Sotto la mensa dell’altare maggiore della chiesa di San Fermo e Rustico in Verona, l’urna delle ossa dei Santi Fermo e Rustico.
VOLUME II -
EPOCA IV - CAPO XVIII
SOMMARIO. - Indole del secolo - Epoca della fondazione
della chiesa veronese e dell' episcopato di S. Zeno - Realtà dei corpi dei SS.
martiri Fermo e Rustico - Sacre antiche iscrizioni - Mutuo ed usura - Probabilismo
- Penombre giansenistiche.
Nella storia del secolo XVII abbiamo narrato di parecchie
controversie di indole personale o giurisdizionale, che propriamente si
potrebbero dire liti o litigi. Il secolo
XVIII, il secolo d'oro della letteratura ecclesiastica, ci dà controversie di
ordine superiore, controversie scientifiche, agitatesi tra dotti personaggi
veronesi. L'indole delle controversie risponde all'indole dei due secoli.
Diremo soltanto di quattro controversie; delle quali, due sono di carattere
storico, due di carattere morale: aggiungeremo pochi cenni d'una questione
dommatica.
La prima controversia storica riguarda l'epoca della prima
origine della chiesa veronese, e per conseguenza anche l'epoca dell' episcopato
di S. Zeno.
Sino ai primordii del secolo XVIII era comune e non discussa l'opinione che la
chiesa veronese risalga ai tempi apostolici; che il primo suo vescovo, Sant'Euprepio, sia stato mandato a
Verona da S. Pietro; che S. Zeno abbia retto questa chiesa nella
seconda metà del secolo III. Questa
opinione era stata detta da Onofrio
Panvinio « majorum nostrorum
constans firmaque traditio »(1).
Chi iniziò un movimento opposto a questa opinione fu Scipione Maffei. Cominciò con accennare a motivi per dubitare della
fondazione apostolica di alcune chiese d'Italia, esclusa però la chiesa romana(2). Più tardi, trattando espressamente
della chiesa veronese e dei primi suoi vescovi, pur dispiacente « acceptiora Clero nostro me haud loqui potuisse », pone l'episcopato di S. Zeno nella seconda età del secolo
IV, l'episcopato di S. Procolo sulla fine del secolo III e sul
principio del IV; e quindi l'episcopato di Sant'Euprepio
al principio del secolo III(3).
Queste novità spiacquero davvero al nostro clero ed ai
fedeli; e fu uno stimolo agli scienziati veronesi ad approfondire le ricerche
sulle prime origini della chiesa veronese. Questi in massima non recedettero dall'
opinione antica e troppo cara: si opposero al Maffei in linea generale Dionisi,
Cenci, Campagnola; ai quali aderirono più tardi il vescovo Liruti, gli arcipreti Sommacampagna,
Gilardoni ed altri(4).
Essendo troppo chiaro che il vescovo Zenone fu quasi contemporaneo a Sant'Ambrogio, alcuni posero due
Zenoni vescovi di Verona: uno
santo e martire all' epoca di Gallieno,
altro né santo né martire di poco anteriore a Sant'Ambrogio: altri, escludendo la duplicità dei Zenoni, volendo
che Sant'Euprepio sia stato mandato
a Verona da S. Pietro, e che il
quarto vescovo S. Procolo abbia
preso parte al martirio dei SS. Fermo e
Rustico, ed ammettendo che S. Zeno
sia vissuto nella seconda metà del secolo IV, ai primi quattro vescovi, Euprepio, Dimidriano Simplicio e Procolo,
diedero la durata complessiva di anni 235, ossia a ciascuno, sia pur con
intervalli non brevi, almeno anni 50, non di vita, ma di lavoro episcopale(5).
Tra i nostri eruditi due soli aderirono all' opinione del Maffei; e furono i due fratelli sacerdoti
Pietro e Girolamo Ballerini(6). Con essi consentì pure il recente
editore delle opere di S. Zeno, il
can. Giambattista Giuliari(7). Naturalmente, se si colloca
l'ottavo vescovo nella seconda metà del secolo IV, non si può ammettere che la
chiesa nostra sia stata fondata nel secolo I; a meno che non si pongano tra un vescovo e
l'altro tali intervalli da negare l'unità della serie dei vescovi. Già altrove
abbiamo accennato come questa sia l'opinione comunemente adottata dagli storici
recenti(8).
La seconda controversia storica fu occasionata da un
avvenimento importante dell'anno 1757. Nel giorno 2 settembre di quell'anno
avvenne la famosa piena dell'Adige,
con innondazione d'una gran parte della città.
Fu per una grazia di Dio, che i frati Minori di S. Fermo si accorsero che alcune gocce di acqua
spicciavano dal sotterraneo della loro chiesa, dove erano la reliquie dei SS. Fermo e Rustico; tosto si
adoperarono per sottrarre quelle preziose reliquie al pericolo di rimanere
sepolte nell'acqua; e con saggia prudenza riuscirono nel loro intento, e
trasportarono quelle reliquie nella sacrestia superiore. In seguito, trattata
la cosa col vescovo Nicolò Giustiniani
e col Consiglio della città fu deciso di collocarle nell'altare maggior della
chiesa superiore. Per le spese necessarie concorsero i buoni veronesi, ed anche
il Consiglio della città con 400 ducati(9).
Il vescovo, prima di collocare quelle reliquie, ne fece eseguire la
ricognizione canonica dal sac. Pietro Antonio Albertini, assistito da
due medici distinti e dai rappresentanti del Comune: la riposizione si fece il
giorno 25 settembre dell'anno 1759; e ne fu posta l'iscrizione nel coro della
chiesa(10).
Questo avvenimento causò un potente risveglio di devozione
verso le sacre reliquie nel cuore dei veronesi. Esso però suscitò una viva
reazione nei bergamaschi; i quali
già da alcuni secoli si teneano certi di avere i corpi dei SS. Martiri loro concittadini nell'urna sovrapposta al magnifico
altare della loro cattedrale.
Lasciando a parte gli scritti anteriori, propugnò la causa,
dei bergamaschi il sac. Antonio Maria
Volpi in un' opera voluminosa: in essa egli intendeva riaffermare la realtà
dei corpi dei SS. Fermo e Rustico
nella cattedrale di Bergamo, ed
invalidare, non solo le vecchie pretese dei veronesi, ma anche il valore della
ricognizione ufficiale fatta per ordine del vescovo Giustiniani(11).
Chi contro l'opera del Volpi
sostenne energicamente la causa dei veronesi fu un secolare negoziante in
seta, Giambattista Biancolini.
Questi stese una eruditissima Dissertazione;
nella quale con documenti antichi riaffermava la realtà dei corpi dei SS.
Martiri nel sotterraneo della chiesa di
S. Fermo di Verona, ed insieme
rivendicava un vero valore giuridico alla ricognizione fatta dal sac. Albertini(12). Non è compito
nostro esaminare e discutere la controversia; la quale tra breve fu sopita per
il desiderio espresso della S. Sede. Recentemente furono pubblicati documenti
interessanti sulla traslazione dei corpi dei Santi Martiri fatta l'anno 1758 e sulla
solennità della funzione(13). Come
abbiamo accennato altrove, buon è per i veronesi e per i bergamaschi che il
culto delle reliquie è relativo.
Come appendice di questa controversia, ne troviamo un'altra
discussa fra due dotti scrittori veronesi. Il celebre sacerdote Domenico Vallarsi, uomo coltissimo
nelle scienze paleografiche, allo scopo di verificare quanto fosse fondata la
causa dei veronesi, esaminò la cassa di piombo corrosa e forata, che conteneva le
sacre reliquie: con occhi di lince e con due bravissimi incisori tentò di
rilevare alcune cifre e sigle incise nelle pareti di quella cassa, e si
persuase che tutte fossero iscrizioni reati spettanti al secolo VIII, e che da
esse si avesse una conferma decisiva della realtà dei corpi dei SS. Martiri in
quella cassa. Tra le altre, egli credette di leggervi le parole seguenti, sia
pure abbreviate:
« REGNANTIBUS
DESIDERIO ET ADELCH VI KALENDAS APRILIS INDICTIONE TERCIA HANO EPESCOPO
RELIQUIA SS. FIRMI ET RUSTICI COLLOCAVIT IN HAC KAPSA »(14).
Per la causa dei veronesi era un vero trionfo.
Senonché la scoperta del Vallarsi ad alcuni dei nostri dotti parve molto sospetta; ed,
esaminate e fatte esaminare da specialisti quelle iscrizioni, il marchese Luigi Pindemonti le disse ideali; ed
intese anche dimostrare che esse non erano antiche, ma erano recentissime
odierne, create nella fantasia del Vallarsi(15). Come nella controversia
precedente, così anche in questa non è compito nostro entrare nel suo merito e
molto meno definirla. (a).
Lasciando a parte altre questioni storiche di minor conto,
passiamo a dire di una implicatissima controversia di teologia morale discussa
in Verona verso la metà del secolo XVIII.
Iniziatore di questa controversia, che fuor di Verona già si
agitava in passato, fu il sac. Pietro
Ballerini con la cooperazione del suo fratello
Girolamo; i quali «nella polemica,
che si dibatteva tra Gesuiti e Domenicani, tenevano sempre per questi, »(16).
Nell'anno 1740 essi pubblicarono la Summa S. Antonini, ed al volume secondo
premisero due Praelectiones:
in queste insegnavano e sostenevano esser dottrina della Chiesa Cattolica,
che, chi avesse prestato ad altri una qualsiasi somma di denaro, avea bensì
diritto di riaver la somma di denaro prestato al tempo pattuito, ma per il
prestito in sé non potea esigere alcun compenso, né grande né piccolo, sia che
avesse prestato a poveri od a ricchi: aggiungevano che la sentenza contraria
era eretica.
Questa sentenza dispiacque ad alcuni dei nostri eruditi; e
specialmente a Scipione Maffei, il
quale credette bene confutarla con suo libro Dell'impiego del denaro, pubblicato pure a Verona
l'anno 1744, e dedicato al pontefice Benedetto
XIV.
Intanto la sentenza del Ballerini
avea avuto una conferma quasi ufficiale in una aggiunta fatta dall'arciprete Perotti al testo della Dottrina cristiana del Ven. Bellarmino, stampato a Verona nel
1743 con l'approvazione del vescovo Giovanni
Bragadino.
La stessa sentenza parve avere una approvazione suprema e
definitiva dalla enciclica Vix
pervenit data da Benedetto
XIV il giorno 1 novembre 1744(17):
ma sul valore dottrinale di quella enciclica, data solo ai vescovi d'Italia, si
disputò e di disputa fra i teologi; ed il Maffei
negli opuscoli della seconda edizione della sua opera sostenne che la dottrina
dell' enciclica non era contraria alle sue teorie.
Per opposto il Ballerini
nel 1747 pubblicò a Bologna
l'opera De jure divino et naturali
circa usuram in due volumi; non vi allega l'enciclica, perché
l'opera era ad essa anteriore, scritta prima che essa fosse pubblicata.
La controversia durò a
Verona e fuori di Verona per
oltre un secolo. Ebbe la sua soluzione,
parte per le risposte date dalle romane Congregazioni, e tra queste una data il
14 agosto 1831 al vescovo di Verona mons. Grasser(18), parte per le trattazioni dei teologi, ormai tutti
condiscendenti alla sentenza del marchese (19).
Una controversia acremente agitata in Italia, massime dopo
la metà del secolo XVIII, fu quella del
probabilismo. In Verona non troviamo in questo punto una controversia
propriamente detta: troviamo opinioni diverse ed opposte; non una lotta.
Opinione prevalente era che non fosse mai lecito seguire ed
abbracciare una sentenza puramente probabile in favore della libertà; ma che
nella diversità di sentenze pro e
contra si dovesse seguire quella che favorisce la legge, essendo
essa la più sicura.
Questa è la tesi sostenuta dai fratelli Ballerini in alcune Proelectiones
premesse ai volumi I e II della Summa
S. Antonini(20).
Scrittori, che abbiano espressamente impugnata questa tesi
non ne troviamo. Solo sappiamo che vi erano sacerdoti in Verona che pensavano
diversamente e piegavano al lassismo
(titolo dato al probabilismo); e
questi erano sacerdoti amici dei Gesuiti.
Quindi è chiaro che presso i Gesuiti di S.
Sebastiano dovea prevalere l'opinione contraria a quella dei Ballerini: ma scritti non ne abbiamo. Piuttosto si mostra inclinante al probabilismo
Scipione Maffei(21): quando a
sostegno della sua tesi sulla liceità di esigere un compenso nell'impiego del
denaro ricorre ad argomenti estrinseci, che non aveano una forza intrinseca
direttamente apodittica, e perciò non poteano aver valore che dalla tesi
probabilistica.
Nella seconda metà di questo secolo troviamo una più acre
impugnazione del probabilismo.
In questa lotta il più celebre lottatore fu un veronese Vincenzo Patuzzi; il quale però poco fu
e poco scrisse in Verona: egli inacerbì la lotta massime contro Sant'Alfonso de' Liguori(22).
Col domenicano
Vincenzo declamava contro il probabilismo e contro i Gesuiti il fratello di
lui sac. Paolo Patuzzi rettore della
chiesa di S. Benedetto.
Nel clero veronese non troviamo una opposizione metodica
alle teorie probabilistiche fin verso la metà del secolo XIX (c); il primo, che si schierò a favore
delle dottrine di Sant'Alfonso, fu
il sac. Carlo Fedelini professore di
teologia morale nel nostro seminario(23):
contro il quale scrisse acremente il noto rossiniano sac. Ant. Missiaglia(24).
La controversia sul probabilismo nella seconda metà del
secolo XVIII era naturalmente connessa con quella spettante al giansenismo.
Che alcune teorie giansenistiche più o meno vagassero in
Verona ci sembra risultare da alcune frasi ambigue, che ricorrono in opere di
quel secolo e dei primordi del seguente; ed anche dal fatto che Scipione Maffei fece stampare l'opera
sua Istoria teologica, franca
propugnatrice della bolla Unigenitus ed
impugnatrice del giansenismo, a Trento
anziché a Verona. Tuttavia nemici
aperti in quell' epoca egli non ne ebbe a
Verona; li ebbe in Francia, ed
anche a Milano nel canonico regolare
Migliavacca, che tacciò espressamente
quell'opera come eretica(25).
Più tardi abbiamo la troppo celebre pastorale del vescovo Morosini. (d)
NOTE
1 - PANVINIUS, Antiquitatum
Veron., Lib. IV., Cap. 2.
2 - MAFFEI, Verona
illustrata, Lib. VIII.
3 - MAFFERI, De
priscis Episcopis. Append. alla Storia teologica, pag. 237-242
(Trento 1742).
4 - GILARDONI, Osservazioni
teol... Una Dissert. sull'epoca di S. Zenone, pag. 187-231 (Milano
1842). Ivi sono pure le citazioni degli scrittori antecedenti.
5 - Fra questi il
compianto sac. ANT. PIGHI, Cenni critici sui 36 Santi Vescovi
Veronesi, pag. 4 (Verona 1900).
6 - BALLERINI, Opera
S. Zenonis Proleg. Dissert, 2 Cap III.
7 - GIULIARI, S. Zenonis
Ep. Veron. Sermones. Comment. Cap. II.
8 - Ne abbiamo
trattato nell' Epoca I, Cap.
II. V.
9 -OSVALDO PERINI
in, Archivio stor, veron; XI, pp. 289-304.
10 - La riporta
BIANCOLINI, Chiese di Verona, VIII, pag. 116, Serie dei Vescovi ... ,
pag. 151.
11 - VOLPI, Dell'identità
dei sagri Corpi dei SS. Fermo e Rustico e Procolo in Bergamo (Milano 1761).
12 - BIANCOLINI, Chiese
di Verona, VIII, pag. 17-160; Epilogo delle controversie ... (Verona
1761); CENCI, Dissert. critico cronol; pag. 90-106 (Verona 1788).
13 - Archivio
storico veron., Vol. VI, pag. 289-304, XII, 36-66, 134-172.
14 - VALLARSI, Sacre
antiche iscrizioni segnate a cesello (Verona 1759).
15 - L.
PINDEMONTI, Sacre antiche iscrizioni... dimostrate puramente ideali (Verona
1762). A quest' opera oppose VALLARSI, La realtà e lettura delle sacre
antiche iscrizioni (Verona 1763). Tra breve morì il Pindemonti; e così la
controversia non ebbe seguito.
16 - SIMEONI, Ricerche
Maffeiane, pag. 6. - Nella Polemica maff. sull'impiego del danaro l'autore
espone minuziosamente tutta la controversia tra il Maffei ed i Ballerini su
questo argomento (Torino 1909). (b)
17 - BENEDICTI
XIV, Bullarium, I, pag. 591-594 (Prati 1845).
18 - Presso
SCAVINI, Theol. mor., IV, Num. 233.
19 - BALLERINI, Opus
theologicum, Vol. III, pag. 578-664 (Roma 1890).
20 - BALLERINI,
P. Summa S. Antonini, Tom. I, Prael. I, II.
21 - PINDEMONTI
Ipp., Elogio di Scipione Maffei (Verona 1784).
22 - PATUZZI
(anon.), La causa del probabilismo ... convinta novellamente di falsità da
Adelfo Dositeo (Ferrara, o meglio Venezia, 1764). SANT’ ALFONSO rispose coll'Apologia
(Napoli 1765). Di questa polemica tratta CAPECELATRO, Vita di
Sant'Alfonso M. di Liguori, Vol. II, pag. 97 (Roma 1893).
23 - FEDELINI, S.
Alphonsus seipsum vindicens (Veronae 1852).
24 - MISSIAGLIA, Ragguaglio
di due libri ... (Padova 1852), Ultime ragioni ... (Vicenza 1852). A
lui rispose FEDELINI, Difesa della Dissertazione ... (Venezia 1852).
25 - CIPOLLA, Spigolature Corsiniene, pag.
3, 4 (Roma 1903).
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XVIII (a cura di
Angelo Orlandi)
a) Mentre il
culto dei due SS. Martiri Fermo e Rustico è ben documentato almen dal sec. VIII
in poi, le questioni storiche sulla loro identità e martirio sono tutt'altro
che chiarite. Nella recente edizione dell'officio proprio dei santi veronesi si
parla di una loro origine dalla Pannonia, mentre era stata altre volte proposta
una loro origine africana. I moderni
storici non accordano al racconto della passione dei SS. Fermo e Rustico il
credito che vi aveva dato il Maffei!
b) Già si è
accennato precedentemente alla questione; ci basta qui ricordare la recente
edizione dell' opera del Maffei: SC. MAFFEI, Dell'impiego del danaro. Ristampa
anastatica dell'edizione romana del 1746. Studio introduttivo di Gino Barbieri.
Appendice documentale di Gian Paolo Marchi, Verona 1975. La questione fu
dibattuta anche in seguito come si vede nello studio: G. BARBIERI, La
produttività del danaro in una memoria inedita di don Nicola Mazza, Verona
1969, pp. 84.
c) L'indirizzo
verso un certo rigorismo morale appare nettamente dominante nell'ambiente
veronese anche in seguito: lo si rileva dai testi indicati dal vescovo Liruti
per lo studio della morale come da una lettera a don Nicola Mazza (VERONA:
Biblioteca del Seminario Vescovile, Carteggi Liruti, B. 3, fasc. 10/2).
d) Mons. Pighi
non fa cenno di un'altra questione dibattuta nella seconda metà del secolo, cioè
la questione del battesimo degli abortivi. Nel 1761 don Piero Paolo Scudellini
diede alle stampe un'operetta: De abortivis baptizandis. Vi fu subito polemica; allo Scudellini
risposero don Gian Andrea Migliori e don G. Erbisti. Nel 1769 lo Scudellini ripubblicò la sua
operetta con aggiunta una Dissertazione apologetica. Non è il caso di
procedere qui ad una completa esposizione della questione: ci basti averla
indicata.
Fonte: srs di
Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume II.
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