Dal testo di Francesco Zanotto
"Al giungere della comitiva facevasele incontro la
Dandolo, e quindi compiute le debite salutazioni, giurava l'osservanza del suo
capitolare, e dopo aver ella donati a' consiglieri ed al grande Cancelliere una
borsa d'oro riccio, come l'appella il Sansovino, con entrovi una medaglia pur
d'oro portante il di lei ritratto, davasi inizio sul canale ad una regata di piccole
barchette appellate fisolare, durante la quale una moltitudine di paliscalmi,
preparati dalle congregazioni delle arti, festeggiavano l'avvenimento con suoni
e danze."
ANNO 1557
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Venezia da almeno un secolo non festeggiava
più degnamente le sue dogaresse. Le consorti dei dogi, a dire il vero, non
erano mai state festeggiate con particolare pompa, cosa che si verificò invece
per Zilia Dandolo nel 1557. La città aveva più che mai bisogno di sognare e di
riaffermare pubblicamente la sua magnificenza ...
LA SCHEDA STORICA - 100
Nel 1540 Venezia aveva dunque concluso un trattato di pace
con il potente sultano turco Solimano il Magnifico, responsabile dell'ulteriore
perdita di possedimenti veneziani nel Peloponneso e nelle altre zone
circostanti. Venezia aveva definitivamente chiuso la sua fase espansiva nel
Mediterraneo Orientale e nel Levante. Da almeno cinquant'anni, dalla perdita di
Creta nel 1490 era iniziata la sua inesorabile decadenza come potenza marittima
e commerciale.
Questa era la realtà attorno alla metà del XVI secolo, anche
se proprio questo secolo, paradossalmente ma non certo senza ragione, sarà il
secolo d'oro della Serenissima. Anche la situazione finanziaria era fra le più
disastrose che la repubblica avesse mai registrato. Trecentomila ducati erano
appena stati versati ai turchi, quale risarcimento danni, mentre il debito dei
privati cittadini nei confronti del governo ducale aveva ormai raggiunto cifre
astronomiche per lo più inesigibili. Da qui una serie di provvedimenti fiscali
presi in esame dal senato per poter racimolare denaro fresco e contante.
Ma la durezza dei provvedimenti, che in passato non
avrebbero trovato alcun ostacolo nella loro applicazione, non trovò nessun
aiuto nella burocrazia, che evitò di prendersi a cuore l'incomodo e spinoso
incarico di riscuotere il denaro.
Questo non era che un altro sintomo della crisi, ancora per
il momento latente di tutto un sistema, quello veneziano, che per secoli, praticamente
dalle sue origini, si era retto sull'efficienza, la determinazione e la
puntualità d'azione della sua amministrazione.
Una crisi politica e morale che minacciava di
infiacchire sia la classe dirigente che il popolo ...
La crisi finanziaria
portava con sè i germi anche della crisi morale che presto si sarebbero diffusi
in tutti i livelli dell'amministrazione, da quelli più bassi a quelli più alti.
E i dogi che si susseguirono sul trono in quei decenni attorno alla metà del
secolo, sembrano personificare in pieno questo clima generale di rilassatezza,
non tanto per la loro condotta morale, anzi!, quanto per un senso di profonda
inincidenza sull'operato dello stato.
Pietro Lando e poi Francesco Donà (1545), Marcantonio
Trevisan(1553), Francesco Venier(1554) ed infine nel 1556 Lorenzo Piruli.
Questo doge, tuttavia, si distinse nella grigia lista,
perlomeno, per aver dato dopo 70 anni alla propria città una dogaressa. O
perchè scapoli e sant'uomini o perchè
vedovi, fatto stà che erano appunto quasi 70 anni che alla Serenissima mancava
sul suo trono la figura della dogaressa, l'ultima era stata infatti la moglie
del doge Marco Barbarigo, anche se in realtà era da oltre cento anni che le
spose dei dogi non erano oggetto di una speciale cerimonia di incoronazione che
ne sancisse l'alto ruolo accanto al consorte. Il Piruli, ripristinando la cerimonia nelle sue
forme più sontuose, fu in questo senso degno interprete e protagonista del
clima sfarzoso della Venezia cinquecentesca.
E così, il 18 settembre del 1557, ad un anno dalla sua
elezione, la moglie del doge Zilia Dandolo venne pubblicamente investita quale
dogaressa. Quel giorno il doge accompagnato da 60 senatori lasciò il Palazzo
Ducale e si recò nell'antistante piazza e, passando sotto un arco di trionfo
fatto erigere dalla corporazione dei Macellai, con il resto del corteo ducale
si recò verso la riva per salire poi sul Bucintoro. L'imbarcazione ducale si
diresse così alla volta del Palazzo Piruli, del fratello del doge, dove
l'attendeva la consorte in un appartamento tappezzato d'oro e di seta. Il vestito della dogaressa era sfarzoso, fatto
di stoffe pregiatissime e di broccati, mentre sul capo portava il noto corno
ducale dorato - da sempre simbolo del potere e dell'autorità ducale - e un diadema
che le fermava un candido velo.
All'arrivo del doge Zilia Dandolo si fece incontro allo
sposo, di fronte al quale, ed in presenza dei Consiglieri e del Gran
Cancelliere, giurava l'osservanza del suo Capitolare. Dopo la cerimonia il
corteo risaliva sul Bucintoro per aprire la regata sul Canal Grande dove ad
accogliere e festeggiare la coppia ducale c'erano i rappresentanti di tutte le
Arti. Giunti in Piazza San Marco la cerimonia e la festa proseguirono a suon di
trombe e di colpi d'artiglieria caricata a salve.
Tutta la piazza era naturalmente bardata a festa con drappi
bianchi e lì prese il via la sfilata. Dapprima
i rappresentanti delle Corporazioni delle Arti cui seguivano gli scudieri del
doge. A questi facevano seguito 35 giovani donne vestite sontuosamente e 21
matrone vestite invece di nero. Finalmente, preceduta dal Gran Cancelliere, dai
Segretari e dai propri parenti, veniva la dogaressa, accompagnata da due
Consiglieri. Dietro a Zilia il fratello Matteo Dandolo con un manto d'oro,
affiancato da un Procuratore di S. Marco.
Il corteo si dirigeva poi verso S. Marco dove dall'uscio
principale gli si facevano incontro i Canonici con la Croce che la dogaressa
baciava prima di dirigersi verso l'Altar Maggiore. Una volta arrivata
all'altare la dogaressa consegnava ai Canonici una borsa con 100 ducati mentre
successivamente sopra il Messale ribadiva il suo precedente giuramento.
Ultimata la solenne funzione e cerimonia, la dogaressa
usciva dalla chiesa attraverso la porta laterale che la introduceva
direttamente in Palazzo Ducale e da qui alla Sala del Maggior Consiglio dove
finalmente poteva sedersi sul trono ducale. La festa con balli e maschere
poteva così iniziare, accompagnata verso sera da fuochi artificiali nel cortile
del Palazzo.
Venezia ancora una volta voleva dimostrare al mondo tutta la
sua magnificenza, tutta la sua ricchezza, che erano i segni della sua
stabilità, della sua secolare potenza ed importanza.
Di fronte a tanto sfarzo, a tanta ostentazione, chi poteva
pensare ancora alla latente crisi? Venezia aveva bisogno prima di tutto di
rassicurare sè stessa.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 4, SCRIPTA EDIZIONI
Nessun commento:
Posta un commento