Dal testo di Francesco Zanotto
"Finalmente, tradotto nella piazza
principale di Famagosta destinata al supplizio dei rei, e spogliato delle
vesti, fu avvinto alla tronca colonna d'infamia, e dal carnefice veniva
scorticato, incominciando dalle schiene e dagli òmeri, e quindi passando alle
braccia ed al collo, esclamando, per facezia, quel perfido tiranno di Mustafa:
Fatti Turco, se vuoi esser salvo. E quel
pazientissimo, rinnovando la costanza de' Martiri invitti, de' quali Chiesa
santa celebra la memoria ed ornasi delle floride palme de' loro trionfi, nulla
riposta concedeva al barbaro ... "
ANNO 1571
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
La città cipriota
dopo quasi un anno di assedio cede infine alle armi turche. E' la strage, tanto
più violenta e crudele
contro chi aveva osato tanto. Marcantonio Bragadin, capitano della Piazza,
viene scuoiato vivo ...
LA SCHEDA STORICA 105
Quando la notte del 31 luglio 1571 i comandanti veneziani di
Famagosta, Baglioni e Bragadin ultimarono la loro consueta ispezione alle mura e agli ultimi rifornimenti rimasti, ben
si avvidero che non avrebbero potuto resistere ancora a lungo all'assedio. Si
decise così la resa, dopo quasi un anno di generosa ed irremovibile resistenza.
Con questa drammatica decisione si sperava infatti di evitare alla città e alla
sua popolazione stragi e distruzioni. Questa infatti era la norma generale in
caso di resa volontaria.
Ma i turchi non potevano certo dimenticare facilmente quei
lunghi mesi di ininterrotto assedio. E così, all'alba del 1 agosto una bandiera
bianca venne fatta sventolare sulle mura della città ormai stremata.
Come sperato le condizioni della resa furono assai
favorevoli, almeno sulla carta e per certi versi sorprendenti. I veneziani ed
in genere chiunque avesse voluto avrebbero potuto lasciare l'isola
tranquillamente ed indisturbati. A loro veniva rilasciato anzi un salvacondotto
con la garanzia che nessuna nave turca li avrebbe attaccati. Il documento con
queste ed altre clausole era firmato in calce da Mustafà in persona e portava
il sigillo dello stesso sultano Selim I. I giorni seguenti, quindi, chi voleva partire
ebbe modo di prepararsi con una certa calma, turbata solo da qualche sporadico
episodio.
Fra questi, ovviamente, anche Bragadin, colui che più di
chiunque altro aveva sostenuto fino all'ultimo la resistenza e la difesa di
Famagosta quale rettore per conto del governo veneziano. Come ultimo gesto
prima di imbarcarsi, il capitano veneziano fece sapere a Mustafà che si sarebbe
recato al suo campo per consegnargli personalmente le chiavi della città. Il
comandante turco fece sapere che lo avrebbe atteso ed accolto al più presto.
Bragadin si consegna nelle mani di un avversario
spergiuro ...
Bragadin accompagnato
dal Baglioni e da un certo seguito di uomini e soldati, si diresse così verso
il campo dei turchi vestito con l'abito di rappresentanza rosso porpora. Anche
se a malincuore, la decisione per lo meno gli aveva assicurato la salvezza ed
il prossimo ritorno a casa. E così, rassicurati e fiduciosi, i due comandanti
arrivarono finalmente di fronte a Mustafà. Questi potè guardare in volto i due uomini che
erano riusciti a complicargli non poco la vita offuscando momentaneamente la
sua abilità di soldato e comandante.
Inizialmente tutto questo non sembrava minimamente essere
motivo di rancore da parte del turco. Mustafà
anzi si dimostrò sulle prime molto cortese con i suoi ospiti che accolse
gentilmente non mostrando alcun desiderio di vendetta nei loro confronti.
Questo invece era ben celato nel profondo del suo animo e
doveva essere talmente smisurato data la violenza con la quale ben presto esplose.
All'improvviso, infatti, Mustafà estrasse il suo pugnale e
tagliò di netto l'orecchio destro del povero Bragadin dando ordine a un suo
soldato di fare altrettanto con l'altro e con il naso.
In una allucinante sequenza di ordini, fece poi decapitare Astorre
Baglioni e il comandante dell'artiglieria Luigi Martinengo.
Era solo l'inizio della strage. Per troppo tempo Mustafà
aveva masticato odio e rancore verso quegli uomini per non cogliere la facile
occasione di vendicarsi di loro malgrado la finale vittoria che rese ancor più
gratuito tanto sangue. A sera ben 350 teste si trovavano accatastate davanti
alla sua tenda.
Ma la sorte peggiore sarebbe toccata al povero Marcantonio
Bragadin. Questi venne tradotto mutilato di naso e orecchie in una prigione e
lì rinchiuso per le successive due settimane durante le quali le ferite non
curate andarono in cancrena.
In quelle condizioni già di per sè gravissime, il comandante
veneziano venne infine tratto di prigione e costretto a percorrere le mura con
dei pesanti sacchi di sabbia e pietrame sulle spalle. Era solo l'inizio del suo spietato calvario.
Ultimato il giro infatti, Bragadin venne fatto sedere su di
una panca, legato e issato sul pennone più alto della nave ammiraglia turca,
esposto agli scherni e agli insulti dell'equipaggio e delle soldataglie turche.
Venne infine condotto nella piazza principale della città
che nel frattempo aveva subìto un orribile saccheggio diventando scenario di
una delle più atroci stragi e sulla piazza il calvario di Bragadin assunse i
toni di un vero e proprio martirio.
Denudato', venne legato ad una colonna e scorticato vivo. Il
boia incaricato dell'orribile compito iniziò dalla schiena e dal collo
proseguendo con le braccia e il torace, gridando al veneziano: "Fatti Turco se ti vuoi salvare!."
Pare, almeno così si racconta, che il Bragadin durante tutta la terrificante
operazione non lanciasse mai un grido. Solo alla fine, poco prima di spirare,
pare lanciasse una preghiera di supplica a Dio per sè e per i suoi carnefici ai
quali invece tanto orrore sembrava ancora non bastare. Il Bragadin infatti, venne da morto decapitato e
il suo capo venne appeso ad una forca issata sulla piazza mentre il suo corpo
venne fatto a pezzi.
La pelle invece, venne imbottita di paglia e il macabro
fantoccio così ottenuto venne fissato su di una vacca e portato in un cinico
corteo per le strade della città, sbigottita di fronte a tanto inutile scempio.
I resti del povero Bragadin vennero finalmente riposti in
una cassa e spediti a Istambul dove vennero recapitati al bailo veneziano della
città, Antonio Tiepolo. Non è dato sapere dove poi finirono i resti.
Solo nove anni più tardi il veronese Girolamo Polidoro, uno
dei pochi sopravvissuti all'orribile strage di Famagosta, riuscì a recuperarli
e farli avere ai figli del Bragadin.
Inizialmente vennero deposti nella tomba di famiglia di S. Gregorio,
mentre nel 1596 vennero traslati nella più importante chiesa dei S. S. Giovanni
e Paolo dove, ancora oggi, sono custoditi all'interno di un sontuoso monumento
funerario. Finalmente il povero Bragadin aveva trovato pace nella sua terra
veneta.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 4, SCRIPTA EDIZIONI
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