lunedì 21 aprile 2014

CESARE BATTISTI E LA SUA GUERRA: TRAMONTO DI UN MITO



 Cesare  Battisti  e dietro  Fabio Filzi,  prigionieri,  scendono  scortati da Malga Zocchi;   10  Luglio  1916.





by Stefano B. Galli



Da fervente pacifista e neutralista a trascinante alfiere di un conflitto sciagurato e impopolare: la triste e tragica parabola di un uomo politico che, in contraddizione con la propria matrice ideale socialista, volle e perseguì con tutte le sue forze l’intervento in uno scontro bellico che solo ai suoi occhi poteva rappresentare la “quarta guerra d’indipendenza italiana”.
In effetti, sullo sfondo di un complesso e cinico gioco politico, di cui gli sfuggivano i veri termini, si trovò inconsapevolmente a essere prima lo strumento del militarismo espansionistico più oltranzista, poi il punto di riferimento di un nazionalismo retrivo che ancora oggi, e non solo nei ranghi della “destra”, non perde occasione per lanciare i suoi roboanti proclami. E tuttavia ogni ipotesi di confine al Brennero, successivamente ammantato di patria sacralità proprio in suo nome, lo trovò sempre ed energicamente contrario.


Quattro mesi prima della morte del vecchio Kaiser Francesco Giuseppe, si conclude drammaticamente la vicenda umana e politica di Cesare Battisti.
L’irredentista trentino, tenente della II Compagnia di marcia del V Reggimento degli alpini, deputato socialista di Trento al Parlamento di Vienna (Reichsrat) e alla Dieta provinciale del Tirolo (Landtag) a Innsbruck, sulla cui testa pende una taglia di 20.000 corone, viene catturato il 10 luglio 1916 nella zona del Monte Pasubio (a est di Rovereto), sul Monte Corno.
Narrano le cronache di parte austriaca che durante il combattimento di Monte Corno molti alpini del Battaglione Vicenza, sotto il fuoco incalzante dei Landesschützen, “si eclissarono, altri corsero con le braccia in alto nelle nostre (austriache n.d.r.) file, contraccambiando il loro Re col tradimento”.
Sono proprio i prigionieri a riferire agli Austriaci della presenza, tra le schiere italiane, di Cesare Battisti e Fabio Filzi, noti propugnatori d’italianità in terra tridentina.
Dalle linee dei Landesschützen (tiratori al bersaglio della Provincia del Tirolo, dipendenti dalla Dieta di Innsbruck) si stacca un gruppo di pochi uomini, in parte italiani per il riconoscimento, in parte austriaci per la cattura dei due irredentisti. Battisti e Filzi sono catturati e immediatamente riconosciuti come cittadini austriaci dai loro stessi compagni del Battaglione Vicenza. Il tenente austriaco che li arresta è il trentino Brunetto Franceschini, cadetto dei Kaiserjäger (cacciatori imperiali, dipendenti dal Ministero della Guerra di Vienna). Nei suoi racconti dell’azione, Franceschini parla sempre di “noi austriaci” e “loro italiani”.

Il “Risveglio Austriaco”, giornale della Fortezza di Trento, nell’edizione del 12 luglio 1916 scrive: “Ministri della giustizia e del diritto, i nostri Landesschützen tirolesi hanno preso i due agitatori (Battisti e Filzi) mentre, tramutatisi in ufficiali italiani, guidavano il nemico contro la loro Patria e compivano senza rimorso e senza vergogna il fratricidio”.
Lungo il percorso che da Monte Corno arriva ai Toldi, dove c’è la sede di un Comando di Divisione austriaco, da qui su di un carretto verso Aldeno, dove ha sede il Comando dell’XI Corpo d’Armata austriaco e poi finalmente a Trento, Battisti trova schierate ai margini delle strade giovani mogli e vecchie madri rimaste a casa sole, senza mariti e figli, impegnati al fronte, che lo ricoprono di insulti per aver voluto e in parte causato la guerra.
In quel viaggio, il prigioniero viene pesantemente apostrofato: “hund” (cane), “schuft” (briccone), “canaille” (canaglia), “porci, vigliacchi, traditori: avete fatto morire i nostri, ma adesso vi daremo le conferenze e le prediche per la Guerra”.
La popolazione trentina è infuriata contro Cesare Battisti. È convinta che gran parte delle restrizioni e delle sofferenze subite abbiano un solo responsabile che, con la sua fervente attività a favore della Guerra, ha fatto del Trentino un grande cimitero.
Battisti nel maggio 1915 aveva voluto che i soldati andassero “alla frontiera”. Ora le mamme e le mogli vogliono mandare lui “alla forca”.

Il 13 luglio 1916, il “Risveglio Austriaco” dedica ampi spazi all’impiccagione di Battisti e Filzi. Nello stesso numero indice una sottoscrizione che quantifica la riconoscenza dei Trentini ai soldati che hanno fatto prigionieri i due irredentisti. I promotori sono austriaci. I sottoscrittori prevalentemente di lingua italiana.
La causa del Trentino “irredento” ha trovato la sua ambientazione nei centri maggiori (Trento e Rovereto), ma è stata quasi sempre estranea al sentimento e alla coscienza dei contadini. Sono rari i casi in cui i Trentini, durante la dominazione della corona degli Asburgo, si siano ribellati.
La loro mentalità non li ha mai indotti a cercare a tutti i costi il cambiamento di una situazione politica da sempre ingiustamente e opportunisticamente definita oppressiva, che nella realtà dei fatti era tutt’altro che negativa.
Dal censimento tributario della divisione delle tasse incassate dal K.u.K. (Kaiserlich und Königlich: Imperiale e Regio) Ministero dell’Economia, gli Austriaci di lingua italiana sono annoverati al terzo posto con il 10,4% delle imposte. Il primo e il secondo posto della graduatoria sono occupati dai Tedeschi con il 63,4% e dai Cechi con il 19,2% delle imposte.
 L’Impero dell’aquila a due teste, soprattutto nella persona di Francesco Giuseppe, è sempre stato ben lontano dalla demagogia che attanaglia la maggior parte degli uomini politici della storia contemporanea. Il Governo dell’impero non ha curato la popolarità delle concessioni. Ha curato la sostanza. Ha concesso più sull’economico che sul sociale, senza mai travalicare i limiti della libertà dei sudditi. Voleva però una ferrea disciplina e un comportamento serio e leale.
La dignità, il civismo dei Trentini della Corona, nel primo decennio del Novecento, assolutamente non ammettono lezioni, sul piano sociale, da parte dell’“Italietta giolittiana”.
Sullo sfondo sociale della “gestione” austriaca in Trentino, c’è da considerare anche il miglioramento del tenore di vita. In quegli anni si verifica un notevole livellamento sociale. Lo scarto tra aristocrazia e popolo, altrove ancora assai ampio, si riduce sensibilmente.
La partecipazione alla vita politica dell’impero gode di un impulso democratico. L’espressione dei diversi strati sociali è molto eterogenea con la nuova partecipazione dei socialisti alle assemblee della Dieta di Innsbruck e del Parlamento di Vienna. Il Partito Socialista di Battisti si inserisce nel rapporto ormai cristallizzato tra i cattolici popolari e i nazional-liberali.
Nel 1895 (il 15 novembre) esce “L’Avvenire”, primo giornale socialista del Trentino, che chiuderà nel giugno 1896. Dal primo ottobre 1896 rinascerà come “Avvenire del Lavoratore” e verrà stampato a Rovereto anziché a Vienna. Prima, però, c’era stato l’infelice tentativo della “Rivista Popolare Trentina”. Il primo numero di questa rivista battistiana, il giorno 2 febbraio 1895, è stato tutto sequestrato. Ma il vero quotidiano dei socialisti trentini diretto da Battisti, sarà “Il Popolo”, pubblicato dal 7 aprile 1900 al 25 agosto 1914 (giorno in cui le rotative saranno fermate per motivi bellici).
Nel 1897 si assiste in tutte le province dell’impero ad una crescita dei cattolici.
Nello stesso anno il cattolico Karl Lüger viene confermato sindaco di Vienna. Nel 1899 nasce l’Associazione Universitaria Cattolica Trentina. Tra gli iscritti c’è anche Alcide De Gasperi.
Proprio durante il decennio di fine secolo, con il nobile rispetto dovuto alla pluralità dei suoi popoli, l’Austria permette di erigere in Trento un monumento a Dante Alighieri, dedicato al Padre della lingua italiana, “affermazione e simbolo del pensiero italiano ” (come è scritto alla base della statua). L’inaugurazione, che avviene a Trento l’11 ottobre 1896, è una vera e propria festa per tutto il Trentino di lingua italiana.
Le autorità austriache non sono sorde a questi impulsi, tendenti a far uscire il Trentino da quel provincialismo che lo attanaglia nella vita quotidiana, e si apprestano a qualche concessione. Tant’è vero che i cittadini di lingua italiana,  2,7% della popolazione dell’impero, sono rappresentati nel Parlamento di Vienna dal 3% di tutti i membri.
Nel 1884 (per un motivo di politica internazionale, la Triplice Alleanza), l’Assessorato alla Cultura (Landeskulturamt) si divide in due sezioni: una trentina (con sede in Trento), l’altra austrotirolese. Cosi avviene contemporaneamente anche per il Provveditorato Provinciale agli Studi.
L’autonomia del Trentino potrebbe concretarsi nel 1902. Il neoeletto Luogotenente della Dieta, Erwin Von Schwartzenau, con uno slancio generoso e intelligente verso le istanze autonomistiche dei Trentini, insieme a un gruppo di deputati austrotirolesi elabora una nuova risoluzione del problema. La Giunta Provinciale di Trento, nata per conferire una maggior autonomia alla provincia di Trento, raggiunge il numero di quattro rappresentanti a Innsbruck, contro i sette del Tirolo austriaco (formato dalla provincia del Sudtirolo e dalla provincia del Vorarlberg).  
La Dieta concede alla neonata Giunta Provinciale di Trento la gestione dei problemi delle scuole elementari, dei Comuni, della Previdenza Sociale, dell’igiene e della Sanità, nonché la possibilità di investire in opere idrauliche, nell’agricoltura e artigianato, nell’industria e commercio, gli introiti provenienti dalle imposte.
Ma i Trentini respingono questa larga ipotesi di rinnovamento in quanto i Distretti di Cortina d’Ampezzo, di Pieve di Livinallongo, della Val di Fassa, del Comune di Luserna, della Val dei Mocheni e delle due valli ladine (la Gardena e la Badia), parte integrante del Sud-tirolo, rimangono sotto la gestione dei sette rappresentanti austro tirolesi.
In campo scolastico l’amministrazione austriaco-trentina delle scuole elementari aveva già dimostrato di funzionare bene con la Riforma del 1884. Alla fine dell’Ottocento, l’analfabetismo raggiunge il quindici per cento dei Trentini sopra i sei anni d’età. In Italia, nello stesso periodo, le persone che non sanno né leggere né scrivere sono sessanta su cento. “Se le cose vanno bene non c’è motivo di cambiarle” è la logica deduzione dei contadini che abitano le pendici dei monti del Trentino, prudenti di fronte ad imprevedibili cambiamenti.

Nel 1911 Cesare Battisti viene eletto deputato del Reichsrat di Vienna nel collegio Tirolo 6 (a Trento città).
Tre anni più tardi, nella primavera del 1914, Battisti è eletto anche rappresentante del Trentino nella Dieta Tirolese di Innsbruck.
Il 12 giugno 1914, a qualche settimana dall’attentato di Sarajevo all’arciduca austriaco Francesco Ferdinando, alla Dieta Tirolese si sta dibattendo sull’aumento del contingente dei Tiroler Landesschützen (tiratori al bersaglio della Provincia del Tirolo, dipendenti dalla Dieta di Innsbruck) nella regione trentina. Battisti da socialista antimilitarista si oppone  “per convinzione teorica e per ragioni di principio”. Anzi, l’irredentista tuona con fiera voce contro “le colossali (sic!) opere militari iniziate dall’Austria con carattere di offesa”. Conclude il suo discorso con queste parole: “La mia fede antimilitarista vale per ogni paese del mondo”.

Al primo rinnovo quinquennale della Triplice Alleanza (1882-1887), il Ministro degli Affari Esteri italiano, il conte di Robilant, aveva imposto quale clausola aggiuntiva del patto, che, qualora l’Austria avesse avuto dei vantaggi territoriali nella Penisola Balcanica, avrebbe concesso benefici all’Italia nelle terre di lingua italiana.

Ma Battisti definisce la Triplice “una cosa inutile” e decide di passare all’azione.
Difatti il 12 agosto 1914, due mesi dopo l’animata assemblea della Dieta di Innsbruck, ottenuto facilmente il regolare passaporto dalle autorità austriache, varca il confine e viene in Italia.
Nel Regno trova un’atmosfera di guerra fredda.
I dubbi, le tensioni e le paure che pervadono gli animi e travagliano la vita del paese reale, paralizzano anche il lavoro politico del paese legale. II Parlamento d’Italia ha cominciato da poco le trattative diplomatiche con l’Austria. Salandra, Presidente del Consiglio, ha proposto all’Austria la neutralità dell’Italia durante la Guerra appena cominciata, in cambio dell’annessione del Trentino. Per quegli Italiani che hanno sempre atteso l’annessione attraverso un complotto diplomatico, la proposta del loro Governo rappresenta una vittoria. Ma i neutralisti devono fare i conti con gli interventisti.
Grazie a una campagna politica costruita sul comportamento inerte dei neutralisti, gli interventisti si assicurano ben presto il consenso delle grandi masse. Battisti si aggrega immediatamente al gruppo interventista. Tra i capitali interventisti del Regno trova alta considerazione perché “Egli è trentino, e quale parola, quale voce può valere la Sua?”.
Da interventista protagonista molto ascoltato, riesce a coronare un preciso disegno politico che ha già applicato a Trento. Gli articoli, gli opuscoli, i comizi, gli appelli di Battisti sono rivolti al popolo e al Governo.

Il primo ottobre 1914, Battisti spedisce una lettera (firmata anche dai trentini Giovanni Pedrotti, Presidente della Società Alpinisti Tridentini, e Guido Larcher, Presidente della Lega Nazionale) a tutti i senatori e deputati del Parlamento del Regno d’Italia.
Appellandosi al cosiddetto “amor patrio” delle masse, Battisti sollecita il Governo italiano all’intervento bellico a fianco di Gran Bretagna, Francia e Russia per annettere finalmente il Trentino. Nel “maggio radioso” il confronto tra interventisti e neutralisti raggiunge il massimo attrito in seguito al rifiuto di Francesco Giuseppe di pagare la neutralità italiana con la cessione del Trentino. La guerra fredda è ormai cruenta guerra civile.

Il 17 maggio 1915, Battisti è con Gabriele d’Annunzio in un comizio sul Colle del Campidoglio. Finito il discorso del “Vate”, la folla riconosce al suo fianco l’irredentista e lo acclama a gran voce. Battisti risponde con chiare e concise parole. Indicando col braccio l’Oriente, esplode: “Alla frontiera, Italiani, con la spada e col cuore!”.
 Battisti, che a Innsbruck era stato antimilitarista, ora paradossalmente è diventato interventista convinto.
L’azione extraparlamentare che si svolge violenta e prepotente in piazza, tra la folla piuttosto che tra i deputati, aggredisce il Governo italiano, ostinato nella sua posizione di neutralità.
Gli interventisti vincono la guerra civile.
Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’impero Austro-Ungarico. Battisti è contento:

Italia e Austria si contenderanno il Trentino con le armi.

La sentenza di Innsbruck a questo punto è completa:

“L’Avvocato Dott. Cesare Battisti, trentino, deputato a Vienna, perseguitato con mandato di cattura per i suoi proclami inconsiderati, fu uno dei più accaniti aizzatori, in Italia, contro la Monarchia Absburgica, firmando (…) un appello del Comitato dell’Emigrazione Trentina a tutti i deputati della Camera italiana” che conteneva “frasi di alto tradimento. Il Dott. Battisti (…) è da considerarsi uno dei maggiori colpevoli dello scoppio della Guerra con l’Italia” (Innsbruck, 8 febbraio 1916).  
Battisti a Innsbruck e a Vienna aveva spesso provocato l’impero di Francesco Giuseppe per costringerlo a concedere il Trentino all’Italia. Ma i Trentini temevano che l’Italia, già piena di problemi, abbandonasse il Trentino ad un degrado economico, sociale, politico ed istituzionale, che l’Austria aveva sempre cercato di evitare.
L’amministrazione austriaca aveva cominciato infatti a proteggere il lavoro delle donne e dei bambini fin dal 1874 (in Italia verrà protetto col Regio Decreto numero 41, votato il 29 febbraio 1904).
In Austria, i lavoratori erano assicurati contro gli infortuni fin dal 1887 (in Italia gli infortuni verranno tutelati a partire dal 1903).
La giornata lavorativa austriaca era di 11 ore, contro le 16 italiane.
Bisogna notare poi che Trento sino al primo decennio del secolo non è austriaca solo sotto l’aspetto politico. Lo è anche e soprattutto sotto il profilo culturale.
Inoltre dal censimento del 1921 emerge che su 232.600 abitanti, in provincia di Bolzano la popolazione di lingua tedesca è di 202.400 anime, quella di lingua italiana 20.300, quella di lingua ladina 9.900.
Nella lettura dei risultati di questo censimento bisogna tenere bene in considerazione che nel 1921 l’annessione dell’“Alto Adige” al Regno d’Italia è avvenuta ormai da tre anni.
I funzionari e gli uomini della burocrazia austriaca sono già oltre il Brennero, ma la supremazia dei Tedeschi è netta. Sui Ladini poi l’irredentismo non ha mai fatto presa. Durante e dopo il conflitto mondiale per la liberazione del Trentino, infatti, i Ladini rimangono legati affettivamente all’Austria, così come la maggior parte dei Sudtirolesi di lingua italiana.
Questo nel 1921, due anni dopo la Pace di Saint Germain, che ha decretato “l’italianità” del Trentino e dell’Alto Adige. Figuriamoci prima, ai tempi di Battisti, quando a Trento c’era ancora il Prefetto che veniva da Vienna.

Ma Battisti, sebbene esperto geografo e geologo del Trentino, non tiene conto, purtroppo, di questi dati di fatto. Vuole diffondere in Trentino il socialismo e la dottrina della II Internazionale.
Proprio come stanno facendo in Italia i suoi “compagni” socialisti, che giungeranno a risultati positivi solo durante il primo decennio del Novecento, grazie alle oculate concessioni di Giovanni Giolitti.
Contro l’annessione, apostolo dell’autonomia, è schierato invece Alcide De Gasperi, che si batte per inculcare nei Trentini una “coscienza nazionale positiva”. In questa formula è riposto l’intento di stimolare la difesa dell’autonomia, la difesa dell’individualità e unicità della regione trentina. Lo sosterrà anche dopo l’annessione. “Bisogna conservare l’autonomia delle terre ormai redente” è il pensiero di Alcide De Gasperi.
Ed è proprio la “coscienza nazionale positiva” che manca a Cesare Battisti. Il suo sentimento nazionale oltrepassa i limiti dell’irrispetto e dell’odio per il sentimento nazionale austriaco: è ultranazionalismo. È fragorosa lotta contro l’“oppressore” per allontanarlo. Per lui l’annessione è sinonimo di guerra e di morti, non di tavoli di conferenze come voleva De Gasperi a Vienna o Giolitti a Roma.
A De Gasperi e a chi vuole l’“ autonomia diplomatica” del Trentino, Battisti risponde: “Dimenticateci se volete, ma non dite che noi non vogliamo staccarci dall’Austria. È un’offesa e una bestemmia”.
Benito Mussolini, socialista, interventista, che aveva lavorato con Battisti alla redazione de “Il Popolo”, sostiene che l’unico modo di annettere con onore il Trentino all’Italia, è la guerra. Negli scritti di tutt’e due affiora però la consapevolezza che “la guerra riduce e più ridurrà il Trentino a un deserto e un cimitero”.

Il socialismo di Battisti prima ha tentato la rivoluzione politica del Trentino. Poi ha voluto l’aggressione militare. Battisti si è arruolato come volontario nell’esercito italiano il 29 maggio 1915, per combattere in prima persona contro il nemico. Ha combattuto, si è fatto arrestare. È salito al patibolo con dignità, ignorando tutti i cimiteri di guerra sparsi per le belle montagne del Trentino.
La logica dell’irredentismo voleva la sua morte affrontata con “animo impavido”, quale coronamento di una vita concretamente vissuta per l’irredentismo. “Solo la morte poteva dare al suo sacrificio politico quel significato pieno e supremo che egli voleva e che nessuna prodezza sua di soldato gli avrebbe mai potuto conferire”.
Battisti, che aveva fatto giuramento mazziniano il 12 luglio 1901, era consapevole di oltrepassare i limiti di giustizia di uno Stato. Infatti, nella prima settimana del luglio 1916, quando stava combattendo con il V Reggimento Alpini nell’assedio di Monte Corno, confidava all’amico Filzi: “Eviteremo d’esser fatti prigionieri, ma se l’Austria ci prenderà, sarà questo per lei peggio di una battaglia perduta”.
Forte di quest’idea, andò incontro al capestro con un fanatico e ingiustificato sentimento di “vittoria”. Così, Cesare Battisti il 12 luglio 1916, nell’impiccagione nel cortile del Castello del Buon Consiglio a Trento, alle ore 19 e 14 minuti, chiudeva la sua “battaglia”.
Si apriva a quel punto il giudizio della Storia e la gestione della sua immagine. Per gli interventisti, i militaristi e gli ultranazionalisti la sua vicenda diventava la pietra angolare della futura “Italia imperiale”.
A settant’anni da quei fatti, lontani dalle passioni e dalle influenze del tempo, si può affermare che Cesare Battisti fu politico mediocre e poco perspicace, militare ingenuo e scarsamente fortunato. In definitiva, un altro mito verso il tramonto.

Bibliografia
Il Corriere della sera 22 settembre 1915
Il risveglio Austriaco, 23 giugno 2015



KAISER FRANZ JOSEF

KAISER FRANZ JOSEF


‘‘Per grazia di Dio Imperatore d’Austria; Re d’Ungheria e di Boemia; Re di Lombardia e Venezia, di Dalmazia, Croazia, Schiavonia, Galizia, Lodomiria ed Illiria, e di Gerusalemme; Arciduca d’Austria; Granduca di Toscana e Cracovia; Duca di Lorena, Salisburgo, Stiria, Corinzia, Corniola e Bucovina; Gran Principe di Transilvania; Margravio di Moravia; Duca dell’Atta e Bassa Slesia, di Modena, Parma, Piacenza, Guastalla, d’Auschwitz e Zator, di Teschen, del Friuli, di Ragusa e Zara; Conte Principesco d’Absburgo, del Tirolo, di Kyburg, Gorizia e Gradisca; Principe di Trento e Bressanone; Margravio dell’Alta e Bassa Lusazia, e d’Itstria; Conte di Hohenembs, Felkirch, Bregenz, Sonnenberg; Signore di Trieste, di Cattaro, della Marca dei Vendi; Gran Voivoda del Voivodato di Serbia



DOVE IL CONFINE?

Salorno


Il  1 gennaio 1915, Battisti scrisse a Gaetano Salvemini: “In merito all’Alto Adige, io penso che senza paure si possa difendere oggi il confine napoleonico (Merano-Bolzano; Bressanone-Bolzano n.d.r.). Ho dei dubbi su un confine più a Nord. Pubblicamente non li espongo, perché non tocca a me, irredento, toglier valore al programma massimo degli irredenti. Militarmente il confine del Brennero è formidabile; il confine napoleonico piuttosto debole; il confine linguistico puro, a Salorno, assai buono.  Credo che una difesa del territorio, qualora si andasse nell’Alto Adige, si dovrebbe farla da questo confine interno, abbandonando Bolzano. Ma il giudizio è molto arrischiato”.
Salvemini pubblicò su “L’Unità ” le sue riflessioni attorno alla lettera di Battisti il 18 gennaio 1919 in un articolo dai titolo “Alto Adige”:
“Dunque Cesare Battisti si permetteva di avere dei dubbi sul problema del’Alto Adige. Il confine del Brennero lo riteneva militarmente formidabile; ma evidentemente, pensava che il criterio militare non deve essere unica guida nei problemi internazionali: la volontà nazionale della popolazione da includere nel confine deve aver anch ’essa il suo peso. Perciò Battisti avrebbe preferito il confine napoleonico, che passava sopra Bolzano, sebbene fosse “piuttosto debole”; ma dietro questo confine c’è un’altra linea, a sud di Bolzano, quella così detta di Salorno, “assai buona”, che coincide col confine linguistico, e dietro cui l’esercito italiano farebbe la difesa. Queste idee, nel gennaio 1915, Battisti non le esponeva pubblicamente: raccoglieva tutte le sue forze nella campagna per l’intervento, e non voleva, lui irredento, alimentare dissidi, opponendosi a quello che chiamava il programma massimo dell’irredentismo. Ma nel volume “Il Trentino”…, datato 24 maggio 1915, distingueva nettamente il Trentino dall’Alto Adige, e non dedicava neanche una parola alla descrizione  dell’Alto Adige”.
 Anche l’ex Ministro della Guerra, on. Leonida Bissolati, sposava le posizioni di Battisti e di Salvemini.
 In un discorso tenuto il giorno 11 gennaio 1919 presso il Teatro alla Scala di Milano, Bissolati disse:
 “Le mie convinzioni riguardo all’annessione di quella parte del Tirolo tedesco che va da Bolzano al Brennero sono divise da pochi. Sono forse le convinzioni di un solitario. Ma so che le condividono alcuni miei amici tridentini che erano fratelli nella fede e nell’azione di Cesare Battisti. D’altronde è vero che se il Tirolo al di qua del Brennero fa parte geograficamente del Trentino, la divisione di razza, di psiche, di costumi fra le due regioni non potrebbe essere più profonda. .. Noi dobbiamo domandarci se per avere la linea topograficamente perfetta (del Brennero) quando la buona (a Salorno) coincide con la linea etnica, converrebbe all’Italia deporre entro i propri confini il germe dell’irredentismo tedesco”.




“TACI, MULO!”


 Testimonianze del rapporto epistolare tra Mussolini e Cesare Battisti - rarissima cartolina postale del 17 ottobre 1909




Durante una conferenza della direzione dei socialisti trentini, tenutasi nel 1909, emersero grosse contraddizioni circa gli obiettivi nazionalpolitici che il Partito doveva scegliere. Erano presenti sia Cesare Battisti, esponente del Partito e deputato al Parlamento di Vienna, sia Benito Mussolini, redattore capo del giornale socialista “Il Popolo”.
Cesare Battisti sosteneva l’autodeterminazione per la popolazione di lingua italiana inserita nell’impero austro-ungarico fino al confine linguistico di Salorno; Benito Mussolini sosteneva il confine statale al Brennero. Battisti affermava un punto di vista etnico; Mussolini un punto di vista imperialistico. Ne seguì un alterco.
Mussolini: “Al Brennero!”.
Battisti: “A Salorno!”.
Mussolini: “Al Brennero!”.
Battisti: “A Salorno!”.
Alla fine, Cesare Battisti, che presiedeva la conferenza, sbottò, rivolto al redattore del “Popolo”: 
Taci, mulo!”.



PRIMO TRATTATO DELLA TRIPLICE ALLEANZA


Una stampa italiana che celebra l'accordo sottolineandone la formula difensiva: "L'Alleanza tripla è la pace.



Le LL.MM. l’Imperatore d’Austria e di Ungheria, l’imperatore di Germania e Re di Prussia, il Re d’Italia, animati dal desiderio di accrescere le garanzie della pace generale, di rafforzare il principio monarchico e di assicurare con ciò stesso il mantenimento intatto dell’ordine sociale e politico nei loro Stati rispettivi, si sono accordati di concludere un trattato che, per la sua natura essenzialmente conservatrice e difensiva, non persegue che lo scopo di premunirli contro i pericoli che potrebbero minacciare la sicurezza dei loro Stati e la tranquillità dell’Europa.

Art. I – Le alte parti contraenti si promettono mutualmente pace ed amicizia, e non entreranno in nessuna alleanza od impegno diretto contro alcuno dei loro Stati. Esse s’impegnano a venire ad uno scambio di idee sulle questioni politiche ed economiche di indole generale che potessero presentarsi, e si promettono inoltre il loro mutuo appoggio nel limite dei loro propri interessi.

Art. II – Nel caso che l’Italia, senza provocazione diretta da parte sua, fosse per un qualunque motivo attaccata dalla Francia, le due altre parti contraenti saranno tenute a prestare alla parte attaccata aiuto e assistenza con tutte le loro forze. Questo stesso obbligo incomberà all’Italia nel caso di una aggressione, non direttamente provocata, della Francia contro la Germania.

Art. III – Se una o due parti contraenti, senza provocazione diretta da parte loro, venissero ad essere attaccate e a trovarsi impegnate in una guerra con due o più grandi Potenze non firmatarie del presente trattato, il “casus foederis” si presenterà simultaneamente per tutte le altre parti contraenti.

Art. IV – Nel caso che una grande potenza non firmataria del presente trattato minacciasse la sicurezza degli Stati di una delle alte parti contraenti e la parte minacciata si vedesse perciò costretta a farle guerra, le due altre parti si obbligano ad osservare verso la loro alleata una neutralità benevola. In questo caso ciascuna di esse si riserva la facoltà di prendere parte alla guerra, se lo giudichi opportuno, per fare causa comune con il suo alleato.

Art. V – Se la pace di una delle alte parti contraenti venisse ad essere minacciata nelle circostanze previste dagli articoli precedenti, le alte parti contraenti si concerteranno in tempo utile sulle misure militari da prendere in vista di una eventuale cooperazione. Esse s’impegnano sin d’ora, in ogni caso di partecipazione comune ad una guerra, a non concludere né armistizio né pace né trattato, che di comune accordo tra di loro.

Art. VI – Le alte parti contraenti si promettono vicendevolmente il segreto sul contenuto e sull’esistenza del presente trattato.

Art. VII – Il presente trattato resterà in vigore durante lo spazio di cinque anni, a datare dal giorno dello scambio delle ratifiche.

Art. VIII – Le ratifiche del presente trattato saranno scambiate a Vienna entro un termine di tre settimane o prima se potrà farsi.


Vienna, 20 maggio 1882                                         firmato:  Kàlnoky – H. VII di Reuss - C. di Robilant



CONDIZIONI ALL’AUSTRIA PER LA NEUTRALITÀ DELL’ITALIA


Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!



Art. 1 – L’Austria-Ungheria cede all’Italia il Trentino coi confini che ebbe il Regno Italico nel 1811, cioè dopo il trattato di Parigi del 28 febbraio 1810.

Art. 2 – Si procede ad una correzione a favore dell’Italia del suo confine orientale, restando comprese nel territorio ceduto le città di Gradisca e Gorizia.

Art. 3 – La città di Trieste e il suo territorio che verrà esteso a nord fino a comprendere Nabresina, in modo da combinare con la nuova frontiera italiana (art. 2), e al sud tanto da comprendere gli attuali distretti giudiziari di Capo d’Istria e Pirano, saranno costituiti in uno Stato autonomo e indipendente nei riguardi politici internazionali, militari, legislativi, finanziari e amministrativi, rinunziando l’Austria-Ungheria ad ogni sovranità su di esso. Dovrà restare porto franco. Non vi potranno entrare milizie né austro-ungariche, né italiane. Esso si assumerà una quota parte dell’attuale debito pubblico austriaco in ragione della sua popolazione.

Art. 4 – L’Austria-Ungheria cede all’Italia il gruppo delle isole Curzolari, comprendente Lissa
(e isolotti S. Andrea e Busi), Lesina (con Spalmadori e Torcola), Curzola, Lagosta, Cazza e Meleda, oltre Pelagosa.

Art. 5 – L’Italia occuperà subito i territori cedutile (art. 1, 2, 4) e Trieste e il suo territorio (art. 3) saranno sgombrati dalle autorità e dalle milìzie austro-ungariche, con congedamento immediato dei militari di terra e di mare che provengono da quelli e da questa.

Art. 6 – L’Austria-Ungheria riconosce piena sovranità italiana su Valona e sua baia compreso Saseno, con quanto territorio nell’hinterland si richieda per la loro difesa.

Art. 7 – L’Austria-Ungheria si disinteressa completamente dell’Albania compresa entro i limiti tracciatile dalla Conferenza di Londra.

Art. 8 – L’Austria-Ungheria concederà completa amnistia e l’immediato rilascio di tutti i condannati per ragioni militari e politiche provenienti dai territori ceduti (art. 1, 2, 4) e sgombrati (art. 3).

Art. 9 – Per la liberazione dei territori ceduti (Art. 1, 2, 4) dalla loro quota parte di obbligazione del debito pubblico austro-ungarico, nonché per il debito delle pensioni ai cessati funzionari imperiali e reali, e contro l’integrale e immediato passaggio al Regno d’Italia di ogni proprietà demaniale immobile e mobile, meno le armi, riguardante detti territori, in quanto vi si riferiscono, sia nel presente sia per l’avvenire, senza eccezione alcuna, l’Italia pagherà all’Austria-Ungheria la somma capitale in oro di 200 milioni di lire italiane.

Art. 10 – L’Italia s’impegna a mantenere una perfetta neutralità durante tutta la guerra nei riguardi dell’Austria-Ungheria e della Germania.

Art. 11 – Per tutta la durata della guerra, l’Italia rinunzia ad ogni facoltà di invocare ulteriormente a proprio favore le disposizioni dell’articolo VII del Trattato della Triplice Alleanza: e la stessa rinuncia fa l’Austria-Ungheria per quanto riguarda l’avvenuta occupazione italiana delle isole del Dodecanneso.


Roma, 8 aprile 1915                                                 Il Ministro degli Affari Esteri del Regno d’Italia
                                                                                                              G. Sidney Sonnino



IL PATTO DI LONDRA



Patto di Londra: territori accordati


Art. 1 – Una convenzione militare sarà immediatamente conclusa fra gli Stati Maggiori generali della Francia, della Gran Bretagna, dell’Italia, della Russia.

Art. 2 – Da parte sua l’Italia s’impegna ad impiegare la totalità delle sue risorse nel perseguire la guerra in comune con la Francia, la Gran Bretagna, la Russia contro tutti i loro nemici.

Art. 3 – (Flotte).

Art. 4 – Nel trattato di pace, l’Italia otterrà il Trentino, il Tirolo cisalpino con la sua frontiera geografica e naturale (il passo del Brennero), e inoltre Trieste, le Contee di Gorizia e di Gradisca, tutta l’Istria fino al Quarnaro comprese Volosca e le isole istriane di Cherso, Lussin, come pure le piccole isole di Plavnik, Unie, Canidole, Palazzuoli, San Pietro dei Nembi, Asinelio, Grnica, e gli isolotti vicini (segue una nota sul tracciato dalla frontiera).

Art. 5 – L’Italia otterrà ugualmente la Provincia di Dalmazia nei limiti amministrativi attuali… Essa otterrà inoltre tutte le isole situate a Nord e ad Ovest della Dalmazia… (segue l’enumerazione dei territori neutralizzati).
Nota - I territori dell’Adriatico enumerati qui sotto saranno attribuiti dalle quattro potenze alleate alla Croazia, alla Serbia, al Montenegro.
Nell’Alto Adriatico tutta la costa dalla baia di Volosca alla frontiera settentrionale di Dalmazia comprendente il litorale attualmente ungherese e tutta la costa di Croazia, col porto di Fiume e i piccoli porti di Novi e di Capolago, nonché le isole di Veglia, Pervichio, Gregorio, Goti e Arbe. E nel Basso Adriatico (nella regione interessante Serbia e Montenegro), tutta la costa da capo Planka fino al fiume Drin, coi porti importanti di Spalato, Ragusa, Cattaro, Antivari, Duicigno, San Giovanni di Medua, con le isole di Zirona Grande, Zirona Piccola, Bua, Solla, Brazza, Jaclian, Calmotta. Il porto di Durazzo resterà assegnato allo  Stato indipendente mussulmano di Albania.

Art. 6 – L’Italia riceverà l’intera sovranità su Valona, l’isola di Sasseno e un territorio sufficientemente esteso per assicurare la difesa di questi punti.

Art. 7 – … L’Italia sarà incaricata di rappresentare lo Stato di Albania nelle sue relazioni con l’estero…

Art. 8 – L’Italia riceverà l’intera sovranità sulle isole del Dodecanneso che essa occupa attualmente.

Art. 9 – In una maniera generale, la Francia, la Gran Bretagna e la Russia riconoscono che l’Italia è interessata al mantenimento dell’equilibrio nel Mediterraneo e che essa dovrà, in caso di spartizione totale o parziale della Turchia d’Asia, ottenere una parte equa nella regione mediterranea finitima alla provincia di Adalia ove l’Italia ha già acquisito diritti e interessi che hanno formato l’oggetto di una convenzione italo-britannica. Gli interessi dell’Italia saranno ugualmente presi in considerazione nel caso che l’integrità territoriale dell’impero ottomano fosse mantenuta e delle modifiche venissero fatte alle zone d’interesse delle potenze.

Art. 10 – L’Italia sarà sostituita in Libia ai diritti e privilegi appartenenti attualmente al Sultano in virtù del trattato di Losanna.

Art. 11 – L’Italia riceverà una parte corrispondente ai suoi sforzi e ai suoi sacrifici nell’indennità di guerra eventuale.

Art. 13 – Nel caso che la Gran Bretagna e la Francia aumentassero i loro domini coloniali in Africa a spese della Germania, queste due potenze riconoscono in principio che l’Italia potrebbe esigere qualche equo compenso, segnatamente nel regolamento in suo favore delle questioni concernenti le frontiere delle colonie italiane dell’Eritrea, della Somalia, della Libia e delle colonie vicine della Francia e della Gran Bretagna.

Art. 16 – Il presente accordo sarà tenuto segreto. L’adesione dell’Italia alla dichiarazione del 5 settembre 1914 (escludente ogni pace separata) sarà sola resa pubblica subito dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia o contro di essa.  Dopo aver preso atto del soprastante memorandum, i rappresentanti della Francia, della Gran Bretagna, e della Russia, debitamente autorizzati a questo effetto, hanno concluso col rappresentante dell’Italia, parimenti autorizzato dal suo Governo, l’accordo seguente: La Francia, la Gran Bretagna, la Russia, danno il loro pieno assenso al memorandum presentato dal Governo italiano.
Riferendosi agli articoli 1, 2, 3, del memorandum, che prevedono la cooperazione militare e navale delle quattro potenze, l’Italia dichiara che essa entrerà in campagna al più presto possibile ed entro un termine che non potrà eccedere un mese a datare dalla firma delle presenti.

Londra, 26 aprile 1915                                            firmato: – Grey – ImperialiBenckendorff Cambon




AVVERTIMENTO!


Manifesto


Molteplici sintomi fanno dedurre, che dall’estero viene spiegata una viva attività per indurre i prigionieri di guerra che si trovano in nostro potere ad evadere.

Giacchè con la fuga dei prigionieri di guerra è congiunto un pericolo assai rilevante ed un grave pregiudizio per la propria armata, si diffida nuovamente la popolazione a cooperare nell’impedire la fuga di prigionieri di guerra, denunziando con sollecitudine persone od eventi sospetti nonché arrestando persone sospette di essere prigionieri di guerra evasi;

Chi invece favorisce la fuga di prigionieri di guerra o tralascia di impedire la fuga o di denunciarla, si rende colpevole del crimine contro la forza armata dello Stato e viene punito severamente dal giudizio militare.

Si diffida dunque chiunque, dal dar ricetto a prigionieri di guerra, dal somministrare loro il vitto, insegnare loro la via, fornire loro indumenti o dall’aiutarli in qualsiasi altro modo.

Giacché i prigionieri di guerra si servono spesso di vestiti borghesi, è necessario, onde evitare le severe conseguenze di legge, di usare la massima prudenza nel trattare persone straniere.

INNSBRUCK, 9 novembre 1916.

I. r. Luogotenenza
per il Tirolo e Vorarlberg.





25 MAGGIO 1915: PRIMO GIORNO DI GUERRA







A BOLZANO

Il 25 maggio 1915, primo giorno di guerra, il sindaco di Bolzano, dr. Julius Perathoner, fece affiggere il seguente manifesto, a testimonianza della grande civiltà con cui era considerata la minoranza italiana in quella regione: 

«An meine Mitbürger! Unser Vaterland befindet sich seit gestern im Kreigszustand mit unserem südlichen Nachbarn, mit welchem wir seit 40 Jahren in ungestörtrm Frieden, seit mehr als 30 Jahren in einem eugen, ungestörten Freundschafts – und Bundesverhältnisse leben. Unser enges Heimatland wird das Ziel seines blutigen Angriffes sein. Ich teile mit allen meinem Mitbürgern die Gefühle, die sie angesichts dieses Friendensbruches gegen die Schuldtragen den beherrscgen. Was ich aber nicht befreifen könnt u. auf das schwerste missbilligen müsste, wäre eine Übertragung dieser gefühle auf die wenig zahlreichen Beroher italienischer Zunge oder Abstammung, die gleich uns Bürger dieses Staates sind oder lediglich in Ausübing ihres friedlichen Berufes in unserer Mitte wohnen. Jeder Betätigung eines solchen Gefühles in Form einer Verletzugn würde in Schärfster Werise entgegengetreten werden, abgesehen davon, dass ein solches Vorgehen die deutsche Bürgerschaft Bozens verunehren würde».

“Ai miei concittadini! La nostra Patria si trova da ieri in stato di guerra con il nostro vicino meridionale, con il quale da 40 anni viviamo in indisturbata pace e da oltre 30 anni in strette e tranquille relazioni di amicizia e di cooperazione. La nostra piccola Patria sarà l’obiettivo della sua sanguinosa aggressione. Condivido con tutti i miei concittadini  i sentimenti che essi nutrono contro i responsabili di questa violazione della pace. Ciò che non potrei mai condividere e dovrei biasimare senza riserve sarebbe però il riversare questi sentimenti contro i pochi abitanti di lingua e di origine italiana, che come noi sono cittadini di questo Stato o, più semplicemente, vi risiedono per esercitare pacificamente la loro professione. Ad ogni pratica espressione di tale sentimento sotto forma di offese corrisponderebbe la più severa sanzione, a prescindere dal fatto che un atteggiamento di questo tipo disonorerebbe la popolazione tedesca di Bolzano.”


…MENTRE, A MILANO…


Al manifesto del sindaco Perathoner fanno da penoso e mortificante contrappunto due episodi che riportiamo dalla stampa italiana del tempo.

Da: “Il Corriere della Sera”, Milano, lunedì 24 maggio 1915:

“Com’è noto, il ristorante ‘Gambrinus’ in Galleria si è in questi giorni ornato all’esterno di tricolori e, a meglio affermare l’italianità dell’azienda, all’insegna “Gambrinus Halle” è stata sostituita quella di “Grande Italia”.  La cosa non ha però incontrato il gradimento di uno sconosciuto sulla trentina che verso le ore 8.30 di ieri si è fermato ad assistere alla solita esposizione di tavolini affidata a due camerieri dell’esercizio. Lo strano individuo, che appariva esaltato ed eccitatissimo, si è dato ad ingiuriare il personale ed ha pronunciato parole violentissime contro i proprietari accusandoli di far solo per prudenza quello sfoggio di insegne nazionali. Due camerieri presi particolarmente di mira, pazientato un poco, hanno poi cercato di calmarlo, dimostrandogli che si tratta di un esercizio italiano, aggiungendo che tutto il personale è pure italiano e che molti di quelli che lo compongono stanno per andare sotto le armi. Lo sconosciuto parve arrendersi e si allontanò, ma per riapparire pochi minuti dopo, riaprendo la serqua delle sue invettive. Fu allora che uno dei camerieri, e precisamente tale Cesare Sacchi, il quale sta pur per vestire l’uniforme, si scagliò contro di lui. Ne nacque una colluttazione dalla quale l’ingiuratore uscì con un colpo di chiave sulla testa che gli produsse una ferita non grave. Il ferito non volle dare le sue generalità al vigile urbano intervenuto nell’incidente, né volle ricorrere ad una Guardia medica, per cui è rimasto incognito. Data la località ed il clamore sollevato dall’incidente, esso non poteva finire lì. Tra la folla addensatasi sul luogo corsero subito le voci più disparate e prese consistenza quella che si trattasse di un atto di prepotenza compiuto da un cameriere tedesco. E alcuni fra i più eccitati assunsero un contegno così poco promettente da indurre alla chiusura del ristorante – le cui saracinesche abbassate vennero piantonate dai Carabinieri – in attesa dei provvedimenti dell’Autorità. Infatti mezz’ora dopo il ristorante venne riaperto”.
           
Da: “Il Secolo”, Milano, giovedì 27 maggio 1915:

“Iersera, poco dopo le 21, il pubblico che circolava numerosissimo in piazza del Duomo e in Galleria V.E. notò sul tetto dell’Hotel Metropole, situato, come si sa, sull’angolo delle vie Rastrelli e Cappellari, una luce vivida e insistente. Il fatto insolito suscitò, dapprima, dei semplici commenti. La maggior parte del pubblico era aliena dall’attribuire importanza alla luce misteriosa; ma alcuni gruppi cominciarono a prospettare l’ipotesi che quella luce potesse essere una segnalazione. Tale ipotesi circolò con insistenza, si propagò rapidamente, si diffuse come un contagio. Gli esempi dello spionaggio nemico negli altri teatri di guerra non potevano non creare nella popolazione uno stato d’animo di grande diffidenza. E iersera, a poco a poco, davanti all’Hotel Metropole si addensò una folla numerosissima e minacciosa. L’Hotel era chiuso, scuro ed silenzioso. Solo la luce in alto continuava a brillare. La folla richiese a gran voce che l’albergo venisse aperto. Non ottenendo risposta, le prime file del grande assembramento forzarono la porta d’ingresso principale che guarda in piazza del Duomo e la porta laterale in via Rastrelli. La folla irruppe nell’interno. I locali erano deserti. Il silenzio e l’oscurità esasperarono vivamente la folla che si abbandonò ad atti di violenza mettendo a soqquadro la cucina, danneggiando l’ascensore, contorcendo una ringhiera del primo piano, disordinando alcuni salotti. Ma la luce in alto continuava a brillare; allora vennero tagliate le condutture elettriche e la luce si spense. Frattanto, avvertiti da alcuni cittadini, giungevano sul posto numerosi carabinieri con il loro Tenente Colonnello e numerose Guardie con i Commissari Patella e Pastore. I funzionari si fecero largo tra la folla ed iniziarono le ricerche nell’albergo. Il proprietario non venne trovato. Furono invece trovati alcuni camerieri italiani i quali dissero che nel posto illuminato, poco prima dell’invasione dell’albergo, il proprietario si trovava a bere il thè con alcuni amici. Il Colonnello dei Carabinieri tranquillizzò la folla che si ostinava contro il “Metropole”, formulando il sospetto che fosse un covo di spie. Un individuo che pronunciò alcune parole contro l’atteggiamento della folla, dovette essere portato in Questura sotto la protezione dei Carabineri. Un altro, tale Ernesto Baier, di anni 22, per la stessa ragione venne inseguito e circondato; alcuni soldati e Ufficiali lo condussero a stento a S. Fedele, proteggendolo dall’ira popolare. Costui disse d’essere nativo di S. Giovanni a Teduccio, mentre altri affermavano di riconoscere in lui un tedesco. Venne trattenuto per informazioni (…)”



 …“HIC MANEBIMUS OPTIME!”…



Antonio Salandra



Discorso del Presidente del Consiglio Salandra nell’agosto 1920 al Passo della Mendola: “Il compito del Trentino come sentinella avanzata della Nazione non si esaurirà mai. La vostra lotta continua. Dopo aver conquistato il Brennero con le armi (?!), lo dobbiamo italianizzare completamente. Altrimenti la barriera alpina non ci è utile. Dietro di voi ora c’è l’intera Nazione, che, nonostante tutte le differenziazioni partitiche, sarà al vostro fianco al momento opportuno. Si deve sempre far comprendere a chi parla un’altra lingua che il confine al Brennero per noi è fuori discussione. Ora siamo ritornati sulle nostre montagne dopo dodici secoli (sic!). Non vogliamo più scenderne. Qui vogliamo rimanere per assicurare a noi stessi ed agli altri la pace”.


UNA CORONA TEDESCA PER BATTISTI




Bolzano Monumento alla Vittoria


Il 17 novembre 1957, in occasione dell’adunata della Sudtiroler Volkspartei a Bolzano, si verificò un curioso episodio: “Dinanzi al monumento alla Vittoria si arrestò d’improvviso una vettura, e ne scesero alcuni Schützen agghindati nelle pittoresche uniformi tirolesi. Con passo militaresco si avviarono verso la scalea della brutta costruzione littoria, richiamando l’attenzione di una pattuglia di Carabinieri, prontamente accorsa nel timore di un attentato o di uno sfregio. Ma i militi della Benemerita dovettero porre a verbale tutt’altro evento: gli Schützen (con a capo Sepp Kerschbaumer, che nel 1961 coordinerà le forze dell’irredentismo tedesco in Sudtirolo n.d.r.) erano latori di una corona che deposero con rispetto ai piedi dell’erma di Cesare Battisti (voluta a Bolzano da B. Mussolini, come simbolo di italianità), irrigidendosi nel saluto militare. Sul nastro bianco-rosso della corona spiccava una scritta: Al difensore del confine di Salorno – I Sudtirolesi”.
(“Il Mattino”, Napoli, 27 luglio 1967, Guido Piamonte)



LA FARSA DEL PASSO DI RESIA


Originale della lettera di don Aimale


Nel 1938 fu fatto costruire dai fascisti il monumento-ossario al Passo di Resia. Nessuno dei soldati italiani era caduto lassù. Le ossa vi furono trasportate da lontano. Altri ossari al Brennero e nell’Alta Pusteria (Gossensass/Colle Isarco e Innichen/S. Candido) furono costruiti esclusivamente per motivi politici.  Diverse salme furono prese in consegna nell’aprile e nel maggio 1938 dal Cappellano militare don Antonio Aimale per incarico di “S.E. il Commissario del Governo per le onoranze ai caduti in guerra”, per essere trasportate al Passo di Resia ed ivi essere sepolte quali “combattenti per la libertà e il riscatto dell’Italia”.  Don Aimale conferma inoltre l’esumazione dal cimitero di S. Giacomo ed il trasferimento all’ossario di Passo Resia di 179 soldati italiani che in buona parte risulteranno essere deceduti dopo la fine della prima guerra mondiale. 



SOLO RAGAZZI E ANZIANI A DIFESA DEL TIROLO



Reparto austriaco con giovani reclute, anno di guerra 1914



“Nel 1915, allo scoppio della guerra fra l’Austria e l’Italia, il Tirolo era senza protezione militare perché le truppe regolari erano impegnate sul fronte russo e serbo-croato. Erano rimasti nel territorio non più di 20.000 uomini, fra unità militari e paramilitari. Si formò allora un corpo di difesa come nel 1703, 1809, 1848, 1859, 1866, composto da uomini sotto i 21 anni e sopra i 43, poiché tutti gli altri erano già stati arruolati.  I  24.000 uomini che si riuscì a radunare (tra i quali c’erano 3.400 Trentini) sopportarono sul fronte meridionale il peso maggiore della difesa”
(da ‘‘Annuario dell’Alto-Adige – Periodico di informazione del Consiglio e della Giunta provinciale dell’Alto Adige – Anno IX, 1981, 25-26, pag. 25).



Fonte:

Il Popolo d’Italia, 14 luglio 1916.

Il Corriere della Sera, 18 luglio 1916.

Il Giornale d’Italia, 18 luglio 1916.

La Tribuna, 18 luglio 1916.

Il Domani della Vallagarina, 20 ottobre 1920.

Il Domani della Vallagarina, 1 settembre 1920.

Etnie, anno VI, N° 10, Studio Editoriale, Milano, 1986.

Rivista della Società per gli Studi Trentini, anno VIII, classe I, Fascicolo III, Grafiche Scotoni, Trento 1927.

AA.VV., Il martirio nel Trentino, Commissione dell’Emigrazione Trentina, Milano, 1919.

AA.VV., Atti del convegno di studi su Cesare Battisti, Temi, Trento, 1979.

Gaetano Arfè, Cesare Battisti, Temi, Trento, 1975.

Cesare Battisti, Epistolario, La Nuova Italia, Firenze, 1966.

Dott. Cesare Battisti, Il Trentino, De Agostini, Novara, 1917.

Camillo Battisti, Ernesta Bittanti Battisti collaboratrice di Cesare Battisti, Saturnia, Trento, 1971. Ernesta B. Battisti, Con Cesare attraverso l’Italia: agosto 1914, maggio 1915, Garzanti, Milano, 1945.

Livia Battisti, Tre processi a Cesare Battisti, Saturnia, Trento, 1971.

Maria Romana Catti Degasperi, Degasperi uomo solo, Mondadori, Milano, 1964.

Oreste Ferrari, Martiri ed eroi trentini nella Guerra di Redenzione, Legione Trentina, Trento, 1925.

Oreste Ferrari, Per l’Italia immortale: Cesare Battisti, la sua terra e la sua gente, Legione Trentina, Trento, 1941.

Claus Gatterer, Cesare Battisti: ritratto di un alto traditore, Europa Verlag, Vienna, 1967 – La Nuova Italia, Firenze, 1975.

Piero Pedrotti, Il Risorgimento nel Trentino, Biblioteca Trentina, Trento, 1928.

Francesco Ruffini, Cesare Battisti, Sonzogno, Milano, 1918.

Enrico Tamanini, A tempi nuovi, nuove virtù, Circolo Popolare, Rovereto, 1919.

Giuseppe Temisto, Perché si fa la Guerra?, Tuscania, 1918.

Leo Valiani, La dissoluzione dell’Austria- Ungheria, Il Saggiatore, Milano, 1966.

Un Volontario Trentino, I martiri dell’Italia redenta, Sironi, Milano, 1918.

Adolfo Zerboglio, Il martirio di Cesare Battisti, Sironi, Milano, 1917.



Fonte: Da Etnie n° 13  del  1987






L’Arena di Verona lo ricorda così


I GIORNI VERONESI DELL'ALPINO CESARE BATTISTI



Cesare Battisti



Trentino, geografo, socialista, interventista: il martire irredentista ha vissuto nella nostra città mesi decisivi prima di cadere prigioniero e essere uccis. Presta giuramento in città, lavora a Palazzo Carli, abita in vicolo Teatro Filarmonico, combatte sull'Altissimo e sul Pasubio



Figura tra le più belle e dimenticate della nostra storia, quasi che l'Italia contemporanea temesse il confronto con tanta grandezza o faticasse a rapportarsi con la complessità del suo profilo ideologico, Cesare Battisti, geografo, tribuno socialista trentino, apostolo dell'interventismo democratico, martire irredentista, ha legato il proprio nome a quello di Verona in diverse occasioni che hanno per baricentro la Grande Guerra e che nel loro complesso risultano particolarmente significative.

Queste tappe veronesi della vita di Battisti racchiudono infatti la parabola che dagli entusiasmi risorgimentali della campagna interventista e delle prime esperienze militari lo porterà alla percezione del lato oscuro e mostruoso di quella guerra fino alla scelta consapevole del supplizio, ultima e unica via rimastagli per infliggere un colpo fatale all'Austria svelandone la feroce violenza liberticida.

Nel corso della maratona oratoria che per nove mesi lo vedrà percorrere tutta l'Italia invocando l'intervento al fianco di Francia e Inghilterra in una guerra che completasse l'unità nazionale, abbattesse il militarismo austro-tedesco e realizzasse l'ideale mazziniano di un'Europa costruita sulla pacifica convivenza tra popoli liberi, il 16 ottobre 1914, quarantottesimo anniversario dell'entrata delle truppe italiane, Battisti parla a Verona.

Va detto che proprio Verona rappresentò il primo asilo per molti esuli trentini e che fu un centro tra i più attivi nella rete organizzativa degli irredenti che qui, come in altre città, avevano cominciato ad addestrarsi in attesa di un prossimo arruolamento.

Il 29 maggio 1915 Battisti, soldato del 5° Alpini, parte per il fronte. Dopo essersi distinto nel settore del Tonale, alle porte del suo Trentino, in combattimenti di sapore ancora risorgimentale tra piccoli reparti d'élite, trascorre un periodo sull'Adamello fino alla nomina a sottotenente.

Il giuramento da ufficiale lo presta il 18 novembre, a Verona, al comando del 6° Alpini; la sera del 21 raggiunge sull'Altissimo, a nord del Baldo, il plotone di cui gli è stato affidato il comando alla 258a compagnia del battaglione «Val d'Adige».

Le impressioni che Battisti ricavò dall'incontro con gli uomini al suo comando non furono delle più entusiasmanti e il paragone con gli ex commilitoni dell'agguerritissima «cinquanta» («Se fossero qui i bei soldati lombardi e gli ufficiali che erano nella “compagnia di ferro” del Battaglione Edolo!») faceva apparire ancor più legittimi i dubbi sul livello operativo di quei “vecchi” richiamati.

«Il mio plotone è tutto composto di montanari veronesi, gente molto espansiva e buona. Non mi pare però d'aver da fare con dei leoni. Anzi! Per ora non è vicina alcuna prova del fuoco e il compito che ci tocca è quello delle trincee e più ancora dei servizi interni Ma, poiché c'è tempo voglio vedere se a queste «paparele» riesco a fare qualche iniezione se non di eroici ardimenti, di coscienza della nostra forza».

Nel giro di pochi giorni tuttavia, Battisti sarà felice di poter fare ammenda per quella valutazione un po' affrettata («non mi troverò male come credevo, perché, giudicando di prima impressione ho calunniato questi buoni veronesi») stringendo con i suoi uomini un rapporto fraterno («Comincio a far amicizia coi miei buoni soldati veronesi e circolando con loro minaccio di disimparare il dialetto trentino per assumere la gorga veronese») e improntato ad un sincero affetto.

«Stasera i soldati parlavan tutti con grande nostalgia della fiera di S. Lucia e della scarpetta da metter fuori della porta. Io avevo proposto al Capitano di fare per l'occasione, giacché i veronesi tengon molto a S. Lucia, un po' di festa con doni ai soldati, ma poi siamo stati dislocati lontani; di più egli è partigiano del Natale. Così faremo la festa al Natale con relativo albero, un po' coi fondi avanzo della Compagnia un po' con offerte nostre».

Con il suo reparto Battisti partecipa dunque all'avanzata sulle linee di Loppio dove ha un primo contatto con gli aspetti più brutali di quella nuova terribile guerra.

Dalla fine di gennaio del 1916, avuta assicurazione che a primavera potrà tornare tra i suoi soldati, viene trasferito a Verona per collaborare con l'ufficio informazioni dell’ Armata e preparare una serie di monografie sul fronte trentino. Battisti lavora a Palazzo Carli e alloggia in vicolo Teatro Filarmonico 14.

Nella nostra città non sta bene; l'impatto con l'ambiente degli alti comandi come con la ferrea burocrazia di ufficiali da retrovia per lui risulta addirittura pessimo.

«Ho fatto presente al Capitano la mia speciale posizione perché ne tenesse conto nell'assegnarmi il compito. Ed egli duro come un tedesco mi ha risposto: In attesa di più alti compiti, bisogna faccia il servizio regolare di compagnia. Il che vuol dire che domani sarò ufficiale di picchetto, che posdomani per tutto il giorno sorveglierò, stando sull'Arena, le rondini, la nebbia e gli aeroplani, che dopodomani soprintenderò alla spesa dal macellaio, dall'erbivendolo ecc., che avrò da consumare ore e ore senza far niente».



AVEVA CAPITO CHE GLI AUSTRIACI STAVANO PREPARANDO UN GRANDE ATTACCO





A Udine per allertare Cadorna: «Ma non ci hanno creduto!» Partì per il Pasubio il 28 maggio '16 catturato il 10 luglio, giustiziato il 12



A far soffrire Cesare Battisti però è soprattutto la lontananza forzata dalla prima linea, anche se nel corso di un'incursione aerea si vedrà «capitare una bomba a 40 metri» osservando con ironia come «anche a far gli imboscati si può esser spediti al di là col direttissimo».

Nella cornice di questo disagio va contestualizzato il severo giudizio su Verona che, in una lettera, Battisti definirà «antipatica città austriacante» cogliendone innati tratti di diffidente chiusura uniti alla nostalgia ancora diffusa, più o meno a ragione, per il benessere goduto ai tempi di Radetzky e del suo Quadrilatero.

Nonostante tutto, Battisti lavora come sempre a ritmi frenetici. In quei mesi, dagli interrogatori dei prigionieri e dalla percezione di segnali sempre più inquietanti raccolti facendo la spola con gli altipiani, va maturando la convinzione che gli austriaci stiano per preparare un attacco in grande stile, quella che sarà poi in effetti la poderosa offensiva scatenata sulle Prealpi vicentine con la Strafe-Expedition.

Per tre volte si reca a Udine cercando di mettere in allerta Cadorna circa la minaccia mortale che incombeva sullo schieramento italiano, ma nessuno lo ascolta.

Ernesta Bittanti ricorderà lo «sgomento» del marito per l'«incredulità del Comando Supremo» e «l'accento tragico della frase: 'Non ci hanno creduto!'».
Nulla più di queste quattro parole potrebbe restituirci la disperazione del soldato e del patriota costretto ad assistere impotente alla cecità di chi reggeva i destini dell'Italia e delle sue armi; il dramma dell'irredento che pensava alla sua terra in procinto di essere investita da un devastante colpo di maglio; l'irrefrenabile moto di rivolta suscitato nell'uomo di scienza, nell'illuminista, dal deliberato ignorare incontestabili dati di fatto.

I giorni veronesi di Battisti sono dunque una tappa fondamentale nella presa di coscienza che avrebbe demolito in lui gli entusiasmi risorgimentali del maggio 1915 e delle sue «radiose giornate» rivelandogli prima l'irresponsabile mediocrità delle alte gerarchie militari e poi, tornato in prima linea, la dimensione di colossale tritacarne assunta da quella guerra, la sua violenza annichilente e senza precedenti, il prezzo incommensurabile che stava esigendo, giorno dopo giorno.

Al comando della seconda compagnia di Marcia, partendo dalla caserma di via del Pontiere, deposito del 6° Alpini, Cesare Battisti lascia Verona all'alba del 28 maggio 1916 per partecipare alla controffensiva italiana nel settore Pasubio-Altipiani.

Il 10 luglio, al termine di uno sfortunato assalto condotto dal battaglione «Vicenza» sul monte Corno di Vallarsa, è catturato insieme a un altro ufficiale irredento, Fabio Filzi, che condividerà il suo destino. Condotto al castello del Buon Consiglio di Trento e sottoposto a un processo-farsa, nel tardo pomeriggio del 12 luglio, nel fossato della Cervara, viene giustiziato con la bestiale tecnica dell'impiccagione per strangolamento. Il suo ultimo grido, strozzato dal laccio del boia, sarà: «Viva Trento italiana! Viva l'Italia!».

Nell'autunno di quel fatale 1916 la morte del vecchio imperatore Francesco Giuseppe lasciava presagire il tramonto dell'Austria e degli Asburgo, quasi che le forche di Trento fossero state l'annuncio di un destino ormai segnato.

Il 2 novembre 1918, a Villa Giusti nei pressi di Padova, i plenipotenziari austriaci firmavano la resa delle armate imperiali; con una scelta fortemente simbolica, l'ufficiale italiano incaricato di fare da interprete era Giovan Battista Trener, il cognato di Cesare Battisti.

Il 3 novembre, vigilia della vittoria, le prime avanguardie del nostro esercito entravano in Trento issando il tricolore sulla Torre d'Augusto.

Verona, già nel 1916, era stata tra le prime città italiane a voler ricordare Cesare Battisti con l'intitolazione della via precedentemente denominata Collegio Angeli e con il monumento inaugurato il 16 ottobre in piazza Indipendenza.

Oggi, a pochi metri dal luogo dove il 9 settembre 1943 la Resistenza veronese avrebbe mosso i primi passi, l'effigie di Battisti dialoga idealmente con quelle di Garibaldi e Matteotti ricordandoci la comune fede nei valori di giustizia e libertà che unisce i combattenti e i martiri del Risorgimento compiutosi nel 1918 a quelli dell'antifascismo e della guerra di Liberazione. (S.B.)




Fonte: srs di Stefano Biguzzi,  da L’Arena di Verona di domenica 05 ottobre 2014 CRONACA, pagina 25






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