Giorgio Napolitano
Può suonare paradossale, ma è una seria e certa
realtà giuridica: lo Stato italiano non è la Repubblica italiana voluta
dalla Costituzione del 1948. È in radicale antitesi e contrapposizione con
la Costituzione e con i fondamenti della medesima. Forse più di quanto lo
sarebbe un ordinamento di tipo fascista. Perché in Italia siamo alla proprietà privata dello Stato e dei poteri politici.
L’articolo 1 della Costituzione afferma «L’Italia è una
repubblica democratica. La sovranità appartiene al popolo». Al
contrario, nello Stato italiano la sovranità economica, la sovranità
monetaria, appartiene interamente ai privati. Ai finanzieri privati proprietari
di Banca d’Italia. Sì, la Banca d’Italia non è degli Italiani, non è
dello Stato: è di finanzieri privati.
La sovranità economica sull’Italia appartiene anche alla Banca
Centrale Europea, che, in base al Trattato di Maastricht, è un’istituzione
autocratica sopranazionale, esente da ogni controllo democratico e persino
giudiziario, gestita da un direttorio nominato dal sistema delle banche
private. I suoi direttori sono esonerati da ogni responsabilità e decidono
nel segreto. Una vera e propria potenza straniera, alla quale i paesi
dell’Eurozona sono sottomessi..
Chi ha il controllo della moneta e del credito, ha il controllo
della politica, e incassa il signoraggio sulla produzione della moneta e
del credito – per l’Italia, si tratta di circa 800 miliardi di Euro l’anno.
Chi ha il potere di fissare il tasso di interesse, di dare e togliere liquidità
al mercato, ha perciò stesso il potere di dare e togliere forza all’economia,
di far saltare i bilanci delle aziende private e degli Stati. Di
costringere questi ultimi ad aumentare le tasse. Di ricattare
parlamenti, governi, società. Come sta avvenendo. Come è sempre avvenuto,
ad esempio, in America Latina. Bene: questo potere è in mano a privati, che lo
esercitano in totale esenzione da ogni responsabilità e sorveglianza. Dicono
che ciò sia bene, perché lo esercitano meglio dei politici, che sono corrotti e
demagogici. Sì, meglio – ma per se stessi, non per la gente. Non per
quelli che non riescono più a pagare il mutuo, e che perdono la casa,
mandata all’asta dai banchieri, che la ricomprano attraverso loro società-schermo.
Non per le imprese che chiudono o falliscono. Non per i contribuenti, non per i
risparmiatori regolarmente truffati ad opera di banchieri privati
(che poi forse ritroviamo azionisti di Banca d’Italia, da Parmalat a Enron a
Cirio a Halliburton ai credit derivatives).
Veniamo alla Banca d’Italia. Fino al 12 Dicembre
2006, essa era un ente di diritti pubblico con uno statuto emanato per legge
dello Stato, e questo statuto, al suo articolo 3, stabiliva che la proprietà
della Banca d’Italia doveva essere per la maggioranza in mano pubblica
aveva la struttura legale di una società di capitali privati, di una s.p.a., ma
una norma – l’art. 3 – stabiliva che la maggioranza del capitale dovesse essere
in mano pubblica e che nessuna cessione di quote potesse avvenire, se non a soggetti
pubblici. In realtà, questa norma era sempre stata violata: la grande
maggioranza delle quote della Banca d’Italia era in mano ai finanzieri
privati (banchieri e assicuratori), e quando Prodi eseguì le privatizzazioni
delle tre banche di Stato (BNL, CREDIT e Banca Commerciale) proprietarie di
quote di Banca d’Italia, non trattenne quelle quote allo Stato, ma le cedette
ai privati. Operazione contraria all’articolo 3, o perlomeno elusiva, a
cui nessuno di oppose, a suo tempo.
Berlusconi, verso
la fine della scorsa legislatura, sollevò la questione della proprietà della
Banca d’Italia, che doveva essere pubblica, e propose un piano per renderla
tale. Ma il mondo bancario, e per esso Mario Draghi, nuovo governatore
di Banca d’Italia, pose un secco veto: la Banca d’Italia deve restare
privata.
Un altro esponente del mondo e degli interessi bancari, Romano
Prodi della Banca Goldman Sachs, andato al governo assieme al suo collega
della Banca Centrale Europea, Tommaso Padoa Schioppa, si mise subito all’opera:
se la legge è violata perché la proprietà della Banca d’Italia è al 95%
privata anziché in maggioranza pubblica, non bisogna – sarebbe un
sacrilegio – mettere la proprietà in regola con la legge, bensì, al contrario,
mettere la legge in regola con la proprietà. Così si è fatto col decreto del 12
dicembre 2006, firmato da Napolitano, Prodi, Padoa Schioppa. Già! Prodi e Padoa
Schioppa è ovvio che lo firmino – sono fiduciari dei banchieri. Ma che
lo firmi Napolitano, un vecchio comunista, uno che era comunista nel
1948, quando essere comunisti significava essere stalinisti, intransigenti
fautori della proprietà collettiva dei mezzi di produzione – che lo firmi
Napolitano, è davvero il colmo! Dov’è il suo comunismo? Dov’è la difesa della
Costituzione, per la quale doveva dare, se necessario, la vita? Dov’è la
difesa del supremo principio della sovranità popolare? E del lavoro come
fondamento della Repubblica, del lavoro che invece viene sacrificato all’usura?
Napolitano doveva semplicemente rifiutarsi di firmare per far salvi principi
essenziali della Costituzione che giurò di difendere.
In realtà, chi conosce i “comunisti” (non la base
ingenua e idealista, ma i capi freddi e lucidi – non i Rubashov, cioè,
ma i Gletkin del romanzo di Arthur Köstler, Buio a Mezzogiorno), sa che
essi non sono comunisti, non gli importa nulla di socialità etc. – i
capi “comunisti”, da Stalin in poi, hanno come scopo la conquista e la
gestione del potere fini a se stesse. Non hanno un’identità ideologica: per
questo fine, essi si servono di tutto, di ogni idea, di ogni uomo, dello Stato,
dei principi, come di un puro mezzo, strumenti sostituibili. Sono tecnici della
manipolazione sociale. Tutto il resto, per loro, è puerile romanticismo. Va
bene per il popolino. Paris vaut bien une messe.
E i partiti della sinistra? Ebbene, si è visto
anche nella vicenda Consorte: i partiti della sinistra seguono i
finanzieri e si occupano di allineare la società agli interessi dei
banchieri.
Marco Della Luna
Fonte: srs di Marco della Luna;
da Il giornale del Ribelle, del 24 dicembre 2012
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