Dal testo di
Francesco Zanotto
"Ivi medici,
chirurghi, farmacisti, mammane e sacerdoti trovavansi; ivi stavano aperti
immensi magazzini provveduti a dovizia di medicamenti, di panni e di
vettovaglie, per soccorrere, per vestire e per pascere la moltitudine del
popolo; ivi del continovo, per dissipare l'aria contaminata, ardeva, accolto in
altissime pire, l'odoroso ginepro. All'apparire
dell'aurora portavansi colà alcuni ministri, detti visitatori, i quali
trascorrendo il lido, l'isola e la flotta informavansi dello stato della
salute, provvedevano ai bisogni e tradur faceano al vecchio Lazzaretto coloro
che fossero stati colpiti dal contagio ... "
ANNO 1576
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
La Serenissima
dopo la pace coi turchi può tirare un sospiro di sollievo tornando teatro di
feste e di divertimento, ma un nemico ancor più subdolo ed invisibile
riesce a sconvolgerne la vita e
la ritrovata serenità ...
LA SCHEDA STORICA - 109
Enrico III re
di Francia lasciava dunque Venezia nel luglio del 1574 dopo una settimana
durante la quale aveva potuto ammirare tutta la magnificenza e tutto quello che
la città era in grado di offrire quanto a cultura, bellezza, arte e ricchezza.
Niente in quei giorni, o al momento della partenza di Enrico, poteva far
immaginare che da lì a pochi mesi tutto quell'incantevole sfarzo si sarebbe
tramutato in un terrificante scenario di morte.
La città aveva fatto del suo meglio in quei giorni per
apparire come il volto di uno stato efficiente, ricco e potente agli occhi del
neo sovrano francese. Tutto questo era finalizzato a persuadere Enrico III sulla opportunità di
un'alleanza con Venezia, alleanza tanto più preziosa per la repubblica veneta,
rimasta ormai senza potenti referenti in Europa.
Sicuramente in quei giorni il doge Mocenigo trovò il modo
tra una festa, un banchetto e una passeggiata di parlare a questo proposito con
il re che, molto probabilmente, si mantenne sul vago. In fondo doveva ancora
accogliere sul suo capo la preziosa corona francese che lo aspettava al suo
ritorno da Venezia.
Intanto poco dopo la partenza del sovrano, nella città si
verificò un terribile incendio in Palazzo Ducale, che distrusse i locali del
Collegio, del Senato e alcuni ambienti privati
del doge. Ma questo incendio doveva essere solo un vago presagio di un'altra e
ben più terrificante sciagura: la peste.
Le prime avvisaglie si erano già avute alla fine del 1575,
ma ad esse non venne data particolare importanza. Da almeno due secoli e più
l'Europa aveva preso "confidenza" con il terribile morbo che, dalla
Peste Nera del 1348, si ripresentava ciclicamente in forme più o meno gravi,
estese o durature.
La malattia viaggia nelle merci e con gli uomini ...
Quella che investì Venezia nel 1575 aveva ancor una volta
origini lontane. Si pensa che dall'Ungheria dei mercanti tedeschi abbiano
importato mercanzie infette nel 1572 portando con sè quindi la peste che già
nel 1575 faceva strage a Trento, dove infatti erano giunte parte delle merci
infettate.
Nell'estate di quell'anno la peste era scesa anche in
Lombardia e a Verona. Da queste aree arrivò presto ed inesorabile anche in
laguna, probabilmente portata da un cittadino trentino che a Venezia sperava di
trovare scampo all'epidemia. Nel dicembre del 1575 tuttavia, i casi erano
talmente sporadici e circoscritti da far pensare che il morbo fosse già
estinto.
Era solo l'inizio di una serie di fatali errori di
valutazione che contribuirono in maniera determinante alla larga diffusione dell'epidemia.
Con l'arrivo della primavera, intanto, la pestilenza infatti
esplose in tutta la sua violenza tanto da trasformare nel giro di poche
settimane la città in un vero e proprio lazzaretto. Non si salvò dal contagio
nessun ceto sociale. Nobili e popolani, vecchi e giovani, donne e bambini di
qualunque età o condizione vennero indistintamente colpiti dal morbo. La
struttura stessa della città con le sue viuzze strette, le case una affiancata
all'altra e le scarse condizioni igieniche, contribuirono ad accelerare il
contagio. Ben presto il Vecchio Lazzaretto non fu più in grado di accogliere un
numero sempre crescente di moribondi.
Vennero anche chiamati due dei più famosi dottori dell'epoca
dalla vicina Università di Padova, Girolamo Mercuriale e Girolamo Capodivacca,
che, coscientemente o per ignoranza, tacquero inizialmente sulla vera natura
del morbo e sui rimedi o precauzioni da prendere, contribuendo all'aggravarsi
della situazione che si fece tragica con l'arrivo dell'estate.
Il senato emanò allora i primi provvedimenti: chi si fosse
scoperto ammalato di qualunque malattia doveva recarsi nella propria parrocchia
e dar nota del suo stato con la descrizione accurata dei sintomi. Dopodiché lui
e i suoi famigliari dovevano rinchiudersi in casa ed aspettare la visita di un
medico. Se l'ammalato veniva riconosciuto appestato, veniva immediatamente
trasportato nel Lazzaretto di S. Maria costruito ancora nel secolo precedente
per accogliere i marinai o i mercanti che giungevano dall'Oriente e che venivano
trattenuti lì in quarantena prima di poter entrare in città.
In quelle
settimane venne tuttavia eretto un nuovo Lazzaretto, ma anche questo ben presto
fu insufficiente e così si provvide a costruire delle baracche anche sulla
vicina spiaggia di S. Erasmo. Ancora non bastò.
Venne così decretato che da tutte le isole vicine venissero
mandate a Venezia barche, galee, imbarcazioni di qualunque tipo da poter
predisporre presso il Lazzaretto, quali ulteriori siti d'accoglienza.
Sorgeva così a poco a poco un'altra città di gente disperata
ed ammalata, moribonda, ma non certo abbandonata a sè stessa. Puntualmente
venivano infatti portati i rifornimenti di cibo e di acqua mentre medici e
chirurghi lavoravano intensamente. Anche le funzioni religiose venivano
regolarmente svolte da sacerdoti coraggiosi che si recavano fra gli appestati.
L'estate intanto era trascorsa e con l'inizio dell'inverno
fortunatamente la virulenza del morbo calò sensibilmente. Tuttavia, solo il 21
luglio dell'anno successivo, il 1577, il governo veneziano potè dichiarare
ufficialmente che l'epidemia era finita.
Un'epidemia che era costata alla città ben 50.000 persone,
forse più e fra queste anche un nome eccellente, quello del Tiziano.
La città usciva da un vero e proprio incubo e per
ringraziare Dio dell'avvenuta e sperata liberazione, si decise di far erigere
uno splendido tempio sull'isola della Giudecca dedicandolo al Redentore.
L'architetto al quale venne affidato l'importante incarico, non poteva che
essere il massimo che Venezia potesse scegliere: Andrea Palladio.
Da allora, ogni terza domenica di luglio il doge in corteo e
tutta la cittadinanza, si recavano alla chiesa del Redentore, a memoria di
quella lontana calamità e dell'avvenuta sua fine, circostanza che ancora oggi
viene magnificamente festeggiata in laguna.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 4, SCRIPTA EDIZIONI
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