Il salone sinodale dell' episcopio adorno dai ritratti
di 111 vescovi, dei quali 108
sono del Brusasorzi; palazzo vescovile di Verona
VOLUME II - EPOCA IV - CAPO XIX
SOMMARIO. - Preludii
alla soluzione definitiva - Una consuetudine dei canonici - Enciclica Cum
semper - Breve Praeclara decora - Bolla Suprema dispositione -
Opuscoli pro e contra - Bolla Regis pacifici - Pubblicazione ed
esecuzione della bolla - Lettera del vescovo Giustiniani al clero ed al popolo
veronese.
Abbiamo detto altrove delle controversie agitatesi tra il capitolo della cattedrale ed i vescovi di Verona, a motivo dei
privilegi che il capitolo si attribuiva, e particolarmente di quello dell' esenzione
dalla giurisdizione del vescovo di
Verona e della soggezione immediata al patriarca
di Aquileia. Queste controversie
ordinariamente si componevano in via precaria con qualche transazione tra il
vescovo ed i canonici: ma non ebbero mai una soluzione definitiva.
Così anche nel secolo XVIII troviamo alcuni dissidii tra il capitolo ed il
vescovo Giovanni Bragadino. Due
delitti erano apposti al vescovo.
Il primo fu che egli nel giorno di Sant'Anna del 1742, senza interpellare il capitolo, andò
a celebrare la messa nella chiesa di S.
Paolo di Campo Marzo e vi amministrò il sacramento della cresima. Il capitolo reclamò; ed il vescovo fu
costretto a dichiarare che non avea inteso derogare ai diritti del capitolo.
L'altro ancor più grave fu che nel 1743 il vescovo fece
stampare il testo della Dottrina
cristiana del ven. Bellarmino, con aggiunte fatte dal priore della
Compagnia l'arciprete Perotti: tra
queste aggiunte, una tra i misteri necessari a credersi poneva l'articolo di
Dio rimuneratore; un'altra dichiarava illecita l'usura; ecc. Il capitolo adunatosi il giorno 16 settembre
emanava un decreto, in cui deplorava che tali aggiunte si fossero fatte senza
prima sentire il parere del capitolo, « ac
si hujus Veronensis Ecclesiae Senatus non esset »; inoltre proibiva che il
nuovo testo si adottasse nelle chiese soggette al capitolo(1). Il reclamo del vescovo
fu inutile: però i canonici dovettero ritirare il decreto per ordine del
capitanio e podestà di Verona Carlo
Barziza. Non per questo tacquero i canonici: spedirono una copia del nuovo
testo a Roma, deplorando quelle
aggiunte « disdicevoli ed insussistenti
»(2).
La soluzione definitiva delle controversie si ebbe dopo la
metà di questo secolo: però fu prevenuta e predisposta da altri dissidi
personali, ed insieme da discussioni scritte e stampate.
Nel capitolo vi erano personaggi di famiglie nobili e
ricche: o erano pure canonici eruditi e celebri per la loro cultura nelle
scienze sacre e nelle lettere. Primeggiano i due canonici Francesco e Giuseppe Muselli,
ambedue, uno dopo l'altro, arcipreti della cattedrale e munificentissimi. Né ad
essi era inferiore per nobiltà di natali Gian
Jacopo Dionisi; il quale poi li superò per la sua immensa erudizione in
materie storiche, teologiche e giuridiche(3).
Per questi ed altri insigni canonici e per le relazioni
letterarie col marchese Scipione Maffei
ed altri scienziati italiani ed esteri, il capitolo di Verona godeva una fama
europea. Perciò non fa meraviglia che tra i suoi membri serpeggiasse uno
spirito di supremazia anche nel campo religioso: al quale spirito poco
ostacolava la soggezione al lontano patriarca
di Aquileja, non poco: avrebbe ostacolato la soggezione al vescovo di
Verona. Così tra i vindici della esenzione dall'autorità del vescovo di Verona troviamo parecchi canonici:
primo tra essi il Dionisi.
Questa pretesa esenzione, fosse pura legittima, non potea
gradire ai nostri vescovi; anche perché essa, come già al tempo del Giberti, ostava non poco alla regolare
disciplina del clero. Così serpeggiavano malumori sotto i vescovi Trevisani e Bragadino; i quali faceano presagire come necessaria e prossima una
soluzione definitiva.
Occasione opportuna fu una consuetudine, a dir vero, strana,
introdottasi nell'ufficiatura corale. I canonici si tenevano obbligati ad
intervenire al coro; ma pretendevano di non essere obbligati a cantare e
salmeggiare coi mansionari, cappellani, accoliti e chierici: assistere, sì;
cantare e salmeggiare, no: e pretendevano che tale consuetudine, contraria alle
sanzioni dei canoni, costituisse ormai un vero diritto.
Contro questa consuetudine, che pur troppo vigeva anche in
qualche altra collegiata d'Italia, il pontefice Benedetto XIV nel giorno 19 agosto 1744 avea indirizzato ai vescovi
d'Italia l'enciclica Cum Semper:
in essa deplorava che alcuni canonici, « cum choro praesentes assistunt ipsi sibi silentium imperent, neque
psallentibus se adjungant », raccomanda ai vescovi che facciano quanto sta
in loro per eliminare questo abuso(4).
Vi riuscirono?
Naturalmente per l'osservanza di quest'enciclica non si poté
ingerire il vescovo di Verona, Giovanni
Bragadino, dal quale erano esenti i canonici. Se ne occupò il patriarca di Aquileja
Daniele Dolfin, trasmettendone una copia al capitolo dei canonici di Verona: ma non riuscì a nulla. I
canonici continuarono per la loro via; ad eccezione di alcuni pochi, i quali
erano turbati da angustie di coscienza per il timore di non aver fatto proprii
i frutti delle loro prebende. Ricorsero adunque al patriarca, insistendo sui
loro privilegi e particolarmente sulla consuetudine dell'ufficiatura corale già
passata in vero diritto.
Il patriarca, forse anche in vista della fama, che allora
circondava il capitolo di Verona, si
rivolse al Pontefice, e lo pregò che
volesse confermare al capitolo gli antichi privilegi e diritti, e concederne di
nuovi.
Il Pontefice fu indulgente e severo. Con la data 19 gennaio
1748 spedì al patriarca il breve Praeclara
decora; nel quale ai canonici di Verona concedeva tre privilegi:
l'uso della bugia, l'altare privilegiato personale due volte in ogni settimana,
e l'oratorio domestico nella villa di Angiari. Quanto alla conferma dei
privilegi in via generale, non si pronunziò: ma « inter tot tantaque privilegia nolumus numerandum esse illud, quod ...
invectum ab ipsis Canonicis non modo contenditur, sed etiam servatur,
interessendi dumtaxat choro et cum ceteris mansionariis ... canentibus
psallentibusque adsistendi, numquam vero cum iisdem canendi psallendive »:
insisteva presso il patriarca, perché egli si studii « huiusmodi abusum penitus evertere, eradicare », e li avverta: « Canonicos, choro quidem interessentes
adsistentesque, minime vero canentes psallentesque, nullo pacto ex praebendis
et distributionibus facere fructus suos, atque adeo restitutioni obnoxios esse
ac fore »(5).
Non sappiamo quali passi abbia fatto il patriarca presso i
canonici; né se questi siansi rassegnati a cantare e salmeggiare, almeno per
non incorrere nelle pene canoniche sancite dal Pontefice. Certo il vescovo Bragadino avrà fatto conoscere al pontefice quanto fosse
pregiudizievole l'esenzione dei canonici dalla autorità vescovile locale; e
questo privilegio del capitolo ne restò scosso assai, come indirettamente
appare da un altro atto pontificio posteriore.
Benedetto XIV con
la bolla Injuncta Nobis data
il 2 luglio 1751 soppresse il patriarcato
di Aquileja, trasferendo il card.
Dolfin alla chiesa di Udine
elevata a sede arcivescovile.
Poi emanò altra bolla gravissima Suprema dispositione nel giorno 19 gennaio 1752(6). In questa decretava che le giurisdizioni
patriarcali sul capitolo (e su altre chiese e monasteri di Verona) rimanessero presso lo stesso arcivescovo card. Dolfin fino a che egli fosse
vissuto; ma che dopo la morte di lui, « ne
via aperiatur inconvenientibus ex causa praetensionum bene notarum Capituli et
Canonicorum Ecclesiae Veronensis, ... ex nunc pro tunc decernimus venerabilem
fratrem nostrum Episcopum Veronensem, uti Apostolicum Delegatum, exercere
debere super Capitulo et Canonicis ... eam jurisdictionem, quam hactenus
exercuerunt Patriarchae Aquilejenses » e ciò precariamente «usque
dum fuerit exarninatum a sancte sede totum id quod opus est examinari, ut
rectum judicium dari possit. » La soluzione definitiva venne più tardi.
Da questa bolla ben compresero i canonici che la loro causa
era di molto compromessa; perciò si diedero le mani attorno per dimostrare
scientificamente la legittimità dei loro privilegi, e specialmente della loro
esenzione dalla giurisdizione del vescovo di
Verona.
Da quest'anno 1752 comincia la pubblicazione di opuscoli, pro e contra: noi ne
daremo il catalogo ed il sunto; ma, trattandosi di una controversia ormai
spenta da oltre un secolo e mezzo, non ci pronuncieremo sul loro valore.
Nel 1752 comparve un libretto pro Canonicis, stampato a Roma col titolo: Notizie spettanti al Capitolo di Verona
raccolte e dedicate alla Santità di N.S.
Benedetto XIV. Autore ne era, non un canonico, ma un
padre gesuita, Girolamo Lombardi,
forse oriundo di Verona, (a) dove allora fioriva la famiglia
Lombardi (7). L'autore riferisce le glorie e gli uomini
illustri del capitolo; ma insiste specialmente sui privilegi dello stesso, e
massime sulla sua esenzione dal vescovo di Verona, appoggiandola quanto può
sopra un atto del vescovo Ratoldo
dato il giorno 24 giugno dell'anno 813.
Nell'anno seguente 1753 fu stampato a Venezia l'opuscolo De
privilegiis et exemptione Capituli Cathedralis Veronensis. È
anonimo ma è fuor di dubbio esserne autore il sac. Pietro Ballerini, probabilmente invitato a comporlo e
pubblicarlo dal vescovo Giovanni
Bragadino.
Dopo aver esaminate e in gran parte confutate le asserzioni
delle Notizie, aggiunge,
quale punto culminante del lavoro, una Appendix
nella quale intende annullare tre documenti editi dell'Ughelli ed a lui comunicati dall'arciprete Cozza dei Cozzi « homo jurisdictioni episcopali infensissimus ... ». Il quale per testimonianza dell'Ughelli «sub Marco Justiniano pro sui Capituli libertate... sudavit et alsit»(8). L'autore sostiene che i tre
documenti relativi a Ratoldo sono
suppositizii, e che la sentenza che si dice data dal patriarca Rodoaldo l'anno 968 è apocrifa. Questi giudizii sui
quattro documenti massime sul ratoldiano dell'anno 813, suscitarono una vera
tempesta: quel documento era stato pubblicato ben diverso dal Maffei(9).
Al principio dell'anno seguente 1574 furono pubblicate a Roma due dissertazioni del C. Francesco Florio Primicerio della
cattedrale di Udine De'
privilegi ed esenzione del Capitolo di Verona. Nella prima dissertazione l'autore si
studia difendere la genuinità dei due documenti ratoldini pubblicati dall'Ughelli: nella seconda dà un Saggio della vita di Raterio allo
scopo di provare l'autenticità dei privilegi concessi da Ratoldo.
Allora comparve in
Verona una Lettera ad un amico,
ripubblicata con altre quattro nello stesso anno 1754 col titolo: Conferma della falsità dei tre documenti;
l'opuscolo è anonimo; ma evidentemente ne è autore il sac. Pietro Ballerini, in fine è aggiunta una Poscritta relativa ad un diploma di Ludovico il Pio.
Importante è per la questione presente un altro opuscolo
pubblicato in Verona nel 1755 col
titolo; Apologetiche riflessioni
sopra del privilegio concesso da Ratoldo: è anonimo; ma
certamente nè è autore il can. Jacopo
Dionisi.
A prova dell'autenticità del primo documento ratoldino ne
riporta una magnifica riproduzione in rame fatta sull'atto conservato negli
archivi del capitolo. L'opuscolo riporta altri documenti importantissimi per la
storia di Verona.
Nello stesso anno 1755 il can. Florio pubblicò contro la Conferma
una Nuova difesa dei tre
documenti Veronesi, con aggiunta di Alcuni documenti
relativi al Capitolo di Verona. Fu
stampata a Roma sotto forma di Lettera apologetica; ed
intende particolarmente eludere gli argomenti della Conferma.
Omettiamo altri opuscoletti minori.
Queste discussioni erano per sè di indole scientifica;
giovarono a far luce le relazioni mandate alla Santa Sede dal vescovo e dai canonici, che Benedetto XIV dice “innumera
documenta ... copiosasque allegationes”.
Il Pontefice commise lo studio di questi documenti ed
allegati ed anche delle discussioni scientifiche a distinti canonisti e
teologi; e finalmente diede la soluzione autoritativa e definitiva con la
celebre bolla Regis pacifici
data il giorno Il maggio 1756(10).
Essa riguarda, non solo il capitolo di
Verona, ma anche il monastero degli Olivetani
di S. Maria in Organo, che si teneva soggetto al patriarca di Aquileja, ed altri monasteri e chiese e persone, che
si voleano soggetti esclusivamente al capitolo, ed a quel monastero o suo
abbate commendatario. La bolla dovea avere effetto ed esecuzione soltanto dopo
la morte del card. Dolfin, allora
arcivescovo di Udine.
Anzitutto la bolla revoca ed annulla tutti gli indulti,
privilegi, transazioni, ... le quali «praesentibus litteris ... quoquo modo
adversentur»; Decreta «Episcopum Veronensem solum et unicum
immediatum et universalem Ordinarium esse et haberi in tota Veronensi Civitate
et Diocesi» il quale per conseguenza «poterit vel potius debebit visitare
Capitulum Cathedralis Ecclesiae, singularesque personas. Dignitates, Canonicos
... atque omnes et singulos admonere, corrigere et emendare».
Annullati tutti i privilegi, anche legalmente acquisiti,
concede ai canonici l'uso della bugia, il diritto di aver parte col vescovo
nella nomina degli accoliti e nell' amministrazione della mensa Cornelia, un qualche diritto nella elezione dei sacerdoti ad
alcune chiese della città e diocesi e la facoltà di visitarle, esenzione della chiesa di sant'Elena, la podestà di
giudicare in alcune cause criminali, però sempre «sub ordinaria universali jurisdictione Episcopi pro tempore existentis».
La bolla contiene pure alcune disposizioni per il monastero di S. Maria in Organo ed
altre particolari. L'esecuzione della bolla è affidata ai due vescovi di Vicenza e di Brescia.
Il card. Daniele
Dolfin morì il giorno primo dell'anno 1762(11) e ben tosto il vescovo di Verona Nicolò Giustiniani, successo nel 1758 al vescovo Bragadino, chiese ai due vescovi di Vicenza e di Brescia che fosse pubblicata la bolla Regis Pacifici: i due vescovi la pubblicarono; il vescovo
di Vicenza card. Antonio Marino Prioli
ne spedì al vescovo di Verona la
comunicazione autentica con la data 27 marzo: quello di Brescia card. Giovanni Molino con la data 3 aprile. Così furono
sciolte le controversie.
Chi più giubilò di questa soluzione fu il vescovo di Verona; il quale nel giorno
13 aprile dello stesso anno indirizzò una lettera entusiasta al clero ed al
popolo della sua diocesi. In essa
annunzia: “Novum hodie gaudii argumentum
una percipimus, adeo ut cum Propheta cantemus Domino canticum novum. Dominus
fecit ut esset unum ovile et unus pastor ...” (12).
Così dall'aprile 1762, terminate tutte le controversie, il
capitolo della cattedrale ed il monastero di S. Maria in Organo furono assoggettati all'autorità del vescovo di Verona. (b)
NOTE
1 - SIMEONI, Ricerche
Maffeiane, pag. 9 segg. (Torino 1909).
2 - BENEDETTO XIV
al card. Tamburini 3 ottobre 1743 in, Archivio stor. della Soc. Rom. di
storia patria, XXXIV, pag. 41
(1911).
3 - FEDERICI, Elogi
dei più illustri Ecclesiastici Veronesi, Tom. III, pagg. 217-234. App.
39.
4 - BENEDICTI
XIV, Bullarium Num., CIII, 23-24, Tom. I, pag. 394-400 (Prati 1845).
5 - BENEDICTI
XIV, Bullarium III, P. 1, Supplem. Num. IV, pag. 464, seg. (Prati
1846); CAPPELLETTI, Chiese d'Italia, X, P. II, pag. 782.
6 - BENEDICTI
XIV, Bullarium III, P. I, pag.
300, P. II, 40.
7 - E chiaro che
queste Notizie assai minuziose furono raccolte e scritte a Verona, forse
da qualche canonico; e poi spedite a Roma, ed ivi stampate e dedicate al
Pontefice. Bisognava salvare capra e cavoli.
8 - UCHELLI, Italia sacra, Tom.
V, col. 667, 707, 1006, 1024.
9 - MAFFEI, Istoria
teologica, App. pag. 95.
10 – BENEDICTI XIV,
Bullarium III, P II, 361-370; BIANCO LINI, Chiese di Verona V, P. II,
270-289; CAPPELLETTI, Chiese d’Italia X, P. II, 786-802.
11 - Al pontefice
Benedetto XIV defunto il 3 maggio 1758 era successo il card. Carlo Rezzonico
col nome Clemente XIII; il quale era stato abbate Commendatario di S. Zeno.
12 - Presso
BIANCOLINI, Chiese di Verona A. p. II., pag. 267, seg.; CAPPELLETTI, pag.
803, seg.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XIX (a cura di Angelo
Orlandi)
a) Girolamo
Lombardi (1707-1792) era veronese, fratello di mons. Marcantonio Lombardi, vescovo
di Crema (el. 1752). Girolamo, alla soppressione della Compagnia di Gesù tornò
a Verona e nel sinodo del 1782 fu eletto tra gli esaminatori sinodali. A Roma
aveva raccolto un numero ingente di reliquie, conservate tuttora
nell'oratotorio di Cordevigo di Cavaion. Fu anche studioso di filologia e
lasciò un vasto schedario di spogli lessicali italiani di cui si servì non poco
il Cesari per l'edizione veronese del vocabolario della Crusca.
b) Su questa
vicenda minutamente esposta dall'autore nelle sue varie fasi non resta che da
aggiungere uno studio posteriore O.
VIVIANI, La fine delle controversie per l'esenzione giurisdizionale del
Capitolo di Verona, in Atti e Memorie della Accademia di Agricoltura,
Scienze e Lettere di Verona, V. CXXX (s. VI, vol. V, 1953-54), Verona 1955,
pp. 239-309.
Fonte: srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI
STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume II.
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