mercoledì 23 aprile 2014

LO STATALISTA CHE NEGA IL DIRITTO DI SECESSIONE NEGA OGNI CONTRATTO SOCIALE




di REDAZIONE

Proponiamo in ANTEPRIMA per L’Indipendenza la traduzione integrale in italiano dell’articolo Secession and the Law di Butler D. Shaffer, docente di diritto alla Southwestern University School of Law di Los Angeles, collaboratore del Ludwig von Mises Institute, saggista autore di numerosi libri e pubblicazioni. (Traduzione di Luca Fusari)

Sono stupito dall’assenza di motivazioni riscontrate nelle risposte date dai molti avvocati, professori di diritto, filosofi politici, e opinionisti dei media sul tema della secessione politica. Come nelle discussioni politiche, in generale, il dibattito su questo tema nasce da una prospettiva individualista o collettivista.

Coloro i quali, la cui premessa di base è allineata con gli interessi istituzionali e che considerano tali enti come fini a sé stessi, superiori agli interessi dei singoli, tendono a rifiutare la legittima autorità di uomini e donne di poter modificare o smantellare queste istituzioni. Se gli individui sono visti come asserviti agli interessi dello Stato, coloro che condividono questo parere trovano facile trattare la secessione come un atto illegale.

Il tallone d’Achille in questa linea di pensiero si trova nella sua contraddizione con i moderni fondamenti teorici dei sistemi politici. Per secoli, lo Stato ha acquisito la sua “legittimità” da un mitico “contratto sociale” con il quale i governati cedevano il consenso, di vivere in conformità con le regole create da loro presunti “agenti”.

Non esiste alcuna prova che un qualsiasi Stato abbia posto in essere un simile contratto nei confronti dei governati, e se anche ve ne fossero non ne diminuirebbe la sua finzione. I sistemi politici sono stati creati e sostenuti dalla violenza e dalla conquista, non dal consenso dei governati. Mentre io non riconosco un “contratto sociale” all’origine dello Stato, sono ben disposto ad utilizzare tale ipotesi in una operazione rivolta contro gli statalisti.

Per loro natura, i contratti sono accordi volontariamente stipulati da due o più persone per lo scambio di rivendicazioni su proprietà ed interessi patrimoniali. I tribunali fanno spesso riferimento a questa natura volontaria come «assenso reciproco». Quando si è costretti, attraverso la minaccia della violenza a cedere un certo interesse di proprietà (come accade quando in una strada un rapinatore prende soldi minacciandovi con una pustola), ha luogo un crimine non un contratto.

Al fine di affrontare le argomentazioni degli statalisti in risposta alla secessione, assumerò per vero ciò che non è mai accaduto, e cioè che un sistema statale sia sorto mediante il libero e volontario accordo da parte di ciascun maschio e femmina adulta, e che dunque prima della sua creazione questi abbiano deciso di essere vincolati ad un contratto per sottomettersi a delle regole e procedure prescritte.

Se una tale disposizione può essere generata da un accordo volontario, per contratto, perché essa non potrebbe essere modificata o annullata da un successivo accordo?  Se possiamo creare volontariamente un tale sistema, perché non potremmo anche terminarlo volontariamente? Ciò che risulta implicito nella discussione, circa l’illegalità nello smantellare una struttura politica presumibilmente creata da alcuni contratti, è il presupposto inspiegabile che l’entità così prodotta acquisisca dei diritti che si sostituiscono agli interessi delle parti contraenti.




Qual è il ragionamento che permette ad uno strumento di acquisire una superiorità di intenti e di controllo sui suoi creatori? Quale motivo fa sì che il mostro di Frankenstein diventi il padrone del suo creatore?. Inoltre, una volta che un tale contratto fosse stato stipulato, chi ne sarebbe vincolato ad esso? Se la maggioranza della popolazione aveva acconsentito a questo accordo, come potrebbe una minoranza, la quale non ha accettato di esserne vincolata, essere obbligata da un principio di contratto? Sotto quale ragionamento potrebbero eventuali successive persone (compresi i figli di coloro che avevano sottoscritto il contratto, nonché eventuali successivi residenti) esserne vincolati?.

Supponiamo che l’Amalgamated Widget Company e il sottoscritto di comune accordo stipuliamo un contratto con il quale mi impegno a mettere i miei servizi a disposizione di tale azienda, e che in cambio di ciò mi pagheranno uno stipendio concordato. Supponiamo, inoltre, che dopo dieci anni di lavoro per l’Amalgamated, decida di andare a lavorare per un’altra azienda. Se l’Amalgamated vuole che io rimanga, pur non riuscendo a convincermi a farlo, sarebbe “illegale” per me lavorare altrove? L’azienda avrebbe il diritto legale di costringermi a continuare a lavorare per loro? Tale conclusione è implicita nel rifiuto degli statalisti sul diritto alla secessione.

Quando le domande sulla secessione non sono approcciate in termini di coerenza con qualche astratto principio filosofico, ma come una questione di realpolitik, diventa evidente i reali interessi di parte. Non è il sistema lo strumento che avanza la pretesa di suo primato, ma coloro i quali hanno preso il controllo dello strumento o coloro i quali sono responsabili della sua creazione, in primo luogo al fine di utilizzarlo per controllare gli altri e per raggiungere i loro scopi privati.

Il principio ‘cui bono’ si applica in questo contesto così come in altri comportamenti umani: “a chi giova” non solo la creazione dei sistemi con i quali organizziamo noi stessi, ma anche l’interpretazione delle parole che impieghiamo per definire il campo di applicazione di ciò che tali sistemi possono fare?. Quando leghiamo noi stessi fortemente ad una astrazione che le nostre menti hanno creato, identificando il nostro vero essere con essa, diventa poi difficile per noi esaminare come un tale legame possa contribuire ai problemi derivanti dalle nostre azioni.

In altre parole, in che misura, il nostro pensare contribuisce alle difficoltà che sperimentiamo nel nostro mondo istituzionalizzato?. Sia che si pongano dei quesiti nel campo della religione, della scienza, della legge, o in altri tematiche, incontriamo una verità che poche persone sono disposte a prendere in considerazione: nessun sistema di pensiero può essere auto-convalidante.

Come ha sottolineato Gregory Bateson, il rispetto intellettuale per qualsiasi sistema di credenze non può dipendere da affermazioni interne, ma deve essere analizzato al di fuori del sistema; deve essere testato da un meta-sistema (che a sua volta deve essere convalidato da un altro meta-sistema, all’infinito). Né la religione, né la scienza, né le convinzioni filosofiche, né le massime giuridiche possono auto-giustificarsi.

Si trova un esempio di questa idea nella vecchia storia di un uomo che sta spiegando a suo figlio la struttura dell’universo, la cui vastità, egli dice, poggia sul dorso di una tartaruga. ‘Ma su che cosa poggia questa tartaruga?’, chiede il ragazzo. ‘Su un’altra tartaruga’, risponde il padre. ‘Ma cosa sostiene quest’altra tartaruga? chiede sconcertato. “Guarda, si appoggiano sempre su altre tartarughe!” disse il padre.





Questa regressione infinita è presente in ogni sistema di pensiero, compreso il sistema politico-giuridico qua analizzato. Una delle prime domande che chiedo ai miei studenti del primo anno è questa: ‘la Costituzione degli Stati Uniti ha qualche validità? E se sì, perché? Su quale base il governo pretende di governare la vostra vita?’.

Questa è una di quelle domande che pochi di noi hanno il coraggio di farsi, la maggior parte accetta il controllo politico sulle nostre vite con la stessa rassegnazione con cui accettiamo la forza di gravità.

La maggior parte dei miei studenti sembrano sbalorditi che una tale questione venga posta, in particolare in una scuola di diritto in cui la legittimità della Costituzione viene presa come un dato acquisito. Mentre il preambolo presume di parlare di «Noi il Popolo» e l’articolo 5 prevede la convocazione di una «Convenzione per proporre emendamenti», in nessun punto è fatta menzione del diritto delle persone alla secessione e di ritirarsi dal sistema così creato.

Con quale meta-sistema la questione della giustificabilità della Costituzione, e con essa dell’intera struttura politica degli Stati Uniti, può essere analizzata? Se non può essere convalidata da un proprio linguaggio auto-prodotto, su che base potremmo giudicarla? Una possibilità è la Dichiarazione di Indipendenza, un documento che non ha creato nessuna istituzione politica, ma ha fornito i criteri con cui tali organismi potrebbero essere giudicati. I testi filosofici o religiosi potrebbero anche loro essere utili, ma dati i presunti collegamenti esistenti tra questi due strumenti, userò la Dichiarazione ai fini di un confronto.

La Dichiarazione, fortemente influenzata dal pensiero di persone come John Locke, razionalizza le relazioni tra gli individui e i sistemi politici su una teoria del contratto. Gli individui, essere liberi per natura, per proteggere le loro vite e proprietà (dunque non per aggredire o rubare ad altri) possono unirsi per formare delle agenzie per fornire tale protezione, ma con le stesse limitazioni nei confronti dei loro vicini. Se il sistema politico, così prodotto, supera i confini consentiti, è diritto del popolo «modificare o abolire», e creare un nuovo sistema per promuovere tali scopi legittimi.

La Dichiarazione esprime chiaramente i diritti ad «abolire» o separarsi da un governo che viola i diritti individuali che trascendono i poteri dello Stato. Si può leggere la Costituzione per trovare le parole che forniscano una tale precisione di pensiero, ma non le troverete. Nel 1857, Lord Macaulay disse «la vostra Costituzione è tutta vela e niente ancora», qui si trova l’essenza del potere statale in America.

Una disposizione della Costituzione, che contiene i deboli echi dei sentimenti della Dichiarazione, è il  IX° Emendamento, che recita: «l’enumerazione nella Costituzione di alcuni diritti, non può essere interpretata per negare o screditare gli altri diritti trattenuti dal popolo». Le implicazioni logiche di tali parole avrebbero portano menti incredibili nel riconoscere quello che il brano fa presagire: i diritti degli esseri umani sono di tali infinite dimensioni che non si è in grado di verbalizzarli.  Il  IX° Emendamento è stato inteso come un ricordo di questo fatto.

Se lo spirito della Dichiarazione è stato così incorporato nella Costituzione da questo emendamento, ci si aspetterebbe centinaia o addirittura migliaia di casi sorti da esso di affermazioni in difesa dell’individuo di fronte all’espansione dello Stato. Ma ciò non è avvenuto. Solo una manciata di casi sono sorti dal IX° Emendamento. Ciò ha contribuito alla torsione dal pensiero che pone la libertà individuale al di sotto di tutti gli interessi dello Stato; creando così una mentalità omologata che i “diritti” goduti dalle persone siano di provenienza e siano “concessi” attraverso la Costituzione.




Come risultato di tale corruzione intellettuale, è normale che le persone concludano che se un presunto “diritto” non può essere trovato nel linguaggio specifico (in quanto “restrittivo”) della Costituzione allora esso non esiste!.
E’ sulla base di questo modo di pensare che i politici, i giudici e gli altri statalisti affermano che la “secessione” se la Costituzione non lo prevede specificamente come modalità allora essa non esiste ed è “illegale”; dunque non sarebbe lecita perseguirla.

Che una tale proposizione neghi non solo la Dichiarazione di Indipendenza ma la teoria del “contratto sociale” su cui lo Stato dipende per ingannare il pubblico, è convenientemente ignorato dagli statalisti. Molti si spingono fino al punto di sostenere che la guerra civile ha dimostrato l’illegittimità della secessione, una conclusione che ignora la secessione dei coloni americani dal governo britannico in una guerra rivoluzionaria, aiutati dalle idee e dallo spirito della Dichiarazione di Indipendenza.

La “secessione” non è una questione legale, non più di quanto sia una questione “scientifica”, “tecnologica”, “medica” o “matematica”. E’ piuttosto una proposta che non può essere intelligentemente esplorata o compiuta entro i confini del sistema dal quale i secessionisti cercano di ritirarsi. Si tratta, in altre parole, di una questione filosofica; che richiede il ricorso a profonde radicate convinzioni di principio.

Proprio come quei libertari del  XIX° secolo che cercarono di abolire la schiavitù dovettero poggiare i loro argomenti su meta-sistemi di pensiero che trascendevano le norme giuridiche costituzionali, legali, e formali dell’epoca; la questione della secessione non può essere risolta dalle autorità politiche che controllano, a loro vantaggio, il meccanismo coercitivo che continua a macinare bottino, distruggendo coloro i quali cercano di liberarsi dalle sue pratiche disumane.

Il pensiero extra-legale può riflettere e trovare l’ispirazione per muoversi al di fuori dei confini rigidamente legalisti? Quando ricordiamo che gli imputati del processo di Norimberga cercarono di giustificare il loro comportamento omicida con la motivazione che gli atti commessi erano stati non solo autorizzati ma resi obbligatori dalla legge tedesca, dobbiamo essere scettici nel consentire a qualsiasi sistema umano di divenire giudice della propria validità.

Se l’umanità vorrà sopravvivere o provocare la propria estinzione, molto dipenderà in gran parte dalle premesse che stanno alla base delle nostre organizzazioni sociali. Saranno in grado di esistere come sistemi cooperativi volontari attraverso i quali gli individui possono reciprocamente raggiungere i loro rispettivi interessi; o continueranno a funzionare come bestiali sistemi collettivamente orientati che permettono a pochi di trarre vantaggio a spese dei molti? Le risposte a queste domande si trovano solo all’interno del nostro pensiero individuale.

La secessione non inizia dalle urne, dalle aule dei tribunali o dalle firme per delle petizioni, ma nello stesso luogo in cui avete perso la vostra indipendenza: all’interno della vostra mente, quale buona volontà di identificarsi con astrazioni conflittuali.



Fonte: visto su L’Indipendenza del 19 aprile 2014


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