by Stefano B. Galli
Da fervente pacifista e neutralista a
trascinante alfiere di un conflitto sciagurato e impopolare: la triste e
tragica parabola di un uomo politico che, in contraddizione con la propria
matrice ideale socialista, volle e perseguì con tutte le sue forze l’intervento
in uno scontro bellico che solo ai suoi occhi poteva rappresentare la “quarta
guerra d’indipendenza italiana”.
In effetti, sullo sfondo di un complesso e
cinico gioco politico, di cui gli sfuggivano i veri termini, si trovò
inconsapevolmente a essere prima lo strumento del militarismo espansionistico
più oltranzista, poi il punto di riferimento di un nazionalismo retrivo che
ancora oggi, e non solo nei ranghi della “destra”, non perde occasione per
lanciare i suoi roboanti proclami. E tuttavia ogni ipotesi di confine al
Brennero, successivamente ammantato di patria sacralità proprio in suo nome, lo
trovò sempre ed energicamente contrario.
Quattro mesi prima della morte del vecchio Kaiser Francesco
Giuseppe, si conclude drammaticamente la vicenda umana e politica di Cesare
Battisti.
L’irredentista trentino, tenente della II Compagnia di
marcia del V Reggimento degli alpini, deputato socialista di Trento al
Parlamento di Vienna (Reichsrat) e alla Dieta provinciale del Tirolo (Landtag)
a Innsbruck, sulla cui testa pende una taglia di 20.000 corone, viene catturato
il 10 luglio 1916 nella zona del Monte Pasubio (a est di Rovereto), sul Monte
Corno.
Narrano le cronache di parte austriaca che durante il
combattimento di Monte Corno molti alpini del Battaglione Vicenza, sotto il
fuoco incalzante dei Landesschützen, “si eclissarono, altri corsero con le
braccia in alto nelle nostre (austriache n.d.r.) file, contraccambiando il loro
Re col tradimento”.
Sono proprio i prigionieri a riferire agli Austriaci della
presenza, tra le schiere italiane, di Cesare Battisti e Fabio Filzi, noti
propugnatori d’italianità in terra tridentina.
Dalle linee dei Landesschützen (tiratori al bersaglio della
Provincia del Tirolo, dipendenti dalla Dieta di Innsbruck) si stacca un gruppo
di pochi uomini, in parte italiani per il riconoscimento, in parte austriaci
per la cattura dei due irredentisti. Battisti e Filzi sono catturati e
immediatamente riconosciuti come cittadini austriaci dai loro stessi compagni
del Battaglione Vicenza. Il tenente austriaco che li arresta è il trentino
Brunetto Franceschini, cadetto dei Kaiserjäger (cacciatori imperiali,
dipendenti dal Ministero della Guerra di Vienna). Nei suoi racconti
dell’azione, Franceschini parla sempre di “noi austriaci” e “loro italiani”.
Il “Risveglio Austriaco”, giornale della Fortezza di Trento,
nell’edizione del 12 luglio 1916 scrive: “Ministri della giustizia e del
diritto, i nostri Landesschützen tirolesi hanno preso i due agitatori (Battisti
e Filzi) mentre, tramutatisi in ufficiali italiani, guidavano il nemico contro
la loro Patria e compivano senza rimorso e senza vergogna il fratricidio”.
Lungo il percorso che da Monte Corno arriva ai Toldi, dove
c’è la sede di un Comando di Divisione austriaco, da qui su di un carretto
verso Aldeno, dove ha sede il Comando dell’XI Corpo d’Armata austriaco e poi
finalmente a Trento, Battisti trova schierate ai margini delle strade giovani
mogli e vecchie madri rimaste a casa sole, senza mariti e figli, impegnati al
fronte, che lo ricoprono di insulti per aver voluto e in parte causato la
guerra.
In quel viaggio, il prigioniero viene pesantemente
apostrofato: “hund” (cane), “schuft” (briccone), “canaille” (canaglia), “porci,
vigliacchi, traditori: avete fatto morire i nostri, ma adesso vi daremo le
conferenze e le prediche per la Guerra”.
La popolazione trentina è infuriata contro Cesare Battisti.
È convinta che gran parte delle restrizioni e delle sofferenze subite abbiano
un solo responsabile che, con la sua fervente attività a favore della Guerra,
ha fatto del Trentino un grande cimitero.
Battisti nel maggio 1915 aveva voluto che i soldati
andassero “alla frontiera”. Ora le mamme e le mogli vogliono mandare lui “alla
forca”.
Il 13 luglio 1916, il “Risveglio Austriaco” dedica ampi
spazi all’impiccagione di Battisti e Filzi. Nello stesso numero indice una
sottoscrizione che quantifica la riconoscenza dei Trentini ai soldati che hanno
fatto prigionieri i due irredentisti. I promotori sono austriaci. I
sottoscrittori prevalentemente di lingua italiana.
La causa del Trentino “irredento” ha trovato la sua
ambientazione nei centri maggiori (Trento e Rovereto), ma è stata quasi sempre
estranea al sentimento e alla coscienza dei contadini. Sono rari i casi in cui
i Trentini, durante la dominazione della corona degli Asburgo, si siano
ribellati.
La loro mentalità non li ha mai indotti a cercare a tutti i
costi il cambiamento di una situazione politica da sempre ingiustamente e
opportunisticamente definita oppressiva, che nella realtà dei fatti era
tutt’altro che negativa.
Dal censimento tributario della divisione delle tasse
incassate dal K.u.K. (Kaiserlich und Königlich: Imperiale e Regio) Ministero
dell’Economia, gli Austriaci di lingua italiana sono annoverati al terzo posto
con il 10,4% delle imposte. Il primo e il secondo posto della graduatoria sono
occupati dai Tedeschi con il 63,4% e dai Cechi con il 19,2% delle imposte.
L’Impero dell’aquila
a due teste, soprattutto nella persona di Francesco Giuseppe, è sempre stato
ben lontano dalla demagogia che attanaglia la maggior parte degli uomini
politici della storia
contemporanea. Il Governo dell’impero non ha curato la popolarità delle
concessioni. Ha curato la sostanza. Ha concesso più sull’economico che sul
sociale, senza mai travalicare i limiti della libertà dei sudditi. Voleva però
una ferrea disciplina e un comportamento serio e leale.
La dignità, il civismo dei Trentini della Corona, nel primo
decennio del Novecento, assolutamente non ammettono lezioni, sul piano sociale,
da parte dell’“Italietta giolittiana”.
Sullo sfondo sociale della “gestione” austriaca in Trentino,
c’è da considerare anche il miglioramento del tenore di vita. In quegli anni si
verifica un notevole livellamento sociale. Lo scarto tra aristocrazia e popolo,
altrove ancora assai ampio, si riduce sensibilmente.
La partecipazione alla vita politica dell’impero gode di un
impulso democratico. L’espressione dei diversi strati sociali è molto
eterogenea con la nuova partecipazione dei socialisti alle assemblee della
Dieta di Innsbruck e del Parlamento di Vienna. Il Partito Socialista di
Battisti si inserisce nel rapporto ormai cristallizzato tra i cattolici
popolari e i nazional-liberali.
Nel 1895 (il 15 novembre) esce “L’Avvenire”, primo giornale
socialista del Trentino, che chiuderà nel giugno 1896. Dal primo ottobre 1896
rinascerà come “Avvenire del Lavoratore” e verrà stampato a Rovereto anziché a
Vienna. Prima, però, c’era stato l’infelice tentativo della “Rivista Popolare
Trentina”. Il primo numero di questa rivista battistiana, il giorno 2 febbraio
1895, è stato tutto sequestrato. Ma il vero quotidiano dei socialisti trentini
diretto da Battisti, sarà “Il Popolo”, pubblicato dal 7 aprile 1900 al 25
agosto 1914 (giorno in cui le rotative saranno fermate per motivi bellici).
Nel 1897 si assiste in tutte le province dell’impero ad una
crescita dei cattolici.
Nello stesso anno il cattolico Karl Lüger viene confermato
sindaco di Vienna. Nel 1899 nasce l’Associazione Universitaria Cattolica
Trentina. Tra gli iscritti c’è anche Alcide De Gasperi.
Proprio durante il decennio di fine secolo, con il nobile
rispetto dovuto alla pluralità dei suoi popoli, l’Austria permette di erigere
in Trento un monumento a Dante Alighieri, dedicato al Padre della lingua
italiana, “affermazione e simbolo del pensiero italiano ” (come è scritto alla
base della statua). L’inaugurazione, che avviene a Trento l’11 ottobre 1896, è
una vera e propria festa per tutto il Trentino di lingua italiana.
Le autorità austriache non sono sorde a questi impulsi,
tendenti a far uscire il Trentino da quel provincialismo che lo attanaglia
nella vita quotidiana, e si apprestano a qualche concessione. Tant’è vero che i
cittadini di lingua italiana, 2,7% della popolazione dell’impero, sono
rappresentati nel Parlamento di Vienna dal 3% di tutti i membri.
Nel 1884 (per un motivo di politica internazionale, la
Triplice Alleanza), l’Assessorato alla Cultura (Landeskulturamt) si divide in
due sezioni: una trentina (con sede in Trento), l’altra austrotirolese. Cosi
avviene contemporaneamente anche per il Provveditorato Provinciale agli Studi.
L’autonomia del Trentino potrebbe concretarsi nel 1902. Il
neoeletto Luogotenente della Dieta, Erwin Von Schwartzenau, con uno slancio
generoso e intelligente verso le istanze autonomistiche dei Trentini, insieme a
un gruppo di deputati austrotirolesi elabora una nuova risoluzione del
problema. La Giunta Provinciale di Trento, nata per conferire una maggior
autonomia alla provincia di Trento, raggiunge il numero di quattro
rappresentanti a Innsbruck, contro i sette del Tirolo austriaco (formato dalla
provincia del Sudtirolo e dalla provincia del Vorarlberg).
La Dieta concede alla neonata Giunta Provinciale di Trento
la gestione dei problemi delle scuole elementari, dei Comuni, della Previdenza
Sociale, dell’igiene e della Sanità, nonché la possibilità di investire in opere
idrauliche, nell’agricoltura e artigianato, nell’industria e commercio, gli
introiti provenienti dalle imposte.
Ma i Trentini respingono questa larga ipotesi di
rinnovamento in quanto i Distretti di Cortina d’Ampezzo, di Pieve di
Livinallongo, della Val di Fassa, del Comune di Luserna, della Val dei Mocheni
e delle due valli ladine (la Gardena e la Badia), parte integrante del
Sud-tirolo, rimangono sotto la gestione dei sette rappresentanti austro
tirolesi.
In campo scolastico l’amministrazione austriaco-trentina
delle scuole elementari aveva già dimostrato di funzionare bene con la Riforma
del 1884. Alla fine dell’Ottocento, l’analfabetismo raggiunge il quindici per
cento dei Trentini sopra i sei anni d’età. In Italia, nello stesso periodo, le
persone che non sanno né leggere né scrivere sono sessanta su cento. “Se le
cose vanno bene non c’è motivo di cambiarle” è la logica deduzione dei
contadini che abitano le pendici dei monti del Trentino, prudenti di fronte ad
imprevedibili cambiamenti.
Nel 1911 Cesare Battisti viene eletto deputato del Reichsrat
di Vienna nel collegio Tirolo 6 (a Trento città).
Tre anni più tardi, nella primavera del 1914, Battisti è
eletto anche rappresentante del Trentino nella Dieta Tirolese di Innsbruck.
Il 12 giugno 1914, a qualche settimana dall’attentato di
Sarajevo all’arciduca austriaco Francesco Ferdinando, alla Dieta Tirolese si
sta dibattendo sull’aumento del contingente dei Tiroler Landesschützen
(tiratori al bersaglio della Provincia del Tirolo, dipendenti dalla Dieta di
Innsbruck) nella regione trentina. Battisti da socialista antimilitarista si
oppone “per convinzione teorica e per
ragioni di principio”. Anzi, l’irredentista tuona con fiera voce contro “le
colossali (sic!) opere militari iniziate dall’Austria con carattere di offesa”.
Conclude il suo discorso con queste parole: “La mia fede antimilitarista vale
per ogni paese del mondo”.
Al primo rinnovo quinquennale della Triplice Alleanza
(1882-1887), il Ministro degli Affari Esteri italiano, il conte di Robilant,
aveva imposto quale clausola aggiuntiva del patto, che, qualora l’Austria
avesse avuto dei vantaggi territoriali nella Penisola Balcanica, avrebbe
concesso benefici all’Italia nelle terre di lingua italiana.
Ma Battisti definisce la Triplice “una cosa inutile” e
decide di passare all’azione.
Difatti il 12 agosto 1914, due mesi dopo l’animata assemblea
della Dieta di Innsbruck, ottenuto facilmente il regolare passaporto dalle
autorità austriache, varca il confine e viene in Italia.
Nel Regno trova un’atmosfera di guerra fredda.
I dubbi, le tensioni e le paure che pervadono gli animi e
travagliano la vita del paese reale, paralizzano anche il lavoro politico del
paese legale. II Parlamento d’Italia ha cominciato da poco le trattative
diplomatiche con l’Austria. Salandra, Presidente del Consiglio, ha proposto
all’Austria la neutralità dell’Italia durante la Guerra appena cominciata, in
cambio dell’annessione del Trentino. Per quegli Italiani che hanno sempre
atteso l’annessione attraverso un complotto diplomatico, la proposta del loro
Governo rappresenta una vittoria. Ma i neutralisti devono fare i conti con gli
interventisti.
Grazie a una campagna politica costruita sul comportamento
inerte dei neutralisti, gli interventisti si assicurano ben presto il consenso
delle grandi masse. Battisti si aggrega immediatamente al gruppo interventista.
Tra i capitali interventisti del Regno trova alta considerazione perché “Egli è
trentino, e quale parola, quale voce può valere la Sua?”.
Da interventista protagonista molto ascoltato, riesce a
coronare un preciso disegno politico che ha già applicato a Trento. Gli
articoli, gli opuscoli, i comizi, gli appelli di Battisti sono rivolti al
popolo e al Governo.
Il primo ottobre 1914, Battisti spedisce una lettera
(firmata anche dai trentini Giovanni Pedrotti, Presidente della Società
Alpinisti Tridentini, e Guido Larcher, Presidente della Lega Nazionale) a tutti
i senatori e deputati del Parlamento del Regno d’Italia.
Appellandosi al cosiddetto “amor patrio” delle masse, Battisti
sollecita il Governo italiano all’intervento bellico a fianco di Gran Bretagna,
Francia e Russia per annettere finalmente il Trentino. Nel “maggio radioso” il
confronto tra interventisti e neutralisti raggiunge il massimo attrito in
seguito al rifiuto di Francesco Giuseppe di pagare la neutralità italiana con
la cessione del Trentino. La guerra fredda è ormai cruenta guerra civile.
Il 17 maggio 1915, Battisti è con Gabriele d’Annunzio in un
comizio sul Colle del Campidoglio. Finito il discorso del “Vate”, la folla
riconosce al suo fianco l’irredentista e lo acclama a gran voce. Battisti
risponde con chiare e concise parole. Indicando col braccio l’Oriente, esplode:
“Alla frontiera, Italiani, con la spada e col cuore!”.
Battisti, che a
Innsbruck era stato antimilitarista, ora paradossalmente è diventato
interventista convinto.
L’azione extraparlamentare che si svolge violenta e
prepotente in piazza, tra la folla piuttosto che tra i deputati, aggredisce il
Governo italiano, ostinato nella sua posizione di neutralità.
Gli interventisti vincono la guerra civile.
Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’impero
Austro-Ungarico. Battisti è contento:
Italia e Austria si contenderanno il Trentino con le armi.
La sentenza di Innsbruck a questo punto è completa:
“L’Avvocato Dott. Cesare Battisti, trentino, deputato a
Vienna, perseguitato con mandato di cattura per i suoi proclami inconsiderati,
fu uno dei più accaniti aizzatori, in Italia, contro la Monarchia Absburgica,
firmando (…) un appello del Comitato dell’Emigrazione Trentina a tutti i
deputati della Camera italiana” che conteneva “frasi di alto tradimento. Il
Dott. Battisti (…) è da considerarsi uno dei maggiori colpevoli dello scoppio
della Guerra con l’Italia” (Innsbruck, 8 febbraio 1916).
Battisti a Innsbruck e a Vienna aveva spesso provocato
l’impero di Francesco Giuseppe per costringerlo a concedere il Trentino
all’Italia. Ma i Trentini temevano che l’Italia, già piena di problemi,
abbandonasse il Trentino ad un degrado economico, sociale, politico ed
istituzionale, che l’Austria aveva sempre cercato di evitare.
L’amministrazione austriaca aveva cominciato infatti a
proteggere il lavoro delle donne e dei bambini fin dal 1874 (in Italia verrà
protetto col Regio Decreto numero 41, votato il 29 febbraio 1904).
In Austria, i lavoratori erano assicurati contro gli
infortuni fin dal 1887 (in Italia gli infortuni verranno tutelati a partire dal
1903).
La giornata lavorativa austriaca era di 11 ore, contro le 16
italiane.
Bisogna notare poi che Trento sino al primo decennio del
secolo non è austriaca solo sotto l’aspetto politico. Lo è anche e soprattutto
sotto il profilo culturale.
Inoltre dal censimento del 1921 emerge che su 232.600
abitanti, in provincia di Bolzano la popolazione di lingua tedesca è di 202.400
anime, quella di lingua italiana 20.300, quella di lingua ladina 9.900.
Nella lettura dei risultati di questo censimento bisogna
tenere bene in considerazione che nel 1921 l’annessione dell’“Alto Adige” al
Regno d’Italia è avvenuta ormai da tre anni.
I funzionari e gli uomini della burocrazia austriaca sono
già oltre il Brennero, ma la supremazia dei Tedeschi è netta. Sui Ladini poi
l’irredentismo non ha mai fatto presa. Durante e dopo il conflitto mondiale per
la liberazione del Trentino, infatti, i Ladini rimangono legati affettivamente
all’Austria, così come la maggior parte dei Sudtirolesi di lingua italiana.
Questo nel 1921, due anni dopo la Pace di Saint Germain, che
ha decretato “l’italianità” del Trentino e dell’Alto Adige. Figuriamoci prima,
ai tempi di Battisti, quando a Trento c’era ancora il Prefetto che veniva da
Vienna.
Ma Battisti, sebbene esperto geografo e geologo del
Trentino, non tiene conto, purtroppo, di questi dati di fatto. Vuole diffondere
in Trentino il socialismo e la dottrina della II Internazionale.
Proprio come stanno facendo in Italia i suoi “compagni”
socialisti, che giungeranno a risultati positivi solo durante il primo decennio
del Novecento, grazie alle oculate concessioni di Giovanni Giolitti.
Contro l’annessione, apostolo dell’autonomia, è schierato
invece Alcide De Gasperi, che si batte per inculcare nei Trentini una
“coscienza nazionale positiva”. In questa formula è riposto l’intento di
stimolare la difesa dell’autonomia, la difesa dell’individualità e unicità
della regione trentina. Lo sosterrà anche dopo l’annessione. “Bisogna
conservare l’autonomia delle terre ormai redente” è il pensiero di Alcide De
Gasperi.
Ed è proprio la “coscienza nazionale positiva” che manca a
Cesare Battisti. Il suo sentimento nazionale oltrepassa i limiti
dell’irrispetto e dell’odio per il sentimento nazionale austriaco: è
ultranazionalismo. È fragorosa lotta contro l’“oppressore” per allontanarlo.
Per lui l’annessione è sinonimo di guerra e di morti, non di tavoli di
conferenze come voleva De Gasperi a Vienna o Giolitti a Roma.
A De Gasperi e a chi vuole l’“ autonomia diplomatica” del
Trentino, Battisti risponde: “Dimenticateci se volete, ma non dite che noi non
vogliamo staccarci dall’Austria. È un’offesa e una bestemmia”.
Benito Mussolini, socialista, interventista, che aveva
lavorato con Battisti alla redazione de “Il Popolo”, sostiene che l’unico modo
di annettere con onore il Trentino all’Italia, è la guerra. Negli scritti di
tutt’e due affiora però la consapevolezza che “la guerra riduce e più ridurrà
il Trentino a un deserto e un cimitero”.
Il socialismo di Battisti prima ha tentato la rivoluzione
politica del Trentino. Poi ha voluto l’aggressione militare. Battisti si è
arruolato come volontario nell’esercito italiano il 29 maggio 1915, per
combattere in prima persona contro il nemico. Ha combattuto, si è fatto
arrestare. È salito al patibolo con dignità, ignorando tutti i cimiteri di
guerra sparsi per le belle montagne del Trentino.
La logica dell’irredentismo voleva la sua morte affrontata
con “animo impavido”, quale coronamento di una vita concretamente vissuta per
l’irredentismo. “Solo la morte poteva dare al suo sacrificio politico quel
significato pieno e supremo che egli voleva e che nessuna prodezza sua di
soldato gli avrebbe mai potuto conferire”.
Battisti, che aveva fatto giuramento mazziniano il 12 luglio
1901, era consapevole di oltrepassare i limiti di giustizia di uno Stato.
Infatti, nella prima settimana del luglio 1916, quando stava combattendo con il
V Reggimento Alpini nell’assedio di Monte Corno, confidava all’amico Filzi:
“Eviteremo d’esser fatti prigionieri, ma se l’Austria ci prenderà, sarà questo
per lei peggio di una battaglia perduta”.
Forte di quest’idea, andò incontro al capestro con un
fanatico e ingiustificato sentimento di “vittoria”. Così, Cesare Battisti il 12
luglio 1916, nell’impiccagione nel cortile del Castello del Buon Consiglio a
Trento, alle ore 19 e 14 minuti, chiudeva la sua “battaglia”.
Si apriva a quel punto il giudizio della Storia e la
gestione della sua immagine. Per gli interventisti, i militaristi e gli
ultranazionalisti la sua vicenda diventava la pietra angolare della futura
“Italia imperiale”.
A settant’anni da quei fatti, lontani dalle passioni e dalle
influenze del tempo, si può affermare che Cesare Battisti fu politico mediocre
e poco perspicace, militare ingenuo e scarsamente fortunato. In definitiva, un
altro mito verso il tramonto.
Bibliografia
Il Corriere della
sera 22 settembre 1915
Il risveglio
Austriaco, 23 giugno 2015
KAISER FRANZ JOSEF
KAISER FRANZ JOSEF
‘‘Per grazia di Dio Imperatore d’Austria; Re d’Ungheria e
di Boemia; Re di Lombardia e Venezia, di Dalmazia, Croazia, Schiavonia,
Galizia, Lodomiria ed Illiria, e di Gerusalemme; Arciduca d’Austria; Granduca
di Toscana e Cracovia; Duca di Lorena, Salisburgo, Stiria, Corinzia, Corniola e
Bucovina; Gran Principe di Transilvania; Margravio di Moravia; Duca dell’Atta e
Bassa Slesia, di Modena, Parma, Piacenza, Guastalla, d’Auschwitz e Zator, di
Teschen, del Friuli, di Ragusa e Zara; Conte Principesco d’Absburgo, del Tirolo,
di Kyburg, Gorizia e Gradisca; Principe di Trento e Bressanone; Margravio
dell’Alta e Bassa Lusazia, e d’Itstria; Conte di Hohenembs, Felkirch, Bregenz,
Sonnenberg; Signore di Trieste, di Cattaro, della Marca dei Vendi; Gran Voivoda
del Voivodato di Serbia
DOVE IL CONFINE?
Salorno
Il 1 gennaio 1915,
Battisti scrisse a Gaetano Salvemini: “In merito all’Alto Adige, io penso che
senza paure si possa difendere oggi il confine napoleonico (Merano-Bolzano;
Bressanone-Bolzano n.d.r.). Ho dei dubbi su un confine più a Nord.
Pubblicamente non li espongo, perché non tocca a me, irredento, toglier valore
al programma massimo degli irredenti. Militarmente il confine del Brennero è
formidabile; il confine napoleonico piuttosto debole; il confine linguistico
puro, a Salorno, assai buono. Credo che
una difesa del territorio, qualora si andasse nell’Alto Adige, si dovrebbe
farla da questo confine interno, abbandonando Bolzano. Ma il giudizio è molto
arrischiato”.
Salvemini pubblicò su “L’Unità ” le sue riflessioni
attorno alla lettera di Battisti il 18 gennaio 1919 in un articolo dai titolo
“Alto Adige”:
“Dunque Cesare Battisti si permetteva di avere dei dubbi
sul problema del’Alto Adige. Il confine del Brennero lo riteneva militarmente
formidabile; ma evidentemente, pensava che il criterio militare non deve essere
unica guida nei problemi internazionali: la volontà nazionale della popolazione
da includere nel confine deve aver anch ’essa il suo peso. Perciò Battisti
avrebbe preferito il confine napoleonico, che passava sopra Bolzano, sebbene
fosse “piuttosto debole”; ma dietro questo confine c’è un’altra linea, a sud di
Bolzano, quella così detta di Salorno, “assai buona”, che coincide col confine
linguistico, e dietro cui l’esercito italiano farebbe la difesa. Queste idee,
nel gennaio 1915, Battisti non le esponeva pubblicamente: raccoglieva tutte le
sue forze nella campagna per l’intervento, e non voleva, lui irredento,
alimentare dissidi, opponendosi a quello che chiamava il programma massimo
dell’irredentismo. Ma nel volume “Il Trentino”…, datato 24 maggio 1915,
distingueva nettamente il Trentino dall’Alto Adige, e non dedicava neanche una
parola alla descrizione dell’Alto Adige”.
Anche l’ex
Ministro della Guerra, on. Leonida Bissolati, sposava le posizioni di Battisti
e di Salvemini.
In un discorso
tenuto il giorno 11 gennaio 1919 presso il Teatro alla Scala di Milano,
Bissolati disse:
“Le mie
convinzioni riguardo all’annessione di quella parte del Tirolo tedesco che va
da Bolzano al Brennero sono divise da pochi. Sono forse le convinzioni di un
solitario. Ma so che le condividono alcuni miei amici tridentini che erano
fratelli nella fede e nell’azione di Cesare Battisti. D’altronde è vero che se
il Tirolo al di qua del Brennero fa parte geograficamente del Trentino, la
divisione di razza, di psiche, di costumi fra le due regioni non potrebbe
essere più profonda. .. Noi dobbiamo domandarci se per avere la linea
topograficamente perfetta (del Brennero) quando la buona (a Salorno) coincide
con la linea etnica, converrebbe all’Italia deporre entro i propri confini il
germe dell’irredentismo tedesco”.
“TACI, MULO!”
Durante una conferenza della direzione dei socialisti
trentini, tenutasi nel 1909, emersero grosse contraddizioni circa gli obiettivi
nazionalpolitici che il Partito doveva scegliere. Erano presenti sia Cesare
Battisti, esponente del Partito e deputato al Parlamento di Vienna, sia Benito
Mussolini, redattore capo del giornale socialista “Il Popolo”.
Cesare Battisti sosteneva l’autodeterminazione per la
popolazione di lingua italiana inserita nell’impero austro-ungarico fino al
confine linguistico di Salorno; Benito Mussolini sosteneva il confine statale
al Brennero. Battisti affermava un punto di vista etnico; Mussolini un punto di
vista imperialistico. Ne seguì un alterco.
Mussolini: “Al Brennero!”.
Battisti: “A Salorno!”.
Mussolini: “Al Brennero!”.
Battisti: “A Salorno!”.
Alla fine, Cesare Battisti, che presiedeva la conferenza,
sbottò, rivolto al redattore del “Popolo”:
“Taci, mulo!”.
PRIMO TRATTATO DELLA TRIPLICE ALLEANZA
Una stampa italiana che celebra l'accordo
sottolineandone la formula difensiva: "L'Alleanza tripla è la pace.
Le LL.MM. l’Imperatore d’Austria e di Ungheria,
l’imperatore di Germania e Re di Prussia, il Re d’Italia, animati dal desiderio
di accrescere le garanzie della pace generale, di rafforzare il principio
monarchico e di assicurare con ciò stesso il mantenimento intatto dell’ordine
sociale e politico nei loro Stati rispettivi, si sono accordati di concludere
un trattato che, per la sua natura essenzialmente conservatrice e difensiva,
non persegue che lo scopo di premunirli contro i pericoli che potrebbero
minacciare la sicurezza dei loro Stati e la tranquillità dell’Europa.
Art. I
– Le alte parti contraenti si promettono mutualmente pace ed amicizia, e non
entreranno in nessuna alleanza od impegno diretto contro alcuno dei loro Stati.
Esse s’impegnano a venire ad uno scambio di idee sulle questioni politiche ed
economiche di indole generale che potessero presentarsi, e si promettono
inoltre il loro mutuo appoggio nel limite dei loro propri interessi.
Art. II
– Nel caso che l’Italia, senza provocazione diretta da parte sua, fosse per un
qualunque motivo attaccata dalla Francia, le due altre parti contraenti saranno
tenute a prestare alla parte attaccata aiuto e assistenza con tutte le loro
forze. Questo stesso obbligo incomberà all’Italia nel caso di una aggressione,
non direttamente provocata, della Francia contro la Germania.
Art. III
– Se una o due parti contraenti, senza provocazione diretta da parte loro,
venissero ad essere attaccate e a trovarsi impegnate in una guerra con due o
più grandi Potenze non firmatarie del presente trattato, il “casus foederis” si
presenterà simultaneamente per tutte le altre parti contraenti.
Art. IV –
Nel caso che una grande potenza non firmataria del presente trattato
minacciasse la sicurezza degli Stati di una delle alte parti contraenti e la
parte minacciata si vedesse perciò costretta a farle guerra, le due altre parti
si obbligano ad osservare verso la loro alleata una neutralità benevola. In
questo caso ciascuna di esse si riserva la facoltà di prendere parte alla
guerra, se lo giudichi opportuno, per fare causa comune con il suo alleato.
Art. V
– Se la pace di una delle alte parti contraenti venisse ad essere minacciata
nelle circostanze previste dagli articoli precedenti, le alte parti contraenti
si concerteranno in tempo utile sulle misure militari da prendere in vista di
una eventuale cooperazione. Esse s’impegnano sin d’ora, in ogni caso di
partecipazione comune ad una guerra, a non concludere né armistizio né pace né
trattato, che di comune accordo tra di loro.
Art. VI
– Le alte parti contraenti si promettono vicendevolmente il segreto sul
contenuto e sull’esistenza del presente trattato.
Art. VII
– Il presente trattato resterà in vigore durante lo spazio di cinque anni, a
datare dal giorno dello scambio delle ratifiche.
Art. VIII
– Le ratifiche del presente trattato saranno scambiate a Vienna entro un
termine di tre settimane o prima se potrà farsi.
Vienna, 20 maggio
1882
firmato: Kàlnoky – H. VII di Reuss - C. di
Robilant
CONDIZIONI ALL’AUSTRIA PER LA NEUTRALITÀ DELL’ITALIA
Art. 1
– L’Austria-Ungheria cede all’Italia il Trentino coi confini che ebbe il Regno
Italico nel 1811, cioè dopo il trattato di Parigi del 28 febbraio 1810.
Art. 2
– Si procede ad una correzione a favore dell’Italia del suo confine orientale,
restando comprese nel territorio ceduto le città di Gradisca e Gorizia.
Art. 3
– La città di Trieste e il suo territorio che verrà esteso a nord fino a
comprendere Nabresina, in modo da combinare con la nuova frontiera italiana
(art. 2), e al sud tanto da comprendere gli attuali distretti giudiziari di
Capo d’Istria e Pirano, saranno costituiti in uno Stato autonomo e indipendente
nei riguardi politici internazionali, militari, legislativi, finanziari e
amministrativi, rinunziando l’Austria-Ungheria ad ogni sovranità su di esso.
Dovrà restare porto franco. Non vi potranno entrare milizie né
austro-ungariche, né italiane. Esso si assumerà una quota parte dell’attuale
debito pubblico austriaco in ragione della sua popolazione.
Art. 4
– L’Austria-Ungheria cede all’Italia il gruppo delle isole Curzolari,
comprendente Lissa
(e isolotti S. Andrea e Busi), Lesina (con Spalmadori e
Torcola), Curzola, Lagosta, Cazza e Meleda, oltre Pelagosa.
Art. 5
– L’Italia occuperà subito i territori cedutile (art. 1, 2, 4) e Trieste e il
suo territorio (art. 3) saranno sgombrati dalle autorità e dalle milìzie
austro-ungariche, con congedamento immediato dei militari di terra e di mare
che provengono da quelli e da questa.
Art. 6
– L’Austria-Ungheria riconosce piena sovranità italiana su Valona e sua baia
compreso Saseno, con quanto territorio nell’hinterland si richieda per la loro
difesa.
Art. 7
– L’Austria-Ungheria si disinteressa completamente dell’Albania compresa entro
i limiti tracciatile dalla Conferenza di Londra.
Art. 8
– L’Austria-Ungheria concederà completa amnistia e l’immediato rilascio di
tutti i condannati per ragioni militari e politiche provenienti dai territori
ceduti (art. 1, 2, 4) e sgombrati (art. 3).
Art. 9
– Per la liberazione dei territori ceduti (Art. 1, 2, 4) dalla loro quota parte
di obbligazione del debito pubblico austro-ungarico, nonché per il debito delle
pensioni ai cessati funzionari imperiali e reali, e contro l’integrale e immediato
passaggio al Regno d’Italia di ogni proprietà demaniale immobile e mobile, meno
le armi, riguardante detti territori, in quanto vi si riferiscono, sia nel
presente sia per l’avvenire, senza eccezione alcuna, l’Italia pagherà
all’Austria-Ungheria la somma capitale in oro di 200 milioni di lire italiane.
Art. 10
– L’Italia s’impegna a mantenere una perfetta neutralità durante tutta la
guerra nei riguardi dell’Austria-Ungheria e della Germania.
Art. 11
– Per tutta la durata della guerra, l’Italia rinunzia ad ogni facoltà di
invocare ulteriormente a proprio favore le disposizioni dell’articolo VII del
Trattato della Triplice Alleanza: e la stessa rinuncia fa l’Austria-Ungheria
per quanto riguarda l’avvenuta occupazione italiana delle isole del Dodecanneso.
Roma, 8 aprile
1915
Il Ministro degli Affari Esteri del Regno d’Italia
G. Sidney Sonnino
IL PATTO DI LONDRA
Art. 1
– Una convenzione militare sarà immediatamente conclusa fra gli Stati Maggiori
generali della Francia, della Gran Bretagna, dell’Italia, della Russia.
Art. 2
– Da parte sua l’Italia s’impegna ad impiegare la totalità delle sue risorse
nel perseguire la guerra in comune con la Francia, la Gran Bretagna, la Russia
contro tutti i loro nemici.
Art. 3
– (Flotte).
Art. 4 – Nel trattato di pace, l’Italia otterrà il
Trentino, il Tirolo cisalpino con la sua frontiera geografica e naturale (il
passo del Brennero), e inoltre Trieste, le Contee di Gorizia e di Gradisca,
tutta l’Istria fino al Quarnaro comprese Volosca e le isole istriane di Cherso,
Lussin, come pure le piccole isole di Plavnik, Unie, Canidole, Palazzuoli, San
Pietro dei Nembi, Asinelio, Grnica, e gli isolotti vicini (segue una nota sul
tracciato dalla frontiera).
Art. 5
– L’Italia otterrà ugualmente la Provincia di Dalmazia nei limiti
amministrativi attuali… Essa otterrà inoltre tutte le isole situate a Nord e ad
Ovest della Dalmazia… (segue l’enumerazione dei territori neutralizzati).
Nota - I
territori dell’Adriatico enumerati qui sotto saranno attribuiti dalle quattro
potenze alleate alla Croazia, alla Serbia, al Montenegro.
Nell’Alto Adriatico tutta la costa dalla baia di Volosca
alla frontiera settentrionale di Dalmazia comprendente il litorale attualmente
ungherese e tutta la costa di Croazia, col porto di Fiume e i piccoli porti di
Novi e di Capolago, nonché le isole di Veglia, Pervichio, Gregorio, Goti e Arbe.
E nel Basso Adriatico (nella regione interessante Serbia e Montenegro), tutta
la costa da capo Planka fino al fiume Drin, coi porti importanti di Spalato,
Ragusa, Cattaro, Antivari, Duicigno, San Giovanni di Medua, con le isole di
Zirona Grande, Zirona Piccola, Bua, Solla, Brazza, Jaclian, Calmotta. Il porto
di Durazzo resterà assegnato allo Stato
indipendente mussulmano di Albania.
Art. 6
– L’Italia riceverà l’intera sovranità su Valona, l’isola di Sasseno e un
territorio sufficientemente esteso per assicurare la difesa di questi punti.
Art. 7
– … L’Italia sarà incaricata di rappresentare lo Stato di Albania nelle sue
relazioni con l’estero…
Art. 8
– L’Italia riceverà l’intera sovranità sulle isole del Dodecanneso che essa
occupa attualmente.
Art. 9
– In una maniera generale, la Francia, la Gran Bretagna e la Russia riconoscono
che l’Italia è interessata al mantenimento dell’equilibrio nel Mediterraneo e
che essa dovrà, in caso di spartizione totale o parziale della Turchia d’Asia,
ottenere una parte equa nella regione mediterranea finitima alla provincia di
Adalia ove l’Italia ha già acquisito diritti e interessi che hanno formato
l’oggetto di una convenzione italo-britannica. Gli interessi dell’Italia
saranno ugualmente presi in considerazione nel caso che l’integrità
territoriale dell’impero ottomano fosse mantenuta e delle modifiche venissero
fatte alle zone d’interesse delle potenze.
Art. 10
– L’Italia sarà sostituita in Libia ai diritti e privilegi appartenenti
attualmente al Sultano in virtù del trattato di Losanna.
Art. 11
– L’Italia riceverà una parte corrispondente ai suoi sforzi e ai suoi sacrifici
nell’indennità di guerra eventuale.
Art. 13
– Nel caso che la Gran Bretagna e la Francia aumentassero i loro domini
coloniali in Africa a spese della Germania, queste due potenze riconoscono in
principio che l’Italia potrebbe esigere qualche equo compenso, segnatamente nel
regolamento in suo favore delle questioni concernenti le frontiere delle
colonie italiane dell’Eritrea, della Somalia, della Libia e delle colonie
vicine della Francia e della Gran Bretagna.
Art. 16
– Il presente accordo sarà tenuto segreto. L’adesione dell’Italia alla
dichiarazione del 5 settembre 1914 (escludente ogni pace separata) sarà sola
resa pubblica subito dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia o contro di
essa. Dopo aver preso atto del
soprastante memorandum, i rappresentanti della Francia, della Gran Bretagna, e
della Russia, debitamente autorizzati a questo effetto, hanno concluso col
rappresentante dell’Italia, parimenti autorizzato dal suo Governo, l’accordo
seguente: La Francia, la Gran Bretagna, la Russia, danno il loro pieno assenso
al memorandum presentato dal Governo italiano.
Riferendosi agli articoli 1, 2, 3, del memorandum, che
prevedono la cooperazione militare e navale delle quattro potenze, l’Italia
dichiara che essa entrerà in campagna al più presto possibile ed entro un
termine che non potrà eccedere un mese a datare dalla firma delle presenti.
Londra, 26 aprile 1915
firmato:
– Grey – Imperiali – Benckendorff –
Cambon
AVVERTIMENTO!
Manifesto
Molteplici sintomi
fanno dedurre, che dall’estero viene spiegata una viva attività per indurre i
prigionieri di guerra che si trovano in nostro potere ad evadere.
Giacchè con la fuga
dei prigionieri di guerra è congiunto un pericolo assai rilevante ed un grave
pregiudizio per la propria armata, si diffida nuovamente la popolazione a
cooperare nell’impedire la fuga di prigionieri di guerra, denunziando con
sollecitudine persone od eventi sospetti nonché arrestando persone sospette di
essere prigionieri di guerra evasi;
Chi invece favorisce
la fuga di prigionieri di guerra o tralascia di impedire la fuga o di
denunciarla, si rende colpevole del crimine contro la forza armata dello Stato
e viene punito severamente dal giudizio militare.
Si diffida dunque
chiunque, dal dar ricetto a prigionieri di guerra, dal somministrare loro il
vitto, insegnare loro la via, fornire loro indumenti o dall’aiutarli in
qualsiasi altro modo.
Giacché i
prigionieri di guerra si servono spesso di vestiti borghesi, è necessario, onde
evitare le severe conseguenze di legge, di usare la massima prudenza nel
trattare persone straniere.
INNSBRUCK, 9
novembre 1916.
I. r. Luogotenenza
per il Tirolo e Vorarlberg.
25 MAGGIO 1915: PRIMO GIORNO DI GUERRA
A BOLZANO
Il 25 maggio 1915, primo giorno di guerra, il sindaco di
Bolzano, dr. Julius Perathoner, fece affiggere il seguente manifesto, a
testimonianza della grande civiltà con cui era considerata la minoranza
italiana in quella regione:
«An meine Mitbürger! Unser Vaterland befindet sich seit
gestern im Kreigszustand mit unserem südlichen Nachbarn, mit welchem wir seit
40 Jahren in ungestörtrm Frieden, seit mehr als 30 Jahren in einem eugen,
ungestörten Freundschafts – und Bundesverhältnisse leben. Unser enges
Heimatland wird das Ziel seines blutigen Angriffes sein. Ich teile mit allen
meinem Mitbürgern die Gefühle, die sie angesichts dieses Friendensbruches gegen
die Schuldtragen den beherrscgen. Was ich aber nicht befreifen könnt u. auf das
schwerste missbilligen müsste, wäre eine Übertragung dieser gefühle auf die
wenig zahlreichen Beroher italienischer Zunge oder Abstammung, die gleich uns
Bürger dieses Staates sind oder lediglich in Ausübing ihres friedlichen Berufes
in unserer Mitte wohnen. Jeder Betätigung eines solchen Gefühles in Form einer
Verletzugn würde in Schärfster Werise entgegengetreten werden, abgesehen davon,
dass ein solches Vorgehen die deutsche Bürgerschaft Bozens verunehren würde».
“Ai miei concittadini! La nostra Patria si trova da ieri in
stato di guerra con il nostro vicino meridionale, con il quale da 40 anni
viviamo in indisturbata pace e da oltre 30 anni in strette e tranquille
relazioni di amicizia e di cooperazione. La nostra piccola Patria sarà
l’obiettivo della sua sanguinosa aggressione. Condivido con tutti i miei
concittadini i sentimenti che essi
nutrono contro i responsabili di questa violazione della pace. Ciò che non
potrei mai condividere e dovrei biasimare senza riserve sarebbe però il
riversare questi sentimenti contro i pochi abitanti di lingua e di origine
italiana, che come noi sono cittadini di questo Stato o, più semplicemente, vi
risiedono per esercitare pacificamente la loro professione. Ad ogni pratica
espressione di tale sentimento sotto forma di offese corrisponderebbe la più
severa sanzione, a prescindere dal fatto che un atteggiamento di questo tipo
disonorerebbe la popolazione tedesca di Bolzano.”
…MENTRE, A MILANO…
Al manifesto del sindaco Perathoner fanno da penoso e
mortificante contrappunto due episodi che riportiamo dalla stampa italiana del
tempo.
Da: “Il Corriere
della Sera”, Milano, lunedì 24 maggio 1915:
“Com’è noto, il ristorante ‘Gambrinus’ in Galleria si è
in questi giorni ornato all’esterno di tricolori e, a meglio affermare
l’italianità dell’azienda, all’insegna “Gambrinus Halle” è stata sostituita
quella di “Grande Italia”. La cosa non
ha però incontrato il gradimento di uno sconosciuto sulla trentina che verso le
ore 8.30 di ieri si è fermato ad assistere alla solita esposizione di tavolini
affidata a due camerieri dell’esercizio. Lo strano individuo, che appariva
esaltato ed eccitatissimo, si è dato ad ingiuriare il personale ed ha
pronunciato parole violentissime contro i proprietari accusandoli di far solo
per prudenza quello sfoggio di insegne nazionali. Due camerieri presi
particolarmente di mira, pazientato un poco, hanno poi cercato di calmarlo,
dimostrandogli che si tratta di un esercizio italiano, aggiungendo che tutto il
personale è pure italiano e che molti di quelli che lo compongono stanno per
andare sotto le armi. Lo sconosciuto parve arrendersi e si allontanò, ma per
riapparire pochi minuti dopo, riaprendo la serqua delle sue invettive. Fu
allora che uno dei camerieri, e precisamente tale Cesare Sacchi, il quale sta
pur per vestire l’uniforme, si scagliò contro di lui. Ne nacque una
colluttazione dalla quale l’ingiuratore uscì con un colpo di chiave sulla testa
che gli produsse una ferita non grave. Il ferito non volle dare le sue
generalità al vigile urbano intervenuto nell’incidente, né volle ricorrere ad
una Guardia medica, per cui è rimasto incognito. Data la località ed il clamore
sollevato dall’incidente, esso non poteva finire lì. Tra la folla addensatasi
sul luogo corsero subito le voci più disparate e prese consistenza quella che
si trattasse di un atto di prepotenza compiuto da un cameriere tedesco. E alcuni
fra i più eccitati assunsero un contegno così poco promettente da indurre alla
chiusura del ristorante – le cui saracinesche abbassate vennero piantonate dai
Carabinieri – in attesa dei provvedimenti dell’Autorità. Infatti mezz’ora dopo
il ristorante venne riaperto”.
Da: “Il Secolo”,
Milano, giovedì 27 maggio 1915:
“Iersera, poco dopo le 21, il pubblico che circolava
numerosissimo in piazza del Duomo e in Galleria V.E. notò sul tetto dell’Hotel
Metropole, situato, come si sa, sull’angolo delle vie Rastrelli e Cappellari,
una luce vivida e insistente. Il fatto insolito suscitò, dapprima, dei semplici
commenti. La maggior parte del pubblico era aliena dall’attribuire importanza
alla luce misteriosa; ma alcuni gruppi cominciarono a prospettare l’ipotesi che
quella luce potesse essere una segnalazione. Tale ipotesi circolò con
insistenza, si propagò rapidamente, si diffuse come un contagio. Gli esempi
dello spionaggio nemico negli altri teatri di guerra non potevano non creare
nella popolazione uno stato d’animo di grande diffidenza. E iersera, a poco a
poco, davanti all’Hotel Metropole si addensò una folla numerosissima e
minacciosa. L’Hotel era chiuso, scuro ed silenzioso. Solo la luce in alto
continuava a brillare. La folla richiese a gran voce che l’albergo venisse
aperto. Non ottenendo risposta, le prime file del grande assembramento
forzarono la porta d’ingresso principale che guarda in piazza del Duomo e la
porta laterale in via Rastrelli. La folla irruppe nell’interno. I locali erano
deserti. Il silenzio e l’oscurità esasperarono vivamente la folla che si
abbandonò ad atti di violenza mettendo a soqquadro la cucina, danneggiando
l’ascensore, contorcendo una ringhiera del primo piano, disordinando alcuni salotti.
Ma la luce in alto continuava a brillare; allora vennero tagliate le condutture
elettriche e la luce si spense. Frattanto, avvertiti da alcuni cittadini,
giungevano sul posto numerosi carabinieri con il loro Tenente Colonnello e
numerose Guardie con i Commissari Patella e Pastore. I funzionari si fecero
largo tra la folla ed iniziarono le ricerche nell’albergo. Il proprietario non
venne trovato. Furono invece trovati alcuni camerieri italiani i quali dissero
che nel posto illuminato, poco prima dell’invasione dell’albergo, il
proprietario si trovava a bere il thè con alcuni amici. Il Colonnello dei
Carabinieri tranquillizzò la folla che si ostinava contro il “Metropole”,
formulando il sospetto che fosse un covo di spie. Un individuo che pronunciò alcune
parole contro l’atteggiamento della folla, dovette essere portato in Questura
sotto la protezione dei Carabineri. Un altro, tale Ernesto Baier, di anni 22,
per la stessa ragione venne inseguito e circondato; alcuni soldati e Ufficiali
lo condussero a stento a S. Fedele, proteggendolo dall’ira popolare. Costui
disse d’essere nativo di S. Giovanni a Teduccio, mentre altri affermavano di
riconoscere in lui un tedesco. Venne trattenuto per informazioni (…)”
…“HIC MANEBIMUS OPTIME!”…
Discorso del Presidente del Consiglio Salandra
nell’agosto 1920 al Passo della Mendola: “Il compito del Trentino come
sentinella avanzata della Nazione non si esaurirà mai. La vostra lotta
continua. Dopo aver conquistato il Brennero con le armi (?!), lo dobbiamo
italianizzare completamente. Altrimenti la barriera alpina non ci è utile.
Dietro di voi ora c’è l’intera Nazione, che, nonostante tutte le
differenziazioni partitiche, sarà al vostro fianco al momento opportuno. Si
deve sempre far comprendere a chi parla un’altra lingua che il confine al
Brennero per noi è fuori discussione. Ora siamo ritornati sulle nostre montagne
dopo dodici secoli (sic!). Non vogliamo più scenderne. Qui vogliamo
rimanere per assicurare a noi stessi ed agli altri la pace”.
UNA CORONA TEDESCA PER BATTISTI
Il 17 novembre 1957, in occasione dell’adunata della
Sudtiroler Volkspartei a Bolzano, si verificò un curioso episodio: “Dinanzi al
monumento alla Vittoria si arrestò d’improvviso una vettura, e ne scesero
alcuni Schützen agghindati nelle pittoresche uniformi tirolesi. Con passo
militaresco si avviarono verso la scalea della brutta costruzione littoria,
richiamando l’attenzione di una pattuglia di Carabinieri, prontamente accorsa
nel timore di un attentato o di uno sfregio. Ma i militi della Benemerita
dovettero porre a verbale tutt’altro evento: gli Schützen (con a capo Sepp
Kerschbaumer, che nel 1961 coordinerà le forze dell’irredentismo tedesco in
Sudtirolo n.d.r.) erano latori di una corona che deposero con rispetto ai piedi
dell’erma di Cesare Battisti (voluta a Bolzano da B. Mussolini, come simbolo di
italianità), irrigidendosi nel saluto militare. Sul nastro bianco-rosso della
corona spiccava una scritta: Al difensore del confine di Salorno – I
Sudtirolesi”.
(“Il Mattino”, Napoli, 27 luglio 1967, Guido Piamonte)
LA FARSA DEL PASSO DI RESIA
Nel 1938 fu fatto costruire dai fascisti il
monumento-ossario al Passo di Resia. Nessuno dei soldati italiani era caduto
lassù. Le ossa vi furono trasportate da lontano. Altri ossari al Brennero e
nell’Alta Pusteria (Gossensass/Colle Isarco e Innichen/S. Candido) furono
costruiti esclusivamente per motivi politici. Diverse salme furono prese in consegna
nell’aprile e nel maggio 1938 dal Cappellano militare don Antonio Aimale per
incarico di “S.E. il Commissario del Governo per le onoranze ai caduti in
guerra”, per essere trasportate al Passo di Resia ed ivi essere sepolte quali
“combattenti per la libertà e il riscatto dell’Italia”. Don Aimale conferma inoltre l’esumazione dal cimitero
di S. Giacomo ed il trasferimento all’ossario di Passo Resia di 179 soldati
italiani che in buona parte risulteranno essere deceduti dopo la fine della
prima guerra mondiale.
SOLO RAGAZZI E ANZIANI A DIFESA DEL TIROLO
“Nel 1915, allo scoppio della guerra fra l’Austria e
l’Italia, il Tirolo era senza protezione militare perché le truppe regolari
erano impegnate sul fronte russo e serbo-croato. Erano rimasti nel territorio
non più di 20.000 uomini, fra unità militari e paramilitari. Si formò allora un
corpo di difesa come nel 1703, 1809, 1848, 1859, 1866, composto da uomini sotto
i 21 anni e sopra i 43, poiché tutti gli altri erano già stati arruolati. I 24.000 uomini che si riuscì a radunare (tra i
quali c’erano 3.400 Trentini) sopportarono sul fronte meridionale il peso
maggiore della difesa”
(da ‘‘Annuario dell’Alto-Adige – Periodico di informazione
del Consiglio e della Giunta provinciale dell’Alto Adige – Anno IX, 1981,
25-26, pag. 25).
Fonte:
Il Popolo d’Italia, 14 luglio 1916.
Il Corriere della Sera, 18 luglio 1916.
Il Giornale d’Italia, 18 luglio 1916.
La Tribuna, 18 luglio 1916.
Il Domani della Vallagarina, 20 ottobre 1920.
Il Domani della Vallagarina, 1 settembre 1920.
Etnie, anno VI, N° 10, Studio Editoriale, Milano,
1986.
Rivista della Società per gli Studi Trentini, anno
VIII, classe I, Fascicolo III, Grafiche Scotoni, Trento 1927.
AA.VV., Il martirio nel Trentino, Commissione
dell’Emigrazione Trentina, Milano, 1919.
AA.VV., Atti del convegno di studi su Cesare Battisti,
Temi, Trento, 1979.
Gaetano Arfè, Cesare Battisti, Temi, Trento, 1975.
Cesare Battisti, Epistolario, La Nuova Italia,
Firenze, 1966.
Dott. Cesare Battisti, Il Trentino, De Agostini,
Novara, 1917.
Camillo Battisti, Ernesta Bittanti Battisti
collaboratrice di Cesare Battisti, Saturnia, Trento, 1971. Ernesta B.
Battisti, Con Cesare attraverso l’Italia: agosto 1914, maggio 1915,
Garzanti, Milano, 1945.
Livia Battisti, Tre processi a Cesare Battisti,
Saturnia, Trento, 1971.
Maria Romana Catti Degasperi, Degasperi uomo solo,
Mondadori, Milano, 1964.
Oreste Ferrari, Martiri ed eroi trentini nella Guerra di
Redenzione, Legione Trentina, Trento, 1925.
Oreste Ferrari, Per l’Italia immortale: Cesare Battisti,
la sua terra e la sua gente, Legione Trentina, Trento, 1941.
Claus Gatterer, Cesare Battisti: ritratto di un alto
traditore, Europa Verlag, Vienna, 1967 – La Nuova Italia, Firenze, 1975.
Piero Pedrotti, Il Risorgimento nel Trentino,
Biblioteca Trentina, Trento, 1928.
Francesco Ruffini, Cesare Battisti, Sonzogno, Milano,
1918.
Enrico Tamanini, A tempi nuovi, nuove virtù, Circolo
Popolare, Rovereto, 1919.
Giuseppe Temisto, Perché si fa la Guerra?, Tuscania,
1918.
Leo Valiani, La dissoluzione dell’Austria- Ungheria,
Il Saggiatore, Milano, 1966.
Un Volontario Trentino, I martiri dell’Italia redenta,
Sironi, Milano, 1918.
Adolfo Zerboglio, Il martirio di Cesare Battisti,
Sironi, Milano, 1917.
Fonte: Da Etnie n° 13 del 1987
L’Arena di Verona lo ricorda così
I GIORNI VERONESI
DELL'ALPINO CESARE BATTISTI
Trentino, geografo,
socialista, interventista: il martire irredentista ha vissuto nella nostra
città mesi decisivi prima di cadere prigioniero e essere uccis. Presta giuramento
in città, lavora a Palazzo Carli, abita in vicolo Teatro Filarmonico, combatte
sull'Altissimo e sul Pasubio
Figura tra le più belle e dimenticate della nostra storia,
quasi che l'Italia contemporanea temesse il confronto con tanta grandezza o faticasse
a rapportarsi con la complessità del suo profilo ideologico, Cesare Battisti,
geografo, tribuno socialista trentino, apostolo dell'interventismo democratico,
martire irredentista, ha legato il proprio nome a quello di Verona in diverse
occasioni che hanno per baricentro la Grande Guerra e che nel loro complesso
risultano particolarmente significative.
Queste tappe veronesi della vita di Battisti racchiudono
infatti la parabola che dagli entusiasmi risorgimentali della campagna
interventista e delle prime esperienze militari lo porterà alla percezione del
lato oscuro e mostruoso di quella guerra fino alla scelta consapevole del
supplizio, ultima e unica via rimastagli per infliggere un colpo fatale
all'Austria svelandone la feroce violenza liberticida.
Nel corso della maratona oratoria che per nove mesi lo vedrà
percorrere tutta l'Italia invocando l'intervento al fianco di Francia e
Inghilterra in una guerra che completasse l'unità nazionale, abbattesse il
militarismo austro-tedesco e realizzasse l'ideale mazziniano di un'Europa
costruita sulla pacifica convivenza tra popoli liberi, il 16 ottobre 1914,
quarantottesimo anniversario dell'entrata delle truppe italiane, Battisti parla
a Verona.
Va detto che proprio Verona rappresentò il primo asilo per molti
esuli trentini e che fu un centro tra i più attivi nella rete organizzativa
degli irredenti che qui, come in altre città, avevano cominciato ad addestrarsi
in attesa di un prossimo arruolamento.
Il 29 maggio 1915 Battisti, soldato del 5° Alpini, parte per
il fronte. Dopo essersi distinto nel settore del Tonale, alle porte del suo
Trentino, in combattimenti di sapore ancora risorgimentale tra piccoli reparti
d'élite, trascorre un periodo sull'Adamello fino alla nomina a sottotenente.
Il giuramento da ufficiale lo presta il 18 novembre, a
Verona, al comando del 6° Alpini; la sera del 21 raggiunge sull'Altissimo, a
nord del Baldo, il plotone di cui gli è stato affidato il comando alla 258a
compagnia del battaglione «Val d'Adige».
Le impressioni che Battisti ricavò dall'incontro con gli
uomini al suo comando non furono delle più entusiasmanti e il paragone con gli
ex commilitoni dell'agguerritissima «cinquanta» («Se fossero qui i bei soldati lombardi e gli ufficiali che erano nella
“compagnia di ferro” del Battaglione Edolo!») faceva apparire ancor più
legittimi i dubbi sul livello operativo di quei “vecchi” richiamati.
«Il mio plotone è
tutto composto di montanari veronesi, gente molto espansiva e buona. Non mi
pare però d'aver da fare con dei leoni. Anzi! Per ora non è vicina alcuna prova
del fuoco e il compito che ci tocca è quello delle trincee e più ancora dei
servizi interni Ma, poiché c'è tempo voglio vedere se a queste «paparele»
riesco a fare qualche iniezione se non di eroici ardimenti, di coscienza della
nostra forza».
Nel giro di pochi giorni tuttavia, Battisti sarà felice di
poter fare ammenda per quella valutazione un po' affrettata («non mi troverò
male come credevo, perché, giudicando di prima impressione ho calunniato questi
buoni veronesi») stringendo con i suoi uomini un rapporto fraterno («Comincio a
far amicizia coi miei buoni soldati veronesi e circolando con loro minaccio di
disimparare il dialetto trentino per assumere la gorga veronese») e improntato
ad un sincero affetto.
«Stasera i soldati
parlavan tutti con grande nostalgia della fiera di S. Lucia e della scarpetta
da metter fuori della porta. Io avevo proposto al Capitano di fare per
l'occasione, giacché i veronesi tengon molto a S. Lucia, un po' di festa con
doni ai soldati, ma poi siamo stati dislocati lontani; di più egli è partigiano
del Natale. Così faremo la festa al Natale con relativo albero, un po' coi
fondi avanzo della Compagnia un po' con offerte nostre».
Con il suo reparto Battisti partecipa dunque all'avanzata
sulle linee di Loppio dove ha un primo contatto con gli aspetti più brutali di
quella nuova terribile guerra.
Dalla fine di gennaio del 1916, avuta assicurazione che a
primavera potrà tornare tra i suoi soldati, viene trasferito a Verona per
collaborare con l'ufficio informazioni dell’ Armata e preparare una serie di
monografie sul fronte trentino. Battisti lavora a Palazzo Carli e alloggia in
vicolo Teatro Filarmonico 14.
Nella nostra città non sta bene; l'impatto con l'ambiente
degli alti comandi come con la ferrea burocrazia di ufficiali da retrovia per
lui risulta addirittura pessimo.
«Ho fatto presente al
Capitano la mia speciale posizione perché ne tenesse conto nell'assegnarmi il
compito. Ed egli duro come un tedesco mi ha risposto: In attesa di più alti
compiti, bisogna faccia il servizio regolare di compagnia. Il che vuol dire che
domani sarò ufficiale di picchetto, che posdomani per tutto il giorno
sorveglierò, stando sull'Arena, le rondini, la nebbia e gli aeroplani, che
dopodomani soprintenderò alla spesa dal macellaio, dall'erbivendolo ecc., che
avrò da consumare ore e ore senza far niente».
A Udine per allertare Cadorna: «Ma non ci hanno creduto!» Partì per il Pasubio il 28 maggio '16 catturato il 10
luglio, giustiziato il 12
A far soffrire Cesare Battisti però è soprattutto la
lontananza forzata dalla prima linea, anche se nel corso di un'incursione aerea
si vedrà «capitare una bomba a 40 metri»
osservando con ironia come «anche a far
gli imboscati si può esser spediti al di là col direttissimo».
Nella cornice di questo disagio va contestualizzato il
severo giudizio su Verona che, in
una lettera, Battisti definirà «antipatica città austriacante»
cogliendone innati tratti di diffidente chiusura uniti alla nostalgia ancora diffusa, più o meno a ragione, per il benessere goduto ai tempi di Radetzky e
del suo Quadrilatero.
Nonostante tutto, Battisti lavora come sempre a ritmi
frenetici. In quei mesi, dagli interrogatori dei prigionieri e dalla percezione
di segnali sempre più inquietanti raccolti facendo la spola con gli altipiani,
va maturando la convinzione che gli austriaci stiano per preparare un attacco
in grande stile, quella che sarà poi in effetti la poderosa offensiva scatenata
sulle Prealpi vicentine con la Strafe-Expedition.
Per tre volte si reca a Udine cercando di mettere in allerta
Cadorna circa la minaccia mortale che incombeva sullo schieramento italiano, ma
nessuno lo ascolta.
Ernesta Bittanti ricorderà lo «sgomento» del marito per l'«incredulità del Comando Supremo» e «l'accento tragico della frase: 'Non ci hanno
creduto!'».
Nulla più di queste quattro parole potrebbe restituirci la
disperazione del soldato e del patriota costretto ad assistere impotente alla
cecità di chi reggeva i destini dell'Italia e delle sue armi; il dramma
dell'irredento che pensava alla sua terra in procinto di essere investita da un
devastante colpo di maglio; l'irrefrenabile moto di rivolta suscitato nell'uomo
di scienza, nell'illuminista, dal deliberato ignorare incontestabili dati di
fatto.
I giorni veronesi di Battisti sono dunque una tappa
fondamentale nella presa di coscienza che avrebbe demolito in lui gli
entusiasmi risorgimentali del maggio 1915 e delle sue «radiose giornate» rivelandogli prima l'irresponsabile mediocrità
delle alte gerarchie militari e poi, tornato in prima linea, la dimensione di
colossale tritacarne assunta da quella guerra, la sua violenza annichilente e
senza precedenti, il prezzo incommensurabile che stava esigendo, giorno dopo
giorno.
Al comando della seconda compagnia di Marcia, partendo dalla
caserma di via del Pontiere, deposito del 6° Alpini, Cesare Battisti lascia
Verona all'alba del 28 maggio 1916 per partecipare alla controffensiva italiana
nel settore Pasubio-Altipiani.
Il 10 luglio, al termine di uno sfortunato assalto condotto
dal battaglione «Vicenza» sul monte Corno di Vallarsa, è catturato insieme a un
altro ufficiale irredento, Fabio Filzi, che condividerà il suo destino.
Condotto al castello del Buon Consiglio di Trento e sottoposto a un
processo-farsa, nel tardo pomeriggio del 12 luglio, nel fossato della Cervara,
viene giustiziato con la bestiale tecnica dell'impiccagione per strangolamento.
Il suo ultimo grido, strozzato dal laccio del boia, sarà: «Viva Trento italiana! Viva l'Italia!».
Nell'autunno di quel fatale 1916 la morte del vecchio
imperatore Francesco Giuseppe lasciava presagire il tramonto dell'Austria e
degli Asburgo, quasi che le forche di Trento fossero state l'annuncio di un
destino ormai segnato.
Il 2 novembre 1918, a Villa Giusti nei pressi di Padova, i
plenipotenziari austriaci firmavano la resa delle armate imperiali; con una
scelta fortemente simbolica, l'ufficiale italiano incaricato di fare da
interprete era Giovan Battista Trener, il cognato di Cesare Battisti.
Il 3 novembre, vigilia della vittoria, le prime avanguardie
del nostro esercito entravano in Trento issando il tricolore sulla Torre
d'Augusto.
Verona, già nel 1916, era stata tra le prime città italiane
a voler ricordare Cesare Battisti con l'intitolazione della via precedentemente
denominata Collegio Angeli e con il monumento inaugurato il 16 ottobre in piazza
Indipendenza.
Oggi, a pochi metri dal luogo dove il 9 settembre 1943 la
Resistenza veronese avrebbe mosso i primi passi, l'effigie di Battisti dialoga
idealmente con quelle di Garibaldi e Matteotti ricordandoci la comune fede nei
valori di giustizia e libertà che unisce i combattenti e i martiri del
Risorgimento compiutosi nel 1918 a quelli dell'antifascismo e della guerra di
Liberazione. (S.B.)
Fonte: srs di Stefano Biguzzi, da L’Arena di Verona di domenica 05 ottobre
2014 CRONACA, pagina 25
Link: http://www.larena.it
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