Dal testo di Francesco Zanotto
"Temendo adunque Bellisandra non tanto
il furore de' barbari nelle cui mani era caduta, quanto il cimento in cui
prevedeva dovessero esser poste la religione e l'onestà di lei, accesa l'animo
da queste due supreme virtù, la notte che precedeva lo scioglier dal porto per
avviarsi a Costantinopoli, data mano ad una miccia, recossi coraggiosamente al
luogo ove custodivansi le munizioni di guerra, e a quelle pose fuoco così, che
arse non solo la nave, ove stava, ma eziandio arsero gli altri due legni minori
legati presso la stessa ... "
ANNO 1570
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Nel 1570 Nicosia
cade in mano ai turchi. Come da triste e disgustosa usanza è la
strage fra coloro che tentarono di resistere o di restare fino all'ultimo. Fra il bottino raccolto dagli Ottomani,
anche le più giovani e belle
matrone veneziane della città fra le quali Bellisandra Maraviglia, eroina suo
malgrado ...
LA SCHEDA STORIA - 102
Quando la notizia della caduta di Nicosia raggiunse il
comandante Zane in rotta verso Cipro, lo sconforto per i veneziani fu totale.
Per mesi si erano lasciati trascinare dai presunti alleati, gli spagnoli, in
inutili discussioni. Era ormai chiaro che gli spagnoli non avevano risposto con
entusiasmo all'appello di Venezia per sostenere la difesa di Cipro. Le navi messe a disposizione dal re Filippo
II, una cinquantina in tutto, erano infatti malauguratamente comandate da Gian
Andrea Doria, genovese, acerrimo nemico dei veneziani.
E così mentre le altre navi, le cinque pontificie e quelle
ducali presero a muoversi nella primavera del 1570, quelle spagnole del Doria
si attestarono con tutta calma in Sicilia, con il pretesto di non aver ricevuto
ordini tali da farle procedere oltre! Ci volle tutta l'autorità del papa perchè
Filippo II inviasse l'ordine al suo comandante di proseguire verso Creta. Era
già l'8 agosto e ci vollero ancora dieci giorni di viaggio prima che le navi
spagnole raggiungessero quelle pontificie nel porto pugliese di Otranto, da
dove finalmente presero il largo verso Creta.
Lì, impaziente e ormai snervato dall'attesa, c'era il
comandante Girolamo Zane con il resto della flotta veneziana.
A quel punto l'animosità del Doria e l'astio nutrito da
questi verso i veneziani, ebbero modo d'esprimersi nelle forme più disonorevoli
oltre che inopportune.
Con i turchi che minacciavano sempre più da vicino l'isola
di Cipro, il Doria non perse infatti occasione per tentare di sabotare
l'impresa sollevando obiezioni di ogni genere, concludendo che lui con la sua
flotta, possibilmente intatta, doveva per forza tornarsene nel Mediterraneo
Occidentale entro la fine del mese al più tardi, per non trovarsi in pieno
inverno e così lontano dalla Spagna ad affrontare le navi nemiche molto meglio
equipaggiate dì quelle veneziane.
In realtà mancavano ben due mesi all'inizio dell'inverno e
c'era dunque tutto il tempo per affrontare la flotta turca. Le tre flotte
cristiane, poi, se riunite potevano contare su 205 navi mentre il nemico
secondo le ultime stime non doveva averne neppure la metà.
Zane a quel punto si dimostrò risoluto. Si doveva
assolutamente attaccare e difendere l'isola a tutti i costi. Il Doria a quel
punto accettò a patto che alle sue navi fosse concesso dì restare svincolate
dal resto della flotta in modo da potersi defilare quando lo avessero ritenuto
opportuno! Era troppo, ma allo Zane non restò che accettare.
Così iniziava la sciagurata impresa che avrebbe dovuto
difendere l'isola di Cipro, dove, nel frattempo, fra una discussione e l'altra
dei cristiani, i turchi erano sbarcati, riuscendo nel giro dì pochi giorni a
conquistare la capitale Nicosia.
La spedizione riunita di navi spagnole, veneziane e
pontificie era naufragata nelle chiacchiere, fallendo ancora prima dì salpare
ed ora i frutti di quel fallimento erano sotto gli occhi distratti ed
indifferenti dell'intera cristianità.
Pietro Pisani assieme agli altri rettori dell'isola e agli
ultimi cittadini veneziani, combattè per circa due ore fino a quando a dar man
forte ai turchi sopraggiunse anche la cavalleria del Pascià di Aleppo. Il
Pisani, Niccolò Dandolo, governatore dell'isola e il vescovo Francesco
Contarini, vistisi perduti si ritirarono a quel punto nel palazzo accettando
poco dopo l'offerta di resa fatta loro dai turchi vittoriosi. L'accettazione
era ovviamente condizionata dalla promessa di aver salva la vita, cosa che
infatti venne garantita ma come spesso accadeva non certo mantenuta.
Le promesse dei turchi disonorano chi le fa ...
Dopo che il Dandolo fece deporre le armi a quei pochi
soldati rimasti, i turchi entrati nel palazzo trucidarono immediatamente e
senza pietà i tre personaggi e con loro tutti quelli del seguito.
Ancora una volta la promessa di aver salva la vita fatta dai
turchi si rivelò nei fatti una semplice, tragica trappola per i malcapitati
cristiani.
E anche quello che ne seguì era ormai un tristemente noto
copione: saccheggi, stragi, stupri e violenze di ogni sorta sconvolsero in
poche ore la vita di quella città e dei suoi inermi abitanti. Alcuni storici
riferiscono che in quella circostanza perirono all'incirca 20.000 cittadini di
Nicosia. Molti altri invece vennero catturati e tradotti schiavi a
Costantinopoli. Fra questi preferibilmente giovani fanciulli e giovani donne
che vennero imbarcati su tre navi affinchè giungessero nella capitale ottomana
al Sultano Selim quale segno dell'avvenuta vittoria.
Fu in quelle drammatiche circostanze che si verificò uno dei
più alti e coraggiosi atti di eroismo che vide come protagonista una nobildonna
veneziana. Il suo nome era Bellisandra
Maraviglia, sorella di Giovanni, segretario del senato veneziano e moglie di
Pietro Albrino, Gran Cancelliere di Cipro, scomparso nella strage consumatasi
nella capitale. La donna invece, assieme a molte altre, venne catturata ed
imbarcata quale bottino di guerra su una delle tre navi dirette a Istambul. La nave era comandata da Meemet Pascià e
trasportava, quale nave ammiraglia, molte altre matrone catturate a Nicosia e
destinate al fiorente mercato di schiave.
Di fronte a questa triste e vergognosa prospettiva, certo
insopportabile per una nobildonna veneziana, Bellisandra fece con le sue
sfortunate compagne la sua scelta. E così, la notte che precedette lo sbarco
nel porto di Istambul, la donna diede fuoco ad una miccia nel deposito delle
munizioni facendo esplodere la nave con tutto il suo carico umano. L'esplosione
fu di una tale violenza che investì anche le altre due navi minori. Si
salvarono alla fine solo lo scrivano e sei turchi.
L'atto estremo di Bellisandra Maraviglia seppur risparmiò a
lei e alle sue compagne sventurate una
triste sorte, non ridusse minimamente la gravità della perdita dell'importante
città da parte dei veneziani, preludio alla totale e definitiva perdita
dell'isola.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 4, SCRIPTA EDIZIONI
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