di Andrea Arman
Nella mia vita ho fatto parecchie cose ed una di quelle di
cui vado maggiormente orgoglioso è stata fare Alpino come Alpiere del
Battaglione Alpini Feltre.
Un’esperienza davvero speciale, fatta assieme a ragazzi
straordinari, comandati da un uomo burbero, all’apparenza quasi demoniaco, che
ha lasciato in noi Esploratori un indelebile positivo ricordo. Eravamo fieri di
essere Alpieri del 7° e quando incontravamo gli altri militari delle differenti
specialità capivamo che essere Alpini era una cosa diversa.
Io allora ero un po’ più grande dei miei commilitoni, ed
anche un poco presuntuoso, cercavo di capire cosa ci fosse di particolare che
ci distingueva da fanti, genieri etc.. Volevo
darmi e dare una spiegazione che fosse logica, trovare una ragione o causa alla
nostra diversità; non ci sono riuscito, allora.
Poi, un giorno, assieme ai delegati della Repubblica Veneta,
sono stato in visita al comune di Sappada – Plodn e le parole del Sindaco mi
hanno aperto un nuovo occhio; il Sindaco esordiva dicendo: “a me non piace pensare difficile”.
Subito non davo peso a quell’espressione, poi ha cominciato a riemergere nella
mia mente, assieme ai fantastici monti pallidi ed a tante altre montagne che ho
visto e camminato.
Cominciavo a capire.
Vicino alle nuvole, sulle terre alte, gli uomini raggiungono
una diversa consapevolezza. L’uomo diventa più piccolo difronte alla
grandiosità dell’ambiente, più fragile al cospetto dei costanti pericoli, più
umile nel faticare quotidiano. In tutte le montagne del mondo, l’uomo che le
abita e vi vive è più uomo. E’ un uomo che pensa semplice. Ed allora, forse, ho
capito perché noi Alpini eravamo e ci sentivamo diversi. Eravamo gente di
montagna, non ci piaceva pensare difficile e questo ci rendeva unici.
Dopo il congedo ho cercato di mantenere vivo quel senso di
particolarità, di semplicità che avvertivo quando gli altri, militari o turisti
o cittadini, ci guardavano con ammirazione. Mi sono iscritto all’ANA,
Associazione Nazionale Alpini. Per anni ho atteso e letto con avidità “l’Alpino”
poi, piano piano, qualcosa ha cominciato a stonare.
Gli articoli diventavano, numero dopo numero, celebrativi di
un sentimento che non avevo conosciuto da militare e che non avevo mai
avvertito in tutti quelli più vecchi di me che avevano portato il cappello in
guerra ed in pace. L’esaltazione dell’Italianità, del tricolore Italiano,
dell’appartenenza all’Italia e dell’Italia. Questo mi ha infastidito, ma non
perché io sia un indipendentista Veneto, lo ero anche quando ho fatto l’Alpino,
ma perché sono convinto che l’Alpinità, ovvero tutta quella serie di valori e
quel comune sentire che rende unici coloro che hanno davvero fatto gli Alpini,
sia cosa affatto diversa dagli slogan patriottardi e dalle esagerate
ostentazioni di tricolori.
Soffro nel vedere che, giorno dopo giorno, la politica
Italiana sta strumentalizzando la più grande ed organizzata associazione
d’Italia per inculcare la triste cultura del tricolore.
L’Alpinità appartiene agli Alpini, agli uomini che vivono e
pensano sulle terre alte di tutto il mondo. L’Italia c’entra gran poco, tranne
che per averne fatto morire a centinaia di migliaia nei più infernali scenari
di guerra.
Fonte: srs di Andrea Arman,
visto su Vivere Veneto del 20
aprile 2014
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