Questa immagine, scattata da un giornalista tedesco e conservata negli archivi del Vaticano, documenta il massacro delle donne cristiane armene nel deserto di Deir ez-Zor - Siria , il 24/04/1915 durante il genocidio da parte dei soldati turchi.
Intervista a Baykar Sivazliyan (foto sotto),
docente universitario, esperto di Storia e letterature dell’area mediorientale
e scrittore armeno.
Iniziamo con qualche notizia biografica. In quali
circostanze la sua famiglia è arrivata a Venezia?
Sono nato in una famiglia di sopravvissuti al Primo
Genocidio del Ventesimo secolo.
I miei nonni venivano da parte di mio padre dalla città di
Sivas e quelli di mia madre dalla città di Erzurum, entrambi situati in
Anatolia, nell’Armenia Occidentale con una forte presenza armena di
cittadinanza ottomana, annientata durante il Genocidio perpetrato dal governo
Ottomano dei Giovani Turchi fra gli anni 1915-21. Attualmente in tutte due le città
non esistono più armeni, come in tutta l’area circostante dell’Armenia Storica.
Successivamente, dopo il Pogrom del 1956 contro i greci e il
golpe militare del 1960, le minoranze in Turchia non avevano più un futuro
garantito. Nel 1966 i miei genitori mi hanno mandato, da solo, avevo 12 anni, a
Venezia dove allora esisteva ancora un Collegio Armeno e dove ho finito le
medie e il liceo. In seguito ho
frequentato l’Università Cà Foscari. Subito dopo la laurea ho iniziato ad
insegnare, prima nel Liceo Armeno e di seguito presso l’Università Statale di
Milano, la lingua armena. Fra gli anni 1999-2005 ho avuto anche un incarico di
insegnamento di Lingua e Letteratura Turca presso l’Università di Lecce, in
quanto sono specializzato sia nella Storia Medio Orientale che in Lingua e
Letteratura Turca.
Il genocidio subito dagli Armeni è ancora argomento
attuale di discussione e polemiche. È possibile quantificare il numero delle
vittime? Quali metodi ha usato lo stato turco per operare questo sterminio?
Ovviamente chi organizza scientificamente un genocidio tenta
di cancellare non solo le tracce ma anche gli indizi.
Nel caso della Amministrazione Ottomana gli “indizi” sono
rimasti indirettamente, attraverso la documentazione degli archivi ottomani, la
documentazione del Patriarcato Armeno di Istanbul e soprattutto come fonte
imparziale, le relazioni dei Consoli Generali e degli Ambasciatori dei paesi
occidentali (in modo particolare di quelli degli Stati Uniti, Russia, Germania,
Italia, Francia , Inghilterra) e la documentazione delle missioni religiose
operanti sul territorio Ottomano abitata dagli armeni. Secondo questi dati,
almeno un milione e cinquecentomila armeni sono periti e circa altrettanti sono
stati sradicati dal proprio territorio, sparpagliati nei diversi paesi del
mondo formando la nuova Diaspora Armena, che oggi è più numerosa degli abitanti
della Repubblica dell’Armenia. Per quanto riguarda le polemiche, io penso che
siano diventate in mano al governo della Turchia un metodo per rinviare una seria
discussione e la nascita di un pacchetto di soluzioni accettabili da tutte e
due le parti. Capisco le difficoltà dei dirigenti turchi; purtroppo per decenni
hanno mentito al proprio popolo, raccontando menzogne non soltanto riguardo
alla questione armena ma per tutte le questioni storicamente importanti della
nazione turca degli ultimi due secoli. Fanno parte di questa sfilza di bugie
piccole e grandi la questione cipriota, quella curda, quella dei diritti umani,
la situazione sociale ecc., ecc. Adesso però
si sentono costretti ad aggiustare la mira ma ovviamente con molte difficoltà;
il popolo turco è più informato e inizia a distinguere il vero dal falso. Non
si può, per es., risolvere la questione curda dicendo che i genitori del
Presidente Abdullah Ocalan erano di origine armena…i primi a non accettare più
questa tragicommedia sono proprio i turchi.
Cosa rappresenta l’attuale stato dell’Armenia? È stato in grado di salvaguardare la cultura, la lingua, l’identità del popolo armeno?
L’Armenia, nata nel 1918 e dal 1920 facente parte dell’ex
Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, è diventata un paese
indipendente nel 1991. È situata su un
decimo del suo territorio storico, è la periferia di se stessa. Prima ancora di
guarire dalle ferite del Genocidio, ha dovuto sopportare anche quelle della
Seconda Guerra Mondiale in cui 250 mila armeni sono caduti con l’esercito
dell’Unione Sovietica combattendo contro il nazismo .
La salvaguardia della cultura e della lingua è sempre stata
una irrinunciabile priorità per gli armeni, assieme alla propria complessa
identità. La nazione armena, preparata ed aperta all’integrazione, non ha però
mai perso la propria cultura di appartenenza, anche quando ha dovuto lasciare
la propria casa ed allontanarsi dalla terra dei propri padri. Lo stato
dell’Armenia e le organizzazioni culturali della Diaspora sono stati
complementari in questa opera colossale di salvaguardia della propria identità
nazionale.
Qual è la situazione della diaspora armena (sia nel mondo
che nel Veneto, a Venezia in particolare…)?
La Diaspora Armena è molto vasta, in quanto frutto del Primo
Genocidio del XX secolo e della conseguente deportazione dei sopravvissuti. Per
parlare dei grossi numeri posso dire che in Francia vivono circa mezzo milione
di Armeni, negli USA più di un milione, in Russia due milioni e a Istanbul in
Turchia sessantamila persone. In Italia siamo circa 3.000 e nel Veneto non
superiamo le 300 anime, a Venezia meno di 100.
Comunque vorrei ricordare che indipendentemente dalla quantità,
Veneto e Venezia sono stati sempre dei centri importantissimi per l’armenità
intera. I primi Armeni vennero già nel
XII secolo a Venezia, come già nel 1299 i Veneziani avevano un Bailo nel Regno
Armeno di Cilicia. Il primo Libro armeno a stampa è stato pubblicato nel 1512 a
Venezia, la più grande Congregazione Armena della storia Culturale degli armeni
ha tuttora sede sull’Isola di San Lazzaro nella maestosa Laguna di Venezia. Dal
1836 al 1996 è esistito il Collegio Armeno Moorat-Raphael di Venezia che ha
forgiato tutti i migliori intellettuali armeni per più di un secolo e mezzo,
sia per l’Occidente che per l’Oriente.
Oggi gli armeni della Diaspora hanno
decine di organizzazioni Culturali e politiche, sono impegnati individualmente
nell’arte, nella cultura , nella politica , nelle professioni dei rispettivi
paesi d’adozione. Nel Veneto per esempio sono molto famigliari i cognomi:
Babighian, Arslan, Gianikian, Zekiyan, Pazargiklian, Mildonian, e tanti altri,
stimati medici, intellettuali, architetti, studiosi, economisti, ecc.
Armeni impiccati ad Aleppo
Armeni impiccati ad Aleppo
Il Parlamento curdo in esilio aveva pubblicamente
riconosciuto le responsabilità dei curdi nel genocidio degli armeni. Quali
furono le circostanze di questa complicità con lo stato turco e qual è
l’importanza di questa dichiarazione?
L’Impero Ottomano si è sempre servito di gruppi sotto il suo
controllo, per aizzare questi contro un’altra minoranza, sia nazionale che
religiosa.
L’organizzazione feudale dei curdi ha fatto sì che l’imput
del governo centrale Ottomano trovasse presto presa su una parte della
popolazione che doveva obbedienza cieca al capo villaggio. Inoltre le proposte
allettanti fatte ai curdi che avrebbero potuto impossessarsi dei beni degli
armeni, comprese le donne (nella loro mentalità anch’esse facenti parte dei
beni) ha fatto il resto. Non è un caso che quasi tutti i miei amici curdi
abbiano almeno una nonna di origine armena e che continuino a chiamarmi “dayi”,
parola turca che indica lo zio da parte della mamma.
In seguito i curdi hanno avuto nell’Armenia un grosso
alleato. A Yerevan, capitale della Repubblica Armena, esiste tuttora un
istituto rinomatissimo di studi curdi, un teatro in curdo e una radio in lingua
curda. Tutto questo quando in Turchia, dove almeno un quarto della popolazione
è di origine curda, solo la pronuncia del nome “curdo” o della parola
“Kurdistan” significava essere sbattuti in galera senza un processo ed essere
tacciati di separatismo o peggio ancora di terrorismo. A me personalmente fa
molto piacere il pronunciamento del Parlamento curdo in Esilio, il rammarico
sincero per il Genocidio degli Armeni, ma tanti altri armeni si aspettano una
posizione più chiara da parte dei curdi. Una esplicita autodenuncia della loro
complicità diretta; solo così la verità verrebbe in superficie e la giustizia
potrebbe trionfare. Altrimenti questa dichiarazione rischia di diventare uno
dei tanti proclami fatti da numerosi parlamenti dell’Europa e del Mondo che
presentano dopo 90 anni il loro “dispiacere” per un fatto “increscioso”, certe
volte senza nemmeno indicare chiaramente il responsabile e condannare
apertamente la Turchia. Il cambio di regime o gli interessi concreti di oggi
non possono indurci a digerire l’indigesto. Che senso avrebbe oggi condannare
l’Olocausto, esternare il nostro dispiacere senza citare che c’è stato un
regime nazista e uno stato scellerato che ha scientificamente organizzato
l’annientamento del popolo ebraico?
Probabilmente il genocidio degli armeni è stato il primo
caso (per il XX secolo) in cui uno stato fece massacrare milioni di suoi
cittadini…
I Giovani Turchi, nazionalisti, che avevano preso il potere
nello stato Ottomano, scossi all’inizio del XX secolo dalle grosse perdite di territori
e conseguente potere, hanno creduto che salvando la parte essenzialmente
“turca” dell’Impero Ottomano, potevano sopravvivere al proprio sogno di
panturchismo e di panturanismo e conservare quello che rimaneva dal vasto
impero plurinazionale e multietnico. Si tratta di una questione, oltre che
morale ed etica, soprattutto tecnicamente giuridica: l’assassinio di una intera
nazione. Ed è proprio per questo motivo che i giudici turchi della corte
marziale che portò in giudizio i dirigenti politici del Comitato Unione e
Progresso (Giovani Turchi) e i capi militari del periodo di guerra, li
accusarono il 26 aprile 1919, di “deportazioni… e sterminio di tutto un popolo
che costituiva una comunità distinta”. Dopo tre mesi, il 19 luglio 1919, il
verdetto della corte marziale condannò a morte in contumacia i principali
dirigenti dell’epoca (tra loro i triumviri Taalat Pascià, Enver Pascià e Ahmed
Gemal) e a 15 anni personaggi ritenuti di secondo piano. Oggi, con il senno di
poi, possiamo affermare che non c’è stata una sufficiente memoria storica nel
condannare questo Genocidio, altrimenti fatti tragici del genere non si
sarebbero ripetuti durante gli anni bui del secolo appena passato anche nei
confronti del popolo ebraico…
Aveva detto che la questione non è solo quella degli
armeni, dei curdi, di Cipro… ma della stessa Turchia, in crisi economica e
sociale. Potrebbe ampliare questo concetto?
Come tutte le nazioni in crescita rapida anche la Turchia
sta vivendo i guasti del capitalismo sfrenato. Io non sono un economista, posso
solo constatare quello che vedo passeggiando nelle vie della città dove sono
nato, Istanbul. Esistono due economie quella interna in lira turca e quella
esterna in dollari o in euro. La gente arranca per arrivare alla fine della
giornata in una situazione confusa ed economicamente molto precaria. I giovani
non hanno prospettive; non aggiungerei la situazione dell’Anatolia che per
errori di valutazione economica è stata completamente svuotata dei suoi
abitanti e della propria produzione agricola, essenziale per il paese. Fino a
un ventennio fa la Turchia era un paese assolutamente autosufficiente per il
suo approvvigionamento alimentare; oggi è normale acquistare in negozio un
pollo ungherese, burro tedesco e frutta che arriva da altri paesi mediterranei.
Malgrado l’esportazione si faccia ormai con parametri e prezzi internazionali
(e di conseguenza anche l’importazione), l’operaio continua ad essere
retribuito con parametri “locali” assolutamente insufficienti per far fronte
alla propria vita quotidiana. Questa situazione potrebbe creare a medio termine
guasti significativi e preoccupanti nella sfera sociale del paese.
In un nostro precedente incontro (aprile 2007), dopo le
grandi manifestazioni in favore della “laicità e della democrazia” organizzate
dal partito di opposizione CHP (Cumhuriyet Halk Partisi – Partito
popolare Repubblicano, fondato da Ataturk), lei sembrava dubbioso sulla reale
spontaneità di queste iniziative della società civile. Non escludeva che
potessero essere state “manovrate” dai militari (anche se i manifestanti
dichiaravano di essere scesi in strada “contro il golpe” minacciato
dall’esercito). Cosa si nasconde in realtà dietro la contrapposizione tra
“laici” e “religiosi”? Come giudica l’esplicito richiamo ad Ataturk esibito in
tanti striscioni e bandiere anche nelle manifestazioni dell’anno scorso?
Mustafa Kemal Ataturk (“Padre dei turchi”) è il simbolo
della Turchia moderna. Non sempre però rappresenta la laicità; più volte i
numerosi regimi che hanno tenuto sotto il tallone il popolo turco, si sono
serviti della figura di questo soldato-politico. Quando si trattava di
consolidare il proprio potere, in ogni periodo più o meno nefasto della storia
della Turchia, molti si sono serviti della figura del fondatore della Turchia
“moderna”. I primi governanti della Repubblica Turca erano i membri riciclati
del partito Unione e Progresso (Ittihat ve Terakki) che tennero
saldamente in mano il potere nell’Impero ottomano a cavallo fra il 1800 e il
1900. Portarono alla disfatta il paese durante la Prima Guerra mondiale, si
macchiarono del Primo Genocidio del XX secolo, quello armeno, fondarono il loro
potere economico sulle ricchezze sottratte agli armeni e ai greci massacrati.
Potrei fare un lungo elenco di personaggi che da lugubri assassini divennero
ministri della nuova Repubblica. L’Occidente nella sua voluta distrazione,
confonde i nazionalisti turchi con i laicisti che si trovano in tutte le
strutture del paese turco, non solo nelle file delle forze armate. Tanto per
parlare chiaro, gli assassini di padre Santoro, del giornalista armeno Hrant
Dink e i torturatori di Malatya (18 aprile 2007, assalto alla casa editrice cristiana Zirva e
uccisione di tre persone, nda) appartengono alla stessa radice.
Sia i militari che la Tusiad (l’associazione degli
industriali turchi) si erano mostrati ostili nei confronti di Abdullah Gul, il
candidato del partito AKP (Adalet ve Kalkinma Partisi – Partito per la
giustizia e lo sviluppo, nda) di Erdogan, ritenuto un “fondamentalista” per
quanto moderato. Contrari anche alcuni partiti, sia di destra che di sinistra
(al punto che Gul stava quasi per ritirare la propria candidatura). Può darci
qualche chiarimento?
Quello che si svolge in Turchia non è una lotta tra laici e
religiosi. Finalmente, dopo quasi 90 anni dalla fondazione della Repubblica
Turca, si è assistito a una nuova spartizione del potere. I militari si sono
visti sottrarre una parte delle loro prerogative di concessione “divina” a
favore della società civile e delle minoranze. Ricordo che anche i curdi
vengono considerati una minoranza, ma erroneamente.
Infatti su un quarto del territorio sono la massiccia
maggioranza e ogni tre cittadini turchi uno è curdo. Attualmente attorno
alle grosse città come Istanbul, Ankara e Izmir ci sono delle vere e proprie
città “curde”. In questa nuova realtà, di spartizione, si è inserito anche il
mondo islamico moderato della Turchia. L’Islam fa parte integrante della
Civiltà Turca e non ha le sembianze dell’Islam integralista. La religione turca
è stata sempre mite e tollerante nei confronti del diverso, dell’ebreo, del
cristiano.
I Giovani Turchi erano tutti atei, non hanno
organizzato il genocidio degli armeni per motivi religiosi, ma vedevano questo
popolo come una minaccia all’integrità della Turchia. Negli anni successivi i
loro eredi nazionalisti hanno fatto la stessa cosa con i curdi (e continuano
ancora a farlo) che non sono cristiani ma islamici come i turchi. La religione
in mano ai nazionalisti (che si presentano come paladini del laicismo) è stata
un pretesto per l’oppressione. Anche gli industriali turchi oggi temono le
spinte della massa operaia e della società civile come una minaccia ai loro
interessi concreti. Hanno paura che domani, senza il pugno di ferro dei
militari, potrebbero essere non più facilmente controllabili.
Come viene ricordato in Turchia l’anniversario del
genocidio armeno, il 24 aprile?
In Turchia non si ricorda il 24 aprile, Giorno della memoria
del Genocidio degli Armeni. E’ vietato per legge. Malgrado i numerosi appelli
di tanti intellettuali e membri della società civile turca, lo stato non ha
avuto ancora il coraggio di riconoscere questa immane tragedia. Il governo di
Erdogan ci è andato vicino, ma forse anche per questo motivo sta pagando una
pesante fattura. Del resto non invidio i turchi onesti di oggi che devono fare
una serie di conti con il passato per crearsi un presente dignitoso. La
questione armena non è la sola. Esistono anche la questione curda, i diritti
umani, la situazione sociale, la questione cipriota, le relazioni con i vicini
(Grecia, Siria, Iran, ecc.). Numerosi intellettuali turchi, da anni, sono
costretti a vivere fuori dalla Turchia e tantissimi sono stati giudicati in
contumacia per reati di opinione. Il più grande sociologo turco vivente, Taner
Akcam, è esule negli Stati Uniti. Il Premio Nobel per la letteratura Orhan
Pamuk, il giorno dopo l’assassinio di Hrant Dink, ha preso il primo aereo
per la stessa destinazione. A Parigi ci sono più intellettuali turchi che a
Izmir.
Una domanda per quanto riguarda il quadro internazionale.
Negli ultimi tempi si ha l’impressione che gli Usa stesse “scaricando” la
Turchia, forse a favore del Kurdistan “iracheno” e di alcuni stati dell’Asia
centrale che darebbero maggiori garanzie, anche in materia di basi militari. La
sua opinione?
Il mondo globale è diventato sorprendentemente pratico. Se
un aeroporto in Turkmenistan costa centomila dollari all’amministrazione
statunitense, perché gli Usa dovrebbero spendere milioni di dollari per avere
la stessa pista di decollo in Turchia? Sembra che gli Stati Uniti, avendo
puntato su un Kurdistan iracheno, l’unico pezzo dell’Iraq dove riescono a
controllare “due case e tre strade”, abbiano deciso (ma non ancora confessato
per il momento) per una sua autonomia. Così facendo, hanno scelto di andare in
rotta di collisione contro i militari turchi che non potranno mai ingoiare un
rospo di tali proporzioni. Vedono questa nuova realtà, come un primo pezzo di
un futuro Kurdistan indipendente che inesorabilmente chiederà fra qualche anno
i suoi territori a Nord, oggi sotto l’amministrazione turca.
Quando si parla degli armeni viene privilegiato il
discorso sul genocidio perpetrato dalla Turchia. Si rischia di dimenticare che
esiste una Repubblica di Armenia che ha permesso a questo popolo di conservare
la propria cultura e identità nonostante le tragiche vicissitudini. Che cosa
rappresenta la Repubblica di Armenia?
La repubblica dell’Armenia attuale rappresenta per gli
armeni di oggi, soprattutto un decimo del territorio dei propri avi. L’Armenia
è il baluardo della cultura e delle tradizioni armene, per tutti gli armeni
sparsi per il mondo che sono ormai quasi una decina di milioni: 3,3 milioni in
terra armena, due milioni in Russia, più un milione nell’America del Nord,
mezzo milione in Francia, altrettanti in Medio oriente e il resto sparso per il
mondo intero. La parte della popolazione armena più controversa numericamente
si trova in Turchia: ufficialmente ci sono 60mila armeni cittadini turchi e
30mila armeni cittadini dell’Armenia, e circa 10mila armeni di varie
cittadinanze, cioè in totale circa 100mila. Per altre fonti invece pare che in
Turchia ci siano almeno due milioni di armeni o armeni turchizzati. E’
sicuramente una questione molto delicata. Ogni tanto si mormora dell’armenità
di qualche pezzo grosso turco oppure salta fuori l’armenità di alcuni turchi
molto importanti del passato. Un esempio lampante, causa di grande scandalo, risale
a circa un anno fa. La figlia adottiva di Mustafa Kemal Ataturk, la prima
Ufficiale dell’aeronautica turca della storia, risultava figlia di una famiglia
armena di massacrati. Gli armeni della diaspora guardano all’Armenia come una
grande speranza della rinascita. La realtà dell’Armenia ha le sue radici in una
storia plurimillenaria. E’ noto che anche gli storici dell’antica Grecia
parlavano degli armeni e dell’Armenia. Malgrado l’unità nazionale e lo stato
nazionale armeno abbiano cessato di esistere per molti secoli (precisamente dal
1375 al 1918) sul territorio geograficamente chiamato Armenia, non ha mai
cessato di esistere il popolo armeno, anche sotto numerose dominazioni (araba,
persiana, ottomana e russa). I due anni della Repubblica Armena Indipendente
nata dopo il genocidio del 1915 sono stati il preludio difficilissimo della Repubblica
Sovietica Socialista dell’Armenia che faceva parte dell’URSS. Per
settant’anni, fino al 1991, è stato un angolo di rinascita per il popolo
armeno. Cosa mai vista nella storia dell’unione Sovietica, dal 1948 numerose
famiglie armene decisero di trasferirsi nell’Armenia Sovietica acquisendone la
cittadinanza. Se pensiamo alla quantità di cittadini sovietici desiderosi
di andare in occidente, possiamo capire l’originalità del fenomeno.
Che ruolo hanno avuto gli armeni nella seconda Guerra
Mondiale?
Malgrado fossero usciti da una immane tragedia come quella
del Genocidio, gli abitanti dell’Armenia Sovietica hanno partecipato molto
attivamente alla Seconda Guerra Mondiale.
Il popolo armeno in quel periodo contava circa un milione e
trecentomila individui abitanti nella piccola Repubblica e perse nella guerra
contro i nazisti 250mila dei suoi migliori figli. Va detto che gli
armeni sono stati la popolazione sovietica che in proporzione ha dato più
ufficiali e più eroi all’Unione Sovietica durante la Seconda Guerra Mondiale.
Va precisato che anche la Diaspora armena ha partecipato attivamente e
concretamente alla guerra antinazista finanziando un intero corpo d’armata di mezzi
corazzati, chiamato “Sasuntzi David” dal nome dell’eroe mitologico degli
armeni. Fra i primi gruppi di soldati sovietici che entrarono a Berlino,
c’erano numerosi giovani del corpo di spedizione formato esclusivamente da
armeni. Il popolo armeno sparso per il mondo, anche quando le divisioni
politiche erano aspre, ha considerato l’Armenia la propria terra a prescindere
dal proprio orientamento politico e tuttora numerosi esponenti della diaspora
hanno una casa in Armenia e anche attività commerciali o economiche.
Militari turchi posano accanto alle loro vittime
Militari turchi posano accanto alle loro vittime
Uno dei problemi legati alla Repubblica di Armenia è
quello del Nagorno Gharabagh. Può tracciarne una breve storia?
Il “malessere” dell’Armenia nel sistema sovietico, nasce a
cavallo fra gli anni ’80 e ’90 del secolo appena trascorso. Bisogna comunque
dire che quel sistema aveva portato un vero benessere ai figli dei
sopravvissuti al primo Genocidio del XX secolo. Il terribile terremoto del 1989
si è presentato come un detonatore del malessere degli armeni caucasici già
assillati dal silenzio del potere centrale moscovita nei confronti del Nagorno
Gharabagh. Questa popolazione aveva continuato civilmente a chiedere,
nell’ambito della legislazione vigente sovietica, una maggiore autonomia e la
liberazione dal sopruso delle autorità azerbaigiane cui era stata consegnata
una intera regione a maggioranza marcatamente armena, circa il 97% della
popolazione residente. Quale risposta alle richieste armene, le autorità locali
azerbaigiane, approfittando anche della situazione molto confusa delle autorità
sovietiche ormai arrivate alla fine della propria storia, prepararono con cura
un eccidio nella località di Sumgait. Sumgait è un importante sobborgo di Baku,
capitale dell’Azerbaigian, dove abitavano migliaia di famiglie armene di
ingegneri e operai specializzati nel settore dell’estrazione del petrolio.
L’intento era di dare indirettamente un segnale forte agli armeni, facendo
capire che, se avessero continuato a richiedere più libertà e autonomia, la
pazienza degli azeri poteva essere colma. In una notte furono trucidati
centinaia di armeni, donne violentate, bambini soffocati nelle loro culle.
Atrocità gratuite di ogni genere che sconvolsero l’intera armenità. Il popolo armeno, in Armenia e nella Diaspora,
vide di nuovo il pesante incubo del genocidio e dell’annientamento fisico. Le
proteste presso le autorità sovietiche servirono solo a far raccogliere i
cadaveri e far scappare i sopravvissuti con le navi, verso il Turkmenistan,
attraverso il Mar Caspio. Ancora una volta come altre, troppo volte nella sua
tragica storia, la piccola e pacifica nazione armena è stata costretta a
prendere le armi. Fino al 1993 gli armeni combatterono contro le forze armate
azerbaigiane, tre volte più numerose, armate fino ai denti e aiutate da
mercenari venuti da altre repubbliche dell’URSS. Contro gli armeni intervennero anche migliaia
di nazionalisti turchi capeggiati dai “Lupi
Grigi” arrivati direttamente dalla Turchia, in qualche caso portandosi
dietro le armi con la matricola della Nato, sottratte o semplicemente prese
dagli arsenali dell’esercito turco. Certe guerre però vengono vinte dai
disperati e questo fu il caso del Nagorno Gharabagh. Gli armeni, perdendo più
di 5mila volontari, presero il controllo del loro territorio, spinsero le forze
armate azerbaigiane verso l’interno del loro paese, riuscendo ad occupare un
territorio sufficiente per la migliore difesa strategica della loro
terra. Attualmente Nagorno Gharabagh è una repubblica autonoma non riconosciuta
da nessuno, ma finalmente libera dall’oppressore turco. Da allora i rapporti di
dialogo, se pur attraverso terzi, fra l’Armenia e l’Azerbaigian non si sono mai
interrotti. Ovviamente, come si usa in Oriente, ogni colloquio precede o
succede a delle scaramucce che purtroppo ogni tanto lasciano qualche morto
nelle rispettive trincee. Intanto, nel 1991, è nata la Repubblica dell’Armenia,
un paese di circa 30mila km. quadrati, con circa tre milioni e duecentomila
abitanti. Il blocco attuato dalla Turchia alle sue frontiere, non aiuta lo
sviluppo del paese, ma gli armeni sono ben allenati a vivere in condizioni
difficili, prosperano lo stesso con un certo aiuto dai loro fratelli della
diaspora.
Una donna ed un bimbo nel deserto di Der-el-Zor
Una donna ed un bimbo nel deserto di Der-el-Zor
Mi sembra di capire che nel complesso l’Armenia ha avuto
un “rapporto privilegiato” con l’URSS. E oggi lo mantiene con la Russia. Da
cosa deriva questa vicinanza?
E’ vero che gli armeni hanno un rapporto privilegiato con la
Russia, per il semplice motivo che negli ultimi secoli gli interessi dei due
paesi sono stati convergenti. Nel Caucaso l’unico paese che è corretto nei
confronti della Russia è l’Armenia. I georgiani e gli azerbaigiani stanno
cercando la loro prosperità e la loro potenza presso altre realtà mondiali.
Ritengo sia una scelta strategica che a lungo andare darà i suoi risultati.
Dopo tante sofferenze ed esperienze negative anche il popolo armeno ha imparato
a destreggiarsi nella politica internazionale. Noi come sempre siamo ottimisti.
Donne armene
Donne armene
Ma in passato ci furono problemi anche con i sovietici?
Tutte le repubbliche che facevano parte dell’Unione
Sovietica avevano avuto problemi con il governo centrale. Io non credo che
l’armeno di Yerevan avesse più difficoltà del russo di Mosca o del kazako o
dell’uzbeko dell’Asia centrale. Vivere bene o vivere male è una questione di
cultura e il mio popolo ne possiede una, radicata da cinquemila anni. Abbiamo
vissuto molte esperienze, anche dolorose, ma siamo ancora qui per sorridere e
“per passare questa nostra vita di due giorni”, come dice il poeta armeno
Hovhannes Tumanian.
Nella storia del popolo armeno c’è stato un movimento di
liberazione nazionale analogo a quello curdo?
Non vorrei esagerare, ma tutta la storia armena è una
lotta di liberazione nazionale.
Gli armeni hanno dovuto fare i conti giorno per giorno con i
loro vicini, con tante realtà politico-militari che hanno occupato la terra
armena durante lunghi secoli. Solo per dare un piccolo esempio posso precisare
che l’Armenia, dalla caduta del regno di Cilicia nel 1375 alla nascita della
prima Repubblica Armena nel 1918, per più di cinque secoli, non ha avuto uno stato
centrale ed è stata governata nelle autonomie locali con la presenza delle
forze straniere. Già nel 1009 i Selgiuchidi avevano iniziato a occupare la
parte orientale dell’Armenia. In seguito ci fu la presenza degli arabi e poi,
di volta in volta, la spartizione della terra armena fra i grandi imperi. Prima
quello persiano, poi l’Ottomano e per ultimo la Russia zarista nella parte
caucasica dell’Armenia. Le lotte più tremende però le abbiamo vissute nei
confronti del nazionalismo turco. Iniziarono nella seconda metà dell’ottocento,
culminando nel Primo Genocidio del XX secolo, organizzato a tavolino dai
Giovani Turchi. Loro credevano che salvando la parte soltanto turca del
decadente impero ottomano si poteva salvare la continuità. Tutto ciò che non era
turco era da eliminare. C’erano tre principali minoranze e loro sono stati
molto abili nell’annientare una alla volta queste componenti del tessuto civile
dell’impero ottomano. Prima hanno diviso per religione, iniziando
l’annientamento di quelle cristiane. Hanno usato molto abilmente la terza
minoranza, quella curda, contro le prime due: armeni e greci. Dopo essersi
sbarazzati dei cristiani, usando appunto i curdi come manodopera, si sono
rivolti contro i curdi, il cui annientamento continua fino ai nostri giorni.
L’Occidente, Italia compresa, sa benissimo quello che sta succedendo anche oggi
nell’Anatolia Orientale, ma tace per potere continuare i suoi affari con la
Turchia.
Qual è il suo ruolo attuale, in quanto esponente della
comunità armena in Italia, nei confronti della Repubblica di Armenia?
Ogni armeno, nel rispetto della sua appartenenza come
cittadino di un qualsiasi paese, non dimentica mai la sua terra natale. Noi
siamo degli individui molto integrati nel paese dove abbiamo deciso di vivere.
L’Italia è stata una terra molto ospitale per noi armeni, anche prima del
Genocidio. Potrei dire che salvato la nostra cultura, nella sua integrità,
dando spazio e libertà d’azione a un grosso centro che è stato ed è tuttora
l’Isola di san Lazzaro degli Armeni.
Palazzo Zenobio degli Armeni. Collegio Armeno. Dorsoduro ai Carmini, 2596 - Venezia
A Venezia fino al 1996 è esistito un Collegio che ha
preparato gran parte degli intellettuali armeni iniziando dal 1836. Il
lavoro più significativo che io personalmente riesco a fare per le mie due
terre, per l’Armenia e per l’Italia, è quello di andare in tante scuole
italiane di ogni ordine e grado, portare la mia testimonianza e raccontare la
storia del mio popolo di appartenenza. Ho anche scritto molto su questi
argomenti e per la Regione Veneto ho pubblicato due volumi che appunto parlano
degli armeni del Veneto e della loro integrazione nell’ospitale terra veneta.
Per desiderare la Pace bisogna anche portare degli esempi concreti. La Pace non
è una cosa astratta. La convivenza, il reciproco riconoscimento e la concordia
fra diverse culture e diversi popoli e religioni sono anche cose terribilmente
pratiche: bisogna viverle con serenità, costruire assieme giorno per giorno.
Una delle tante colonne di deportati dirette nel deserto
Una delle tante colonne di deportati dirette nel deserto
Ancora una domanda. La questione armena è entrata a far
parte dei “Criteri di Copenaghen” per l’accesso della Turchia nella Unione
europea?
Nei “criteri di Copenaghen” ci sono generiche richieste di
“buon vicinato” con i confinanti della Turchia, Armenia compresa. Però ai primi
di settembre 2006 la Commissione Esteri del Parlamento Europeo, fra centinaia
di emendamenti acquisiti per sottolineare il rallentamento della Turchia nel
processo di integrazione, ha inserito in modo assoluto il riconoscimento dl
genocidio. E questo naturalmente ha fatto arrabbiare la Turchia perché
accettandolo, dovrebbero rivedere i fondamenti della loro storia, mettere in
discussione anche l’onestà dei padri fondatori. Ammettere, come ha fatto lo
scrittore Akcam (processato, condannato a quindici anni e fuggito negli Stati
Uniti) che “la nostra economia è fondata sul denaro, le case e le terre rubate agli
armeni”.
Questa mappa si trova
in Jean Mecerian s.j., Le genocide du
peuple armenien, le sort de la population armenienne de l’Empire ottoman, De la
Constitution ottomane au Traite de Lausanne (1908-1923), Editions de
l’Imprimerie catholique, Beyrouth, 1965. by denisdonikian.blog.lemonde.fr
E per concludere: dovendo fare una richiesta al popolo
turco…?
I turchi sono un popolo mite e buono; questa loro eccessiva
bontà ha fatto sì che numerosi capi, anche nella storia recente, abbiano potuto
manipolare i sentimenti nazionali e soprattutto religiosi della popolazione,
creando situazioni inaccettabili per il futuro. Personalmente chiederei di
essere più coraggiosi nel fare ordine nei loro armadi storici, tirando fuori
tutti gli scheletri scomodi. Sono una grande nazione, non devono temere le
conseguenze, che saranno sicuramente più edificanti della attuale situazione,
di questo continuo nascondersi dietro un dito. I principali popoli con i quali
hanno avuto epiloghi tragici sono tutti loro vicini, sono popoli con cui hanno
vissuto lunghi periodi di pace e di prosperità. E pensare che loro stessi
chiamavano gli armeni, Millet-i Sadika (popolo fedele). Si deve
ricominciare da quel punto.
Fonte: srs di Gianni Sartori, da L’Indipendenza del 15 aprile 2014
Link: http://www.lindipendenza.com/armenia-24-aprile-anniversario-di-un-genocidio-dimenticato/
Civili
armeni in marcia forzata verso il campo di prigionia di Mezireh, sorvegliati da
soldati turchi armati. Kharpert, Impero Ottomano, aprile 1915.
Con l’espressione “genocidio armeno” (in lingua armena Medz
Yeghern, Grande Male) (1) ci si riferisce a due eventi distinti ma legati fra
loro: il primo, quello relativo alla campagna contro gli armeni condotta negli
anni 1894-1896 dal sultano Abdul Hamid II; il secondo, quello collegato alla
deportazione ed eliminazione degli armeni compiute nel corso del Primo
Conflitto Mondiale dal nuovo governo della Sublime Porta controllato dai
Giovani Turchi.
In questa sede ci limiteremo a ricostruire i fatti salienti
di quest’ultima persecuzione, soprattutto in virtù delle sue peculiari finalità
e metodologie e per il fatto che essa viene ancora negata o contestata –
nonostante l’enorme mole di documenti e testimonianze – dall’attuale governo
turco. Il sostanziale rifiuto da parte
dell’attuale governo di Ankara di riconoscere le responsabilità storiche della
Sublime Porta rappresenta non soltanto un chiaro esempio di ‘negazionismo’, ma
anche un ingombrante ostacolo all’ingresso nel consesso europeo di questo Paese
retto sì da un regime laico ma ancora fortemente permeato di religiosità e di
esasperato e malinteso spirito nazionalista.
Verso la fine del XIX secolo, la crisi politica, economica e
sociale dell’impero ottomano si fece sempre più grave, sfociando in sedizioni e
sommosse. A Salonicco un gruppo di ufficiali dell’esercito, affiancato da
alcuni esiliati politici turchi confluiti nella Ittihad ve Terakki (il partito
Unione e Progresso), iniziò a tramare contro l’incapace e retrogrado governo
centrale di Costantinopoli, con l’obiettivo di intraprendere, anche con la
forza, un necessario quanto urgente processo di modernizzazione dell’impero
ormai sull’orlo del collasso.
Il 24 luglio del 1908, il Comitato Centrale di Unione e
Progresso detronizzò il sultano Abdul Hamid II sostituendolo con il più
malleabile fratello Muhammad. Seguì un breve periodo di euforia da parte delle
minoranze etniche e religiose della Sublime Porta, tra cui quella armena, che
confidavano nell’inizio di una nuova era caratterizzata da maggiori libertà.
Si trattò però di una semplice speranza destinata a svanire
di fronte ai reali e non dichiarati intenti che in segreto animavano i cuori
degli appartenenti ad un nuovo partito ‘progressista’, il Movimento dei Giovani
Turchi, intenzionati sì a modernizzare economicamente e socialmente il loro
agonizzante impero, ma anche ad unificarlo etnicamente e religiosamente,
espandendone nuovamente i confini non ad occidente, come avevano quasi sempre
fatto i sultani del passato, bensì ad oriente, in direzione della Persia, del
Caucaso e delle immense regioni asiatiche centrali, abitate da popoli (tartari,
azerbaigiani, ceceni, kazachi, uzbechi, kirghisi e tagiki) linguisticamente ed
etnicamente affini al popolo anatolico.
La teoria geopolitica intorno alla quale ruotava questo
piano si basava sull’ideologia panturanica. Secondo il padre di quest’ultima – l’orientalista,
linguista ed esploratore ungherese Arminius Vambery (1832-1913) – l’impero
ottomano avrebbe infatti potuto e dovuto allargare i suoi confini all’intera
area caucasica e asiatico-centrale in virtù della già citata uniformità
etnico-religiosa che caratterizzava l’intero “popolo” turco.
Fu per questa ragione che, il 26 gennaio 1913, un
triumvirato di Giovani Turchi firmato da Enver Pascià, Taalat Pascià e Ahmed
Jemal – nonostante i precedenti proclami inneggianti l’eguaglianza di tutti i
sudditi della Sublime Porta – iniziarono ad organizzare un piano di
persecuzione nei confronti di tutte le minoranze, prima fra tutte quella
armena, mettendo in piedi un’efficiente struttura paramilitare,
l’Organizzazione Speciale (O.S.), coordinata da due medici, Nazim e Shaker, e
dipendente dal Ministero della Guerra e da quello degli Interni e della
Giustizia.
Nel 1914, con l’entrata in guerra della Turchia a fianco
degli Imperi Centrali, i Giovani Turchi poterono finalmente rendere più che
palesi le loro intime convinzioni e dare il via ad una sistematica e
scientifica persecuzione destinata a protrarsi per quasi tutta la durata del
Primo Conflitto Mondiale.
Tra l’aprile e il maggio 1915, i turchi concentrarono i loro
sforzi nell’eliminazione dell’élite economico-culturale e dei militari armeni.
Il 24 aprile 1915 (che verrà in seguito ricordata come la
data commemorativa del ‘genocidio’), a Costantinopoli, circa 500 armeni furono
incarcerati e poi eliminati. Tra le vittime vi era anche il deputato Krikor Zohrab
che pensava di godere dell’amicizia personale di Talaat Pascià, molti
intellettuali, come il poeta Daniel Varujan, giornalisti e sacerdoti.
Tra gli uomini di chiesa, Soghomon Gevorki Soghomonyan (più
noto come il monaco Komitas), padre della etnomusicologia armena. Komitas fu
deportato assieme ad altri 180 intellettuali armeni a Çankırı in Anatolia
centro settentrionale. Egli sopravvisse alla prigionia e alla guerra grazie
all’intervento del poeta nazionalista turco Emin Yurdakul, della scrittrice turca
Halide Edip Adıvar e dell’ambasciatore americano Henry Morgenthau. Trasferitosi
nel 1919 a Parigi, Komitas, sulla scorta degli orrori patiti, impazzì finendo i
suoi giorni in un manicomio, nel 1935.
Tra il maggio e il luglio del 1915, gli ottomani, spalleggiati
da bande curde (2) e da reparti formati da ex detenuti, setacciarono le
comunità delle province di Erzerum, Bitlis, Van, Diyarbakir, Trebisonda, Sivas
e Kharput, dove soprattutto i reparti curdi depredarono e massacrarono migliaia
tra donne, vecchi e bambini e decine di sacerdoti a molti dei quali, prima
dell’esecuzione, furono strappati gli occhi, le unghie e i denti.
Gevdet Bey, vali (governatore) della città di Van e cognato
del ministro della Difesa Enver Pascià, era solito fare inchiodare ai piedi dei
prelati ferri di cavallo arroventati.
Stando ad un rapporto del console statunitense ad Ankara,
nel luglio 1915, diverse migliaia di soldati armeni inquadrati nell’esercito
ottomano e reduci dalla disastrosa campagna del Caucaso (scatenata nel dicembre
del 1914 da Enver Pascià contro le forze zariste al comando del generale
Nikolai Yudenich ) furono improvvisamente disarmati dai turchi e spediti
nelle zone di Kharput e Diyarbakir con il pretesto di utilizzarli nella
costruzione di una strada. Ma una volta giunti sul posto essi vennero tutti
fucilati.
Solitamente, i turchi organizzavano le deportazioni di massa
trasferendo i loro prigionieri in località piuttosto remote. Una delle
destinazioni prescelte fu la desolata regione siriana di Deir al-Zor, dove
centinaia di intere famiglie armene furono ammassate e lasciate morire di
stenti in primordiali lager privi di baracche e servizi igienici..
In terra siriana vennero anche spediti migliaia di giovani
ragazze e ragazzi armeni che riuscirono però a scampare alla morte in parte
perché venduti a gestori arabi di bordelli per etero e omosessuali, e in parte
perché rinchiusi negli speciali orfanotrofi per cristiani gestiti da Halidé
Edib Adivart, una sadica virago incaricata da Costantinopoli di ‘rieducare’ I
piccoli armeni.
“Le deportazioni –
annotò in questo periodo il diplomatico tedesco Max Erwin von Scheubner-Richter
-furono giustificate dal governo turco
con la scusa di un necessario spostamento delle comunità armene dalle zone
interessate dalle operazioni militari (Anatolia orientale e nord orientale,
n.d.a) (…) Non escludo che gran parte dei deportati furono massacrati durante
la loro marcia. (…)
Una volta abbandonati
i loro villaggi, le bande curde e i gendarmi turchi si impadronivano di tutte
le abitazioni e i beni degli armeni, grazie anche ad una legge del 10.6.1915 ed
altre a seguire che stabiliva che tutte le proprietà appartenenti agli armeni
deportati fossero dichiarate “beni abbandonati” (emvali metruke) e quindi
soggetti alla confisca da parte dello Stato turco”.
E a testimonianza dei risvolti economici della strage, basti
pensare che “i profitti derivati
all’oligarchia dei Giovani Turchi e ai suoi lacchè dai beni rapinati agli
armeni arrivarono a toccare la cifra astronomica di un miliardo di marchi”.
Nell’inverno del ‘15, il conte Wolff-Metternich decise di
riferire al ministero degli Esteri tedesco il protrarsi “di questi inutili e crudeli eccidi”, chiedendo un intervento
ufficiale presso la Sacra Porta Venuti al corrente della protesta, Enver Pascià
e Taalat Pascià chiesero a Berlino la sostituzione di Wolff-Metternich che nel
1916 dovette infatti rientrare in Germania.
Va comunque detto che non tutti i governatori turchi
accettarono di eseguire per filo e per segno gli ordini di Costantinopoli.
Nel luglio 1915, ad esempio, il vali di Ankara si oppose
allo sterminio indiscriminato di giovani e vecchi, venendo rimosso e sostituito
da un funzionario più zelante, tale Gevdet, che nell’estate del ‘15 a Siirt
fece massacrare oltre 10.000 tra armeni ortodossi, cristiani nestoriani,
giacobini e greci del Ponto.
Resoconti sui molteplici eccidi sono registrati anche nelle
memorie di altri addetti diplomatici francesi, bulgari, svedesi e italiani
(come il console di Trebisonda, Giovanni Gorrini) presenti all’epoca in
Turchia.
Nonostante tutto, il governo turco non si reputava ancora
soddisfatto di come stava procedendo la risoluzione del “problema armeno”. “In base
alle relazioni da noi raccolte – annotò il 10 e il 20 gennaio del 1916, il
notabile Abdullahad Nouri Bey – mi
risulta che soltanto il 10 per cento degli armeni soggetti a deportazione
generale abbia raggiunto i luoghi ad essi destinati; il resto è morto di cause
naturali, come fame e malattie. Vi informiamo che stiamo lavorando per avere lo
stesso risultato riguardo quelli ancora vivi, indicando e utilizzando misure
ancora più severe (…) Il numero settimanale dei morti non è ancora da
considerarsi soddisfacente”.
Nel 1916, Enver Pascià, Taalat Pascià e Ahmed Jemal diedero
quindi un ulteriore giro di vite, intimando ai loro governatori e ai capi di
polizia di “eliminare con le armi, ma se
possibile con mezzi più economici, tutti i sopravvissuti dei campi siriani e
anatolici”.
In questa fase del massacro ebbe modo di distinguersi per
efficienza il governatore del già citato distretto di Deir al-Azor, Zeki Bey,
che – secondo quanto riportano James Bryce e Arnold Toynbee in The Treatment of
Armenians in the Ottoman Empire, 1915–1916 – “rinchiuse 500 armeni all’interno di una stretta palizzata, costruita su
una piana desertica, e li fece morire di fame e di sete”.
Durante l’estate del 1916, gli uomini di Zeki eliminarono
complessivamente oltre 20.000 armeni.
A dimostrazione della criminale sfacciataggine dei leader
turchi, basti pensare che Taalat Pascià arrivò a vantarsi dell’efficienza del
suo governatore con l’ambasciatore americano Morgenthau, al quale egli ebbe
anche il coraggio di chiedere “l’elenco
delle polizze assicurazioni sulla vita che gli armeni più ricchi (deceduti
nei campi di sterminio) avevano
precedentemente stipulato con compagnie americane, in modo da consentire al
governo di incassare gli utili delle polizze”.
Altrettanto crudele ed anche beffardo risultò il destino
delle comunità armene dell’Anatolia orientale che, grazie anche all’intervento
dell’armata zarista, erano riuscite a trovare momentaneo rifugio nelle valli
del Caucaso. In seguito alla rivoluzione bolscevica del 1917, l’esercito russo
si era infatti ritirato dall’Anatolia orientale e dalla Ciscaucasia, abbandonando
gli armeni al loro destino. Rioccupata l’importante città-fortezza di Kars, le
forze ottomane iniziarono una vera e propria caccia all’uomo, eliminando circa
19.000 cristiani. Identica sorte toccò a quei profughi armeni che, rifugiatisi
in Azerbaigian, furono massacrati dalle locali minoranze mussulmane tartare e
cecene che, nel 1918, nella sola area di Baku, ne eliminarono 30.000.
Ma la guerra stava ormai volgendo al termine e
nell’imminenza del crollo della Sublime Porta, i responsabili delle stragi
iniziarono a dileguarsi. Quando, nell’ottobre 1918, la Turchia si arrese alle
forze dell’Intesa, i principali dirigenti del partito dei Giovani Turchi
vennero arrestati dai britannici ed internati a Malta per un breve periodo.
A carico dei fautori e degli esecutori dei massacri fu
intentato un processo svoltosi nel 1919 a Costantinopoli sotto la supervisione
del nuovo primo ministro Damad Ferid Pascià che alla Conferenza di pace di
Parigi, il 17 luglio 1919 aveva ammesso i crimini perpetrati ai danni degli
armeni.
Lo scopo del processo di Costantinopoli non era in realtà
quello di rendere giustizia al popolo armeno e di chiarire le colpe pregresse
dell’amministrazione ottomana (cioè quelle di prima della Grande Guerra), bensì
quello di scaricare tutte le colpe sui leader dei Giovani Turchi, sicuramente
responsabili, ma che avevano potuto portare a compimento il loro piano di
sterminio, grazie alla connivenza di larghi strati della burocrazia
civile e militare.
Il processo si
risolse quindi in una farsa, senza considerare che nei confronti dei molti
imputati condannati in contumacia (nell’autunno del 1918 quasi tutti erano
riusciti ad abbandonare al Turchia), non furono mai presentate richieste di
estradizione. Non solo. In una fase successiva anche i verdetti della corte
vennero in gran parte annullati ed archiviati.
Nell’ottobre del 1919, a Yerevan, i vertici del partito
armeno Dashnak, più che mai decisi a farsi giustizia, misero a punto un piano
(l’Operazione Nemesis) per eliminare di circa 200 tra uomini politici,
funzionari turchi e ‘collaborazionisti’ armeni ritenuti direttamente o
indirettamente responsabili del genocidio.
Il 15 marzo del 1921, a Berlino, l’ex ministro degli Interni
Talaat Pascià, il principale artefice dell’olocausto armeno, venne ucciso da
Solomon Tehlirian che, tuttavia, dopo essere stato arrestato e processato, nel
mese di giugno dello stesso anno sarà graziato da un tribunale tedesco.
Il 18 luglio 1921, fu la volta di Pipit Jivanshir Khan,
coordinatore del massacro di Baku, assassinato a Constantinopoli, da Misak
Torlakian. Il killer fu arrestato, ma rilasciato dalla polizia inglese.
Il 5 dicembre, a Berlino, l’agente Arshavir Shiragian
eliminò l’ex primo ministro turco Said Halim Pascià. Shiragian scampò
all’arresto, rientrando poi a Constantinopoli.
Il 17 aprile 1922, sempre a Berlino, Aram Yerganian,
spalleggiato probabilmente da un altro sicario (il misterioso “agente T”) da
lui ingaggiato, freddò Behaeddin Shakir Bey, coordinatore dello speciale
Comitato ittihadista e Jemal Azmi, il ‘mostro’ di Trebisonda, responsabile
della morte di 15.000 armeni, e già condannato, nel 1919, alla pena capitale da
un tribunale militare turco che tuttavia non aveva ritenuto opportuno rendere
esecutiva la sentenza.
Il 25 luglio 1922, fu la volta dell’ex ministro della Difesa
Jemal Pascià che a Tbilisi cadde sotto i colpi di Stepan Dzaghigian e Bedros D.
Boghosian.
Curiosa, ma decisamente consona al personaggio fu invece la
fine di Enver Pascià, probabilmente il più ambizioso e idealista dei triumviri
turchi, il “piccolo Napoleone” dell’impero e il più tenace propugnatore del
movimento “internazionalista” turco. Rifugiatosi tra le tribù dell’Asia
Centrale, dove pensava di realizzare il suo antico sogno panturanico, cioè la
creazione di una Grande Nazione Turca, agli inizi degli anni Venti Enver
scatenò una rivolta mussulmana contro il potere sovietico. Ma il 4 agosto 1922,
nei pressi di Baldzhuan, località del Turkestan meridionale (oggi inclusa del
territorio del Tagikistan) egli venne sconfitto e ucciso con pochi suoi seguaci
da preponderanti forze bolsceviche.
Alberto Rosselli
NOTE:
1) Il
termine “genocidio” fu coniato negli anni Quaranta dal giurista americano di
origine ebraico-polacca Raphael Lemkin proprio in riferimento alla repressione
armena.
2) A proposito
della collaborazione fornita dai curdi al governo centrale, va ricordata
l’istituzione da parte del sultano dei reggimenti Hamidye, reparti paramilitari
dipendenti dall’esercito e dalla gendarmeria turchi, che vennero largamente utilizzate
per depredare o incendiare le comunità armene “ribelli”).
BIBLIOGRAFIA:
B. H. Liddell Hart, La Prima Guerra Mondiale 1914-18,
Rizzoli Editore, Milano 1972.
D. Fromkin, Una pace senza pace, Rizzoli Libri, Milano
1992.
M. Gilbert, La grande storia della Prima Guerra Mondiale,
Arnoldo Mondatori Editore, Milano 1998.
A.Emin (Yalman), Turkey in the World War, Newhaven, 1930.
H.Kaiser, Imperialism, Racism and Development Theories: The
Construction of a Dominant Paradigm on Ottoman Armenians, Gomidas Institute
Books, Princeton, 1998.
H.Kaiser, The Baghdad Railway and the Armenian Genocide,
1915-1916: A Case Study in German Resistance and Complicity, in Remembrance and
Denial: the Case of the Armenian Genocide, Wayne State University Press, 1999.
R. Kevorkian, L’extermination des deportés arméniens
ottomans dans les camps de concentration de Syrie-Mésopotamie (1915-1916),
Revue d’Histoire Arménienne Contemporaine, Tome II, Paris, 1998.
Y. Ternon, Gli armeni. 1915-1916: il genocidio dimenticato,
Rizzoli, Milano, 2003.
D. M. Thomas, Ararat, Frassinelli, Milano, 1984.
D.Varujan, Il canto del pane, Guerini, Milano, 1992.
D.Varujan, Mari di grano e altre poesie armene, Paoline,
Milano, 1995, a cura di Antonia Arslan.
C. Mutafian, Metz Yeghérn Breve storia del genocidio degli
armeni, Angelo Guerrini & Associati, Milano 1998.
A. Rosselli, Sulla Turchia e l’Europa, Solfanelli Editore,
Chieti, 2006.
A. Rosselli, L’olocausto armeno, Sito web Nuovi Orizzonti, http://www.storico.org.
H. M. Sukru, “The Political Ideas of the Young Turks”, in
idem, The Young Turks in Opposition, Oxford University Press, 1995
Fonte: visto su STORIA VERITA’ DEL 4 febbraio 2011
L'ARMENIA E IL SUO GENOCIDIO. LE AMMISSIONI DI COLPEVOLEZZA
A differenza dell'olocausto ebraico, riconosciuto e condannato da
parte tedesca, quello armeno non è stato né riconosciuto né tanto meno
condannato da parte della Turchia attuale, che anzi, in ogni occasione, sia
pubblicamente che riservatamente, continua a negare il fatto che sia mai
avvenuto un genocidio degli armeni.
Negli ultimi tempi, poi, sono stati messi in circolazione da parte
della Turchia dei falsi documenti storici per depistare le ricerche degli
studiosi del genocidio armeno.
Come se ciò non bastasse ad Istanbul e ad Ankara sono state
intitolate vie e piazze ai nomi dei principali responsabili dello sterminio
degli armeni. In onore di uno di essi, poi, è stato eretto un vero e proprio
mausoleo ad Istanbul.
Inoltre la Turchia odierna non ha rinunciato alle sue mire
espansionistiche, tant'è vero che il presidente Demirel ha ripetutamente
affermato che la zona d'influenza turca si estende dall'Adriatico alla Cina. Il
suo predecessore Ozal, ricordando il contenzioso con l'Armenia, ha affermato che
forse la "lezione" data agli Armeni all'inizio del secolo non era
stata sufficiente ed occorreva darne loro un'altra.
Anche negli anni successivi al genocidio non è mutato
l'atteggiamento ostile della Turchia nei confronti degli Armeni là residenti,
che, ridotti ad alcune decine di migliaia di persone quasi tutte concentrate a
Istanbul, sono sottoposti tuttora ad un regime di discriminazioni e di
vessazioni striscianti. Nel 1996 con il massimo degli onori e alla presenza del
capo dello stato turco, furono traslate dall'Asia Centrale, e tumulate in
Turchia, le spoglie di Enver pascià, un altro dei maggiori responsabili dello
sterminio degli armeni.
Il semplice fatto poi che il 24 aprile - data in cui vengono
commemorate le vittime del genocidio armeno - uomini politici stranieri, in
varie parti del mondo, rendano omaggio alla memoria di queste ultime, suscita
rabbiose e scandalizzate reazioni in Turchia.
E' evidente che una Turchia che ha un simile atteggiamento
costituisce un serio pericolo non solo per gli armeni, ma anche per la
democrazia, la libertà e la pacifica coesistenza fra i vari popoli. Sarebbe
come se in Germania attualmente non solo non venissero condannate le azioni di
Hitler, ma venisse eretto un mausoleo in suo onore e in varie città tedesche vi
fossero vie o piazze intitolate a Himmler, Goebbels, Goering ed inoltre le più
alte cariche dello stato negassero l'esistenza stessa dell'Olocausto.
Ancora oggi gli stessi storici turchi non ammettono la verità del
genocidio, in quanto sostengono non esistano documenti ufficiali che la
comprovino, ovvero l'intenzione di distruggere un gruppo nazionale, etnico,
razziale o religioso. Il fatto è che la Turchia ha sempre respinto il termine
di "genocidio" nei confronti degli armeni, limitandosi a riconoscere
che c'è stata solo "persecuzione" (solo 300.000 furono uccisi,
secondo gli storici turchi). [Si vedano
tuttavia queste importanti eccezioni]
Ma nonostante la negazione della Turchia e le sue reticenze, lo
sterminio armeno è un dato di fatto incontestabile, ampiamente documentato
oltre che dalle narrazioni dei superstiti, anche da parte di testimoni
stranieri ed imparziali, quali l'ambasciatore americano Morgenthau ed altri
diplomatici statunitensi, il pastore evangelico tedesco Lepsius, gli inglesi
Lord Bryce e A. Toynbee, lo scrittore e filantropo tedesco Armin Wegner, il
francese Henri Barby, per citare solo alcuni dei più noti.
Negli archivi americani, inglesi, francesi, tedeschi ed austriaci
c'è poi una ricca documentazione al riguardo.
Infine vi sono i documenti di diretta provenienza turca, prodotti
dalla corte marziale convocata per giudicare i responsabili del genocidio.
Il termine stesso "genocidio" è stato creato all'inizio
degli anni '40 del Novecento dal giurista americano di origine ebreo-polacca
Raphael Lemkin, che ha coniato questa parola proprio in seguito all'impressione
subita nell'apprendere le modalità dello sterminio degli armeni.
Negli anni immediatamente successivi al genocidio armeno, sebbene
non fosse stato ancora coniato il termine "genocidio", questo crimine
fu condannato dai governi alleati già nel 1915 e inoltre dal Senato degli Stati
Uniti, nel 1916 e 1920, dal Tribunale Militare turco nel 1919, nel 1921 dalla
Corte Criminale di Berlino che assolse un giustiziere armeno che aveva ucciso
Talaat pascià, principale responsabile dello sterminio armeno.
In seguito però venne steso un velo di silenzio sullo sterminio
degli Armeni che fu sempre più dimenticato. In epoca più recente, e nonostante
le pressioni esercitate da parte della Turchia, varie istituzioni nazionali ed
internazionali hanno riconosciuto e condannato il genocidio armeno.
Nel 1984 è stato il Tribunale Permanente dei Popoli che nel corso
della sessione dedicata a questo argomento, dal 13 al 16 aprile 1984, ha
riconosciuto fra l'altro che "lo sterminio delle popolazioni armene con la
deportazione ed il massacro costituisce un crimine imprescrittibile di
genocidio ai sensi della convenzione del 9/12/1948 per la prevenzione e la
repressione del crimine di genocidio".
L'anno successivo è stata la "Sottocommissione per la lotta
contro le misure discriminatorie e per la protezione delle minoranze"
della Commissione dei Diritti dell'Uomo dell' O.N.U. che nella seduta del
29/8/1985 ha riconosciuto, fra gli altri, anche il genocidio armeno.
Infine il Parlamento Europeo, nella seduta del 18/6/1987,
riconoscendo il genocidio armeno e condannando l'atteggiamento della Turchia,
ha invitato gli stati membri della Comunità Europea a dedicare un giorno alla
memoria dei genocidi armeno ed ebreo. Oltre a ciò, proprio in considerazione
dell'attuale atteggiamento turco nei confronti del genocidio armeno, il
Parlamento Europeo ha posto quale precondizione all'unione della Turchia alla
Comunità Europea il riconoscimento da parte turca dello sterminio degli armeni.
In epoca più recente, il 14 aprile 1995, la Duma (il parlamento)
della Russia ha riconosciuto all'unanimità il genocidio armeno. Lo stesso anno
il genocidio armeno fu riconosciuto dai parlamenti di Bulgaria e Cipro. Così
pure il vice-ministro degli esteri israeliano, Iosi Beilli, nel corso della
seduta del parlamento d'Israele del 27 aprile 1994, affermò che lo sterminio
degli armeni era stato un vero e proprio genocidio. Nel 1996 esso venne
riconosciuto da parte del parlamento della Grecia e l'anno successivo da quello
del Libano. Nel 1998 furono i senati del Belgio e dell'Argentina a
riconoscerlo. Infine il 29 maggio 1998 fu riconosciuto all'unanimità da parte
dell'Assemblea Nazionale francese, nonostante la forte opposizione e le minacce
ricattatorie della Turchia; mentre il 29 marzo 2000 il genocidio armeno è stato
formalmente riconosciuto dal parlamento svedese.
Parallelamente a ciò, nell'ultimo decennio, anche vari parlamenti
locali, come quelli dell'Ontario e del Quebec in Canada, del Nuovo Galles del
Sud in Australia, quello dell'Uruguay e quelli di undici Stati degli Usa hanno
condannato lo sterminio degli armeni (Massachusetts, California, New Jersey,
New York, Wisconsin, Pennsylvania, Rhode Island, Virginia ed Illinois in ordine
di tempo a partire dal 1978 al 1995).
Affermazioni simili, con sfumature diverse, sono state fatte da
eminenti uomini di stato, come per esempio il presidente francese Mitterand,
quello statunitense Clinton o da personalità politiche, da parlamentari e
diplomatici europei ed americani.
In Italia, negli anni 1997-98, il genocidio armeno è stato
riconosciuto da 21 Consigli Comunali di varie città: Roma, Milano, Genova,
Firenze, Venezia, Padova, Parma, Ravenna, Bagnacavallo (RA), Camponogara (VE),
Castelsilano (KR), Conselice (RA), Cotignola (RA), Faenza (RA), Feltre (BL),
Fusignano (RA), Lugo (RA), Imola (BO), Russi (RA), Sant'Agata sul Santerno
(RA), Solarolo (RA), Thiene (VI) e così pure dal Consiglio Regionale della
Lombardia. Nel settembre 1998 una proposta di riconoscimento del genocidio
armeno è stata presentata dall'onorevole G. Pagliarini (Lega Nord) alla Camera
dei Deputati e sottoscritta da parte di più di 170 parlamentari, appartenenti a
tutti i gruppi politici presenti in Parlamento. Il 31/3/2000 è stata posta
all'ordine del giorno una mozione che mira al riconoscimento, da parte del
governo italiano, del genocidio armeno.
A tutt'oggi il riconoscimento del genocidio da parte della comunità
internazionale sembra ancora ben lontano dall'essere una realtà e i timidi
tentativi, quali quello dell'Assemblea Nazionale Francese, di dare dignità
storica ai fatti avvenuti in quegli anni sono stati tutti immediatamente
insabbiati dalle inconsulte reazioni turche e dal vergognoso silenzio-assenso
delle grandi potenze, primi fra tutti gli Usa, che hanno sempre dato maggiore
importanza ai legami politico-militari con la Turchia.
La Francia è stato il primo paese europeo ad aver riconosciuto
pubblicamente "il genocidio degli armeni". L'Assemblea Nazionale
francese, approvando all'unanimità una dichiarazione solenne, ha dato atto agli
armeni (1,2-1,5 milioni di persone) di essere stati massacrati dai Turchi tra
il 1915 e il 1918.
Si tratta di ''un gesto di riparazione morale nei riguardi di quel
popolo'', ha sottolineato il Presidente della Commissione Esteri francese, Jack
Lang. ''Non abbiamo niente contro l'attuale governo turco né contro il popolo
turco", ha specificato. Ma la reazione della Turchia all'approvazione del
testo è stata durissima: "Questo gesto avrà conseguenze nefaste sui
rapporti bilaterali", hanno fatto sapere importanti esponenti del governo.
Ankara ha già fatto sapere che intende boicottare le società francesi con una
ritorsione economica.
L'Istituto di Studi Armeni di Monaco di Baviera ha recentemente
dato inizio alla compilazione dell'elenco nominativo delle vittime del
genocidio armeno. Si tratta di elencare i nomi di quegli armeni che nel corso
degli anni 1915-1922 sono stati vittime del genocidio perpetrato ad opera dei
turchi, sia ottomani che kemalisti e cioè tutti quegli armeni che negli anni
1915-22 sono morti o sono stati uccisi, rapiti o scomparsi a causa del
genocidio, o della tragedia di Smirne del 1922, o dell'espulsione degli armeni
dalla Cilicia nel 1920-21, oppure delle offensive turche contro l'Armenia
orientale negli anni 1918-20.
Institut für Armenische Fragen e. V.
Steinsdorf str. N° 20
80538
München (Germania)
Fonte: da L’Armenia e il suo genocidio
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