Alcuni recentissimi sondaggi Swg dicono che il 47% degli
abitanti del NordOvest è favorevole all’indipendenza, che la percentuale
raggiunge il 50% nel NordEst. Non è una novità.
Nel gennaio del 1996 la rivista Limes aveva
pubblicato un’inchiesta di Ilvo Diamanti sulla percezione e gradimento
dell’idea di indipendenza padana. Ne risultava che per il 36,5% dei padani l’indipendenza
era “un’ipotesi inaccettabile”, per l’8,5% “una via che porterebbe al
disastro”, per il 30,7% “una prospettiva vantaggiosa sul piano concreto,
ma inaccettabile” e per il 24,4% “una prospettiva vantaggiosa ed auspicabile”.
l dicembre dello stesso anno, il commento a una analoga
inchiesta di Poster-Limes era significativo: “L’indipendenza,
nonchè rifiutata in quanto prospettiva istituzionale, sia comunque considerata
da ampi settori sociali come un’ipotesi vantaggiosa sul piano concreto. Poco
più del 50% degli intervistati ritiene che se il Nord fosse uno Stato
indipendente le cose andrebbero meglio per quel che riguarda l’economia, in
primo luogo, quindi per l’occupazione e i servizi pubblici. Una quota di poco
più limitata ritiene che ne trarrebbero beneficio anche il modo di vita e la
condizione sociale”.
Nel 2005 un sondaggio Demos-Banca Intesa sul senso di
appartenenza dava i seguenti risultati: alla domanda “A quale delle seguenti
aree sente di appartenere maggiormente?”, il 15,4% rispondeva alla sua
città, il 13% alla regione, il 16,9% alla macroregione (Nord, Centro, Sud), il
26,4% all’Italia, il 7,8% all’Europa e il 19% (di “originali”) al mondo intero.
La risposta localista complessiva arrivava al 45,3%, il doppio di quella
italianista.
Nella primavera del 2006 si è tenuto il referendum sulla
cosiddetta Devolution che è stato stravinto a livello nazionale dai
contrari. Un esame più sereno sulla vicenda rivela però che: nonostante la
sgangheratezza del progetto di riforma (in realtà più centralista che
federalista), esso (ovvero l’illusione federalista) aveva vinto in 22 province
padane su 46, in altre 10 aveva superato il 40%; in tutta la Padania aveva
preso il 47,4% nonostante (o forse perché) il progetto fosse stato dipinto come
“secessionista”, che nelle regioni rosse molta gente avesse votato per fedeltà
di partito e che una larga fetta di padanisti “duri e puri” avesse votato
contro o si fosse astenuta perché il progetto non era percepito come
sufficientemente indipendentista.
Nel 2010 un sondaggio Swg-AffariItaliani diceva che il
61% dei settentrionali vedeva con favore l’indipendenza della Padania.
Nel marzo 2014 è Demos ad affermare che il 55% dei veneti
sia favorevole all’indipendenza.
Davanti a questi dati (che vanno presi con la giusta
cautela, nel senso che non tutti gli intervistati sono ancora convinti che
esprimere una pulsione indipendentista sia “politicamente corretto”: è
probabile che nel segreto dell’urna i numeri sarebbero anche più alti) viene da
fare alcune considerazioni.
La prima è: “perché di fronte a questa domanda di libertà
non esiste una offerta politica adeguata?”, ovvero “perché la Lega Nord non ha
trasformato queste opinioni in consenso politico?”. E ancora: “perché davanti
al fallimento leghista nessun altro attore politico l’ha sostituita?”, oppure
“Perché nessun altro movimento indipendentista riesce a soddisfare le richieste
così chiaramente espresse?”
Ci sono due generi di risposte. Perché lo Stato
italiano dispone di strumenti di distrazione, di dissuasione e di corruzione
straordinari. Li esercita nella scuola, nella propaganda, con tutti i possibili
mezzi di disinformazione di massa, ma anche attraverso la repressione
poliziesca e la minaccia giudiziaria (i fatti di questi giorni ne sono una
prova) e corrompendo chi dovrebbe rappresentare le istanze indipendentiste.
Troppi leghisti (ma non solo loro) si sono fatti irretire da stipendi, potere,
vanagloria, cadreghe e medagliette. C’è chi lo ha fatto volentieri (voleva solo
quello) e chi ha ceduto per debolezza, ma la maggioranza c’è cascata per
ignoranza, inadeguatezza e scarsa convinzione. È lo scotto che si paga a
mandare nelle istituzioni gente raffazzonata, senza preparazione, senza solide
radici culturali, magari selezionata solo sulla base dell’efficienza delle
mucose linguali esercitata nei confronti del lato B o del lato A, a seconda
delle circostanze, dei generi e delle singole vocazioni. Che la Lega non si sia
mai molto sforzata nell’opera di informazione, propaganda o diffusione
culturale è cosa fin troppo nota e su cui è inutile soffermarsi ulteriormente,
ma il tempo, le occasioni e i Segretari passano e nulla cambia.
La disperazione cresce se si va a vedere il mondo che
dovrebbe essere alternativo e sostitutivo della Lega: una voragine di
litigiose nullità che fanno frenetica concorrenza agli uomini del Carroccio in
fatto di idiosincrasia per la cultura e per la “pacata” capacità di
argomentazione ideologica.
Che appeal di consenso possono avere buontemponi che agitano
pesci in Parlamento o che blindano ruspe?
Serve sempre più urgentemente un riferimento serio per un
mondo che aspira alla libertà e all’indipendenza. Noi su questo piccolo e
povero giornale (che ha un bilancio inferiore a due mesate di qualche svaporato
zerbinotto eletto a Roma o in un Consiglio regionale) ci proviamo con passione
ma i risultati – a giudicare dagli interventi di tanti sezionatori di capello o
di psicopatici della tastiera – sono scoraggianti. Anche più desolante è il
quadro rappresentato da tutti i micropatrioti, regionalisti, municipalisti, che
aspirano a indipendenze sempre più circoscritte e rapportate alla loro
incapacità di raffrontarsi con gli altri.
Ne sono testimonianza anche gli attivissimi venetisti che
temono i lombardi più del demonio, che sarebbero pronti a perdere un occhio
pur di non avere nulla a che spartire con Milano (vecchia, bimillenaria
malattia…), che preferiscono restare schiavi di Roma piuttosto che affrontare
progetti che non abbiano la becera semplicità di un riferimento storico
da figurina Lavazza. Come spiegano che l’ultimo sondaggio citato – quello del
55% di veneti favorevoli all’indipendenza – dice anche che il 43% degli
intervistati vorrebbe l’indipendenza del Nord, e cioè della Padania? La
stragrande maggioranza dei secessionisti si rende perfettamente conto della
necessità di articolare il progetto in una visione più organica e
realistica. La Lega ha preso il 35% dei voti veneti, i venetisti
esclusivisti viaggiano attorno a briciole rancorose. Che la Lega abbia
buttato via quei consensi o che non sia riuscita ad avere quelli di tutti gli
indipendentisti (il 55% che – fatta la tara dell’astensione – potrebbe
significare il 70-75% del voto espresso) per soddisfare una aspirazione di
libertà fortemente condivisa, è l’altra triste faccia della medaglia.
Cosa c’è che non va nel venetismo, ma anche negli altri
indipendentismi regionali e nello stesso padanismo? Non è un problema
di polizia, di Codice Rocco e neppure – si spera – psicanalitico: è un problema
di cultura, ragionevolezza e maturità. Davanti – dicono i sondaggi
– c’è un’autostrada in discesa ma non si riesce a percorrere un metro. Se
non si riesce adesso a mettere assieme quel che di buono c’è rimasto nella Lega
e nei movimentini con la pacata ma forte voglia di libertà della nostra gente,
allora è meglio chiuderla lì e rassegnarci a morire italiani.
Fonte: srs di Gilberto Oneto, da l’Indipendenza del 16 aprile 2014.
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