Il fonte battesimale della Chiesa di Santa
Eufemia che fu al centro di una forte controversia tra i padri
Agostiniani di Santa Eufemia e i parroci
della città
VOLUME II - EPOCA IV - CAPO XIII
SOMMARIO. -
Agostiniani di Sant'Eufemia e parrochi - Cassinesi di S. Nazaro e Olivetani di
S. Maria in Organo - Giurisdizioni parrocchiali - Congregazione del Clero
intrinseco e Frati Minori di S. Bernardino - Pretese dei Benedettini di S. Zeno
- Vescovi di Verona e Capitolo per l'esenzione - Vescovi e canonici per la
Scuola degli accoliti - Mancanza di residenza dei parrochi - Matrimonii
clandestini - Vanità nel vestiario dei sacerdoti.
Nei due secoli XVII e XVIII troviamo essersi agitate
parecchie controversie, ed introdotti alcuni abusi, massime in materie
disciplinari.
Causa principale, non unica, delle controversie pare sia
stata l'introduzione od intrusione di certi usi, tramutatisi poi sensim sine sensu in consuetudini, e quindi in legittimi o pretesi
diritti: forse avrà contribuito anche il prestigio, che si cattivarono in
quest'epoca alcune comunità religiose, sia anteriori che posteriori al Concilio
di Trento. Causa principale degli abusi, che, grazie a Dio, non sono molti, fu
l'indole propria del secolo XVII, propenso piuttosto alle cose profane e non
poco all'indifferentismo religioso. Diremo brevemente delle controversie
agitatesi nel secolo XVII, accennando in fine ad alcuni abusi più rilevabili. (a)
Una controversia gravissima e diuturna fu quella, che si
agitò fra i padri Agostiniani di
Sant'Eufemia e i parrochi della città. Alberto
Valier, mentre era ancora vescovo di
Famagosta e coadiutore perpetuo
dello zio Agostino nel vescovado di Verona, con atto del 26 febbraio 1601
autorizzò gli Agostiniani ad erigere
e benedire nella loro chiesa il fonte
battesimale(1): onde avvenne che il
curato di quella chiesa si ritenne autorizzato a battezzare i bambini di quella
parrocchia, e poi anche quelli che da altre parrocchie fossero portati
spontaneamente al fonte di Sant'Eufemia.
La cosa passò liscia per alcuni anni e specialmente durante l'episcopato di
Alberto Valier (1606-1630); ma in
seguito cominciarono gli arcipreti ed i parrochi a reclamare contro questa
novità. Gli Agostiniani si
appellavano a simile diritto competente agli arcipreti delle quattro pievi
aventi il fonte, quali erano S. Stefano,
SS. Apostoli, S. Giovanni in Valle, S. Procolo. I parrochi appoggiavano i loro reclami ad una
costituzione, certo non chiara, del vescovo
Giberti, e più all'aggiunta, che vi avea fatto il vescovo Agostino Valier(2).
Più tardi si appellarono pure ad un decreto del vescovo Sebastiano Pisani (nipote), il quale
nelle costituzioni sinodali pubblicate il giorno 9 maggio 1675 sanciva: «Nullus
parochorum aut rector aut curator ... ecclesiarum, quae Fontem habeant
baptismalem, salubri hoc lavacro abluere audeat infantes alterius parceciae,
sub poena suspensionis ipso facto incurrendae »(3).
Lo statuto parrebbe chiaro e decisivo: tuttavia ancor nel
giorno 6 febbrario 1683 il P. Nicola
Grassi curato di Sant'Eufemia
presentò un protesto alla Curia, e questa non osò definire la questione: così
tirò innanzi la consuetudine.
Gli stessi Agostiniani
nel 1641 ebbero una lite con la comunità di Castelrotto, riguardo ad una chiesa di S. Maria della Valena costruita su un loro fondo nel secolo XIII.
La lite in forma avogaresca fu portata ai magistrati di Venezia: fu composta
nell'anno 1646.
Un litigio si agitò sul principio del secolo XVII tra i monaci Cassinesi di S. Nazaro e gli Olivetani di S. Maria in Organo sul
diritto di precedenza nelle processioni. La vertenza fu trattata presso il
vescovo Alberto Valier: ma essendo
troppo complicata, fu di mestieri portarla a
Roma. Quivi fu discussa a lungo e con solenne apparato dalla S. Congregazione dei Riti, e con
udienza dei procuratori ed avvocati di ambe le parti: finalmente il card. Capponi, udito il parere di tutti
i consultori della Congregazione, con decreto 23 maggio 1610 decise il litigio
in favore dei Cassinesi di S. Nazaro(4).
Altra controversia grave e lunga fu quella delle
giurisdizioni parrocchiali; nelle quali l'arciprete ed i parrochi, massime
della città, si ritenevano lesi nei lori diritti dai regolari e dai cappellani
di oratori, scuole e confraternite, sorte in gran parte nel secolo XVII.
I regolari vantavano
il diritto di celebrare la messa in alcune circostanze nelle chiese
parrocchiali: i cappellani pretendevano di poter celebrar la messa nei loro
oratori prima della parrocchiale: si attribuivano il diritto di benedire le
ceneri, le uova, le palme, ecc.; così pur quello di portare la stola ed aver la
precedenza nei funerali della Confraternita, ecc.
Contro queste pretese reclamavano i parrochi. Su queste materie già il vescovo Giberti avea dato alcune prescrizioni: altre più precise avea dato
il vescovo Sebastiano Pisani (zio)
in un decreto dato il giorno 8 novembre 1658(5), ed ancor più precisa nel sinodo tenuto il giorno 3 settembre
1665(6): ma non si riuscì a
stabilire la concordia.
A por fine alle controversie il doge di Venezia Domenico Contarini con atto del 27 gennajo 1673 intimò al podestà ed al
capitano di Verona, che, massime in
materia di funerali (era il punto culminante) si osservasse il Rituale Veronese(7). Un qualche accomodamento si fece dal vescovo Sebastiano Pisani (nipote); il quale
con atto del 22 aprile 1683, « col
consenso delle parti» diede alcune norme determinate(8), Però su queste giurisdizioni parrochiali troviamo ancora altre
liti nel secolo XVIII.
Di speciale importanza fu la controversia agitata tra la Congregazione del clero intrinseco ed i
frati Minori Osservanti di S. Bernardino.
Pare che la controversia versasse intorno al diritto di
stola in caso di sepoltura dei membri della Congregazione. Più che presso il
vescovo, la questione fu agitata presso i rettori della città ed il doge di
Venezia; il quale coi decreti 22 giugno 1672 e 21 gennajo 1673 ordinava che in
materia di funerali fosse osservato anche dai regolari il Rituale Veronese(9): l'ordine era favorevole alla S. Congregazione, e fu comunicato ai
venti conventi Francescani di Verona
e della diocesi.
I monaci Benedettini
di S. Zeno già al tempo della pubblicazione del Concilio di Trento, e forse anche prima, volevano che la loro
abbazia e tutte le chiese da essa dipendenti fossero esenti dalla giurisdizione
del vescovo di Verona (10). Benche la S. Congregazione del Concilio nel 1579
abbia dichiarato non esistere tale esenzione, quei monaci continuarono a creare
difficoltà ai nostri vescovi su questo punto.
Il più ardito fu Vincenzo
Molin abbate dal 1665 al 1684. Questi, non solo attribuì a sè la
giurisdizione di foro interno ed esterno, ma nel 1666 fece stampare una tabella
di casi, dei quali riservava a se stesso l'assoluzione: pretendeva pure d'aver
il diritto di conferire i benefici delle chiese abbaziali di trattare e
definire le cause matrimoniali, e simili.
La controversia fu portata al Nunzio Pontificio a Venezia; il quale nel 1670, fissata
la base che l'abbazia di S. Zeno era
nella diocesi e della diocesi di Verona, diede una sentenza favorevole in
alcuni punti al vescovo, in altri all'abate. Quest'ultimo fu poco soddisfatto
di tale sentenza; cosicché il vescovo Sebastiano
Pisani (nipote) pro bono pacis
credette bene venire ad una
transazione, avente valore soltanto durante la vita di lui e dell'abbate Molin: transazione firmata il giorno 3
gennajo 1675, ed approvata poi a Venezia
dal Consiglio in Pregadi(11). La soluzione definitiva fu data a Roma nel
1713 da una Congregazione speciale nominata dal Papa Clemente XI: essa, attenendosi alle dottrine e norme del card. Prospero Lambertini, favorì in
tutto i diritti del vescovo.
Almeno dal secolo XIV troviamo gravi discordie tra i vescovi di Verona e i canonici della cattedrale.
Questi, appoggiati ad un diploma del nostro vescovo Ratoldo dell'anno 813 e ad una sentenza
del patriarca d'Aquileja Rodoaldo
dell'anno 968 (12), pretendevano di
essere esenti dalla giurisdizione del vescovo
di Verona, ed anzi aver giurisdizioni sopra chiese e monasteri che essi
dicevano indipendenti dal vescovo(13).
I vescovi non voleano riconoscere tutte queste esenzioni, pure ammettendo che i
canonici avessero alcuni privilegi. Di qui liti dal secolo XIV al secolo XVIII;
nelle quali spesso i vescovi pro bono
pacis si adattarono a transazioni. Così il vescovo Pietro Scaligero nel 1376 sottoscrisse
ad una transazione, nella quale i canonici si professavano soggetti al patriarca d'Aquileja ed alla Santa Sede.
Il vescovo Giammatteo
Giberti, avendo in mira il bene delle anime, si adattò egli pure ad una
transazione nel 1530; benché Clemente VII in breve del 1527 l'avesse nominato « Legatus a latere » con giurisdizione
anche super exemptos, e quindi anche sopra i canonici, fossero o non fossero
esenti: la quale autorità gli fu poi rinnovata da Paolo III nel 1537(14). Parrebbe che ogni dissidio dovesse poi cessare
per le prescrizioni del Concilio di
Trento relative alla giurisdizione dei vescovi: ma non fu così.
I canonici perseverarono nelle loro pretese con il vescovo Agostino Valier anche dopo che il
pontefice Clemente VIII nel breve 11
aprile 1596 invocò contro di loro gli statuti tridentini, in forza dei quali « ab
Episcopo Veronensi visitari, corrigi, et emendari valeant, super qui bus
perpetuum silentium imponimus »(15): cosicché il vescovo nell'anno
seguente si adattò ad accettare una transazione, la quale, in seguito
riformata, fu ratificata dal Pontefice il 22 maggio 1597. Così per evitare
scandali maggiori vennero a transazioni anche i vescovi Marco Giustiniani nel 1634 (b)
e 1635 e Sebastiano Pisani nel 1654(16). Soltanto verso la metà del secolo XVIII
cessarono le liti, quando la S. Sede, soppresso il patriarcato di Aquileja, sottomise intieramente il capitolo della
nostra Cattedrale alla giurisdizione del Vescovo
di Verona.
Altra causa di vertenze tra il vescovo ed i canonici fu la Scuola degli accoliti; la cui posizione
giuridica era di fatto ambigua, dipendendo essa dal capitolo, e non potendo
essere indipendente dal vescovo. Occasioni di tali vertenze furono varie. Ai
tempi dei due vescovi Valier fu
occasione il fatto che gli accoliti dimoravano generalmente nelle loro
famiglie, ed inoltre facevano poco onore al loro ufficio: dopo lunghe contese Alberto Valier riuscì ad ottenere che
vivessero vita comune in una casa vicina alla cattedrale.
Altra occasione fu la nomina del massaro, che i canonici volevano riservare a sè, senza che vi si
ingerisse il vescovo: la vertenza fu portata a Venezia, dove il Nunzio
Pontificio diede sentenza piuttosto favorevole ai canonici: però contro di
essa reclamò il vescovo, e più tardi anche i canonici.
Altra occasione fu l'elezione degli accoliti, e più ancora la giurisdizione su di essi, massime nelle
cause criminali, che, purtroppo, non erano rare. Un breve di Clemente X dato nel 1673 aggiustò in
qualche modo la questione, ordinando che l'elezione degli accoliti si facesse
alternativamente; quella del massaro di comune accordo tra il vescovo ed il
capitolo; e così pure la soluzione delle cause civili: quanto alle cause
criminali, se il delitto fu commesso dall'accolito nell'esercizio del suo ufficio
entro la chiesa, la sentenza spetti al vescovo ed ai canonici; se fuori della
chiesa, al vescovo.(17).
Omettiamo altre controversie, che per la esilità dei loro
motivi si potrebbero dire pettegolezzi: quanto agli abusi accenniamo i tre più
gravi.
Un abuso assai dannoso per il bene delle anime si introdusse
lento lento sulla fine del secolo XVI e sui primordii del seguente nella città
e più ancora nella diocesi: la mancanza di residenza dei parrochi, non ostanti
le prescrizioni precettive e coercitive date dal vescovo Giberti(18). I
nostri vescovi, che su questo punto erano veri modelli ai parrochi,
insistettero reiteratamente su questo dovere della residenza; ma spesso
inutilmente.
Il vescovo Marco
Giustiniani nel suo decreto 28 luglio 1633 inveì fortemente contro tale
abuso. Il vescovo Sebastiano Pisani
nel sinodo tenuto il giorno 7 aprile 1655, non solo inculcò l'osservanza delle
prescrizioni precedenti, ma vi aggiunse severe sanzioni: per la prima mancanza
non giustificata impone una multa di troni due per ciascun giorno; per la
seconda una multa di troni quattro, per la terza, oltre la multa precedente,
aggiunse la sospensione a divinis
ed altre pene ad arbitrio del
vescovo(19): alcune concessioni, se
non identiche, erano in sostanza simili alle attuali. Atti posteriori dei
nostri vescovi lasciano travedere che quelle sanzioni fruttarono ben poco.
Alcuni decreti emanati dai nostri vescovi e dai magistrati
della Repubblica nella seconda metà del secolo XVII indicano che s'erano
introdotti gravissimi abusi riguardo ai matrimonii; cosicchè molti di essi venivano celebrati
clandestinamente, contro gli statuti dei sacri canoni, e spesso con violenze e
frodi.
A torre questi abusi il vescovo Sebastiano Pisani (nipote) con lettera del 3 settembre 1675 invocò
l'intervento del doge di Venezia: da
Venezia fu comunicata ai rettori
della città di Verona la
deliberazione già presa dal Senato il28 febbrajo 1662: il podestà Angelo Diedo nel giorno 5 novembre 1675
fece pubblicare a suono di trombe un proclama contro tali abusi; e nell'istesso
giorno il vescovo ai parrochi, rettori e curati intimò severamente che
dovessero adoperarsi per eliminarli, minacciando loro che in caso diverso li
avrebbe «
criminalmente processati e severamente
castigati, quali complici, fautori e fomentatori di tali dannati matrimoni
»(20).
La forma, con cui il vescovo Sebastiano Pisani nel suo sinodo del 7 aprile 1655 tratta de vita et honestate clericorum,
lascia travedere che nel nostro clero era penetrata una gran dose di
leggerezza, massime nel vestire. Con
troppa insistenza egli vieta le «lacernas manicatas vulgo pituite, le
vesti alla romana, alla spagnola, le scarpe e pantofole alla
francese, dette anche cerati: per il cordone del cappello proibisce
le rosette o capoli, galani o nastri: proibisce i manicini.
« Cum arma clericorum sint orationes et lacrimae », proibisce loro di
portar armi, particolarmente « sclopetum vulgo dictum azzalino
». Proibisce l'uso dell'anello a quelli, che non ne hanno il diritto, ecc.
ecc.(21).
Omettiamo altri abusi di minore importanza: siamo nel 1600.
(c)
NOTE
1 - Il Decreto
presso BIANCOLINI, Chiese di Verona, IV, pag. 582 seg.
2 - M. GIBERTI, Opera. Constit. Tit. IV,
Cap. 25, pag. 65 (Veronae 1733).
3 - SEBASTIANUS PISANI, Constitutiones et Decreta ... ,
Num. 12, pag. 6 (Veronae 1675).
4 - Presso
BIANCOLINI, Op. cit., V.P. II, pag. 110.
5 - Presso Rituale
Ecclesiae Veronensis. Appendix, pag. 172 (Ed. 2 Veronae 1756)
6 - SEB. PISANI, Constit.
et Decreta, pag. 33; Rituale, pag. 173.
7 - Presso Rituale
Eccl. Veron., App., pag. 194.
8 - Presso Rituale
Eccl. Veron., App., pag. 195.
9 - Presso Rituale
Ecclesiae Veron., App., pag. 190-195. IO BIANCOLINI, Chiese I, pag.
62.
11 - BIANCOLINI, Chiese
I. pag. 66-70.
12 -
L'autenticità di questi documenti è sostenuta nei libri Notizie spettanti al
Capitolo di Verona, autore GIR. LOMBARDI (Roma 1752); FRANC. FLORIO, Dei
privilegi ed esenzione ... , (Roma 1754) e Nuova difesa (Roma 1755);
Apologetiche ritlcssioni.; (Verona 1755). - La combatte l'anonimo De
privilegiis et exemptione ... , del quale deve essere autore il sac. PIETRO
BALLERINI (Venetiis 1753].
13 - Una lunga
lista di chiese presso LOMBARDI, Notizie ... , pag. 46-5A.
14 - Ne abbiamo
trattato nel nostro Giammatteo Giberti, P. II. Capo III (Edizione sec.).
15 - Presso
BALLERINI, De privilegiis Doc. IV, pag. 79.
16 - LOMBARDI, Notizie,
pag. 59; BALLERINI, De privilegiis, pag. 23, 40-47.
17 - SPAGNOLO, Le
scuole accolitali, pag. 113-115.
18 - I. M.
GIBERTI, Opera, Constit., Tit. II. Cap. 65; Monitiones, Cap. II, 12; Edictum 4 jan.
1536, pago 234.
19 - SEB. PISANI,
Constit; Cap. XII. Pag. 14, 15.
20 - Presso Rituale
Ecclesiae Veron. App. pag. 183-188.
21 - SEB. PISANI,
Constit., Cap. II, pag. 9-11.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE
AL CAP. XIII (a cura di Angelo Orlandi)
a) Non ci si deve
meravigliare del sorgere di controversie e discussioni, sempre possibili dove
si danno interferenze di diritti e di competenze; è disdicevole, peraltro, il
puntiglio con cui si affrontavano. Ma si sa che il punto d'onore era una «
malattia del secolo XVII » ... e forse non solo di quello.
b) A proposito
delle controversie fra vescovo e canonici si senta cosa ne scriveva il podestà
di Verona nel 1641. « Monsignor Marco Giustiniano, vescovo di quella città,
prelato per la integrità della vita e la rettitudine di mente uno dei più
esemplari del Dominio, regge la chiesa con gran zelo e assiduità. Il Capitolo
dei canonici riconosce per suo superiore monsignor Patriarca di Aquileia e da
questa diversità di capi io credo che provenga l'origine di quelle
controversie, che per causa di giurisdizioni bene spesso nascono tra il Vescovo
e quel Capitolo di canonici, quali però nelle funzioni ecclesiastiche comuni
non mancano di riverenti et ossequiose dimostrationi verso di monsignor
Giustiniano». V. ISTITUTO DI STORIA
ECONOMICA: UNIV. DI TRIESTE, Relazioni
dei Rettori veneti di Terraferma. IX:
Podestaria e Capitanato di Verona, Milano 1977, p. 377.
c) Dopo la peste
del 1630 si nota una crisi nell'opera formativa dei sacerdoti: il Seminario era
caduto in dissesto e nel 1633 era praticamente senza alunni, come afferma nella
« Relatio » per la visita ad limina il vescovo Giustiniani. Egli nel
1642 pubblicò un editto circa la promozione agli ordini sacri, per ovviare alla
troppa faciloneria in materia.
Fonte: srs di
Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume II.
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