Dal testo di Francesco Zanotto
"Cadeva quel giorno in domenica (così
narra il cronacista Marin Sanudo ne' suoi Diarii inediti, che qui seguiamo,
riducendo a miglior eloquio il suo famigliare dettato), ed il sole splendeva in
tutto il suo lume, aggiungendo per tal modo letizia alla festa. Il senato e gli ambasciatori si raccolsero in
palazzo Ducale, di dove partì il doge Leonardo Loredano. Vestiva egli un manto
di alto-liccio chermisì, ornato di bavero; indossavano i consiglieri di lui
seriche vesti. Adagiato era il principe sopra una sedia portata sugli omeri da
quattro operai dell'Arsenale. Lo seguivano l'ambasciatore del papa Giovan
Giorgio Trissino ... "
ANNO 1517
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
La Lega di
Cambrai era stata organizzata nel 1508 per distruggere Venezia. Le guerre
che ne derivarono devastarono per dieci
anni le città veneto-Iombarde. La Serenissima aveva dovuto affrontare alcuni
fra gli eserciti più forti d'Europa, ma alla fine era lei la vera vincitrice ...
LA SCHEDA STORICA - 96
A desiderare la pace,
comunque non era solo Venezia. Il 1° -
gennaio del 1515 moriva il re francese Luigi XII, liberando il trono per il suo
successore, cugino e cognato, Francesco I.
L'ascesa al trono del nuovo sovrano poteva far ben sperare
in una cessazione del conflitto che da anni vedeva Venezia, con alterni
alleati, fronteggiare gli eserciti congiunti della Lega di Cambrai.
Tuttavia il nuovo e giovane sovrano al momento
dell'incoronazione assunse anche il titolo di "duca di Milano", come
aveva fatto del resto in precedenza lo stesso Luigi, lasciando chiaramente
capire quali fossero i suoi reali propositi. Ancora una volta gli interessi francesi si
indirizzavano verso la nostra penisola, in particolare su Milano ed il suo
Ducato. E così, nell'estate di quell'anno il re francese, riunito un esercito
di 50.000 cavalieri e di 60.000 fanti al comando di La Palisse era pronto a
muoversi alla volta dell'Italia.
Di fronte a tanta potenza offensiva vennero mobilitati ben
quattro eserciti da parte dei membri della Lega. Quello pontificio agli ordini
del fratello del papa Leone X de Medici, Giuliano, quello spagnolo comandato
dal solito Ramon de Cardona, quello milanese agli ordini dello stesso
Massimiliano Sforza ed infine anche un grosso contingente di soldati svizzeri
che ormai controllavano di fatto la città di Milano.
Mentre gli spagnoli puntarono su Verona per impedire
all'esercito veneziano di ricongiungersi con quello francese -Venezia era
ancora alleata della Francia-, gli svizzeri si attestarono sui due passi alpini
del Moncenisio e del Monginevro da dove molto presumibilmente sarebbero
transitate le truppe francesi per scendere in Italia.
I pezzi erano ancora una volta ben dislocati sulla
scacchiera bellica in attesa del primo segnale che desse inizio all'ennesima,
sanguinosa partita.
Tuttavia il secondo comandante francese, Trivulzio, milanese
di origine e veterano delle guerre italiane, aveva fatto i suoi conti e scelse
di puntare direttamente sul milanese attraversando un'altra valle. Gli svizzeri
vennero così presi di sorpresa e si avvidero dello scacco quando ormai le
truppe francesi erano già alle porte di Milano.
Trivulzio decise a quel punto di attendere i veneziani
spostandosi più a sud della città, verso Marignano (oggi Melegnano) con la
speranza che le truppe veneziane riuscissero ad aggirare quelle spagnole, cosa
che puntualmente si verificò.
Intanto gli svizzeri tentarono una contromossa contro i
francesi con un attacco lampo ed improvviso. Ma i francesi tuttavia riuscirono
a rintuzzarlo e ad uscire vincitori da questa grossa battaglia grazie ad un
validissimo contingente di arcieri e all'artiglieria pesante, praticamente
sconosciuta all'esercito svizzero, costituito in prevalenza da contadini
specializzati nel corpo a corpo. A tradire gli svizzeri fu anche il loro
equipaggiamento, assai leggero che consentiva sì una grande mobilità ma che
presentava d'altro canto problemi assai gravi di vulnerabilità. Massacrati a
centinaia, tuttavia, gli svizzeri non si arresero, tanto che si decise di
interrompere concordemente lo scontro e di rimandarlo all'indomani data ormai
la notte inoltrata.
Fu proprio con le luci dell'alba del nuovo giorno che
giunsero al campo francese le truppe veneziane guidate da Bartolomeo D'Alviano.
Con l'arrivo inaspettato di questi uomini freschi e pronti a combattere la
sorte degli svizzeri apparve definitivamente segnata, tanto che non ci fu
neppure una nuova battaglia.
Solo la sera prima era stata data notizia al pontefice della
vittoria degli elvetici - tanta era la fama della potenza ed invincibilità
delle truppe svizzere - e Leone X in persona si premurò di portare con gran
piacere la notizia all'ambasciatore veneziano presso la Santa Sede, Marino
Zorzi.
Non dovette passare una gran bella notte il diplomatico
veneziano, ma alla mattina arrivò rassicurante la notizia su come effettivamente
si fosse conclusa la vicenda di Milano. Pare che fosse lo stesso Zorzi, questa
volta, a voler informare - con grande piacere! - il pontefice sui fatti. La
partita era pari, anzi, Venezia ne usciva a testa alta.
Quello di Merignano tuttavia doveva essere comunque l'ultimo
scontro di una certa rilevanza che chiudeva la lunga sequenza delle annose
guerre che avevano visto l'Italia del nord quale triste teatro.
Con il trattato di Noyon, Francia e Spagna, la Spagna del
futuro imperatore Carlo V, si accordarono sulla spartizione della penisola, ma
anche Venezia ottenne qualcosa. L'imperatore Massimiliano, infatti, in cambio
di denaro contante - l'eterno problema dell'ormai anziano imperatore! -,
rinunciava a tutte le terre promessegli con la lega di Cambrai, compresa la
strategica Verona che tornava ai veneziani seppur per contorte vie diplomatiche
che nulla tolsero di sostanza alla realtà dei fatti.
E la cruda realtà era che a otto anni dalla fondazione della
Lega di Cambrai che aveva lo scopo principale di distruggere la potenza
veneziana, Venezia si ritrovava in possesso di tutti i suoi territori di
allora.
Otto anni di sanguinose, ininterrotte guerre che l'avevano
vista affrontare spesso da sola, i più forti eserciti d'Europa, non avevano
sostanzialmente comportato per la repubblica profondi cambiamenti. Anzi,
Venezia aveva dimostrato a tutti ancora una volta la sua abilità diplomatica e
la sua forza militare. Malgrado gli enormi sacrifici sopportati - economici ed
umani -, Venezia poteva finalmente tirare un sospiro di sollievo.
Il 18 febbraio del 1517 venne pubblicato nella città il
trattato della raggiunta pace. Era domenica, una giornata di sole, narrano le
cronache. Il doge Leonardo Loredan salì sulla poltrona ducale e, portato a
spalla da quattro operai dell'Arsenale, uscì da Palazzo Ducale. Lo seguivano
gli ambasciatori di altri stati e città. Dopo aver assistito alla Messa in S. Marco,
il corteo passando dal cortile del palazzo ducale e dalla porta della Carta,
ritornò in piazza, fermandosi vicino alla colonna dei bandi. Lì il segretario
del senato, Alberto Tealdini, lesse a gran voce il proclama della pace, mentre
la gente inneggiava a S. Marco.
Finalmente, dopo tanti anni di guerre dagli incerti esiti,
nel cielo della Serenissima tornava il sereno.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 4, SCRIPTA EDIZIONI
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