Per l'harem. Acquisto di una
donna bianca in una ricostruzione di fantasia.
Ecco la loro storia.
Nel 1500 i cacciatori di schiavi fecero “furti di cristiani” lungo tutte le coste italiane: li
catturarono a migliaia e arrivarono indisturbati fino a 20 km dal Vaticano.
Due navi
slanciate si avvicinano da poppa alla Francis.
Emergono dai flutti con una virata
ardita. Gli uomini a bordo della Francis, una piccola nave da carico che
nel 1716 è sulla via del ritorno da Genova verso l'Inghilterra, sono impietriti
dalla paura: quelle navi sono sciabecchi, le navi dei cacciatori di uomini nordafricani.
E i marinai sanno fin troppo bene quale destino incomba su di loro: la
schiavitù.
Arrembaggio. Perderanno la libertà e molti anche la
vita. Verranno stipati in segrete
putride, saranno torturati e umiliati, maltrattati fino alla morte. Solo pochi di loro rivedranno la patria. Ma ecco che un'altra nave inglese, la Southwark, li incrocia. È più grande delle 4 imbarcazioni e fornita di
16 bocche da fuoco. Ma con abili manovre, gli agili sciabecchi raggiungono la
fiancata della Southwark, fuori dal tiro dei cannoni sulla murata. I nordafricani gettano i rampini d'arrembaggio
e, con grida infernali, saltano a bordo. I corsari trionfano e fanno bottino di
2 navi e tonnellate di carico: tessuti e vino, coralli e porcellane. Ma il vero
tesoro sono i 52 uomini caduti nelle loro mani: merce fresca per i mercati di
schiavi del Nord Africa.
Oro bianco. Schiavi
europei, padroni africani: una situazione insolita, che solo di recente è
diventata oggetto d'indagine. Il quadro
che abbiamo di quell'epoca, nella quale i cristiani erano "oro bianco" sui mercati del Maghreb, è ancora ricoperto da una
patina di descrizioni folkloristiche. Nel XIX secolo, il bisogno di esotismo
orientale (e di erotismo: "la donna bianca rapita e portata negli
harem" era un filone venduto in molte varianti fantasiose) trovò risposta
in un genere letterario. Gli storici invece non hanno mai preso sul serio il
fenomeno. Oggi però un nuovo libro dello storico statunitense Robert Davis (1) traccia un quadro radicalmente diverso.
Secondo Davis ci sono stati non meno di un milione di
schiavi europei asserviti a padroni africani. Tra il 1580 e il 1680 ad Algeri,
Tunisi, Tripoli e in una manciata di località affacciate sulle coste
maghrebine, vivevano stabilmente ben 35.000 schiavi.
Merce preziosa. Il mercato degli schiavi ad Algeri in un
disegno europeo del 1700. I prigionieri europei vengono portati in catene(1), spogliati(2)
esaminati con cura(3) talvolta picchiati(4) e poi comprati da mercanti(5)
che li rivendevano da privati o presi come rematori.
Fino In Islanda. Cercando di calcolare quanti uomini
dovessero essere catturati per mantenere stabile questo numero, tenendo conto
di fughe (meno dell'1%), riscatti (4%), morti per la peste che in Africa
dilagava con spaventosa regolarità, Davis ha stimato che ogni anno bisognasse
catturare almeno 8.500 persone, cioè 850.000 nel periodo compreso tra il 1580
del 1680. Per tutta l'epoca della schiavitù, dal 1500 fino al 1800, Davis stima
così «con buona approssimazione» 1,25 milioni di europei ridotti in schiavitù.
E si riferisce soltanto alle roccaforti
dei cacciatori di schiavi nel Mediterraneo occidentale: Algeri, Tunisi e
Tripoli. Ma anche in Marocco o in Egitto decine di migliaia di europei vivevano
in schiavitù, e anche nell'Impero ottomano. a Costantinopoli, tra il 1500 e il
1800, c'era una presenza stabile di 30.000 schiavi. I cacciatori di schiavi del Nord Africa
arrivavano fino in Gran Bretagna, dove facevano irruzione nelle taverne e nelle
chiese, vestendo abiti lunghi e con la testa completamente rasata, sguainando
le scimitarre e portando via avventori al bancone o fedeli che assistevano alla
Messa. Nel 1627 un gruppo algerino di cacciatori di uomini arrivò fino in
Islanda, dove rapì centinaia di uomini, donne e bambini.
Terrore in Italia. Ma soprattutto i corsari
imperversavano nel Sud Italia. Nel 1543 sbarcarono sulla penisola circa 12.000 corsari, un esercito che
si spinse nell'entroterra anche per 30 km. Un'altra volta arrivarono a 20
chilometri dal Vaticano. Le milizie locali non osavano attaccare gli invasori,
nettamente superiori. E il potere centrale era distante oppure, come nel caso
dei piccoli Stati in cui era frammentata l'Italia, non esisteva affatto.
Nel 1544, i cacciatori di uomini fecero prigioniere 7.000
persone nel golfo di Napoli, nel 1554 deportarono 6.000 persone da Vieste, in
Puglia. Quando le navi tornavano a casa dopo queste scorrerie, nei mercati del
Maghreb i testimoni dell'epoca raccontavano che "un europeo vale solo una cipolla".
Qualche volta le spedizioni avevano un tale successo che le
navi corsare non riuscivano a trasportare tutti i prigionieri. Allora questi erano rivenduti sul posto ai loro congiunti a prezzo scontato. In questi casi comparivano immediatamente
usurai locali che facevano prestiti a chi non era in grado di pagare il
riscatto dei parenti schiavi e, come avvoltoi, traevano profitto dalla sventura
dei loro conterranei. I parenti del prigioniero davano loro in pegno la casa e
il podere; nel giro di un paio d'ore, potevano riabbracciare i loro cari, ma
non avevano più di che vivere.
Travestiti. Solo
a partire dal 1600 circa, la portata di questo fenomeno si ridimensionò. La sorveglianza
delle coste migliorò grazie alle torri di avvistamento e di difesa, le unità di
cavalleria sbarravano la strada ai corsari mentre tornavano alle loro navi. Piccole, innumerevoli scorrerie presero il
posto delle grandi battute di caccia. Il
numero delle vittime di questi cosiddetti "furti di cristiani" si
sommava a quello di persone catturate nel corso di grandi operazioni
spettacolari.
Le popolazioni cercarono riparo nell’entroterra, in paesi fortificati cinti da mura sulle colline. Le zone costiere si spopolarono, le isole furono abbandonate. Poi iniziarono gli attacchi alle navi mercantile. Spesso i corsari si avvicinavano alle loro
vittime a bordo di navi già conquistate, sotto falsa bandiera e travestiti con
le uniformi di nazioni amiche.
Tra il 1613 e il 1621 furono sequestrate e portate in Algeria 1.000 navi provenienti dall’Inghilterra e
dalla Francia, dai Paesi Bassi e dalla Spagna.
Gli europei catturati erano portati nelle città del Nord Africa, trascinati per le
strade come appestati, percossi e coperti di sputi da una folla urlante. Quindi condotti nelle carceri sotterranee. Lì, ammassati in grandi celle
sovrappopolate, vivevano in mezzo a escrementi e parassiti.
La luce penetrava da una grata sul
soffitto. Per abbandonare la prigione, gli schiavi dovevano arrampicarsi su una
scala di corda che veniva calata dall'alto.
Il mercato. Questo fino al giorno dell'asta al
mercato degli schiavi. Qui i prigionieri erano tirati di qua e di là, dovevano
saltellare e muoversi ballando: i clienti volevano essere sicuri che la merce
fosse in buono stato. I potenziali
acquirenti valutavano la muscolatura, esaminavano le mani, osservavano
scrupolosi i denti. Al mercato si decideva la partita tra la vita o la morte. L'acquirente aveva bisogno di un animale da
lavoro o puntava a una speculazione? Soltanto
se il nuovo padrone poteva sperare di ricavare un compenso elevato dal riscatto
del proprio prigioniero, avrebbe evitato di maltrattarlo fino alla morte.
Vescovi "jackpot". Per questo i ricchi
passeggeri a bordo delle navi catturate erano un bottino di cui i corsari
andavano sempre a caccia: commercianti, con familiari disposti a pagare somme
elevate per il loro riscatto, o, ancor meglio, vescovi, che in questo gioco
valevano un jackpot. si era sparsa la
voce che, per i suoi dignitari, la
Chiesa pagasse velocemente, senza fare
chiasso e profumatamente.
Il destino più
benevolo toccava di solito a chi entrava in servizio in case private: svuotare
le latrine, condurre cammelli, magari solo fare musica in giardino e servire il
caffè. Agli schiavi da lavoro di Stato,
invece, era riservato un trattamento duro e spietato. Ad Algeri dovevano trascinare per chilometri
blocchi di pietra di 20-40 tonnellate, dalla cava di estrazione al cantiere del
molo al porto. E poteva andar peggio: la forma più brutale di sfruttamento
toccava ai rematori di galea.
Nel fetore. A
bordo di una galea l'acqua da bere era centellinata. Chi non resisteva, veniva
buttato in mare. Gli uomini erano
incatenati ai remi. Non potevano né spostarsi né alzarsi in piedi e dovevano
dormire seduti in file di 3-4 persone. Per
fare i loro bisogni, si arrampicavano sui vicini e li scavalcavano fino ad
arrivare alla murata. Molti di loro, esausti, rinunciavano persino a spostarsi;
non a caso, le galee erano circondate da un fetore bestiale. Sulle galee da
guerra ottomane, i rematori rimanevano incatenati anche quando la nave restava
in porto durante l'inverno. E quando la
nave affondava in battaglia. Molti finivano per convertirsi all'Islam. Per i
padroni, la conversione degli schiavi era un evento contraddittorio: utile per
compiacere Allah, ma negativo per gli
affari. I convertiti, infatti, non potevano più essere sfruttati in modo
disumano. Per chi invece si allontanava
dal cristianesimo, il passaggio all'Islam era un patto con il diavolo: per il
governo inglese diveniva un traditore e
non poteva più sperare nel riscatto. Spesso
gli ex cristiani si distinguevano per il particolare zelo come collaboratori
del regime: «Superano anche i barbari per
crudeltà e picchiano i loro fratelli senza pietà» racconta un testimone
oculare.
Schiavo nel lusso. Ma si poteva anche fare carriera. Il veneziano Giacomo Colombin,
catturato in mare nel 1602, fu corteggiato dal capitano dei corsari per la sua
arte ingegneristica, che gli portò grandi
ricchezze: era uno schiavo, ma abitava in un villa di lusso sulle colline di
Algeri. Dopo 30 anni, usando una delle
navi da lui stesso progettate, fuggì insieme ad altri 22 prigionieri. Già esempi di questo tipo mostrano che le
società schiavistiche del Nord Africa erano molto più complesse di quanto si
sia immaginato finora. Nuove fonti
permettono anche di gettare uno sguardo alla vita sociale che si svolgeva nei
cosiddetti "bagni" di Algeri. Già
dal 1700, questi labirintici quartieri-prigione, dove vivevano molti schiavi,
furono dotati di una cappella per il culto cattolico, gestita da monaci
accreditati nelle metropoli dei corsari. I musulmani ne apprezzavano l'aiuto in campo
pastorale e medico. I religiosi, nel frattempo, acquistarono un ruolo sempre
più importante come agenti nelle trattative per il riscatto che, con il passare
del tempo, si trasformarono da "vendite
al dettaglio" a commercio all'ingrosso di uomini-merci
Armati dai danesi. Il riscatto era costoso: nel 1646 un emissario inglese pagò 38 sterline
per schiavo, il guadagno annuale di un commerciante inglese benestante. La
politica europea nei confronti dei pirati, in particolare quella francese,
rimase a lungo caratterizzata da titubanze e tatticismi: era più importante un
accordo commerciale del destino degli schiavi. Alla fine del XVIII secolo, il
re di Danimarca inviava ogni anno ai cacciatori di uomini un tributo di armi
purché lasciassero in pace le sue navi. Ma
con la fine delle guerre napoleoniche i rapporti cambiarono.
Durante il congresso
di Vienna nel 1814-1815, su pressioni
del governo inglese, fu messo al bando il commercio transatlantico di schiavi. Contemporaneamente,
l'ammiraglio inglese Sir Sidney Smith lanciò con la sua "Società dei
Cavalieri liberatori degli uomini Bianchi che gemono schiavi in Africa" un intervento “umanitario” in Nord Africa.
Assalto finale.
Nell'agosto del 1816 una flotta composta
da 18 navi da guerra inglesi, alcune delle quali dotate di oltre 100 cannoni, e
con l'appoggio di navi olandesi, si ancorò nella baia di Algeri. Scaduto un ultimatum, tutte le navi aprirono
il fuoco. Le bordate si conficcarono una
dopo l'altra nei bastioni fino a quando, verso sera, su Algeri piovvero 50.000
palle di cannone. La flotta dei corsari, con le navi ormeggiate nel porto,
bruciò. Il fuoco si propagò alle strutture del porto e all'arsenale e in poco
tempo si estese alla città. Il comandante
in capo dei corsari si arrese e rimise in libertà tutti gli schiavi. Anche
Tunisi, Tripoli e il Marocco si affrettarono a dichiarare che la schiavitù era
abolita .
Fonte: srs di Fred
Langer, da Focus numero 231 del gennaio 2012, pag. 24-29
1) Robert Davls Docente
di storia delle civiltà del Mediterraneo alla Ohio State University (Usa).
Nessun commento:
Posta un commento