Dal testo di Francesco Zanotto
" ... non sesso, non età, non carattere
di persona ritenne alcun dalla pugna: i sacerdoti ed i monaci, prese le armi,
ferocemente menarono le mani: le donne, i fanciulli, i vecchi domati dalla età,
somministravano armi a' combattenti o lanciavano pietre. Alcune donne eziandio,
superando la fiacchezza del sesso, coll'armi in pugno, eguagliarono la maschile
virtù. I malati stessi ed i feriti pur anco, con nuovo esempio, non potendo si
reggere nella persona, quale carpone, qual altro zoppicando, quale fasciato ...
trascinaronsi in soccorso delle cadenti mura e chi non potea recare aiuto con
altro, colle grida animava i parenti e gli amici ... "
ANNO 1571
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Conquistata la
capitale di Cipro, Nicosia, i turchi vogliono completare al più presto
l'operazione occupando anche l'altra importante città di Famagosta. Qui, però
malgrado la disperata situazione e la
pressoché totale mancanza d'aiuti esterni, la resistenza all'assedio turco si
preannuncia subito decisa ...
LA SCHEDA STORICA - 103
Lo scandaloso atteggiamento del comandante spagnolo Doria
aveva dunque in larga misura contribuito a rendere del tutto superflua la
spedizione navale di Venezia per tentare di impedire ai turchi di conquistare
anche l'isola di Cipro. L'isola, era un dominio veneziano, ma anche l'ultima
roccaforte cristiana nel Mediterraneo Orientale.
Sbarcate sull'isola le truppe del sultano non ci misero
molto a conquistare la capitale Nicosia mentre la flotta cristiana era ancora
al largo di Creta. Era ormai troppo tardi. La notizia della caduta di Nicosia
raggiunse i veneziani al largo di Castellorizo. Cosa fare? Continuare o fare ritorno a Creta,
abbandonando l'impresa?
Il morale, specie tra
i veneziani, era a terra e negli altri equipaggi ben pochi uomini se la
sentivano di rischiare la pelle per una causa che già gravemente compromessa
nel suo esito finale. Meglio tornarsene indietro e questa fu infatti la
proposta che venne accolta.
Solo Sebastiano Venier vi oppose una certa, orgogliosa
resistenza, ma alla fine si ritrovò solo a sostenere l'impresa motivando che in
quel momento i turchi potevano in fondo ancora essere sconfitti dovendo ancora
ricevere il grosso dei rinforzi.
Anche il comandante Zane, intristito e senza alcun
entusiasmo faticava a sostenere il Venier e si piegò infine al generale
desiderio di fare ritorno alla base. Zane si limitò a proporre che durante il
viaggio di ritorno si cercasse di arrecare dei danni alle coste e ai porti dei
nemici. Ma il progetto era impraticabile, era meglio non provocare in alcun
modo i suscettibili turchi e farsene ritorno a casa. A Girolamo Zane venne così
anche negato l'ultimo tentativo di salvare la propria reputazione, il proprio
onore e con essi il comando generale della flotta.
Giunto a Corfù, anzi, dopo essersi anche salvato da
un'epidemia scoppiata nel frattempo sulle sue navi, fu egli stesso ad inoltrare
la richiesta presso il senato veneziano affinché lo sollevasse dall'incarico.
La richiesta ovviamente venne accolta e al suo posto venne prontamente nominato
Sebastiano Venier. Così, con ''la
testa" del povero comandante Zane si concludeva l'inglorioso tentativo
cristiano di difendere Cipro.
In un certo senso, e solo a posteriori, fu anche una
fortuna, nel senso che così andando le cose venne probabilmente evitata una
vera e propria carneficina. Le navi turche, infatti, ancorate lungo le coste
cipriote non erano le 150 preventivate dal comandante pontificio, ma più del
doppio, circa 350! Contro una tale potenza le poche navi cristiane, circa 200,
poco avrebbero potuto concludere.
Cipro era condannata, tanto più che i rinforzi e i
rifornimenti cristiani dovevano giungervi solo dopo aver attraversato il
Mediterraneo, mare ormai infestato da pirati e turchi che invece potevano
ricevere rinforzi e munizionamenti comodamente dai loro porti più vicini che
distavano da Cipro poco più di 70 chilometri.
Inoltre solo le due principali città, la capitale Nicosia,
già caduta, e Famagosta, erano dotate di possenti mura difensive, gli altri centri minori dell'isola
erano invece pressoché sguarniti di ogni difesa e perciò facili prede del
nemico.
Ora, la capitale Nicosia era caduta. Restava però l'altra
grande città, Famagosta e Selim non perse certo tempo. Due giorni dopo la presa
di Nicosia, infatti, il sultano, come di consueto, fece pervenire alle autorità
veneziane della città un ultimatum, di per sè tanto atroce e cinico quanto
assai eloquente. Con la richiesta di resa, infatti, Selim fece recapitare anche
la testa mozzata di Niccolò Dandolo, luogotenente di Nicosia.
Malgrado l'intimidazione - "arrendetevi o farete presto
la stessa fine"-, la risposta dei difensori di Famagosta fu la stessa
delle altre città assediate: resistenza ad oltranza. Le mura della città erano
state da poco completamente rinnovate sulla base delle più moderne tecniche
difensive militari e alimentavano la certezza di una lunga resistenza.
Ma se le mura potevano rassicurare le autorità veneziane e
gli abitanti di Famagosta, è anche vero che i difensori pronti a combattere
alloro interno erano in realtà molto pochi, neppure 10.000 uomini contro i
quasi 200.000 soldati turchi comandati dal feroce Mustafà.
Famagosta poteva tuttavia contare oltre che sulle sue
ciclopiche mura, anche su due uomini già noti e abilissimi comandanti, ma che
l'assedio di Famagosta rese eccezionali: Astorre Baglioni, perugino inviato
poco tempo prima nell'isola quale comandante supremo delle forze terrestri e il
capitano della piazza, Marcantonio Bragadin.
E così, tutto era pronto nella città per ricevere a testa
alta i primi assalti. I turchi ben consapevoli della dura prova che la
conquista di Famagosta rappresentava anche per un esercito potente come il loro
non persero tempo e iniziarono le operazioni il 17 ottobre del 1570. Per tutto
l'inverno malgrado i ripetuti attacchi di artiglieria la città non dette segno
di cedimento. Per quasi otto mesi i turchi si affannarono, tentando di tutto,
sulle mura indistruttibili, ma senza alcun risultato.
Si combatte ormai solo per la sopravvivenza
Solo verso primavera, tuttavia, apparvero i primi segni di
debolezza. I viveri iniziavano a scarseggiare pericolosamente e da maggio i
turchi avevano ripreso a bombardare le mura con rinnovata violenza e
determinazione. Invano Bragadin scrutava l'orizzonte in attesa dei nuovi
rifornimenti mentre con l'estate la situazione prese a precipitare.
Le artiglierie di Mustafà non dettero tregua. Per tre giorni
consecutivi dal 29 al 31 luglio e senza interruzione continuarono a lanciare i
loro proiettili contro le mura. Incredibile la risposta della popolazione in
quei terribili giorni. Si narra che tutti, dai vecchi ai giovani, dagli uomini
alle donne, si impegnarono a rafforzare come potevano le difese militari di
Famagosta. Si tentò ovviamente di rinforzare le mura là dove i colpi dei
cannoni avevano fatto maggior danno mentre tutti gli uomini in grado di
reggersi in piedi si armarono per combattere.
Malgrado il generoso tentativo, tuttavia, in realtà l'ora
della resa era ormai vicina.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 4, SCRIPTA EDIZIONI
Nessun commento:
Posta un commento