domenica 22 novembre 2015

STORIA VENETA - 102: 1570 – DOPO LA PRESA DI NICOSIA DA PARTE DEI TURCHI MEGLIO MORIRE.


Dal testo di Francesco Zanotto


"Temendo adunque Bellisandra non tanto il furore de' barbari nelle cui mani era caduta, quanto il cimento in cui prevedeva dovessero esser poste la religione e l'onestà di lei, accesa l'animo da queste due supreme virtù, la notte che precedeva lo scioglier dal porto per avviarsi a Costantinopoli, data mano ad una miccia, recossi coraggiosamente al luogo ove custodivansi le munizioni di guerra, e a quelle pose fuoco così, che arse non solo la nave, ove stava, ma eziandio arsero gli altri due legni minori legati presso la stessa ... "


ANNO 1570


Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


Nel 1570 Nicosia cade in mano ai turchi. Come da triste e disgustosa usanza è la strage fra coloro che tentarono di resistere o di restare fino all'ultimo. Fra il bottino raccolto dagli Ottomani, anche le più giovani e belle matrone veneziane della città fra le quali Bellisandra Maraviglia, eroina suo malgrado ...


LA SCHEDA STORIA - 102


Quando la notizia della caduta di Nicosia raggiunse il comandante Zane in rotta verso Cipro, lo sconforto per i veneziani fu totale. Per mesi si erano lasciati trascinare dai presunti alleati, gli spagnoli, in inutili discussioni. Era ormai chiaro che gli spagnoli non avevano risposto con entusiasmo all'appello di Venezia per sostenere la difesa di Cipro.  Le navi messe a disposizione dal re Filippo II, una cinquantina in tutto, erano infatti malauguratamente comandate da Gian Andrea Doria, genovese, acerrimo nemico dei veneziani.
E così mentre le altre navi, le cinque pontificie e quelle ducali presero a muoversi nella primavera del 1570, quelle spagnole del Doria si attestarono con tutta calma in Sicilia, con il pretesto di non aver ricevuto ordini tali da farle procedere oltre! Ci volle tutta l'autorità del papa perchè Filippo II inviasse l'ordine al suo comandante di proseguire verso Creta. Era già l'8 agosto e ci vollero ancora dieci giorni di viaggio prima che le navi spagnole raggiungessero quelle pontificie nel porto pugliese di Otranto, da dove finalmente presero il largo verso Creta.
Lì, impaziente e ormai snervato dall'attesa, c'era il comandante Girolamo Zane con il resto della flotta veneziana.  
A quel punto l'animosità del Doria e l'astio nutrito da questi verso i veneziani, ebbero modo d'esprimersi nelle forme più disonorevoli oltre che inopportune.
Con i turchi che minacciavano sempre più da vicino l'isola di Cipro, il Doria non perse infatti occasione per tentare di sabotare l'impresa sollevando obiezioni di ogni genere, concludendo che lui con la sua flotta, possibilmente intatta, doveva per forza tornarsene nel Mediterraneo Occidentale entro la fine del mese al più tardi, per non trovarsi in pieno inverno e così lontano dalla Spagna ad affrontare le navi nemiche molto meglio equipaggiate dì quelle veneziane.
In realtà mancavano ben due mesi all'inizio dell'inverno e c'era dunque tutto il tempo per affrontare la flotta turca. Le tre flotte cristiane, poi, se riunite potevano contare su 205 navi mentre il nemico secondo le ultime stime non doveva averne neppure la metà.
Zane a quel punto si dimostrò risoluto. Si doveva assolutamente attaccare e difendere l'isola a tutti i costi. Il Doria a quel punto accettò a patto che alle sue navi fosse concesso dì restare svincolate dal resto della flotta in modo da potersi defilare quando lo avessero ritenuto opportuno! Era troppo, ma allo Zane non restò che accettare.
Così iniziava la sciagurata impresa che avrebbe dovuto difendere l'isola di Cipro, dove, nel frattempo, fra una discussione e l'altra dei cristiani, i turchi erano sbarcati, riuscendo nel giro dì pochi giorni a conquistare la capitale Nicosia.
La spedizione riunita di navi spagnole, veneziane e pontificie era naufragata nelle chiacchiere, fallendo ancora prima dì salpare ed ora i frutti di quel fallimento erano sotto gli occhi distratti ed indifferenti dell'intera cristianità.
Pietro Pisani assieme agli altri rettori dell'isola e agli ultimi cittadini veneziani, combattè per circa due ore fino a quando a dar man forte ai turchi sopraggiunse anche la cavalleria del Pascià di Aleppo. Il Pisani, Niccolò Dandolo, governatore dell'isola e il vescovo Francesco Contarini, vistisi perduti si ritirarono a quel punto nel palazzo accettando poco dopo l'offerta di resa fatta loro dai turchi vittoriosi. L'accettazione era ovviamente condizionata dalla promessa di aver salva la vita, cosa che infatti venne garantita ma come spesso accadeva non certo mantenuta.


Le promesse dei turchi disonorano chi le fa ...


Dopo che il Dandolo fece deporre le armi a quei pochi soldati rimasti, i turchi entrati nel palazzo trucidarono immediatamente e senza pietà i tre personaggi e con loro tutti quelli del seguito.
Ancora una volta la promessa di aver salva la vita fatta dai turchi si rivelò nei fatti una semplice, tragica trappola per i malcapitati cristiani.
E anche quello che ne seguì era ormai un tristemente noto copione: saccheggi, stragi, stupri e violenze di ogni sorta sconvolsero in poche ore la vita di quella città e dei suoi inermi abitanti. Alcuni storici riferiscono che in quella circostanza perirono all'incirca 20.000 cittadini di Nicosia. Molti altri invece vennero catturati e tradotti schiavi a Costantinopoli. Fra questi preferibilmente giovani fanciulli e giovani donne che vennero imbarcati su tre navi affinchè giungessero nella capitale ottomana al Sultano Selim quale segno dell'avvenuta vittoria.
Fu in quelle drammatiche circostanze che si verificò uno dei più alti e coraggiosi atti di eroismo che vide come protagonista una nobildonna veneziana.  Il suo nome era Bellisandra Maraviglia, sorella di Giovanni, segretario del senato veneziano e moglie di Pietro Albrino, Gran Cancelliere di Cipro, scomparso nella strage consumatasi nella capitale. La donna invece, assieme a molte altre, venne catturata ed imbarcata quale bottino di guerra su una delle tre navi dirette a Istambul.  La nave era comandata da Meemet Pascià e trasportava, quale nave ammiraglia, molte altre matrone catturate a Nicosia e destinate al fiorente mercato di schiave.
Di fronte a questa triste e vergognosa prospettiva, certo insopportabile per una nobildonna veneziana, Bellisandra fece con le sue sfortunate compagne la sua scelta. E così, la notte che precedette lo sbarco nel porto di Istambul, la donna diede fuoco ad una miccia nel deposito delle munizioni facendo esplodere la nave con tutto il suo carico umano. L'esplosione fu di una tale violenza che investì anche le altre due navi minori. Si salvarono alla fine solo lo scrivano e sei turchi.
L'atto estremo di Bellisandra Maraviglia seppur risparmiò a lei  e alle sue compagne sventurate una triste sorte, non ridusse minimamente la gravità della perdita dell'importante città da parte dei veneziani, preludio alla totale e definitiva perdita dell'isola.


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  4,  SCRIPTA EDIZIONI





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