Dal testo di
Francesco Zanotto
"Indossatasi
quindi la toga, perchè era male aitante della persona fecesi recare in lettiga
al Senato, ave giunto, colle membra tremanti, prese a dire: Essere vissuto egli
un dì più di quanto avrebbe desiderato; la debolezza della vita non avere
estimata mai, o la paura della morte vicina, come la udita sconfitta: essere
venuto in Senato col corpo infermo e fievole, non tanto per esporre la opinion
sua, quanto per piangere insieme con gli altri cittadini ... "
ANNO 1509
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Le super potenze
della Lega di Cambrai trascinano Venezia in una nuova, devastante guerra e con
i primi scontri arrivano anche le prime sconfitte per i veneziani. Clamorosa quella di Agnadello ...
LA SCHEDA STORICA - 92
Il 14 marzo del 1509 durante una seduta del Maggior
Consiglio in Palazzo ducale, una violenta deflagrazione nel vicino Arsenale
aveva fatto temere per un istante che la città fosse già bersaglio del fuoco
nemico. In realtà l'esplosione, del tutto casuale, era dovuta ad una scintilla
nel deposito della polvere da sparo, ma provocò ugualmente dei seri danni a
tutta l'area circostante. Cosa ancor più grave, tuttavia, con l'esplosione se
ne erano andate in fumo anche le scorte militari della repubblica.
Venezia si ritrovava così praticamente senza munizioni
proprio alla vigilia di un conflitto che l'avrebbe vista sola contro mezza
Europa, il Papato e alcuni principi italiani. L'esplosione dell'Arsenale fu
solo un simbolico preludio all'imminente scontro.
Il 5 aprile del 1509 infatti, la Francia dichiarava guerra
alla Serenissima. Venezia, in quel primo momento e date le circostanze, tentò
la strada diplomatica offrendo la restituzione di Rimini e Faenza al Pontefice
che per tutta risposta fece sapere che Venezia poteva fare delle
"sue" terre ciò che voleva! Era chiaro che non c'era il benchè minimo
spazio per una mediazione. Anche i tentativi fatti con l'imperatore
Massimiliano fallirono miseramente contro un muro di silenzio.
Venezia si rendeva perfettamente conto di ritrovarsi con le
spalle al muro e davanti al reale rischio di venirvi schiacciata.
ll'imminente offesa militare, poi, come se non fosse
sufficiente, si unì la scomunica papale che piombò sulla città il 27 aprile di
quell'anno. I motivi? C'era solo
l'imbarazzo della scelta! Venezia aveva occupato le terre della Chiesa, aveva
mantenuto rapporti amichevoli con i turchi mentre il papa si dava da fare per
organizzare una nuova crociata, Venezia aveva trasgredito le leggi per la
nomina dei vescovi ... L'attacco contro la Serenissima era questa volta totale.
A quel punto, quale ultimo, estremo tentativo, il governo
ducale tentò di comprare l'imperatore Massimiliano offrendogli 200.000 fiorini
e l'aiuto militare per riconquistare Milano. L'imperatore non rispose, ma al
suo silenzio fece eco ben presto il rombo dei cannoni.
Truppe francesi infatti erano penetrate in territorio
veneziano già il 15 aprile del 1509 e il9 maggio attraversavano l'Adda, presso
Cassano.
Le truppe veneziane, raccolte dopo un' estremo, pesantissimo
sacrificio finanziario, erano comandate da due condottieri, il giovane
Bartolomeo d'Alviano e da Niccolò Orsini di Pitigliano. Il senato veneziano aveva dato l'ordine di
difendere Ghiara d'Adda, attuando una tattica militare che cercasse sì di
offendere il nemico ma senza arrivare allo scontro frontale che sicuramente si
sarebbe risolto in un disastro per Venezia. Ma a questo punto emersero in seno
al comando veneziano delle gravi incertezze e contrasti sul da farsi.
L'Orsini, ligio ma anche convinto sull'inopportunità di uno
scontro campale si atteneva rigorosamente alle disposizioni del Senato mentre
il d'Alviano premeva affinchè si desse inizio allo scontro generale. Il giovane condottiero veneziano, anzi, prese a
muoversi autonomamente portando le sue truppe più verso sud. Presso il
villaggio di Agnadello l'esercito del d'Alviano venne così sorpreso dalle
truppe francesi. Il comandante inviò prontamente una richiesta di aiuto
all'Orsini mentre intanto schierava i suoi uomini e l'artiglieria sul campo.
Un disastro lo scontro frontale
Inizialmente le condizioni sembravano favorevoli ai
veneziani. L'area capillarmente irrigata, infatti, non consentiva alla cavalleria francese di
sferrare la carica contro i veneziani e quando iniziò anche a piovere la zona
si trasformò in una vera e propria palude.
Per ben due volte i francesi tentarono di attaccare, per ben
due volte la loro iniziativa non produsse alcun effetto dal momento che
l'esercito veneziano si trovava ben piazzato su di una collinetta da dove
poteva facilmente respingere i deboli attacchi nemici. Restava il fatto che le
truppe dell'Orsini non arrivavano a dar rinforzo a quelle dell'Alviano. Il
conte di Pitigliano restava più che mai convinto sull'opportunità di evitare lo
scontro frontale coi francesi e quindi non si muoveva.
Si mosse invece il grosso dell'esercito al comando di Luigi
XII in persona. I veneziani vennero così praticamente circondati e, dopo una
breve resistenza, crollarono sotto l'urto irresistibile dell'esercito francese. Bartolomeo d'Alviano, anzi,
combattè per molte ore prima di venir ferito e catturato.
La notizia della disfatta arrivò a Venezia nella tarda
serata del 15 maggio del 1509. Il Senato
venne convocato d'urgenza, benchè ormai notte, in seduta straordinaria
presieduta dal doge che, narra un testimone oculare, appariva alquanto
angosciato.
Il doge Loredan mandò a quel punto il segretario Pietro
Manzarol ad annunciare la sciagura al procuratore di S. Marco Paolo Barbo,
invitandolo a recarsi al Collegio. La sua presenza avrebbe in qualche modo
dovuto risollevare gli animi abbattuti dei senatori veneziani. Il Barbo era
uomo noto per la sua saggezza e prudenza, doti messe per lunghi anni al
servizio della Repubblica.
Ora, di salute inferma data anche la veneranda età, Barbo
non interveniva già da tempo in Senato e vi ritornava ora con grande sforzo
fisico per tentare di rianimare le speranze dei suoi abbattuti concittadini.
"lo andrò oggi dove sono chiamato
per domane (poter) morire volentieri (sereno) perciocchè nullo più bene
m'avanza (mi resta)".
Detto questo si fece trasportare su di una lettiga dinanzi
al senato dove tenne il suo fermo e accorato discorso. Ma se le sentite parole
del Barbo ebbero il benefico effetto di rinfondere fiducia e speranza ai
senatori, non riuscirono tuttavia a fermare le truppe francesi che ormai
dilagavano in tutti i territori prima controllati da Venezia a ovest del
Mincio.
Nel giro di pochissimo tempo Venezia aveva perduto infatti
quasi tutti i suoi domìni sulla terraferma senza poter opporre una valida
resistenza.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 3, SCRIPTA EDIZIONI
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