E’ diventato ormai noto presso i Veneti, ma non solo,
che la nostra terra è stata annessa al Regno d’Italia con un plebiscito
farsesco, organizzato domenica 21 e lunedì 22 ottobre dell’anno 1866.
Ricorre
in questi giorni il 145esimo anniversario di quegli eventi, giusto per
ricordare che le istituzioni italiane festeggiano i 150 anni dell’Italia Unita,
senza il Veneto, ovviamente.
Ritengo, però, che si sia finora travisato il vero valore di
questa procedura referendaria. Molti studiosi ed esperti della materia hanno
descritto le operazioni di voto come “cosmetiche”, portando alla luce le
violazioni compiute (pressioni, intimidazioni, voto palese) come offensive
principalmente sul piano morale e storico, come una ciliegina amara su una
torta pasticciata.
L’idea diffusa è che il voto del plebiscito sia stato solo
una formalità, stante che, come da più parti si dice, la cessione del Veneto
era avvenuta addirittura prima del voto!
Recitava infatti un trafiletto sulla “Gazzetta di Venezia”
di sabato 20 ottobre 1866:
“Questa mattina [cioè
venerdì 19] in una camera dell’albergo
d’Europa si è fatta la cessione del Veneto”.
Occorre fare attenzione, però, a non saltare a conclusioni
affrettate: è infatti scientificamente scorretto interpretare una fonte storica
alla luce di ciò che avverrà, cioè sapendo già come andrà a finire. Non è scritto da nessuna parte, infatti,
che quel giorno, in quell’albergo, il Veneto sia stato ceduto all’Italia.
E’ sulla base di tale interpretazione, secondo me errata,
che si basano le visioni storiche che qualificano il plebiscito del 1866 come
una inutile formalità di adesione ad una situazione di fatto già
sostanzialmente costituita e decisa da altri, come a dire che “il 19 ottobre il Veneto era già passato
dalla Francia all’Italia, due giorni prima del plebiscito”, ma non è
affatto così.
Ma se non è stato ceduto all’Italia, il Veneto a chi è stato
ceduto? La risposta non è ovvia, ed è forse la più impensabile: il Veneto è stato ceduto a sé stesso.
La questione veneta, “risolta” nel 1866, ha visto come
attori partecipanti, nell’ordine, l’Austria, la Francia, l’Italia, e… il Veneto
(o, meglio, “la Venezia”, cioè tutto il territorio dell’attuale Regione Veneto,
con anche Pordenone ed Udine, “ e Mantova”, riconosciuta come provincia non
appartenente al territorio della Venezia).
Queste 4 parti sceniche sono invece personificate da 6
attori: il commissario austriaco Gen.
Karl Moering, il commissario francese Gen.
Edmond Leboeuf, il commissario italiano Gen. Genoa Giovanni Thaon di Revel, e i 3 notabili rappresentanti
del territorio conteso, due veneti (l’assessore della municipalità veneziana Conte Luigi Michiel ed il podestà di
Verona, Edoardo De Betta) e un
mantovano (Achille Emi-Kelder,
assessore della municipalità di Mantova).
Analizzando opportunamente le memorie, quasi una
confessione, del commissario italiano Thaon di Revel, scopriamo cosa è successo
davvero in quell’albergo la mattina del 19 ottobre di 145 anni fa.
Pare opportuno partire dal ruolo dei 3 notabili, comprese le
modalità della loro scelta. Scrive Thaon di Revel:
“Dovevo pure risolvere
la questione dei tre notabili, scelti dalla Francia e chiamati a ricevere da
questa il Veneto a lei ceduto dall’Austria. [...] Le idee di Leboeuf su tale
funzione, dapprima incerte, tendevano ora a darle grande solennità. [...]
Scegliendo gl’individui che si proponevano da Parigi si creava un’autorità
speciale sul Veneto, che poteva dar luogo a qualche aspirazione autonoma od anche repubblicana per Venezia.
Dovrebbero essi indire il Plebiscito od affidarne l’incarico ai Municipi?”
Revel appena dopo parla anche apertamente dei metodi
mafiosi usati per pilotare la scelta dei notabili, e pare quasi compiacersi
della sua abilità diplomatica:
“Miniscalchi, Strozzi,
Giustiniani ed altri eran degnissimi gentiluomoni e perfettamente adatti per
tale scelta, se non vi ostassero le considerazioni sovraesposte; perciò pensai
bene, sin dai primi giorni, di esporre confidenzialmente le mie idee a
Ricasoli, fra le quali eravi quella di far sentire a quei signori, che
sarebbero richiesti [cioè “chiamati”] da Leboeuf, direttamente o per
intermediario, che il Governo [italiano] desiderava ch’essi declinassero
l’invito. Mi riservavo poi di condurre Leboeuf, senza che si avvedesse del
partito preso, a richiedere Michiel, De Betta ed Emi-Kelder”.
Se la scelta dei notabili è stata pilotata, modalità di
svolgimento del plebiscito invece sono state decise unicamente dall’Italia.
Ci confessa Revel:
“Quando la sera del 16
di ritorno da Verona, giunsi all’albergo [a Venezia], vi trovai 1300 copie del
manifesto Reale pel Plebiscito [...]. Telegrafai subito a Cugia [Efisio Cugia,
Ministro della Guerra italiano dal 22 agosto 1866]: ” “Ricevuto manifesto, ignorandone esistenza non potei preparare Generale
francese. Temo protesta motivo data da nessuna menzione in esso della Francia.
Voglia Vostra Eccellenza tenere a calcolo difficoltà della posizione””.
Poi Revel continua a narrare:
“Altro che cessione!
Il 17, alle 8 del mattino, mi vedo arrivare Leboeuf con in mano un giornale,
nel quale era stampato tutto il Decreto Reale! Era fuori di sé; non parlava,
non gridava, ma urlava, che era una violazione del trattato, un insulto alla
Francia, e protestava che senza un ordine preciso del suo Imperatore, non
cedeva il Veneto. [...] Avevo davanti ai miei occhi il Regio Decreto in data 7
ottobre, firmato Vittorio Emanuele, che fissava il 21 e 22 stesso mese per la
votazione del Plebiscito, e non solo lo leggevo stampato nel giornale, ma
sapevo che era affisso in tutta la provincia di Treviso; ne avevo 1300 copie
per Venezia ed estuario; Leboeuf me ne aveva portato una copia; e si voleva
[dal governo italiano] che dicessi al Commissario francese ch’egli si sognava
un Regio Decreto che non esisteva!”.
Sembra una farsa, ed anzi lo è, ma è proprio con queste
premesse e con questi metodi che il Regno d’Italia ha ottenuto di annettere il
Veneto nel 1866, ma con quali altri inganni e nascondimenti?
FINE PRIMA PARTE
Alessandro Mocellin
IL VENETO NEL 1866
NON È MAI STATO CEDUTO ALL’ITALIA (SECONDA PARTE)
Nella prima parte avevamo lasciato il prode commissario
italiano Thaon di Revel alle prese con una grana diplomatica non da poco: il
Governo italiano aveva indetto il plebiscito, fissato le date e stabilito le
modalità con un Regio Decreto ufficiale ignorando completamente il ruolo di
garante internazionale del commissario francese Leboeuf, il quale, lo
ricordiamo, rappresentava l’Impero Francese, che in quel momento aveva una
sorta di protettorato internazionale temporaneo sul Veneto.
Il bravo Revel, dopo qualche bugia, un po’ di riverenze e
delle false rassicurazioni all’offeso commissario francese Leboeuf, conclude la
sua lettera di scuse riconoscendo il ruolo del commissario francese:
“Io posso quindi
dichiararvi nel modo il più formale, che il Governo del Re [Vittorio Emanuele
II], mio augusto Sovrano, non ha inteso, né intende intralciare menomamente
l’opera vostra, quale Commissario di Sua Maestà l’Imperatore dei Francesi. Non
prenderò ingerenza nelle cose di queste provincie se non quando per la
retrocessione che avete missione di fare, diventate libere, mi richiedessero
del mio intervento. [...] Mi lusingo che accogliendo queste mie leali
assicurazioni, darete corso alla vostra missione, ricevendo la consegna di
Venezia dalle Autorità austriache e rimettendo il Veneto ai tre notabili, che
avete chiamati a voi e che stanno aspettando i vostri ordini.”
Il Leboeuf crede alle rassicurazioni mendaci del commissario
italiano, e risponde il 18 scrivendo:
“Ho l’onore di
informarvi della ricezione della lettera con cui mi fate sapere che il Governo
di Firenze non ha mai pubblicato come Decreto, ma semplicemente delle
istruzioni relative al Plebiscito. In conseguenza di questa dichiarazione, mi
felicito di potervi dire che nulla s’oppone più alla remissione di Venezia e
del Veneto [originale: “de Venise et de le Vénétie”], che potrà aver luogo
domani mattina, così com’era stato inizialmente convenuto”.
Appena il francese viene riportato alla convinzione
iniziale, Revel telegrafa al Ministero della Guerra a Firenze [allora Capitale
del Regno d'Italia]:
“Domani alle 8, senza
alcuna solennità, nell’alloggio di Leboeuf, si farà cessione Venezia
retrocessione ai Notabili. Leboeuf pronunzierà allocuzione ai Notabili, dalla
quale eslcusa ogni allusione al modo di votazione del Plebiscito.”
E così avvenne. La cessione del 19 ottobre venne proclamata
con questa formula, pronunciata dal commissario Leboeuf:
“A nome di Sua Maestà l’Imperatore dei Francesi ed in virtù dei pieni
poteri e mandato che ha voluto conferirmi [...] dichiariamo di rimettere la
Venezia a sé stessa, affinché le popolazioni padrone dei loro destini, possano
esprimere liberamente, con suffragio universale, il loro volere a riguardo
dell’annessione della Venezia al Regno d’Italia”.
Ma Revel ci descrive anche gli interessanti momenti
successivi:
“Ciò detto, il conte
Michiel a nome della Commissione diede atto al generale Leboeuf della
rimessione della Venezia a sé stessa. Firmarono il processo verbale in duplice
copia: Leboeuf – Luigi Conte Michiel – Edoardo Cav. De Betta – Emi-Kelder dott.
Achille [sic]”.
Come avrete notato dalle rimostranze del commissario
francese, dalle paure e dalle ammissioni del commissario italiano, dalla
formula di cessione utilizzata e dalle firme delle 4 persone che hanno
sottoscritto l’atto di cessione, i personaggi coinvolti in quel 19 ottobre sono
il commissario francese Leboeuf, a rappresentare la Francia, e i tre notabili,
a rappresentare il Veneto: la Francia, insomma, ha ceduto il Veneto a sé
stesso, cioè, come prevedeva l’accordo internazionale, gli ha concesso di
autodeterminarsi con una consultazione popolare autogestita.
Ecco dunque, che il Plebiscito avrebbe dovuto essere
liberamente organizzato dai 3 rappresentanti delle libere popolazioni venete,
cui era riconosciuto uno status internazionale particolare, con la piena
possibilità dell’opzione “indipendenza”,
temuta fortemente dal Governo italiano (cit. “si creava un’autorità speciale sul Veneto, che poteva dar luogo a
qualche aspirazione autonoma od anche repubblicana per Venezia”), che
approntò i metodi mafiosi e liberticidi che ormai tutti conosciamo proprio per
negare ai Veneti il diritto di autodeterminarsi come riconosciuto, garantito e
sancito dalla Pace di Vienna del 3 ottobre 1866: la sovranità dei Veneti
riconosciuta con un trattato internazionale dai due Stati più potenti
dell’Europa continentale (l’Impero Austriaco e l’Impero Francese), dal Regno
d’Italia stesso, e col benestare del Regno di Prussia (alleato dell’Italia
nella guerra del 1866).
A riprova di questa ricostruzione, poi, c’è il fatto che i 3
notabili “rappresentanti” del
territorio veneto si sono recati dal Re d’Italia Vittorio Emanuele II il 4
novembre 1866 a consegnare i risultati ufficiali del plebiscito veneto del
21-22 ottobre, che essi stessi notabili avrebbero dovuto organizzare in tutto
il Veneto che rappresentavano per investitura internazionale. La rappresentanza
è tale che sono quei 3 notabili che consegnano il Veneto nelle mani,
letteralmente, del Re d’Italia.
Non è un caso, si osservi, che il Regio Decreto di
annessione delle “provincie [sic] della Venezia e di quella di Mantova”
possa essere promulgato proprio con data “Torino,
4 novembre 1866” (RD n. 3300 del 4.11.1866, pubblicato in Gazzetta
Ufficiale il giorno successivo).
Perciò, se qualcuno ancora si chiedesse “Ma allora, se non fossimo in Italia, saremmo
tornati con l’Austria?”, sappia che storicamente la vera alternativa per i
Veneti nel 1866 non era tra un Veneto italiano o un Veneto austriaco (né un
Veneto francese, come ha ipotizzato qualcuno), ma tra un Veneto italiano, o un
Veneto indipendente.
Alessandro Mocellin
Fonte: srs di Alessandro Mocellin, da Il Mattino di Padova
del 19- 22- ottobre 2011
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