualista e finanziaria, promossa da affittacamere che sanno far tacere le
coscienze e rovinano le civiltà in ciò che esse hanno di sostanzialmente
incorruttibile. Mammona, improvvisandosi messia, impone la sua metafisica
elementare, universalista e riduzionista dei Diritti dell'Uomo, ovviamente
interessata, ma con le apparenze di una liberazione. Mammona, dio monetarista,
è divenuto messia - o meglio anti-messia, almeno per i cristiani non toccati
dall'eresia puritana prosperata a Boston come descritto da Max Weber (per questi ultimi, del resto molto minoritari, Mammona
in verità dovrebbe essere considerato come un usurpatore, di cui il Cristo dei
vangeli si è dichiarato nemico, una sorta di Anticristo). D'altronde, in
qualità di messia, Mammona non può regnare sul mondo che incondizionatamente: «Domanda, e io ti darò le nazioni per
eredità, per dominio le estremità della terra: tu le spezzerai con il tuo
scettro di ferro, come vaso di coccio le spezzerai» (28).
Mammona, questo rimpiazzo monetarista di Dio, può anche
essere definito, in modo più moderno e distanziato dal linguaggio evangelico e
biblico, la Cappa. In effetti, la super-ideologia, secondo l'espressione
ripresa da Zinoviev, ben agisce in pratica come una cappa di piombo.
Questa
formidabile egemonia culturale e soprattutto morale nasconde un
mutamento nella percezione di Dio. Fuori
dagli Stati Uniti, paese dove non è sempre chiaro sino a che punto arrivi il
banchiere e dove cominci il pastore, questo mutamento si traduce nella maggior
parte dei casi in un piatto agnosticismo, più o meno mascherato. Eppure i nuovi
chierici, in senso stretto, sono reclutati anche tra i ministri del culto
luterano o cattolico. Dimenticando le prevenzioni che l'hanno a suo onore
caratterizzata, la chiesa cattolica ha operato un nuovo ecumene, questa volta
su scala planetaria, e con una posta molto più importante di quella di Leone XII rispetto alla repubblica
francese nel 1892. Giovanni Paolo II, il vero papa dell'assunzione ecclesiale dei
Diritti dell'Uomo, ha allineato di punto in bianco il discorso della chiesa cattolica. Sin dalla sua elevazione
al Soglio, dichiarava, a quanto pare parafrasando il Vangelo (29): «Non abbiate paura. Stati, aprite le vostre
frontiere. Uomini, aprite i vostri cuori. Sì, la lotta per la promozione e la
salvaguardia dei Diritti dell'Uomo, che riunisce tutti gli uomini e le donne di
buona volontà, è il nostro compito comune» (30).
Ci si poteva attendere di meglio, dalla chiesa cattolica
istituzionale in particolare, e dalle chiese cristiane in generale. Tuttavia,
la demenziale eresia plutocratica estende la sua sovversione generalizzata sul
mondo intero. Dov'è la lungimiranza, dove sono i grani del martirio contro
Mammona, l'usurpatore, l'anti-messia? Di
sicuro non va cercato nelle Giornate Mondiali della Gioventù,
manifestazione conformista di una gioventù pietista, bigotta, disarmata, senza
immaginazione né spirito di rivolta, disadattata e al tempo stesso connivente
con la tragedia del ventunesimo secolo.
In effetti Mammona, o la Cappa, procede da una vera e
propria oligarchia plutocratica che stende il suo potere omologante sul mondo
intero, al servizio del monoteismo del mercato. Sotto la copertura della super-ideologia
monetarista, si forma ciò che Augustin
Cochin (1876-1916) chiamava «il popolino», in una particolare accezione. Non si tratta qui della frangia più modesta
delle società umane, ma al contrario di una pur ampia oligarchia di
privilegiati, issati ai posti supremi, sorta di nomenklatura, come si
diceva per la vecchia URSS. Il
“popolino” è un anti- popolo opposto ai “grande popolo”, composto da parte sua da tutti e ciascuno. Questo “grande popolo” comprende le
popolazioni assoggettate al popolino oligarchico, che «ha preso il posto del
popolo [...], da estraneo ai suoi istinti, ai suoi interessi ed al suo genio.
[...] Il popolo fa finta di deliberare per il meglio? Il fatto è che non è
abbastanza libero...» (31).
Attaccati ai loro privilegi, i membri del “popolino” hanno
la sensazione di essere gli eletti del destino, i chierici predestinati del
Progresso, gli annunciatori messianici del sole dell'avvenire. Non si tratta
solo, di costoro ce n'è bisogno infatti in quantità, di gente personalmente
implicata in grande stile nel sistema del Denaro, perché il servilismo è spesso
spontaneo e la cortigianeria imitativa e mimetica. Si tratta spesso di
politici, tecnocrati, intellettuali, funzionari, giuristi, potentemente
motivati dalla piaggeria arrivista, e neppure sempre corrotti.
Chierici vergognosi riuniti, magistrati moralisti e
quasi-demonologi, sono imbevuti del loro nuovo ruolo, al servizio di una
trascendenza d'accatto. Beninteso, sono largamente eredi dello spirito del
sessantotto, che siano di “sinistra”, sessantottini
culturalmente attivi e pedanti, arbitri della moda e del nuovo “buoncostume”, o nominalmente di “destra”, culturalmente
passivi e non meno pedanti, ma ossequiosi a fronte del magistero culturale
della sinistra. Questa gente “di destra” sono i «nuovi moderati» di cui parla Abel Bonnard.
Al di là ancora poi di questo “popolino” oligarchico abbonda
l'onnipresenza dei devoti dei Diritti dell'Uomo, quelli che non credono che a
ciò che è loro stato inculcato per osmosi sociale come il Bene che trionfa
della fornicazione spirituale, dell'oscenità e del vizio.
IL DOMINIO DEL “TOTALITARISMO FINANZIARIO”
Al contrario di una Chiesa malata ed omologata, Zinoviev, dopo vent'anni di esilio in
Occidente, ha formalmente denunciato ed
attaccato la Cappa messianica. Per spiegare il suo rimpatrio volontario in
Russia, ha pronunciato queste parole figlie del disinganno: «Oggi viviamo in un mondo dominato da
un'unica forza, da un'unica ideologia, da un partito unico mondialista.
[...] Il totalitarismo finanziario ha
sottomesso i poteri politici. Il totalitarismo finanziario è freddo. Non
conosce né pietà né sentimenti. Le dittature politiche fanno pena in confronto
alla dittatura della finanza. Una certa resistenza era possibile in seno alle
dittature più dure. Nessuna rivolta è possibile contro la Banca. [...] I
teorici e i politici occidentali più influenti pensano che siamo entrati in
un'epoca post-ideologica, perché
intendono per “ideologia” il comunismo, il fascismo, il nazismo, etc. In
realtà, l'ideologia, la super-ideologia del mondo occidentale, sviluppata nel
corso degli ultimi cinquant'anni è ben più radicata di quanto lo siano stati il
comunismo o il nazionalsocialismo» (32).
Il totalitarismo finanziario ha sottomesso i poteri
politici, e di conseguenza, beninteso, il potere giudiziario, o meglio, secondo
la denominazione costituzionale francese più corretta (33), l'autorità giudiziaria (art. 66 della Costituzione).
In nome della “comunità internazionale” mammonica, avatar
rinforzato della “coscienza universale”, noi viviamo ormai sotto la
minaccia dell' US Air Force che è
nei cieli, dell'ONU, della NATO, del Fondo Monetario Internazionale (organismo centrale dell'usurocrazia
mondialista), della Banca Mondiale, dell'Organizzazione Mondiale del Commercio
e della Commissione di Bruxelles. Gli organismi moralizzatori condannano la
gratuità che secondo Céline
procedeva dallo spirito europeo fin da epoche ancestrali. Bisogna finirla con
la gratuità come paradigma, che non va confusa con la filantropia
universale, essenzialmente spettacolare, la cui affettazione volgare e
pubblicitaria ha per lungo tempo ripugnato allo stesso cattolicesimo:
«Guardatevi dal praticare la vostra giustizia di fronte agli uomini per farvi
notare da loro. [...] Quando fai l'elemosina, non far suonare la tromba: così
fanno gli ipocriti, nelle sinagoghe e nelle strade, al fine di essere
glorificati dagli uomini; in verità vi dico, la loro ricompensa l'hanno già
avuta. Quanto a te, quando fai l'elemosina, che la tua mano sinistra ignori
cosa fa la destra, affinché la tua elemosina sia segreta, e il Padre tuo, che
vede nel segreto, te la renderà» (34).
Cosa del resto già non troppo applicabile al puritanesimo calvinista, per cui «il possesso del denaro diviene [...] un
segno della grazia divina; si ostenta la ricchezza; più si è ricchi, più si è
amati da Dio» (35).
La filantropia spettacolare non è infatti che un
mezzo per il disarmo morale delle popolazioni occidentali, soprattutto europee,
tramite un pietismo emolliente, piagnucoloso e incapacitante. E' una forza
inibitrice, obnubilante, sottesa da una sorta di irenismo universale idilliaco
e moralizzatore, che conduce all'abdicazione delle difese naturali,
nell'impietosirsi senza misura né riserve su ciò che è lontano ed estraneo e
nell'oblio o nel disprezzo egoista di ciò che ci è vicino. Siamo così spinti ad
impietosirci su coloro che domani saranno con noi spietati, giacché la natura
ha le sue leggi biologiche. L'arroganza vendicativa ed aggressiva di cui danno
prova i “cercatori d'asilo”, e più in generale gli immigranti beneficiati
dall'assistenzialismo, è significativa a questo riguardo.
Questa filantropia puritana, perfettamente strumentalizzata
da lustri dai calvinisti americani, può ben apparire come una sorta di
prostituzione dei buoni sentimenti. E' in ogni caso totalmente integrata
alle necessità capitaliste, sia come mezzo pubblicitario falsamente
disinteressato, che come processo volto al rilancio della produzione o come
mezzo di condizionamento delle popolazioni. Matteo, l'evangelista che
disprezzava Mammona, davvero non doveva avere il senso degli affari...
Ma al di là del paradigma condannato della gratuità, i
principali agenti e i devoti della Cappa monetarista s'oppongono anche a
qualsiasi abbozzo di economia retributiva, fondata su altro che non sia il primato del denaro volatile e
speculativo. Mammona non saprebbe sopportare le velleità di libertà sovrana dei
popoli o di indipendenza economica delle nazioni. Gli è necessario ovviare ad
ogni rischio di ritorno, foss'anche parziale, a principi economici diversi, che
gli farebbero perdere il controllo del mondo; braccare ogni accenno di ritorno
ad un'economica di “sussistenza” nel particolare senso che dà alla parola Sombart, cioè di autarchia relativa,
che sarebbe in evidente rottura con il monetarismo speculativo mondialista. Solo l'avidità, e il «godimento sfrenato dei beni di questo mondo», un tempo
moralisticamente condannato, deve reggere l'economia unica e globalizzata,
almeno per quello che riguarda i consumatori (non “predestinati”). E' il
trionfo esclusivo ed obbligato del circuito di insoddisfazione permanente,
brama di possesso, acquisto- indebitamento, obsolescenza programmata,
riaccendersi della brama...
Tutto ciò che non è monetizzabile, di conseguenza tutto ciò
che è spirituale o semplicemente organico, come tale suscettibile di ingenerare
la “discriminazione”, diviene il Male, l'abominazione, il “fascismo”, la
“xenofobia”, il “razzismo”, il “nazismo”. Questi clichés, termini per tutti gli
usi, corrispondono alle designazioni incapacitanti assestate dai nuovi bigotti
del “monoteismo del mercato” sotto la
copertura del moralismo puritano e della cattiva coscienza secolarizzati.
Mammona è del resto nemico non solo degli “estremismi”
denunciati in tal modo, ma anche di una più modesta saggezza epicurea, come la
descrive Lucrezio, secondo cui «se ci si
governasse secondo la vera dottrina, la più grande ricchezza per l'uomo sarebbe
di vivere con il cuore contento di poco; perché di questo poco non vi è mai
penuria. Ma gli uomini hanno voluto rendersi illustri ed abbienti per stabilire
la loro fortuna. [...] Lasciateli
dunque sudare sangue e spossarsi nelle loro vane lotte sullo stretto cammino
dell'ambizione, giacché non hanno gusto se non tramite la bocca d'altri, e
regolano le proprie preferenze sulle opinioni ricevute piuttosto che sulle loro
proprie sensazioni» (36).
L' “antifascismo”, portato avanti inizialmente da marxisti
la cui bottega è stata ridipinta di fresco con i colori virtuali della Borsa,
si è mutato in arma del “totalitarismo finanziario” (Zinoviev), attraverso un
processo su cui torneremo. Là ove non sta il Denaro, comincia dunque la presa
evidentemente orrifica di ciò che la Cappa disegna come l'avversario
irriducibile, immorale e malefico. Chi ricusa il Denaro è quindi di fatto
demoniaco, “fascista”, per questa teologia intollerante al punto di aver
sequestrato il termine stesso di tolleranza per l'uso esclusivo dei suoi
zeloti. Mediante un travolgimento semantico caratteristico della neolingua
orwelliana oggi dominante, questa confisca avviene evidentemente per meglio
lottare appunto contro ciò che è “intollerabile”!
La dove sta Mammona sta anche l'“etica” delle Nazioni Unite e dei Diritti dell'Uomo, la morale
filantropica monetarista (slogan ascoltati a caso per radio nel 2001: «L'etica, rende!» e «Siamo solidali facendo degli affari»). Lo stadio ultimo dell'eresia mammonica sotto
l'egida degli Stati Uniti è stato ben descritto da Guillaume Faye: «Bible and
business. Il moralismo evangelico giustifica il mondo degli affari e viceversa»
(37).
TERRORE, POTENZA MILITARE E DIRITTI DELL'UOMO
I plutocrati, i loro commessi e cortigiani, che dominano il
mondo ed impongono la rivelazione mammonica e contabile, non esitano a
distruggere e ad uccidere per i bisogni della loro causa. Non procedono
d'altronde che in modo pulito ed a distanza, per quanto su larga scala.
Uccidono per quanto possibile da lontano, e non uccidono che per ragioni
buonissime dal punto di vista morale e finanziario, ragioni inseparabili per il
nuovo ordine mondiale le une dalle altre. Uccidono con l'embargo e il
bombardamento aereo, con tutti i modi messi a punto dai nuovi moralisti per punire i popoli per gli atti dei loro
dirigenti. Uccidono senza uno sguardo alle loro vittime, sguardo che
potrebbe essere demoralizzante per la loro soldataglia. Le uccisioni sono tanto
clean quanto massicce: è la guerra senza sangue e fango dalla loro
parte, la guerra che non colpevolizza. Dopo averla inflitta tante volte agli
altri, amici (?) e nemici, gli americani hanno alla fine, su piccola scala, pur
conosciuto questo orrore, stupefatti, a New York, a seguito degli strani attentati compiuti contro le Twin Towers, l'11 settembre 2001...
Questa è l'essenza della pax americana. Essa vuole
imporre all'Iraq, dove il petrolio non è anglosassone, esigenze che invece non
hanno apparentemente corso con riguardo all'Arabia Saudita. Ma, benché
mischiato al sangue dei suppliziati della Shariah,
tanto rigorosamente applicata quanto nell'Afghanistan dei Talebani, il petrolio saudita ha l'etichetta americana e quindi
quella, un po' incongrua, dei Diritti dell'Uomo. Questa stessa “pace
mondialista” del resto ha distrutto come un rullo compressore nell'ex
Jugoslavia tutto ciò che si opponeva all'avvento delle trasformazioni
geopolitiche auspicate dall'Islam in connivenza petrolifera con gli interessi americani
e texani.
I responsabili della morte militar-industriale, utilitaria,
a distanza e clean, sono convinti di fare effettivamente parte della
schiera degli “eletti” e dei “predestinati”, chiamata a reggere il mondo. Ha
ragione il transfuga americano Roberto
Dôle, quando scrive dal suo esilio in Canada: «Se una nazione non è pronta a seguire l'esempio americano, essa merita
che i suoi cittadini cadano sotto i bombardamenti. Il bombardamento delle
grandi città è cominciato durante la seconda guerra mondiale. [...] Uno ha il diritto di chiedere ad un pilota
di uccidere degli innocenti dal suo aereo se non è capace lui stesso di
uccidere la vittima faccia a faccia? Il massacro anonimo dei civili è diventato
una specialità degli Stati Uniti. A mia conoscenza, è il solo paese che vi si
dedichi in modo abbastanza costante da cinquant'anni. [...] Gli americani approvano il massacro dei
non-eletti, a condizione che avvenga in modo pulito, che gli strumenti
dell'uccisione siano anonimi, che la morte cada da aerei che spariscono senza
che i piloti debbano vedere le loro vittime. [...] La crudeltà del governo americano si esprime anche negli embargo
internazionali. Che importa la sofferenza umana causata dagli embargo
internazionali, dato che le vittime non appartengono al popolo eletto? Esse non
sono né americane, né ricche» (38).
Ma è per la buona causa, e le famiglie dei bambini
spappolati, carbonizzati o affamati non hanno che da farsene filosoficamente
una ragione. Tutto ciò è ammesso dal 1944, al punto che i circa settantamila francesi uccisi dai
bombardamenti alleati non sono considerati che vittime “collaterali”, ufficialmente
dimenticate. Storicamente importuni
malgrado loro, non hanno diritto né al fervore della “memoria”, né alle
cerimonie del ricordo, né a mausolei, cenotafi o monumenti. I minuti di silenzio, in Francia come in
Germania, sono esclusivamente per gli impiegati della Borsa di Wall Street coinvolti nell'episodio dell'11 settembre. Quanto ai tedeschi, persino a titolo di civili
deliberatamente presi a bersaglio, gli stessi sono interdetti, invero in nome
dell'umanismo democratico, da una memoria propria. I loro compatrioti sono stati collettivamente
resi vittima di un'amnesia: i loro martiri e i loro eroi non hanno diritto
all'esistenza. Si fa passare per profitti e perdite esorcistici il loro milione e rotti di vittime civili ad
opera dei bombardamenti terroristici di sterminio alleati.
D'altronde, i media e il sistema scolastico del nuovo ordine
mondialista sono là per questo: la civiltà dei Diritti dell'Uomo ha le sue
necessità strategiche, proclamate e rischiarate dalle torce viventi chiamate
Dresda, Hiroshima e Nagasaki. Bisogna sapere che persino Stalin, che voleva
vincere la guerra e conquistare le città ma non considerava una priorità
distruggerne le popolazioni, aveva rifiutato la strategia di annientamento
urbano propugnata dagli Alleati nella seconda guerra mondiale. E' così che fece
arrestare, dopo che ne erano stati fabbricati solo qualche decina di esemplari,
la produzione della sua fortezza volante, il bombardiere pesante Tupolev B-7,
modello affidabile ed ultramoderno del 1940 (39).
Ma attenzione! Tutti questi olocausti ed apocalissi forse
non sono riservati solo agli “altri”. Tutti i non-americani sono in qualche loro
parte degli Indiani, dei Pellerossa o degli Amaleciti agli occhi dei
“predestinati” (o degli “eletti”). La
morte al tocco di un pulsante si aggira nell'avvenire di ognuno di noi. Là sta il pericolo, e non nei resoconti del
grande Processo di Norimberga, nuovo capitolo della Bibbia. Giacché questo impero della Cappa monetarista
che sta assumendo il controllo del mondo, non escluso tramite l'usura,
particolarmente dopo l'11 settembre è pronto a tutto. E per Roger Garaudy «la grande debolezza di questo impero è che non ha affatto un'anima,
cioè un progetto collettivo per l'avvenire dell'uomo, se non lo sviluppo della
produzione e del consumo attraverso la
superiorità delle armi» (40).
Tuttavia, questa morte monetarista che è inflitta da
Mammona, è puritana e sacra, senza disagio e con la migliore buona coscienza
ottusa per i suoi sicari moralisti: «”E
ora va, colpisci Amaleq, votalo
all'anatema con tutto ciò che possiede, sii senza pietà per lui, uccidi uomini
e donne, bambini e poppanti, buoi e pecore, cammelli e asini”. [Saul] prese vivo Agag re degli Amaleciti,
e passò tutto il popolo a fil di spada in esecuzione dell'anatema» (41).
Questa è la legge teocratica e moralista del Bene contro il
Male, dei Buoni contro i Cattivi, ricordata durante le letture domenicali nelle
chiese e sinagoghe americane. Da qui l'espressione sbalorditiva adottata dal
presidente americano George W. Bush
quando il 30 gennaio 2001 ha designato le sue terrificanti forze militari come
le «armate americane della compassione»
(42). E' lo stesso presidente,
americano illuminato tipico, che «legge
la Bibbia tutti i giorni»; e dichiarava, dopo gli attentati che hanno
distrutto il World Trade Center l'11 settembre 2001, che era ormai questione
della «monumentale battaglia del bene
contro il male» (43).
Commento di Jean-Claude
Barreau, pure ex prete e molto spiritualista: «Quando il presidente Bush parla della lotta del Bene contro il Male
cade in una semplificazione incredibile. Siamo qui – intellettualmente – nel
fanatismo religioso» (44).
Il presidente Bush junior,
sempre pronto al massacro dei nuovi Amaleciti, non si rende conto che gli
attentati dell'11 settembre non hanno ucciso che qualche migliaio di civili
americani, la metà circa dei soli francesi uccisi nel bombardamento di Le Havre nel 1944 a titolo
“collaterale”.
Storicamente, questo dramma non è che un avvenimento davvero
minore, avuto riguardo al terrore omicida che l'US Air Force dispensa sul mondo da una sessantina d'anni. La
fiaccola della Statua della Libertà
brucia probabilmente con la fiamma del napalm.
Il Terrore messianico, in questo caso su scala planetaria,
esattamente come il Terrore che abbiamo conosciuto in Francia dal 1792 al 1794,
si profila di nuovo dietro i Diritti dell'Uomo, e oggi dietro l'offesa fatta
alla Borsa... Questo terrore ben presente non ci minaccia con ineffabili
“camere a gas” hitleriane, dall'esistenza dogmatica e legalmente sanzionata, ma
con un super-armamento, in particolare nucleare, termonucleare e
batteriologico, la cui esistenza è nota ed incontestata. Super-armamento ricattatorio, a valenza
popolicida e moralizzatrice, che gli Stati Uniti continuano con i capitali
assorbiti da tutto il mondo a sviluppare indefessamente, malgrado la scomparsa
dell'alibi sovietico, e unicamente per il trionfo del loro imperialismo
materialista.
Siamo ormai agli antipodi dell'originaria spiritualità
cristiana, benché essa sia una delle origini del Sistema, in particolare
tramite l'interposizione del calvinismo puritano e imbastardito. Così come
siamo agli antipodi della saggezza epicurea antica, ripresa nel sedicesimo e
diciassettesimo secolo dai “libertini”, pirroniani
affrancati dalla cattiva coscienza che Pascal
condannava. Libertini che il diciassettesimo secolo francese chiamava “Galli”, Gaulois,
come vengono chiamati oggi i francesi etnici nelle periferie meticciate... Contro il puritanesimo, contro la cattiva
coscienza secolarizzata e l'Anticristo allegorico, persino i cristiani possono
aderire a questo antidoto metodologico che è la libertà di spirito. Così come fece l'abate Gassendi, sapiente virtuoso, ma libertino spiritualmente, che si
dice insegnò al futuro autore del Don Giovanni e del Tartuffe... Più generalmente, la
cosa è del resto applicabile a numerosi libertini francesi del Grande Secolo,
in contrasto con i “libertini fiammeggianti”, che da parte loro erano
innegabilmente atei. Il libertinaggio di spirito in fin dei conti è l'antidoto
del puritanesimo.
SOTTOMISSIONE DEL DIRITTO NAZIONALE AI DIRITTI DELL'UOMO
Per la Francia la possibilità di sfuggire alla
super-ideologia era tanto minore in quanto lo spirito “repubblicano” è sempre
stato storicamente soggiogato da tutto ciò che è reputato anglosassone,
probabilmente per influenza massonica. In aggiunta, l'ideologia “progressista”
tradizionalmente coltivata dalla sinistra francese si adatta a quanto pare
benissimo a questa super-ideologia di avidità materialista e di cattiva
coscienza secolare nell'egualitarismo universalista.
Così la Francia ha ratificato la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo,
elaborata sotto l'egida del Consiglio
d'Europa (da non confondere con il Consiglio
dell'Unione Europea), ratifica operata in due tempi, nel 1974 e nel 1981.
Un'adesione che marca una sottomissione morale e formale alla super-ideologia
crepuscolare ed un vassallaggio imititativo alla Cappa: tale ratifica ha
infatti due conseguenze considerevoli nell'ordine giuridico interno:
•
innanzitutto, la nuova e tangibile supremazia
della Convenzione, così come ormai di tutte le convenzioni internazionali,
sulla legge interna, secondo la dottrina detta della “gerarchia delle norme” o
della “prevalenza”;
•
in secondo luogo, la sottomissione della
giurisdizione nazionale a quella della Corte europea dei diritti dell'uomo,
istituita dalla convenzione citata, dopo che il 2 ottobre 1981, sotto il regno
di François Mitterand [alias], la
Repubblica ha riconosciuto il diritto ai ricorsi individuali avanti questa
giuridizione soprannazionale, vera macchina politica mondialista, sovversiva
della sovranità dello Stato, che siede a Strasburgo.
Il procedimento così entrato nel nostro diritto positivo a
seguito di una dottrina avvallata dalle autorità politiche si oppone
direttamente alla tradizione giuridica francese, specie post-assolutista. Tale
risultato è stato in effetti conseguito al prezzo di un concreto abbandono,
essenzialmente contrario ai principi del diritto razionale, formale e scritto,
delle disposizione di cui all'art. 127 del vecchio codice penale francese che
vietava al giudice di omettere l'applicazione di una legge nazionale. Tale
articolo, teoricamente in vigore sino al febbraio 1994, recitava: «Saranno colpevoli di omissione di atti
d'ufficio, e punibili mediante degradazione civica, [...] i giudici, i procuratori della repubblica e
i loro sostituti, o gli ufficiali di polizia che si saranno immischiati
nell'esercizio del potere legislativo... interrompendo o sospendendo
l'applicazione di una o più leggi [...]
oppure deliberando sul fatto se le stesse debbano avere esecuzione».
Evidentemente la disposizione è scomparsa dal nuovo codice penale. Ma, ad illustrazione
della decadenza del diritto e della parzialità dei giudici, questa regola era
già contro ogni ragione caduta in desuetudine, esattamente al fine di
permettere l'applicazione diretta della convenzioni internazionali
moralizzatrici. Il trionfo dell'impunità burocratica e giudiziaria coinvolge
così tutto il sistema giuridico francese, dominato oggi dalle istituzioni
internazionali, e soprattutto dalle istituzioni europee.
La Corte europea dei
diritti dell'uomo, composta da magistrati politicamente selezionati dai
paesi aderenti, in tutta evidenza sulla base del loro conformismo politically
correct, funziona secondo una procedura abbastanza sorprendente. In
effetti, nel suo ambito è possibile infrangere tranquillamente principi che la
Corte pretende di imporre alle giurisdizioni nazionali assoggettate, senza che
ciò paia impressionare particolarmente i magistrati che la compongono... Si sa
che è facoltà a qualsiasi ricorrente di un paese che sia parte della Convenzione di adire la giurisdizione
internazionale della Corte, dopo esaurimento dei rimedi interni; ma questo non
gli garantisce affatto di poter beneficiare del contraddittorio in questo stadio
procedurale ultimo. Questa bizzarria deriva dalla costituzione stessa della
Corte, che possedeva ancora recentemente un organo di filtraggio, la
Commissione europea dei diritti dell'uomo, che giudicava da sola la
maggiorparte dei ricorsi, in modo né contraddittorio né pubblico!
Malgrado l'abolizione recente di questa commissione, il
filtraggio preventivo continua praticamente a sussistere allo stato attuale
della procedura, essendo esperito dai cosiddetti “comitati” della Corte stessa.
La predicazione di quei veri metri di
paragone della giustizia multinazionale che componevano la Commissione, e
compongono oggi i comitati, non tollererebbe certo un tipo di giurisdizione
occulta di questo genere da parte delle autorità giudiziarie nazionali
assoggettate. Si tratta in effetti di un'ipotesi di grossolana violazione
dell'art. 6 della Convenzione di cui
questi signori sono i perfidi guardiani... Un miglioramento della situazione è
poco verosimile tenuto conto della latitudine lasciata dal testo della convenzione
stessa e della giurisprudenza sin qui della Corte. O meglio: così stanno le
cose, salvo comunque il caso di un' imperiosa necessità ideologica che richieda l'utilizzo di un “jolly” giuridico,
come vedremo tra poco. Perché i Diritti dell'Uomo sono prima di ogni altra cosa
l'arma della super-ideologia primitivamente alla base della Convenzione stessa,
che si proclama abusivamente fonte universale del diritto, sotto la copertura
della metafisica giudeopuritana già discussa.
Il diritto, rivisto alla luce dei Diritti dell'Uomo, non è
lo stesso per tutti, è “a geometria variabile”. Illustreremo il funzionamento
reale della Corte europea dei diritti dell'uomo con l'aiuto di un caso
concreto.
LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO ALLA PROVA
In questa logica di universalismo totalitario, la
Commissione europea dei diritti dell'uomo ha chiaramente opinato per
un'interpretazione sistematicamente partigiana della Convenzione che essa ha
per compito di far rispettare nei paesi assoggettati. Un significativo caso di
specie lo mostra in modo particolarmente eloquente, e precisamente quello di
Pierre Marais, chimico in pensione colpevole di conclusioni scientifiche
inopportune.
Nel numero del settembre 1992 di Révision, rivista
francese di diffusione modesta per non dire quasi confidenziale, pubblicata a Issy
Les Molineaux e diretta dal revisionista Alain
Guionnet, Pierre Marais aveva in effetti pubblicato uno studio scientifico
preciso. Il suo oggetto figurava in riassunto nel titolo, “La chambre à gaz de Struthof-Natzweiler, un
cas particulier”. Tale studio minuzioso, unicamente di natura chimica,
concludeva, a torto o a ragione, per l'impossibilità tecnica delle esecuzioni
di prigionieri mediante mediante gassamento nel campo di concentramento tedesco di Struhof in
Alsazia, attivo nel 1943. Lo studio stesso rivelava in ogni caso interessi
pericolosi e non occasionali dell'autore, che non saranno in seguito smentiti,
perché lo stesso pubblicherà ulteriormente un'opera non meno minuziosa, in
particolare sulla questione dei cosiddetti “camion a gas” [alias] (45).
Ora, il pubblico ministero parigino, tramite la penna e la
voce inquisitoriali del sostituto procuratore François Cordier, zelante specialista del genere, ha prestamente
esercitato l'azione penale, invocando la famosa legge Fabius-Gayssot del 13/07/1990 (46). E' così che per delle
pagine austere piene di oscure formule chimiche, di cui i giudici non capivano
manifestamente nulla, così come del resto l'avvocato della difesa, Pierre
Marais è stato condannato penalmente condannato.
Per pronunciare la condanna del chimico, i giudici non hanno
neppure fatto ricorso ad un perito, che avrebbe potuto giungere, in ipotesi, a
conclusioni altrettanto blasfeme, rispetto all'unica legge francese di natura
intrinsecamente dogmatica. Bisogna qui ancora notare che questo disprezzo per
la possibile verifica materiale del fatto causale era già, per una ragione oggi
evidente, una particolarità dei processi per stregoneria. Come ha scritto Arthur Miller [alias] sull'episodio di Salem, «la stregoneria è, per sua natura,
precisamente un crimine invisibile» (47).
Questa è stata anche una delle particolarità dei grandi
processi celebrati dagli Alleati a Norimberga. La cosa è tranquillamente
ammessa dai nostri storici di corte, che, con riguardo all'argomento delle
camere a gas hitleriane, esigono l'abdicazione dell'intelligenza a fronte del
mero argomento ex auctoritate. Penso
in tal senso specialmente ai trentaquattro intellettuali che, con Pierre-Vidal Naquet, si sono abbandonati
a questa stravagante formula oscurantista, mediante presupposizione
semi-demonologica e fideistica del genocidio allegato: «Non bisogna domandarsi come,
tecnicamente, lo sterminio di massa è stato possibile. E' stato possibile
tecnicamente perché ha avuto luogo. Questo è il punto di partenza obbligato
di ogni ricerca storica in argomento» (48).
Avendo mancato di ascoltare l'università e l'accademismo del tempo, per cui
«non bisogna domandarsi come tecnicamente...», Pierre Marais, onesto chimico in
pensione, è stato ridotto allo stato di
delinquente e di eretico dal nuovo fanatismo. E' stato condannato sotto la
presa di una nuova superstizione che condiziona i giudici semi-demonologi,
teologi della semi-religione dei Diritti dell'Uomo.
La sua condanna fu pronunciata il 10 giugno 1993 dalla XVII
sezione del Tribunale di Grande Istanza
di Parigi, sotto la presidenza della
signora Ract-Madoux. Fu confermata il 2
dicembre successivo dalla XI sezione della Corte
d'Appello di Parigi, sotto la presidenza del signor Texier. Il ricorso in cassazione fu rigettato con decreto del 7
novembre 1995 dalla Sezione Penale della Corte
di Cassazione, sotto la presidenza del signor Milleville. Pierre Marais fu
allora il primo revisionista della storia a rivolgersi alla famosa Corte
europea dei diritti dell'uomo. La sua successiva sconfitta ha se non altro il
merito di dimostrare la parzialità costitutiva di questa giurisdizione
sovrannazionale.
Il 24 giugno 1996, la Commissione europea dei diritti
dell'uomo, sotto la presidenza di un certo Trechsel, affiancato da ventinove
giudici internazionali, non uno di meno, usciti dai diversi paesi aderenti al Consiglio d'Europa, concludeva le sue deliberazioni segrete senza
contraddittorio dichiarando il ricorso «irricevibile» (49).
E tuttavia Pierre Marais era stato condannato per
«contestazione di crimini contro l'umanità», cioè per aver quindi trasgredito
il solo dogma testuale diretto ed intrinseco che conosca il diritto
francese (l'unico altro dogma, testuale indiretto, è quello dell'inesistenza
delle razze umane, conseguenza estrinseca della legge Pléven del 1972),
pubblicando una dimostrazione d'ordine scientifico. Certo, il dogma testuale,
ultimo rifugio di una mentalità prelogica, non poteva sorprendere i giudici
europei, giacché non ha cessato di espandersi nelle legislazioni di altri paesi
continentali, e in particolare in quella italiana, tedesca, austriaca, belga,
spagnola, lussemburghese e svizzera. Diffusione operatasi con una rapidità ed
un'estensione fantastiche, rivelatrici di un disegno premeditato, l'imitazione
e il mimetismo non potendo da soli spiegare tutto.
Ma Pierre Marais,
come tutti gli storici revisionisti, non mancava di argomenti giuridici
apparentemente pertinenti. Non riporteremo qui che gli argomenti tratti dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo,
cui la Corte di Strasburgo fa la guardia come una faina. Secondo la percezione
stessa della Corte, il ricorrente lamentava, con riguardo alla giustizia
francese, le tre circostanze seguenti:
- di essersi visto opporre
il contenuto di un giudizio pronunciato a Norimberga nel 1946, da parte
del Tribunale militare
internazionale, concernente un processo di cui ovviamente non era stato
parte - e ciò benché in tale processo non si sia mai neppure parlato
dell'ipotetica camera a gas di Struthof! -; in altri termini, di essersi
visto opporre, nel senso letterale del termine, un pregiudizio,
contrariamente al principio dell'equità giudiziaria di cui all'art. 6,
primo comma della Convenzione;
- di non aver avuto
ufficialmente accesso a questo giudizio sacralizzato, cui la legge Fabius- Gayssot rinvia
implicitamente per induzione così come ad un'infinità di altre decisioni
di pari valore legale e suscettibili di contraddirsi, in mancanza di
pubblicazione di tutto ciò, data la natura di legge loro attribuita, sulla
Gazzetta Ufficiale della Repubblica francese, in contrasto con l'art. 6,
primo e terzo comma della Convenzione (in effetti, gli stessi giudizi e
provvedimenti resi in Francia sul caso specifico di Struthof resteranno
inaccessibili ai ricercatori sino al 2053 ai sensi della legge 79-18 del
31 gennaio 1979);
- di aver visto beffata la
sua libertà d'espressione, in modo tanto più inaccettabile che nessuna
restrizione di preteso interesse sociale può mai ostacolare l'espressione
scientifica, la libertà della scienza rappresentando, si pensava, un
valore intangibile in sé.
Questo terzo argomento richiede qualche precisazione, tanto
il pubblico non informato ignora sino a che punto la libertà di espressione è
divenuta sempre più un'espressione vuota di significato concreto. Questa
libertà, papagallescamente proclamata dal 1945, non cessa di restringersi come
una pelle d'asino, e il suo nome già oggi non corrisponde che ad un artificio
della neolingua imperante. Siamo infatti al punto che tale libertà è arrivata a
non esistere più che a condizione di professare la religione moralista e
massonica degli inevitabili e manichei Diritti dell'Uomo. Al di fuori di questa
ideologia totalitaria non vi sono che pseudo-idee, riducibili a sentimenti
malvagi come l'“odio”, eterno appannaggio della peccaminosità altrui.
Diavolerie, si sarebbe detto in altri tempi.
LIBERTÀ DI RICERCA OCCULTABILE E CHIMICA IMMORALE
La garanzia testuale della libertà d'opinione e
d'espressione che offre la Convenzione
europea dei diritti dell'uomo è,
nella sua apparenza formale, letteralmente la seguente:
«Art. 10 - 1. Ogni persona ha diritto alla libertà
d'espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di
ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere
ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera.
[...]
2. L'esercizio di queste libertà, poiché
comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità,
condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che
costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza
nazionale, per l'integrità territoriale o per la pubblica sicurezza, per la
difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della
salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti
altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire
l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario».
Per rifiutare a Pierre Marais la sua «libertà di opinione» e
di «espressione», la Commissione ha evidentemente invocato il secondo comma di
questo articolo 10, che pone delle riserve al principio enunciato al primo
comma. Ma è stato pur necessario che la Commissione esplicitasse le ragioni
della sua opinione, scrupolo del resto che non cruccia più affatto la Corte di
Cassazione francese.
La suddetta Commissione ha fatto così ricorso ad un
argomento di un oscurantismo radicale che mostra che in fatto di Diritti
dell'Uomo il fanatismo è rimasto (“ne varietur”) tale e quale quello che
era già nei confronti di Galileo
[alias] (vedi l'ammonizione del Sant'Uffizio
del 1632): «La Commissione ricorda che,
contrariamente a l'affermazione del ricorrente secondo cui l'art. 10 secondo
comma della Convenzione non riguarderebbe la “ricerca scientifica”, anche
supponendo che si tratti nel caso di specie di una pubblicazione “scientifica”,
il secondo comma dell'art. 10 non distingue a seconda della natura
dell'espressione in causa».
Si può dunque censurare tutto, ivi comprese le dimostrazioni
di natura innegabilmente scientifica, quando ne va della “morale”. In fin dei
conti, si possono perfettamente condannare le formule estratte dall'articolo
incriminato, in ragione delle loro inopportune conseguenze logiche per
induzione, come per esempio la seguente: «1,8
massa molare x (CN) 2CA / 2 x massa molare HCN = (1,8 x 92 / 54) # 3 g».
Satanismo “neonazista”? Il signor Marais, placido cittadino
irreprensibile, così come gli altri chimici in libertà, devono rassegnarsi e
dirsi che la loro sorte resta sempre meno peggio di quella capitata a
Lavoisier? Torna in mente la celebre
formula del giudice Coffinhal, di
sinistra memoria, vice-presidente del tribunale rivoluzionario, all'atto della
condanna di Lavoisier alla ghigliottina: «la Repubblica non ha bisogno di chimici»...
In ogni modo, per tornare all'affaire Marais, nulla
formalmente impediva alla Commissione di produrre una giurisprudenza onesta,
libera e di buon senso.
Ma il fanatismo demonologico dei giudici ha avuto la meglio,
nell'eccesso e nella passionalità così nocivi all'applicazione del semplice
buon senso. Intendo il fanatismo nel senso volterriano del termine, poiché
siamo in presenza, ripetiamolo, di una vera e propria religione secolare,
fanatismo, cioè «l'effetto di una falsa
coscienza, che asservisce la religione ai capricci dell'immaginazione e agli
eccessi della passione» (50).
Di fatto, il sentimento di servire una morale
trascendentale, per poco che lo spirito che essa abita si lasci andare,
favorisce facilmente il fanatismo.
Il puritano non può sfuggirvi, quand'anche fosse un europeo
convertito alla super-ideologia mammonica, trecento anni dopo gli ultimi
processi per stregoneria in Francia. E contrariamente ai fanatismi del passato
questo non induce alcuna forza particolare in chi ne è soggetto di fronte alla
morte...
Questo moralistico fanatismo contemporaneo fonda gli
attacchi di furore estatico degli agenti del sistema che conduce per mano, dopo
averli formati secondo gli standard intellettuali ed etici che impongono oggi
gli studi accademici e la formazione professionale del giurista. Anzi, tale fanatismo,
istillato nella società dalla scuola e dai media, finisce per condizionare
l'insieme della popolazione. I dissidenti non sono più percepiti come individui
che, del tutto semplicemente, percepiscono diversamente le cose e la pensano
altrimenti: sono divenuti degli immorali votati alla dannazione. In rottura con
la civiltà europea del passato, questa orrenda passione annichila il senso
comune e il rigore intellettuale, che permettevano il rispetto dell'avversario,
o anche del nemico, senza bisogno di Diritti dell'Uomo...
DALLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE IN PARTICOLARE ALLA
PROSCRIZIONE GIUDIZIARIA IN GENERALE
Infine, tanto contro la la libertà di espressione del
ricorrente che contro i tre argomenti enunciati precedentemente, la Commissione
ha trovato una scappatoia che non conosceva né conosce ancora la Corte di
cassazione francese. Essa non ha potuto trovare questo palliativo che facendo
ricorso a una procedura disonesta, ma che tradisce la sua vera natura parziale
e fanatica.
I giudici europei di Strasburgo hanno astutamente tirato
fuori il loro jolly, sotto le sembianza dell'art. 17 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo,
articolo d'altronde ispirato dall'art. 30 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo adottata dall'Assemblea Generale dell'ONU del 1948,
il cui principio è stato anche ripreso dall'articolo 54 della neocomunista Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Ecco il
tautologico dettato dell'art. 17:
«Nessuna disposizione
della presente Convenzione può essere interpretata come implicante il diritto
per uno Stato, un gruppo o un individuo di esercitare un'attività o compiere un
atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella
presente Convenzione o porre a questi diritti e a queste libertà limitazioni
più ampie di quelle previste in detta Convenzione».
Benché piuttosto circolare, l'enunciato è assolutamente
malizioso, e fornisce ai giudici da tutti i punti di vista un jolly per
qualsiasi parzialità, un'arma moralizzatrice finale, per imporre la virtù
terroristica contro la regola di diritto. La giustizia dell'URSS conosceva
ugualmente questo tipo di ragione ideologica, con il famoso art. 70 del codice penale sovietico, che prevedeva
che fosse punita
« ...l'agitazione o la
propaganda condotta in vista di abolire o di indebolire il regime sovietico o
di compiere più pericolosi crimini contro lo stato come la diffusione ai
medesimi fini di pensieri calunniosi che denigrino il regime sovietico pubblico
e statale, come pure la distribuzione, pubblicazione o detenzione negli stessi
fini di letteratura avente un tale contenuto» (51), permettendo che fosse punito qualsiasi atto commesso in
ipotesi al fine di «abolire o indebolire il regime».
Si tratta di una disposizione protettiva per il complesso
moralizzatore dello “stopreato” orwelliano piuttosto che per gli uomini liberi,
ma qui non è che sia “uomo” chiunque. La dichiarazione del 1789 [versione
originale] ignorava questo genere di riserve perfide che dovevano purtuttavia
molto rapidamente rinascere dalle ceneri della teocrazia per quel breve momento
tragico che fu il Terrore. In effetti,
l'art. 17 non è che una versione
alambiccata della famosa formula di Saint-Just:
«Pas de liberté pour les ennemis de la liberté, nessuna libertà per i
nemici della libertà!».
Su tali basi, il diritto cessa di vertere sui mala quia
prohibita per occuparsi del mala in se, smetta di considerare
concretamente i comportamenti del suddito per investigarne le idee. Con la sua
celebre invocazione Saint-Just non incarnava affatto un qualche principio
rivoluzionario, ma alla faccia del suo preteso radicalismo giacobino si
riattaccava invece al tomismo giudiziario già criticato alla fine dell'Ancien
Régime. Sguazzava anzi, foss'anche senza rendersene conto, nella palude dei
processi per stregoneria, prefigurando quel recupero cui si sarebbe più tardi a
sua volta dedicata ampiamente la rivoluzione bolscevica. Ritornava a quella
pericolosa dialettica giudiziaria del Bene e del Male che la Summa fondava sul Vangelo e che Arthur Miller descriverà in questi termini, messi in bocca a Padre
Danforth nel suo dramma già citato sui
processi di Salem: «Non ci troviamo
più nell'epoca torbida in cui il bene veniva mescolato al male per abusare del
mondo».
Jean-Gabriel
Cohn-Bendit, fratello serio e posato del troppo celebre ed inaffondabile istrione
del Maggio '68, aveva fatto strame della formula di Saint-Just, prendendo
precisamente la difesa degli storici
revisionisti in generale e di Robert
Faurisson [alias] in particolare. A suo avviso, questa formula
rappresentava «la fureria di tutti i
sistemi totalitari, e non, come si è potuto credere, e non il contrafforte più efficace contro di essi»
(52).
Perfetto “furiere” del Nuovo Ordine moralista e mondialista,
la Commissione ha rispedito al mittente le tesi di Pierre Marais e la sua
chimica, tanto corrosiva quanto empia. Al
motivo succitato con cui ha rifiutato qualsiasi tipo di immunità alla ricerca
scientifica, essa ha dunque aggiunto il seguente:
«La Commissione ha
parimenti preso in considerazione l'art. 17 della Convenzione. [...] L'art. 17
impedisce infatti ad una persona di dedurre dalla Convenzione un diritto a
darsi ad attività miranti alla distruzione dei diritti e delle libertà
riconosciuti dalla Convenzione. [...] La Commissione rimarca le constatazioni
approfondite delle giurisdizioni interne quanto al contenuto della
pubblicazione con la quale il ricorrente mirava in realtà [!], sotto la
copertura di una dimostrazione tecnica, a rimettere in discussione l'esistenza
e l'uso delle camere a gas per uno sterminio umano di massa. La Commissione ritiene
che gli scritti del ricorrente vadano in direzione contraria ai valori
fondamentali della Convenzione, quali sono espressi dal suo Preambolo, ovvero
la giustizia e la pace. Considera perciò che il ricorrente tenta di sviare
l'art. 10 dalla sua vocazione utilizzando il suo diritto alla libertà di
espressione per fini contrari allo spirito e al testo della Convenzione...».
La parzialità essendo evidentemente d'obbligo, in nessun
momento la difesa del signor Marais è stata posta in grado di spiegarsi in
contraddittorio sull'eventuale applicabilità dell'art. 17, e quindi sulla
filosofia che eventualmente potesse essere indotta dalla dimostrazione chimica.
I giudici hanno tirato fuori dalla
manica la loro carta bisunta da bari moralisti, da semi-teologi furbastri, per
i bisogni del “dovere alla virtù”. Il
loro jolly demonizzante ha permesso di negare a un soggetto un diritto
contemporaneamente proclamato con tanta pomposa ostentazione! E' così ormai chiaro che un soggetto di
diritto ha il dovere di non utilizzare le sue libertà se non «per fini»
ideologicamente conformi, e non certo cedendo al suo supposto libero arbitrio
intimo. Bisogna pur ammirare l'argomentazione tutta soggettiva: «la Commissione ritiene che... [...] considera che...». Il Diavolo è la
sotto, non c'è niente da provare: i giudici ne sono già convinti.
Il rigetto del ricorso è stato perciò fondato su un
determinismo giuridico di tipo morale. Nel caso di specie, i giudici hanno
reputato Pierre Marais immorale, in quanto avrebbe preteso di inferire
qualcosa a cui del resto non vi è nessuna prova abbia neppure pensato, e
che comunque non ha scritto. Niente
di meno che direttamente la «distruzione dei diritti e libertà riconosciuti»
(evidentemente, solo agli altri), per riprendere la formula enfatica e pomposa
della sentenza. Il diritto formale e
legale apparente deve a questo punto, come durante l'Ancien Régime o
sotto il potere sovietico, cedere alla morale dominante, di cui non può
essere che un mero e subalterno ausiliario occasionale.
Ed ecco qui la Commissione della Corte in azione, nel seno
stesso della liturgia giudiziaria del teatro di Satana. La proscrizione non
prende di mira solo il prodotto mefitico dell'anima dannata del querelante,
espulso dall'umanità. E' l'anima posseduta dal Maligno che fa esalare i suoi
miasmi dalle idee, dai sentimenti, persino dalle formule chimiche che i giudici
considerano orrenda alchimia. Si tratta infatti di possessione diabolica
redibitoria, e non della commissione di oggettivi atti materiali proibiti,
quali che possano esserne le intime e ultime motivazioni, in teoria appannaggio
esclusivo del foro interno dell'imputato.
Del resto, simili atti oggettivi e materiali, come la
corruzione, il furto, l'assassinio, la truffa, vere trasgressioni del Sollen
(dovere, condotta richiesta), ma non ideologicamente peccaminosi, non
consentono certo di per sé che l'imputato sia privato di una qualsiasi
protezione. I balordi, i malfattori più sordidi sono al riparo dalla nuova
proscrizione sociale e giuridica dal regno dei Diritti dell'Uomo, e sono anzi
guardati con un impietosimento neo-rousseauiano cui l'ondata di criminalità
oggi dilagante non è estranea; ma gli stessi “comuni diritti” non si può certo
tollerare che vengano invece strumentalizzati per la «distruzione dei diritti e
delle libertà riconosciuti». Tutti costoro possono perciò profittarne
liberamente. Non così chi ha “idee libertine”, i curiosi di scienza, genia
hitlero-satanica.
Per i partigiani e i guardiani faziosi dei sacrosanti
Diritti dell'Uomo, sola conta la lotta senza
quartiere contro il “nemico del genere umano” (per riprendere la
definizione demonologica di Pascal
in Les Provinciales). Il Maligno si è dunque nascosto maliziosamente
nel corpo posseduto del chimico e si è rivelato alla sagacità ispirata dei
giudici moralizzatori. Pierre Marais,
per la sua supposta motivazione interiore, nella sua intima coscienza, aveva
commesso, come dice Orwell, il «crimine fondamentale che contiene tutti gli
altri, il crimine del pensiero, lo psicoreato». Mirava “in realtà”,
sornionamente, a un risultato peccaminoso, a «fini contrari allo spirito...»,
che i giudici hanno subodorato senza fallo, con l'aiuto della grazia
divinatoria dei Diritti dell'Uomo.
In tutta evidenza, il ragionamento della Corte è quanto meno specioso, in
particolare nel caso di specie preso in esame. Tale ragionamento riposa su una
pura petizione di principio, disonesta e falsa. La mera constatazione di una
realtà qualsiasi, fondata o meno sulla chimica, non consente di per sé di
dedurre rigorosamente un bel niente quanto ai disegni e motivazioni ultimi del
soggetto che la sottopone all'esame altrui, disegni e motivazioni che del resto
non dovrebbero riguardare, in un'interpretazione sana del diritto
contemporaneo, che lui e la sua coscienza. Ma questo non è evidentemente il modo di
vedere le cose degli spiriti dogmatici che possono presuntivamente inferirne
un'empietà correlativa di chi procede a constatazioni scomode o mefitiche.
Quando il diritto decade nella “morale”, il diritto in senso proprio non esiste
più, ma solo la teologia: qui, la semi-teologia secolarizzata dei Diritti
dell'Uomo.
Provenendo da giudici sedicenti “laici”, ma appoggiati sulla
metafisica del bazar mercantilista dei Diritti dell'Uomo, la sentenza Marais è
senza dubbio fondata su un'affermazione particolarmente odiosa e imbecille. Non
si è “nazisti” (anche se non hanno usato la parola, è chiaro a cosa si
riferisse, sulla base delle loro prevenzioni di partenza, il limitato pensiero
dei giudici) in ragione di uno studio in materia di chimica fisica. Di
conseguenza, pare andare da sé che non si è “nazisti”, foss'anche
nell'accezione stereotipata della neolingua dominante, nella misura in cui si
decide di verificare empiricamente la possibilità o impossibilità dell'uso di
gas tossici per l'esecuzione di prigionieri nel campo di Struthof.
In effetti, il povero Marais è ben lontano dal considerarsi
“nazista”, essendo anzi le sue idee personali, secondo quanto manifestato in
pubblico e in privato nel corso della sua vita, quando pure gli è capitato di
farlo, di tutt'altro orientamento. Ma i giudici di Strasburgo non ne
sapranno mai nulla perché non ne hanno voluto sapere nulla, murati come
sono nella loro passione partigiana. Ciò senza contare come ovviamente anche il
fatto che lo stesso potesse essere (come non è) di simpatie nazionalsocialiste,
nulla ci dice quanto all'esattezza o inesattezza delle sue conclusioni. E senza ancora contare il fatto che, se anche
nazionalsocialista fosse, questo non dovrebbe impedirgli di esercitare i suoi
diritti intrinseci di “uomo” e la sua libertà di espressione, tanto più quando questa
non riguarda neppure opinioni in qualche senso “politiche”, ma unicamente
formule ed esperimenti, qualsiasi conclusione di ordine storico il lettore ne
possa trarre. Ma abbiamo visto che il
soggetto di diritto non si vede riconosciuto come tale che a condizione di
utilizzare le libertà ostentatamente proclamate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo su licenza della
super-ideologia, e in nessun caso per ipotizzati «fini contrari allo spirito e
al testo della Convenzione».
Rieccoci così all'inquisizione delle anime ed allo stupro
delle coscienze, che fioriscono sotto la formula dei “diritti umani”, per cacciare ogni arbitrio o motivazione sospettata di
un'intima peccaminosità. Tutti gli uomini sono liberi, certo, ma sono
unicamente liberi di... non contrariare ideologicamente e moralmente coloro che
pretendono dettare i loro Diritti così come il loro Bene. Liberi sono i
querelanti... di non contraddirli. E questa regola già non è più fondata sul
«testo» legale e formale della Convenzione, ma sul suo «spirito». Il
pensatore dissidente, anatema per i Diritti dell'Uomo e per il loro “spirito”,
dalla notevole plasticità ideologica e morale, se lo abbia per inteso.
Bisogna però ammettere che questi giudici, divenuti quasi
teologi, predicatori e confessori, sono i vettori del Bene metafisico, i
guardiani supremi «della giustizia e della pace». Il che non è poca cosa, nella
presunzione della pratica e dello stile giudiziario: ne abbiamo ben conosciuti
altri, più circospetti, meno enfatici, infinitamente più seri... e più modesti.
Ben inteso, si chiede ai bigotti, agli ingenui, e al pubblico istupidito di
applaudire e sbellicarsi al teatro di Hitler. Per il rogo acceso ogni giorno con il napalm,
gridate tutti: bene! bravo! In fin dei conti il Bene trionfa e il buon costume
è protetto. Il rogo non è del resto sempre virtuale. La US Air Force che è nei cieli e i suoi ascari vegliano. Abbasso
Hitler, abbasso Saddam, abbasso bin Laden! Viva il Bene!
DALLA LETTERA ALLO “SPIRITO” DELLA CONVENZIONE: LA DERIVA
VERSO IL PROCESSO ALLE INTENZIONI
Questa giurisprudenza, pur se non del tutto sprovvista di
precedenti da parte dei venditori di olio di serpente di Strasburgo, resta
nondimeno di una gravità estrema, comportando alcune conseguenze teoriche che
meritano di essere esaminate con attenzione. Annuncia anche una decadenza del principio di
legalità nelle società occidentali che procede ormai a passi da gigante.
Innanzitutto, e in primo luogo, la Corte europea dei diritti dell'uomo non esita, in presenza di
disposizioni testuali, e benché queste sia già da parte loro docili ai suoi
disegni partigiani, a invocare direttamente lo «spirito» della Convenzione, cui si riservano di dare
la precedenza ogni volta sia necessario. Si tratta di una pietra miliare
importante nella direzione dell'affermazione di un diritto “consuetudinario”, moralizzatore e di fonte giudiziaria, che
concede al giudicante in realtà un arbitrio assoluto onde impedire al soggetto
di diritto la “licenza” delle motivazioni ultime, che nel diritto penale
contemporaneo non dovrebbero in realtà che riguardare lui stesso. Peggio, si tratta
di un diritto “consuetudinario” inventato ex nihilo, senza alcun
presupposto in usi concreti o in un corpo di precedenti evolutosi storicamente
e che possa tenere luogo della norma legale, ma solo nella super-ideologia
dominante e nei preconcetti diffusi dei suoi sostenitori. La Convenzione europea dei
diritti dell'uomo, o meglio il suo “spirito” così interpretato secondo
necessità, regna sola nei cieli. Si tratta in effetti di una giustizia
ideologica confessata (vedi il citato art. 17) e moralizzatrice, che mira
ad estirpare la fornicazione spirituale con le idee proibite. Cose che non sono
certo nelle... consuetudini, in senso proprio, ovvero nelle tradizioni
culturali e pratiche, dei sistemi giuridici dell'Europa continentale, specie di
matrice romano-germanica, legati da secoli alla legalità e formalità del
diritto penale, fondati su dettati normativi scritti, soggetti ad
interpretazione stretta.
Non si può che constatare qui un'influenza anglosassone
crescente, il ricorso alle cui tradizioni era del resto necessario per
legittimare il diritto penale elaborato contro gli esponenti del III Reich in
particolare, per ragioni politiche contingenti. In fin dei conti, si tratta di capitolare tra
l'altro ad un diritto penale angloamericano “alleggerito” (light), utilizzabile al
di fuori del relativo contesto e garanzie da non-anglosassani che sognano di
parlare inglese e di inabissarsi in un'american way of life immaginario.
Questo diritto è infatti l'arma politica
e morale universale della Cappa: arma che ritrovano i giudici di Strasburgo nel
cielo moralizzatore e nell'incomparabile azzurro mistico della US Air Force.
Ecco perché i redattori della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo hanno
rinunciato alla regola onorata della legalità delle pene, facendo regredire per
pregiudizio i nostri riferimenti in materia all'epoca dell'inquisizione. Il principio anti-legalista, e
pseudo-”consuetudinario” è esplicitamente affermato nel testo all'art. 7 della
Convenzione, che recita bensì: «Nessuno può essere condannato per una azione o
una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato
secondo il diritto interno o internazionale», ma subito aggiunge: «Il
presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona
colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata
commessa, era un crimine secondo i principi generale di diritto riconosciuti
dalle nazioni civili».
E' rimarchevole come questo testo non faccia alcun
riferimento alla “legge” in senso formale, rinviando addirittura espressamente
per la definizione di ciò che è criminoso ad un'assise rappresentata non da un
qualche potere sovrano e popolare, ma ad astratti “principi generali”. Troviamo
qui un vasto campo libero per l'arbitrarietà teoricamente esauritosi in Francia
con l'Ancien Régime e che resta la molla del nuovo diritto di impronta
angloamericana. Il medesimo art. 7 è del
resto in totale contrasto con le disposizioni della famosa Dichiarazione francese dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789,
dichiarazione che continua a figurare nel preambolo della Costituzione gollista del 1958, dove si legge: «Nessuno può essere
punito che in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al
delitto, e legalmente applicata».
Ora, in un parere del 18 giugno 1979, il ministro francese
degli affari esteri ricordava beotamente la straordinaria parzialità fondatrice
del «comitato d'esperti incaricato di
elaborare il progetto di convenzione di garanzia collettiva dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali» quanto al punto che qui ci
preoccupa. Il comitato aveva ritenuto che dopotutto non è per il fatto di
affettare di avere principi giuridici che ci si debba attenere troppo
strettamente. Rifiutando di
sottomettersi anche solo formalmente all'ideologia della supposta imparzialità
del diritto repubblicano, il comitato citato scriveva anzi: «Quanto al principio della
non-irretroattività della legge penale [...] il Comitato tiene a sottolineare
che questo testo non riguarda le leggi che, nelle circostanze del tutto
eccezionali che si sono prodotte a seguito della guerra mondiale, sono state
passate per reprimere i crimini di guerra e i fatti di tradimento e
collaborazione con il nemico, e non mira ad alcuna condanna giuridica o morale
di tali leggi».
Da qui, il secondo paragrafo dell'art. 7 della Convenzione sopra riportato... Si
noterà che le “nazioni civili” secondo la medesima disposizioni sono ovviamente
gli angloamericani, con il loro diritto penale consuetudinario, pure nel
relativo ambito più o meno plasmato e certificato da tradizioni secolari ed
interventi legislativi e costituzionali. Diritto che fu applicato, sotto forma
di avatar impoverito e caricaturale, dal Tribunale
Militare Internazionale di Norimberga insediatosi a Norimberga all'ora
dell'hallalì. La giurisdizione
esclusivamente inter-alleata aveva rifiutato anch'essa di considerare come un
principio intangibile la non-retroattività delle leggi, dichiarando che «la massima “nullum crimen sine lege” non è
che una regola che va per la maggiore», ma che è priva di un valore
particolarmente vincolante, con il che veniva tirata senza problemi una riga su
Beccaria e sulla stessa Dichiarazione
dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789.
Da questo punto di vista, si potrebbe legittimamente
sostenere che la Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo è, riguardo alla famosa Dichiarazione del 1789, propriamente controrivoluzionaria.
Ma oggi quale “repubblicano” e “democratico” professionale ed autoproclamato
oserebbe offuscare la sua reputazione con un tale reazionario cavillo?
In tutti i modi, i famosi principi del 1789, messi in
concorrenza con quelli della Convenzione
europea, sono storicamente e tecnicamente perdenti. In effetti, la stessa
giurisprudenza francese ammette oggi che i giudici nazionali devono
direttamente applicare le convenzioni internazionali dette “ad effetto
immediato” ignorando le leggi nazionali che fossero ad esse per ipotesi
contrarie.
Questo principio, già evocato, della “gerarchia delle fonti”
o della “prevalenza” è il solo modo che ci consente di sottometterci di fatto
alla Convenzione europea di salvaguardia
dei diritti dell'uomo, come ha voluto definitivamente François Mitterand nel 1981. Esso viene desunto dall'art. 55 della Costituzione francese in vigore, che
dispone: «I trattati o accordi
regolarmente ratificati hanno, a partire dalla loro pubblicazione, un'autorità
superiore a quella delle leggi, sotto riserva, per ciascuno dei trattati, della
sua applicazione dall'altra parte». D'altronde,
e molto saggiamente da un punto di vista democratico tradizionale, la giurisprudenza
rigetta l'idea di una competenza del giudice a giudicare della costituzionalità
delle leggi nazionali, democraticamente approvate dai rappresentanti del popolo
in parlamento; salvo purtuttavia, se si tratti di ricorrere al succitato art.
55 della Costituzione per derogare ad una legge nazionale a profitto di una
convenzione internazionale considerata “ad effetto diretto” nell'ordine
giuridico interno...
Praticamente, ciò significa che il giudice francese deve, se
ne ricorre l'opportunità, di disattendere la legge nazionale a favore della Convenzione, cosa che non potrebbe fare
se la legge fosse contraria alla Dichiarazione
francese dei diritti dell'uomo e del cittadino! Gli “immortali principi” in
essa contenuti sono perciò in condizione di inferiorità e di per ciò stesso in
condizione di inferiorità in caso di conflitto (53).
In secondo luogo, per ritornare agli insegnamenti che è
possibile trarre dalla vicenda Marais, la Corte
europea dei diritti dell'uomo si permette di fare un processo alle intenzioni
al chimico, nel modo più contraddittorio, occulto ed apodittico. Per il suo carattere sornione ed inopinato, il
colpo è evidentemente impossibile da parare, non essendo stato l'avvocato
difensore neppure messo in grado di replicare all'argomento. La motivazione invocata è più che mediocre,
dato che la Commissione non fa altro che invocare opinioni non meglio
giustificate («la Commissione ritiene...»). Ma non vi è ragione di spiegarsi: uno storico
revisionista, avesse anche indiscutibilmente la scienza o la verità dalla sua
parte non può che essere un nemico dei «valori fondamentali della
Convenzione..., ovvero la giustizia e la pace». Non vi è qui né diritto né
giustizia, ma solo un tremendo partito preso politico-ideologico e moralistico,
che ogni ordinamento ragionevole dovrebbe considerare logicamente come una
violazione di doveri d'ufficio da parte del magistrato che se ne renda
responsabile.
Infine, e in terzo luogo: cosa più grave di tutte, la
giurisdizione suprema per la difesa dei Diritti dell'Uomo si arroga la licenza
incongrua e smisurata di dire che cosa sia un “uomo”. Tramite il ricorso all'art. 17, si arroga il diritto di
definire chi meriti o meno protezione come soggetto di diritto a pieno titolo,
a titolo dei relativi “diritti”. Lo
stesso art. 17 potrebbe essere chiamato la clausola di eliminazione del “nemico del genere umano”. E' una
manifestazione tangibile della demonizzazione dei dissidenti occidentali
contemporanei, che mutano in eretici privati di qualsiasi diritto formale, nel
quadro della lotta del Bene e del Male. I
Diritti dell'Uomo istituzionalizzati, eretti in diritto positivo dalla relativa
Convenzione, hanno permesso la restaurazione dell'interdetto e della
scomunica.
Nel caso di specie, la Corte ha semplicemente deciso che
Pierre Marais, contrariamente agli uomini in generale, non sarà trattato come
soggetto di diritto, ma da quel “nemico
del genere umano” che è, dato che il suo discorso trae origine da una
fornicazione spirituale. Reminiscenza
questa, per il giurista, dei tempi della schiavitù, quando lo schiavo non era
che un oggetto di diritti, una semplice cosa, sprovvista come tale di qualsiasi
capacità giuridica propria. Non c'è
bisogno di sottolineare le prospettive vertiginose aperte da questo approccio.
Ogni persona sospettata, a torto o a ragione, di non
professare nel segreto del suo cuore l'ideologia dei Diritti dell'Uomo, può
dunque essere privata dei suoi diritti civili fondamentali ed essere
assoggettata ad una sorta di morto civile, di scomunicato, di “nemico del genere umano”. Così, i
Diritti dell'Uomo sfociano in definitiva sulla creazione di una paradossale e
non detta nuova categoria, che ricorda lo stato di schiavitù, l'”interdetto”
della scomunica, e la “morte civile” degli ergastolani, già abolita in Francia
con la legge del 31 marzo 1854. Questa categoria nuova, o piuttosto restaurata
sulla scorta dei modelli suddetti, e colpita da anatema, è quella dei
dissidenti, ovvero dei Malvagi o dei Salauds
(letteralmente sporcaccioni, equivalente all'italiano “porci”, sottinteso
“fascisti”, ad esempio nel linguaggio di Sartre
[alias]).
In effetti, il ricorso al termine “salauds”, sembra più moderno e meno connotato dal linguaggio
infantile. Viene opportunamente a rimpiazzare il termine di “salope” (“porca, sporcacciona”)
che designava la donna di ritenuta immoralità sessuale, questa volta per
designare l'uomo o la donna (da definirsi forse al femminile “salaude”?) di cattiva moralità
in rapporto alla “virtù antirazzista”.
Visto lo spirito moralista e semi-demonologico da cui è
affetta la giustizia in Europa e più in generale in Occidente, gli appartenenti
a questa categoria potrebbero anche essere indicati denominati Succubi (del Diavolo, di Satana, di
Hitler). Ma questo linguaggio non è evidentemente
abbastanza trendy, suona datato, benché sia ancora oggi utilizzato. Per esempio per designare un vecchio generale
della Wehrmacht, divenuto militante nazionalista nel suo paese dopo la guerra, Ernst Otto Remer (1912-1997),
soprannominato “il Succubo di Hitler” dalla voce del narratore durante una
trasmissione televisiva (54).
La demonizzazione funziona alquanto bene, tenuto conto
dell'obnubilamento provocato dal complesso interiorizzato dello stopreato orwelliano.
come testimonia quanto banalmente dichiarato da un oscuro sostituto procuratore
di provincia. In presenza del padrone di un campeggio inquisito perché non voleva più del 50% di bambini di
colore, tenuto conto dei problemi pratici che ciò gli provocava, il magistrato
ha pronunciato in pubblica udienza queste parole: «Voi siete inumano» (55).
I ladri, gli stupratori e gli assassini, per tanto che i loro moventi non siano
altro che il sadismo e l'avidità, hanno sempre da parte loro questa chance di
intenerire i pubblici ministeri post-sessantottini: in fin dei conti, sono
esseri umani. E forse che nell'ottica neo-rousseauiana e permissiva gli esseri
umani non sono sempre vittime della società “fascista”?
NESSUNA MISERICORDIA PER I “PORCI”
Pierre Marais non è solo: per la Corte europea dei diritti dell'uomo, gli storici revisionisti in
generale sono reputati non umani, dissidenti, e quindi “porci”. La Corte ha tenuto d'altronde a ricordare la
sua intangibile petizione di principio in una causa senza alcun rapporto con il
revisionismo storico, il procedimento Lehideux et Isorni contro la Repubblica
francese.
Nella relativa sentenza del 23 settembre 1998, dando ragione
(per la verità... post mortem) ai ricorrenti, che erano stati condannati
in Francia per aver pubblicato un testo in favore della revisione della
condanna del maresciallo Pétain, la Corte europea ha approfittato della
circostanza per enunciare, per inciso: «La
Corte ritiene che non spetti ad essa farsi arbitro di una questione che
pertiene ad un dibattito sempre in corso sull'interpretazione degli avvenimenti
di cui si tratta. A questo titolo, sfugge alla categoria dei fatti chiaramente
stabiliti – come l'Olocausto – la cui revisione o negazione si vedrebbe
sottratta dall'art. 17 all'applicazione dell'art. 10» (56).
Il richiamo, completamente fuori tema nella fattispecie, è
sintomatico della “vigilanza” dei giudici moralizzatori e demonologi di
Strasburgo. Eccoci in pieno nel tempo delle nuove streghe, indicate alla
pubblica vendetta dalla stampa addomesticata dalla Cappa, ma anche alla
vendetta giudiziaria, all'alba del fanatismo che contraddistingue l'inizio del
nuovo millennio. Le nuove streghe sono
correntemente, e per lo più indifferentemente, maledette con formule di
scomunica ed anatema standardizzate, come “fascisti”, “razzisti”, “nazisti”,
“neonazisti”, “negazionisti”. In
aggiunta, è aperto il ricorso al sistema primitivo ed anglosassone di common
law della judicial notice, la “scienza privata” del giudice quanto
ai fatti di causa, nozione che rimanda qui ai «fatti storici chiaramente
stabiliti», dunque al di fuori di qualsiasi onere della prova, ed addirittura
di qualsiasi discussione nel contraddittorio tra le parti.
E tutto ciò sotto la copertura dell'Olocausto, uscito per i
suoi settari fanatici dall'ultimo e più recente libro della Bibbia, il libro
sacro della Shoah [alias] e cuore
mistico della cattiva coscienza secolarizzata, motore immobile dello stopreato
orwelliano. Libro che viene scritto
davanti ai nostri occhi all'alba del ventunesimo secolo pretesamente emancipato,
più di due secoli dopo l'Illuminismo, costantemente celebrato, ma solo nel
senso, ed ai fini, ad esso attribuiti dalla neolingua contemporanea. Viene
scritto secondo l'inalterabile spirito levantino che ha sempre presieduto a
questo genere di redazione e che Ernest
Renan [alias] (1823-1892) ha analizzato in questi termini, oggi blasfemi,
benché il loro autore non sia “antisemita”: «La sincerità con se stessi non ha molto senso presso gli orientali,
poco abituati alle delicatezze dello spirito critico. Buona fede ed impostura
sono parole che, nella nostra rigida coscienza, si oppongono come termini
inconciliabili. In oriente, vi sono mille fughe e mille modi aggirare l'ostacolo.
Gli autori di libri apocrifi (“di
Daniele” o “di Enoch”, per esempio), uomini tanto esaltati, commettevano per la
loro causa, e con assoluta certezza senza l'ombra di uno scrupolo, un falso. La
verità materiale ha poca presa per un orientale; vede attraverso le sue idee, i
suoi interessi, le sue passioni. La storia è [così] impossibile, se si ammette
con alterigia che vi sono per la sincerità molte misure» (57).
Non si può non pensare alla parola visionaria di Céline sulla «magica camera a gas», in
ogni caso quanto ai suoi effetti psicologici e sociali di obnubilamento, al di
fuori del dibattito stesso sulla loro realtà originale. Dopo aver letto La
menzogna di Ulisse, dello storico revisionista ante litteram, partigiano ed ex deportato Paul Rassinier (1906-1967), pubblicato
per la prima volta nel 1950, l'autore
disperato e profetico della Ecole
des cadavres [versione Web] (1938) scriveva: «Il suo libro, ammirevole, farà un gran
baccano... tende a far dubitare pure della magica camera a gas!... non è
poco!... Tutto un mondo di odio sta per essere forzato a strillare
all'Iconoclasta... Era tutto la camera a gas!... Tutto permetteva!» (58).
Ma qui, attenzione, e non soltanto al delitto d'opinione, o
di pensiero “libertino”. Attenzione al crimine di sentimenti maliziosi o di
pensieri disonesti. I giudici predicatori e confessori vegliano alla messa in
scena del teatro di Hitler e sotto le quinte luminose il popolo condizionato ed
ipnotizzato forma un pubblico addomesticato ed uggiolante. Qui risiede in
effetti una sorgente essenziale della cattiva coscienza contemporanea, la
sorgente prima che eleva la questione all'altezza di un mito, nel senso di
fatto fondatore. La nozione di mito fondatore comporta in particolare un'indipendenza
dalla verità del fatto che esso occasionalmente strumentalizza. Così, il 14 luglio è un mito fondatore, anche
se la presa della Bastiglia è
d'altronde un fatto acquisito. Così, nella Bibbia
vi sono probabilmente circostanze che richiamano fatti storicamente
verificatisi; ma ciò non leva nulla alla sua valenza di mito fondatore. Il mito
fondatore qui esplicitato nel suo modo di operare e nelle sue conseguenze, fa
da parte sua riferimento ad un fatto “vero
perché incontestabile per autorità di legge”. Ma di questo fatto non potrebbe
mai per ipotesi essere considerato in più esatto anche dal punto di vista
storico sino a che non fosse restaurato il libero dibattito, dato che i
procedimenti pre-logici ben possono far ammettere una verità, ma non decidere
anche della sua realtà empirica.
Mito incapacitante, ma anche avvento e mito fondatore delle
moralizzatrici democrazie borsistiche contemporanee e palladio
dell'immarcescibile Stato di Israele, santo tra i santi dell'Occidente
“antifascista”. E' un mito ineffabile, dominio dell'indicibile, eretto in dogma
morale ed oscurantista, che protegge con le sue folgori in Francia la legge Fabius-Gayssot. Leggi equivalenti
a quest'ultima sono state ottenute in otto paesi d'Europa (59), nel corso dell'ultimo decennio del ventesimo secolo e a
cinquant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale, ad opera della «comunità ebraica che si è mobilitata»
(Marc Domingo). Il dominio delle
istituzioni rappresentative, autoproclamatesi tali, di tale “comunità” sui
sistemi politici e sociali europei s'è manifestato in modo impressionante. Ebrea, ma spirito libero proveniente da
sinistra, Annie Kriegel (1926-1995)
ha osato denunciare, ma invano, quest'effetto emanante da una «ossessiva caccia
alle streghe» fondata su una «insopportabile psicopolizia ebraica» (60). Revocare in dubbio la Shoah,
d'altronde, metterebbe fine al complesso dello stopreato, dissipando una parte
oggi essenziale della cattiva coscienza secolarizzata, cosa che cambierebbe la
faccia del mondo. Là sta il problema.
Da parte mia, non essendo né un sostituto procuratore
preposto alla caccia ai vecchietti, né un ex comunista, mi limiterò a
constatare qui una illustrazione impressionante della potenza e delle velleità
oscurantiste di certe organizzazioni ebraiche. Si tratta d'altronde di istanze essenzialmente
sioniste, e di conseguenza del tutto politicizzate, la cui rappresentatività
non riposa neppure sui suffragi dello stesso “popolo eletto”. Sfortunatamente, e in modo del tutto
inopportuno, il Concistoro ebraico
di Francia è stato talora tirato anche lui nella partita, al punto da
costituirsi processualmente a fianco di associazioni “specializzate” che
incarnano una volontà tirannica vetero-testamentaria, fondata sullo
sfruttamento della dottrina religiosa ebraica globalmente interpretata alla
luce della legge del taglione («Occhio per occhio, etc.») (61). Come scrive Sergio
Quinzio:
«gli ebrei hanno
sempre guardato con sospetto il perdono, nel timore [...] che l'assenza di
sanzione della colpa [...] finirebbe per mescolare caoticamente il bene e il
male. [...] C'è qualcosa di paradossale, di impossibile, di distruttore,
soprattutto nel perdono e nel rifiuto di giudicare adottati come criteri normali
di comportamento nel mondo. E questo la sottigliezza ebraica lo coglie
inesorabilmente» (62).
Alla legge del taglione e al rifiuto del perdono s'oppone
certo l'insegnamento, di rottura, di Cristo nel Sermone della Montagna (63). In un libro pubblicato nel 1947 a New York, e
firmato A. O. Tittman, si legge: «Dire
con molta chiarezza che con la fine di questa guerra è arrivata ugualmente la
fine dell'era cristiana. Tutti i precetti di condotta che avevano corso sin qui
sono stati scartati, ed al loro posto è stato stabilito lo spirito di vendetta
della legge mosaica» (64). Per
il professore portoghese Joaõ Das Ragas, «di
fatto a Norimberga due mondi si sono affrontati, che non potevano comprendersi.
Il mondo materialista di Mammona e dell'ipocrisia democratica contro la
concezione idealista ed eroica di un popolo che difendeva il suo diritto di
vivere» (65).
Ebbene, i tempi mammonici sono felicemente arrivati,
sovvertendo i nostri principi e le raffinatezze della nostra civiltà giuridica,
senza pietà. Ciononostante, esisteva già nei processi dell'Inquisizione cristiana una deroga in cui il “perdono” cristiano parimenti non poteva
entrare in gioco, salvo cadere nell'ambiguità, giacché si pensava: «Il giudice deve essere misericordioso? Val
meglio che preferisca la misericordia al rigore, questo è il principio: in
realtà il giudice è però sempre misericordioso, anche quando uccide, perché se
non addolcisce la pena di certo compatisce il condannato. E' misericordioso
quando fa frustare qualcuno e vieta allo stesso tempo che subisca una pena più
grave ancora. E così via. Perdonare ai peccatori ostinanti, è ingiustamente
misericordioso. Niente misericordia né perdono dunque per gli eretici, salvo se
si piegano alla volontà dell'inquisitore» (66).
I “PORCI” NON SONO SOGGETTI DI
DIRITTO
Le prospettive aperte dalla giurisprudenza scellerata e
inconsciamente demonologica della Corte europea dei diritti dell'uomo sono
perciò appunto vertiginose.
I dissidenti dell'ideologia dei Diritti dell'Uomo, questi
nuovi eretici, potranno essere sottoposti alla tortura e ad altre vessazioni?
Non cediamo qui al gusto della sparata, perché abbiamo visto che la risposta in
linea di principio dovrebbe essere affermativa (67), almeno sulla base della illustrata dottrina di ostracismo
giudiziario. Per il trionfo, ovviamente, dei «valori fondamentali della Convenzione... ovvero la giustizia e la pace»,
i paria dell'art. 17, in cui rientra potenzialmente qualsiasi dissidente
politico radicale, sono espressamente esclusi dai benefici della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo, e quindi da tutte le disposizioni protettive della
Convenzione stessa, secondo le necessità della super-ideologia.
Così, per la salvaguardia “della giustizia e della pace” si
potrà legalmente escludere qualsiasi “fascista” designato come tale dal
beneficio dell'art. 4: «Nessuno può
essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù».
Così, se sembrerà
necessario rafforzare la repressione contro questi porci, sarà possibile
mettere quanti identificati come negazionisti ai lavori forzati, escludendoli
dal beneficio del secondo comma dello stesso articolo: «Nessuno può essere
costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio». Idem per ciò che
riguarda il diritto «alla libertà e alla sicurezza» (art. 5), o «alla
vita privata e familiare» dei razzisti che potrebbero asseritamente minacciare
«la giustizia e la pace».
Questo sistema, emergente nell'esempio citato da una
decisione che si è ribellata alla ricerca scientifica, può identicamente
permettersi di proibire il cattolicesimo tradizionale ai fedeli della tendenza
di Mons. Lefebvre, ove qualcuno
decidesse che sono “fascisti”. L'art. 17
potrebbe permettere infatti di rifiutare loro la facoltà di d'invocare il
secondo comma dell'art. 9 della Convenzione
(«libertà di manifestare la propria
religione...»). Del resto, la
Repubblica francese si è da non molto dotata di una legge contro i «movimenti
settari», promulgata il 12 giugno 2001, che non sono altro in definitiva che
religioni non compromesse con gli Stati e le istituzioni della Cappa. I
“movimenti settari” sono infatti definibili essenzialmente come credenze e
culti che nel bene e nel male non hanno sufficientemente manifestato il loro
ossequio ai Diritti dell'Uomo. Si tratta
di una legge che del resto non dovrebbe letteralmente lasciare del tutto
tranquilli neppure gli ordini regolari cattolici, persino conciliari, e su cui
si dovrebbe ritornare...
L'art. 17 consentirebbe altresì di proibire ai “razzisti” di
sposarsi tra “bianchi”, ove si possa sospettare che ciò avvenga per un loro
colpevole cedimento ad un'inclinazione razzialmente endogena, aborrita dal
sistema e dalla Cappa (United Colors
of Benetton!). Questa libertà, che sarebbe in via generale garantita
dall'art. 12 della Convenzione, che riguarda la libertà matrimoniale, non è
infatti certamente applicabile ai “porci”.
A partire da una giurisprudenza folle, scellerata e gravida
di arbitri impensabili, tutte queste speculazioni diventano d'un tratto
giuridicamente plausibili.
Ma ecco un caso concreto. E' stato recentemente possibile
osservare, nell'indifferenza generale, che Maurice
Papon (68) non era in effetti un
“uomo”, nel senso dei “diritti” relativi, come si era pure a lungo pensato, ma
piuttosto un “porco”. Verosimilmente
consigliato da giuristi più versati tecnicamente che osservatori della
decadenza moralistica del diritto e della parzialità istituzionale dei giudici,
l'ex ministro gollista, appena condannato per “crimini contro l'umanità” sulla base di una rivisitazione a cinquant'anni
di distanza dei suoi uffici durante il periodo pétainista, era filato in
Svizzera. Si trattava di evitare un'incarcerazione a 88 anni di età, e
garantirgli di poter al contrario pacificamente e tranquillamente finire i suoi
giorni nel cantone del Valois.
In effetti, in mano alle autorità elvetiche, e rifiutando il
proprio rimpatrio, credeva a buon diritto (?) di poter approfittare di una
lunga, e in effetti controversa e discutibile, procedura di estradizione,
verosimilmente in regime di libertà provvisoria, tenuto anche conto della sua
età avanzatissima. Poteva legittimamente
(?) pensare di aver giocato una mano vincente, giacché, benché acquisita al
nuovo ordine morale mondialista e sottoposta alla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo, la Svizzera non conosceva ancora la
nozione di “crimine contro l'umanità”, quale definito ex post dai vincitori di
un conflitto contro i pretesi perpetratori da essi sconfitti. Si trattava in
ogni caso di mesi di tranquillità guadagnati ai suoi ultimi giorni, in attesa
di dover eventualmente scegliere in tutta calma una destinazione d'espulsione,
ove necessario ed ove fosse stato ancora vivo all'epoca...
Ma Maurice Papon e i suoi avvocati hanno subito scoperto che
il diritto, pure protettore dei criminali di diritto comune, non era fatto per
i paria della sua specie, per i “porci”.
Al posto della normale procedura di
estradizione nel contraddittorio dell'interessato, il condannato di Bordeaux
non ha conosciuto che la procedura... di volo di un elicottero militare. E' così che Maurice Popon è stato depositato,
sotto buona guardia, a Pontarlier, “senz'altra formalità processuale”, è ben il
caso di dirlo.
Una volta così regolata in modo esemplare la sorte dei
“porci” riconosciuti, conviene lavorare la pasta umana alla base. In questo
spirito, un magistrato bigotto, moralista ed inquisitore, ha proposto
un'interessante soluzione per redimere la popolazione indigena di Francia,
ancora istintivamente troppo restia ai benefici dell'“antirazzismo”. Il 21
marzo 2001, avanti la commissione dipartimentale d'accesso alla cittadinanza
della regione dell'Essonne, Laurent
Davenas, all'epoca procuratore della
repubblica al tribunale di grande
istanza di Evry, ha illustrato il suo progetto di promozione pedagogica
coercitiva dei Diritti dell'Uomo come segue: «In materia di infrazione al codice della strada, i conducenti possono
recuperare punti per la loro patente di guida seguendo un corso che li aiuti a
correggere il loro comportamento. Parimenti, un responsabile di discriminazione
razziale potrebbe seguire un corso a pagamento di due giorni nel corso del
quale gli si inculcherebbero i principi della tolleranza. Alla fine di tale
corso, si vedrebbe restituire la sua patente di cittadino abilitato a vivere in
società» (69).
Così, ai nostri giorni, un procuratore rinomato può ritenere
che i nostri personali atteggiamenti, mossi da discernimenti intimi ed
arbitrari, costituiscono materia di polizia ordinaria, come il comportamento
stradale. Tale magistrato può, ma in
questo è certamente in linea con i giudici di Strasburgo, arrivare a concepire
conseguentemente che sia richiesta al cittadino una “patente per vivere in società”, al termine di un vero e proprio addestramento,
ben inteso in nome del Bene giusumanista. Laurent
Davenas, tenuto conto delle sue affermazioni e della potenza del
condizionamento contemporaneo, ignora certamente che la sua proposta
corrisponderebbe alla restaurazione dell'istituto già citato dell'interdetto. Questa vecchia istituzione
della Chiesa dei tempi teocratici privava di tutti i suoi diritti lo
scomunicato, che perdeva così la sua “patente per vivere in società”...
Si tratta qui di un tipico stadio di sviluppo
dell'oppressione inquisitoriale attraverso lo stupro delle coscienze, al di là
persino di ogni dubbio sulla legittimità del lavaggio del cervello
preconizzato. Là dove la scuola, la
televisione e gli altri media non sono stati sufficienti ad instaurare il
complesso autorepressivo dello stopreato con sufficiente efficacia, un
lavaggio del cervello per ordine del giudice diventa un'ipotesi di routine... La questione posta non è più in effetti: «siamo in diritto di procedere in questo modo
in un regime che si richiama alla libertà?», ma piuttosto come procedere
utilmente in questo senso e non appena possibile. Si tratta di una questione di moralità, si
tratta di salvare delle anime strappandole al Maligno. Formidabile... Siffatte
procedure di rieducazione sono d'altronde sin d'ora poste in essere dalla
giustizia austriaca (70).
In ogni caso, la carriera di Laurent Davenas non è stata certo affetta da conseguenze negative
per le sue dichiarazioni, anzi, al contrario, come ben possiamo immaginarci.
Qualche giorno dopo l'espressione del suo ossequio mammonico, il medesimo
procuratore ha ricevuto dal presidente
Chirac una lusinghiera promozione alla procura generale presso la corte di cassazione.
Già tuttavia la massa spaventosamente inibita, per
obnubilamento ipnotico, si tace: stopreato! Il suo silenzio del resto origina certo da una
comune ed ebete passività, ma anche dall'effetto di un timore reverenziale e
sociale sostenuto da una minaccia onnipresente, diffusa, opprimente quanto
indefinibile: quella della Cappa. Ho
conosciuto recentemente il padrone di un bar, aggredito col coltello da tre
individui di origine africana, ancora sotto lo shock di una brutta ferita alla
testa, la cui principale preoccupazione era quella di riaffermare l'adempimento
al suo “dovere alla virtù”: «Eppure, ve l'assicuro, non sono razzista».
Il brav'uomo sapeva oscuramente a con sicurezza quanto velocemente si possa
passare dallo stato di vittima a quello di “porco”... Psicologicamente, regna
già un terrore diffuso e insidioso.
DIETRO I DIRITTI DELL'UOMO, IL TERRORE MESSIANICO
Certo, queste sono pazzie, ma questa follia divenuta comune
è il preludio d'un nuovo Terrore messianico che si profila, ed insorge dalla
stessa giurisprudenza dei faziosi giudici della Corte europea dei diritti
dell'uomo, che hanno essi stessi perso ogni senso comune, ogni senso del
diritto, in questa nuova caccia alle streghe, compimento impressionante del
teatro di Satana messo in scena dalla Cappa, e dei suoi effetti di confusione
mentale. Ventinove Saint-Just di mezza
tacca e stipendiati dal Consiglio d'Europa hanno giudicato il chimico Pierre
Marais privo di ogni “dignità umana”,
nientedimeno. Hanno deciso e scritto che
il ricorrente era anatema. L'art. 17 della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo autorizza dunque i giudici ad
escludere da qualsiasi norma protettiva ogni persona di cui si pretenda
subodorare sentimenti, idee o attività altrimenti
lecite, che mirino alla «distruzione dei diritti e delle libertà riconosciute»,
sulla falsariga dell'art. 70 del vecchio codice
penale sovietico.
Ora, per definizione, tutti gli eretici, veri o supposti,
non possono agire (o pretesamente agire) che «a fini contrari alla lettera e allo spirito della Convenzione». Parimenti per definizione i dissidenti
sovietici non potevano esprimersi che «in
vista... di indebolire il regime». E' ben qui che risiede da sempre la
particolarità del delitto di opinione, o di “pensieri libertini”: non è mai stato istituito che al fine di far
tacere coloro che si esprimono «a fini
contrari...» alle concezioni dei loro censori, giudici e persecutori.
Evidentemente.
Non è ora chiaro, in effetti, che i guardiani supremi dei
«valori fondamentali della Convenzione», intellettualmente sottomessi e
legalmente onnipotenti, sono dei pericolosi fanatici? Bisognerà pure un giorno mettere politicamente
in stato di non nuocere questi datori di lezioni, nuovi paragoni di virtù,
nell'interesse superiore del diritto e della civiltà europei. E' un presupposto
necessario per ritornare, giuridicamente parlando, all'imparzialità agnostica
dei principi formali, legali, sovrani, e che non si arrogano di mettere il naso
nel foro interno del suddito, e che esprimono la volontà popolare e la
tradizione del paese che reggono. Ma per il momento, il teatro di
Satana-Hitler, istupidente e sbalorditivo, nuovo perno del Globo e
dell'Occidente, è ben insediato, e i tempi liberatori dell'epurazione dei
bigotti inquisitori contemporanei non sono ancora in vista.
Certamente, il palazzo della Corte dei diritti dell'uomo a Strasburgo – di una ripugnante e
simbolica laidezza, sia detto per inciso – è un covo emblematico della Cappa, e
dunque della decadenza del diritto e del fanatismo giudiziario. La Storia non
ci insegna forse che dietro ai Diritti dell'Uomo si profila sempre il Terrore
messianico, che già affogò la Rivoluzione francese nel sangue? Questa procedura
penale di Stato che faceva in particolare richiamo alla “giustizia” riappare
oggi nella ricerca dei pensieri malefici sospettati di ispirare i nostri atti,
ivi compreso quando questi sono di per sé del tutto anodini. E' proprio il
Terrore giudiziario che infuria nel campo delle idee e dei sentimenti, in
Francia come nel resto dell'Occidente, per assoggettare i popoli ed annichilire
le sovranità nazionali.
Eric Delcroix
(Traduzione di Stefano
Vaj)
NOTE
(1) Eric
Delcroix, noto avvocato penalista di Parigi, già vicino alle posizioni del
GRECE, è stato coinvolto nei principali processi francesi per reati di
opinione, tra cui quello che ha coinvolto Guillaume Faye per il libro La
colonisation de l'Europe già discusso su l'Uomo libero n. 51. E'
autore di Manifeste libertin, La police de la pensée (per cui ha
dovuto lui stesso subire procedimenti: vedi le informazioni rese pubbliche dal
sito revisionista Aaargh) e Le théâtre de Satan. Décadence du droit,
partialité des juges, da cui è tratto il presente articolo, tutti pubblica
da L'Aencre di Parigi. [Nota del Traduttore]
(2) Vari termini
utilizzati dall'autore, come neolingua (“newspeak”), stopreato (“crimestop”),
psicopolizia (“psychopolice”), psicoreato (“psychocrime”) etc., sono
tratti dal famoso libro di George Orwell, 1984, la cui ultima edizione
italiana è Mondadori, Milano 2002, ma che facimente reperibile anche online
(cfr. la versione originale Web). Vedi anche Vittorio Barabino, Il linguaggio
dell'utopia. Un'analisi della neolingua in 1984 di George Orwell. [Nota del
Traduttore]
(3) Cfr. La
Gazette du Palais 14/07/1999, pag. 20.
(4) Su diritti
dell'uomo vedi nello stesso senso, su l'Uomo libero n. 12,
"Indagine sui diritti dell'uomo", di Stefano Vaj (poi ampliato nel
saggio Indagine sui diritti dell'uomo. Genealogia di una morale, LEdE-Akropolis,
Roma 1985, ordinabile a http://www.orionlibri.com), nonché Adriano Scianca,
"Diritti dell'uomo?", in Orion n. 226 del luglio 2003 (reso disponibile
in italiano e spagnolo anche da vari siti Web), ed ancora il dossier di
Guillaume Faye su Eléments n. 37 ("Droits de l'homme: le
piège") e l'opera di Pierre Chassard, Remarques sur les droits de
l'homme (Mengal, Bruxelles 2001, ordinabile a Librairie Nationale) . Sempre
molto critico, ma oggi con sorprendenti concessioni alla political
correctness, resta anche Alain de Benoist in Oltre i diritti dell'uomo,
Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2004 (vedi anche l'edizione originale Web).
[Nota del Traduttore]
(5) Secondo Padre
Mandonnet, citato in L'Augustinisme politique, di Henri-Xavier
Aquilière, Librairie philosophique J. Vrin, Parigi 1972, pag. 53-54.
(6) Deuteronomio, 28, da 1 a 14.
(7) Werner
Sombart, Gli ebrei e la vita economica, Edizioni di Ar, Padova 1997.
(8) Sulla legge
Pléven in Francia vedi Georges Paul Wagner, Description, analyse e critique
de la loi du 1er Juillet 1972 dite anti-raciste, La Libre Parole, Parigi
1989, ed ancora il resto libro di Eric Delcroix da cui è tratto il presente
articolo, nonché l'articolo "Le leggi repressive in Francia" di
Pierre De Salagnac, Stéphane Lefart in l'Uomo libero n. 37 [Nota del
Traduttore]
(9) Edourd
Valdman, Les juifs et l'argent, Editions Galilée, Parigi 1994, pagg. 38-39
e 83.
(10) La
Gazette du Palais, 25/05/2001, pag. 50.
(11) Karl Marx, La
questione ebraica, [edizione italiana Web] Manifestolibri, Milano 2004.
(12) Otto
Weininger, Sesso e carattere, Feltrinelli, Milano 1978 (e più
recentemente Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1992).
(13) Michel
Mourre, Le Petit Mourre, Edition Bordas, Parigi 1990, voce “Les
puritains en Amérique. Puritanisme et capitalisme”, pag. 725.
(14) Max Weber,
L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Rizzoli, Milano
1991.
(15) Genesi, 9, 1 e 7.
(16) Jean Bauffret, Dialogue aver Heidegger,
Editions de Minuit, Parigi 1993, volume IIIm pag. 35.
(17) Roger Garaudy, Les Etats-Unis, avant-garde de la décadence,
Editions Vent du Large, Parigi 1997, pagg. 15-18.
(18) Op. cit..
pag. 43.
(19) J.B., “Un
très sévère examen de conscience”, in Le Figaro 19/03/2001, pag. 20.
(20) Régis Debray, in Le Figaro 22/11/2001, supplemento
letterario, pag. 6.
(21) Werber
Sombart, op. cit.
(22)
Louis-Ferdinand Céline, Les beaux draps, Nouvelle Editions Françaises,
Parigi 1941.
(23) Giobbe, 3, 8; 40, 25.
(24) Cfr. per un'edizione italiana
recente, Thomas Hobbes, Il Leviatano, Bompiani, Milano 2001 (con testo
inglese a fronte e latino in nota). [Nota del Traduttore]
(25) Matteo, 6, 24.
(26) Jean-Claude
Chesnais, “L'Europe centrale deviendra aussi un terre d'immigration”, in Le
Figaro 12/08/2002, pag.21.
(27) Francis
Fukuyama, “La gauche ingrate”, in Le Monde 08/12/1999, pag. 18.
(28) Salmi, 2.
(29) Il passo cui
si pensa abbia voluto riferirsi è: «Non abbiate paura [... di annunciare la
Resurrezione]», Matteo, 28, 10.
(30) Citato tra l'altro dal fu presidente
dell'ordine degli avvocati di Parigi Louis-Edmond Pettiti a Notre-Dame il
10 dicembre 1978, come riportato dalla Gazette
du Palais 14/07/1999, art. cit.
(31) Augustin
Cochin, Les sociétés de pensée et la démocratie moderne, Copernic,
Parigi 1978, pag. 126 e 132.
(32) Aleksandr
Zinoviev, in Le Figaro-Magazine 24/07/1999, pagg. 36 e segg.
(33) La stesa
considerazione è applicabile in Italia, cfr. artt. 13, 15, 21, 82, 109
Costituzione. [Nota del Traduttore]
(34) Matteo, 6,
1-4.
(35) Robert Dole,
Le cauchemar américain. Essai sur le vestiges du puritanisme dans la
mentalité américaine contemporaine, VLB Editeur, Quebec 1996, pag. 28.
(36) Lucrezio, De rerum natura, libro V.
(37) Guillaume
Faye, Il Sistema per uccidere i popoli, Edizioni dell'Uomo libero,
Milano 1982, seconda edizione Società Editrice Barbarossa, Milano 1990.
(38) Roberto
Dôle, Le cauchemar américain, op. cit., pag. 62-71. (39) Vedi Le Fana
de l'aviation, agosto 1997, pag. 14.
(40) Roger
Garaudy, Les Etats-Unis, avant-garde de la décadence, op. cit. pag. 7.
(41) Samuele, I, 15, 3 e 8.
(42) Citato in Faits
et Documents, n. 108 del 15/04/2001.
(43) Citato in Paris-Match
18/10/2001, pag. 58.
(44) Jean-Claude Barreau, “La réligion, ce n'est pas le fanatisme”,
in Le Journal de Dimanche 23/09/2001, pag. 11.
(45) Pierre Marais, Les camions à gaz en question, Editions
Polémiques, Parigi 1994.
(46)
L'equivalente francese della legge Mancino-Modigliani. Per ciò che riguarda il
caso della Francia, vedi più in particolare Eric Delcroix, La police de
penséee contre le révisionnistes, Diffusion RHR, Colombes 1994, e
l'articolo già citato "Le leggi repressive in Francia".
(47) Arthur
Miller, Il crogiuolo, Einaudi, Torino 1997.
(48) In Le Monde 21/02/1979.
Vedi anche il testo integrale del manifesto.
(49) Procedura n.
31159/1996.
(50) Voltaire
[alias], Dizionario filosofico [versione originale Web], voce
“Fanatismo”.
(51) Traduzione
di A. Rachmanov.
(52) Jean-Gabriel
Cohn-Bendit, “Question de principe”, in Libération
05/03/1979, pubblicato ugualmente in appendice al contributo dello stesso
autore all'opera collettiva per la difesa della libertà di parola degli storici
revisionisti, con la partecipazione del sottoscritto, intitolata Intolérable
intolérance [versione originale Web]
Editions de la Différence, Parigi 1981.
(53) La
situazione costituzionale italiana, come noto, è ben diversa, e fornirebbe in
teoria meno alibi alla globalizzazione “europea” dei Diritti dell'Uomo. Se
«l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute» (art.
10 Costituzione) e «l'Italia [...]
consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra
le Nazioni» (art. 11), nessuna
norma parrebbe autorizzare ad applicare una normativa internazionale in
violazione dell'ordine costituzionale interno il giudice nazionale, che anzi è
tenuto a sottoporre alla Corte
costituzionale, anche d'ufficio, le questioni di costituzionalità di una
qualsiasi normativa che non risultino palesemente infondate (art. 134), ad esempio ai sensi dell' art. 25, II comma («nessuno può essere punito se non in forza di una
legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso»), o dell' art. 33, I comma («L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento») o 21, I comma («Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con
la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»). Non solo. La Repubblica italiana, non facendo
parte delle potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale, non ha
ovviamente mai partecipato alla stipulazione del trattato istitutivo del
cosiddetto Tribunale Militare
Internazionale che ha celebrato i processi
di Norimberga [alias] onde la relativa convenzione, ed i relativi riflessi
giuridici, in linea di principio non esisterebbero affatto nello spazio
giuridico interno del nostro paese. [Nota del Traduttore]
(54) Canale Arte,
26/02/2002, nella trasmissione Les faces cachées de l'extrême droite.
(55) Libération
21/12/2001, pag. 20.
(56) Cfr. ad
esempio Legipress, dicembre 1998, III.
(57) Ernest
Rénan, La vie de Jésus, Edition Michel Lévy Frères, Paris 1863, pag.
252.
(58) Lettera ad Albert Paraz del 20/11/1950, pubblicata in Le
Bulletin Célinien n. 4, quarto trimestre 1982.
(59) Per una
discussione della legislazione italiana omologa, in particolare la legge
Mancino-Modigliani, cfr. “Le idee nel mirino della repressione” (redazionale),
in l'Uomo libero n. 37, e “Il processo Gozzoli e le leggi speciali” di
Mario Consoli in l'Uomo libero n. 43. [Nota del Traduttore]
(60) Annie
Kriegel, “Le leurre de l'antisémitisme”, in Le Figaro 02/04/1990, pag.
2.
(61) Esodo, 21,
23-25.
(62) Sergio Quinzio, Radici ebraiche del mondo moderno,
Adelphi, Milano 1991.
(63) Matteo, 5,
44.
(64) A. O.
Tittman, The Nuremberg Trial, New York 1947, citato anche in Maurice
Bardèche, Nuremberg II ou Les falses monnaieurs, Les Sept Couleurs,
Parigi 1950, pag. 78.
(65) Ibidem,
pag. 83.
(66) Da Le dictionnaire des inquisiteurs, Valenza 1494, di
Anonimo (ultima edizione francese, presentata da Louis Sala- Molins, Editions
Galilée, Parigi 1980), voce “Miséricorde”.
(67) Nel tempo
trascorso dalla pubblicazione del libro, secondo una giurisprudenza a vari
livelli in via d'affermazione almeno implicita (cfr. le questioni in materia di
estradizione o “transito” di “terroristi” in paesi compiacenti, le decisioni
della Corte Suprema americana su Guantanamo e l'acquiescenza al riguardo
dell'autorità giudiziaria inglese, etc.) la risposta sta diventando “sì” anche
a livello pratico nei confronti di chi possa essere ritenuto un “terrorista”, e
dato che i “porci” non sono certo cittadini a pieno titolo...
(68) Maurice Papon, già
funzionario della Francia di Vichy, poi prefetto di polizia in periodo
gollista, deputato dal 1968, e dal 1978 al 1981 ministro del Bilancio nel
secondo e terzo governo di Raymond Barre,
finisce nel 1997, dopo quasi dieci anni di campagne mediatiche ed incidenti
procedurali, per essere processato per “crimini contro l'umanità”, e condannato
l'anno successivo a dieci anni di reclusione, salvo essere finalmente liberato
per gravissime ragioni di salute e dopo tre anni di reclusione nel 2002, a
novantadue anni (!). [Nota del Traduttore]
(69) Proposta
riportata da Le Parisien 23/03/2001.
(70) Cfr. Rapport
d'activité 2000, La documentation française, Parigi 2001.
Fonte: srs di Eric
Delcroix, da http://www.vho.org/aaargh/fran/livres10/Delroixit.pdf
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